Chapter Five – Another spring
I giorni passarono, la
pancia di Ichigo
cresceva, e un altro suo compleanno trascorse festeggiato in compagnia
– anche
se in maniera molto più tranquilla e a casa Shirogane, ora diventato il
secondo
luogo di ritrovo preferito dopo il Caffè (senza ovviamente che il
padrone di
casa potesse lamentarsi troppo della cosa), visto anche che le abilità
deambulatorie della rossa – di cui già non aveva spiccato in
precedenza, geni
felini o meno – andavano via via abbassandosi. I risentimenti di
Shintaro nei
confronti dell’americano, invece, non accennavano a diminuire,
identificando in
lui il solo responsabile della circuizione della sua adorata
figlioletta; i
mille interventi pacificatori di Sakura, che era passata dalle blande
moine nei
confronti del marito a vere e proprie minacce tra cui l’esilio perpetuo
sul
divano, avevano ottenuto almeno l’esito di un passaggio verso un
trattamento
del silenzio invece che un continuo borbottio di disapprovazione ad
ogni
incontro con i futuri genitori.
Parimenti, e in
concomitanza con la sempre
maggiore evidenza che gli esseri di sesso maschile che bazzicavano più
spesso
per il locale erano già stati accalappiati, crescevano le animosità
delle
cameriere del Caffè verso le loro colleghe più veterane e compagnia, in
un
tumulto di falsi sorrisetti e bisbigli dietro le spalle che avevano il
risultato di far ridacchiare Purin sotto i baffi, agitare Retasu, e
scatenare
gli ormoni già poco controllabili di Ichigo.
In quel momento,
difatti, la rossa se ne
stava appollaiata sullo sgabello della cassa in abiti quotidiani
(l’uniforme
aveva smesso da un bel pezzo di andarle bene e tutti avevano concordato
non
avesse alcun senso aggiustarla) a lanciare occhiatine di fuoco a due
delle sue
collaboratrici.
« Guardale, le vipere,
» sibilò non appena
Retasu le si avvicinò con un sorriso e in mano un conto di uno dei
tavoli, « È
tutto il giorno che sghignazzano nell’angolo, ma che avranno tanto da
dirsi? »
La verde seguì la
direzione del suo
sguardo: « Credo che Kisshu-san sia sceso dopo aver fatto la doccia, ho
sentito
qualcosa come maglietta appiccicata… »
Ichigo emise qualcosa
di simile a un
ruggito, ignorando totalmente il disagio dell’amica a dover rivelare
quella
notizia, gli occhi che le brillarono maligni: « Possibile che
Minto-chan non se
ne sia accorta? Lei sì che saprebbe metterle a posto… »
Retasu quasi
boccheggiò e rise
nervosamente, dandole dei piccoli colpetti sulla mano: « Su,
Ichigo-chan, non
credo bisogni arrivare a tanto… »
« Magari chiedo a
Shirogane di licenziarle.
Per oltraggio a una collega. »
L’amica sospirò
afflitta, ben conscia che
in realtà a Ichigo pesasse molto il fatto che le altre la ritenevano in
qualche
modo privilegiata solo perché, vista l’ingombrante pancia di più di
otto mesi e
il bisogno tassativo di riposo che continuava a ignorare perché a
casa si
annoiava, era stata spostata a marcare la cassa per le tre
ore al giorno
che Ryou le concedeva di passare al Caffè.
« La cosa migliore è
lasciarle perdere, »
insistette pacata, continuando a picchiettarle il polso, « Altrimenti
darai
solo loro soddisfazione. E poi non ti fa bene agitarti. »
Ichigo si accarezzò il
ventre e sospirò più
forte, piegando la testa da un lato: « Reta-chan, a volte vorrei tanto
essere
come te. Io vorrei solo… uugh! »
La rossa strinse forte
i pugni, mimando
qualche tipo di risposta fisica nei confronti delle altre cameriere, e
la
povera Retasu tentò nuovamente di blandirla, terrorizzata che potesse
in
qualche maniera causarsi da sola un travaglio prematuro lì sul
pavimento del
Caffè o – peggio – che Ryou la beccasse in piena crisi nervosa quando
le
ripeteva ogni venti minuti che doveva star calma.
« Ichigo-chan, ci
stiamo dando al karate? »
Purin uscì dalla cucina con un vassoio strapieno e le rivolse uno
sguardo
divertito, « Pensavo saresti passata da me, in caso. »
« No, sto solo
progettando come liberarmi
di Tamiko-san e Kayio-san, » replicò in un borbottio, « Se hai qualche
idea,
spara pure. »
« Chieko-san però non
è male, » la biondina
lanciò un’occhiata alla terza cameriera, con un infausto taglio a
scodella,
impegnata a prendere un ordine dall’altra parte del locale, « Se ne sta
quasi
sempre in disparte, a volte mi fa tenerezza. »
Ichigo emise un verso
di superiorità col
naso che alle altre due ricordò molto una certa loro amica: « Per
fortuna che
qualcuno che si fa i cavoli suoi c’è! »
Mentre le altre due si
scambiavano
un’occhiatina divertita e Purin andava a consegnare gli ordini, la
rossa esalò
l’ennesimo sospiro e poi uno sbuffo più accennato quando la creaturina
dentro
il suo ventre cominciò a scalciarle precisa la milza.
« Uguale a Shirogane,
» scherzò verso
Retasu, che l’aveva guardata un po’ preoccupata, massaggiandosi piano
il punto
dolente per cercare di placare il nascituro, « Sempre a sgridarmi! »
La verde rise e
allungò piano una mano per
sentire anche lei i calcetti, Ichigo che parve dimenticare la questione
precedente lanciandosi in risolini complici e mostrandole una sfilza di
foto
dei vari completini, giocattoli e accessori acquistati, e per qualche
istante
sembrò tornare il sereno.
Almeno finché la porta
d’ingresso non
annunciò con un tintinnio l’entrata di Kisshu e Minto, lui come al
solito
ghignante e lei corrucciata e presa da un’evidente predica. Le due alla
cassa
si scambiarono solo un’occhiatina divertita – ormai abituate anche alle
strane
dinamiche di quei due – e poi Retasu rivolse all’amica mora un’occhiata
un po’
preoccupata.
« Buongiorno,
Minto-chan, Kisshu-san. Tutto
bene? »
Arrivata alla cassa,
l’ex ballerina mollò
con un pesante tonfo la borsa sul bancone di legno.
« Qualcuno
qui si è dimenticato di
avvisare che fosse il suo compleanno, oggi, » berciò con tono di
supponenza,
guardando Kisshu in cagnesco, « E adesso ha deciso che vuole una festa!
»
« Kisshu-san! »
perfino a Retasu scappò una
nota di rimprovero, « Alla fine l’hai scoperto? »
« Come
volevasi dimostrare, il
cervellone di sotto ha fatto i conti. Voi vi gasate sempre così tanto,
non
volevo perdermi l’occasione, » lui ghignò e poi lanciò un’occhiata alla
mora
accanto a lui, « Comunque non voglio una festa, l’unica cosa che mi
interessa è
la torta con le candeline, e visto che abbiamo una pasticceria di
riferimento…
»
Minto scosse appena la
testa, serrando le
palpebre per un secondo: « Se ti fossi ricordato prima
del tuo pozzo
senza fondo di stomaco avremmo potuto organizzare qualcosa di meno
infantile e
non prendere la prima torta rimasta. »
« Non tutto deve
essere fatto in grande,
tortorella, » continuò invece lui a prenderla in giro, impassibile, « E
non
capisco perché tu te la prenda così tanto. »
«
Perché ti sembra che io non sappia quando - » la mora s’interruppe e
sbuffò
contrariata, girando il viso dall’altra parte, rivolgendosi
direttamente a
Retasu, « C’è qualcosa che possiamo usare o no? »
La verde, già agitata
dal nervosismo di
Minto – mentre Ichigo continuava a sogghignare sotto i baffi, trovando
il
puntiglio della mora molto divertente – si sforzò di fare il sorriso
più
convincente che potesse: « Sono sicura che Akasaka-san troverà una
soluzione. E
possiamo fare una merenda tutti insieme sulla terrazza, alla chiusura. »
« Grazie, Retasu-chan,
sei molto più utile
di altre persone, » Minto rilassò appena le spalle ma lanciò comunque
occhiatacce a Kisshu e Ichigo, poi si ravvivò i capelli e riprese la
sua borsa,
« Ma magari non sbandieratelo ai quattro venti, non vorrei che certa
gente
si mettesse strane idee in testa. »
« Ah-ah! » Ichigo
esclamò trionfante,
battendo un pugno sul bancone mentre seguiva lo sguardo altezzoso
dell’amica verso
il cruccio della sua giornata, « Lo sapevo che te n’eri accorta! »
« Non sono molto
discrete, » commentò lei a
naso arrogantemente in su, « E sono tentativi un po’ disperati, siamo
oneste. »
Retasu sospirò
pesantemente, scambiandosi
un ultimo sguardo con Kisshu mentre le altre due cominciavano a
confabulare
minacciose, e tornò ad occuparsi dei clienti anche per non dare adito
ad
ennesimi scontri con le altre cameriere.
Tuttavia, forse anche
lei doveva ammettere
che Tamiko e Kayio sembravano cercare molte opportunità per non
risultare
particolarmente simpatiche. Quando ritornò in cucina con un vassoio
ricolmo di
stoviglie sporche, la scena che le si palesò davanti fu al tempo stesso
ridicola e fastidiosa.
La larga schiena di
Pai era infatti rivolta
verso di lei mentre l’alieno, giustamente camuffato, si concedeva un
sorso di
tè freddo e una pausa dal laboratorio – probabilmente anche in cerca
del
fratello scansafatiche; accanto a lui, impegnata ad arrotolarsi una
ciocca di
capelli castani sul dito con un sorriso inequivocabile, stava Kayio,
l’altro
braccio a tenere il vassoio poggiato contro al ventre e il corpo
inclinato da
una parte nel chiaro tentativo di risultare più avvenente.
Nemmeno si accorse – o
più probabilmente la
ignorò di proposito – dell’entrata di Retasu, che quanto più
silenziosamente
possibile nonostante i bicchieri che tintinnarono minacciosi cercò di
spostarsi
lungo il lato della stanza e raggiungere il lavandino accanto a loro;
persistette
invece a parlottare e ridere quasi da sola, sbattendo le ciglia e
ammiccando
quanto più sensualmente possibile.
Ciò che nonostante
tutto tingeva di comico
la scena per Retasu e le calmava un pochetto il rombare del suo stomaco
era il
fatto che Pai sembrava nemmeno non dare adito alla presenza di Kayio
accanto a
lui. Continuava imperterrito a sorseggiare dal suo bicchiere, come se
davanti a
lui ci fosse stata solamente il muro e non una ragazzina in tenuta da
cameriera
che stava palesemente flirtando con lui. Quasi quasi, Retasu l’avrebbe
encomiata per la sua faccia tosta e il suo coraggio ad esporsi in
maniera così
aperta quando la risposta era quella.
E lei ne sapeva
qualcosa dell’impassibile
glacialità dell’alieno.
Senza dire una parola,
Pai si voltò verso
di lei – dando quindi quasi completamente le spalle a Kayio, che si
zittì dopo
circa dieci secondi – e le prese il vassoio dalle mani, posandolo per
lei
vicino al lavandino.
« Grazie mille,
Pai-san, ma non c’era
bisogno che - »
« Oh, Midorikawa-san,
non far fare le cose
ai nostri ospiti, » commentò l’altra cameriera con velenosa dolcezza, «
Non
sono certo qui per questo. »
« Veramente io - »
« Yuu-uuuh, Kayio-san,
» la testa di Ichigo
spuntò dal passavivande all’improvviso, « Il tavolo cinque e il nove
stanno
aspettando, e il dodici è da sparecchiare. »
Il viso di Kayio
divenne un’educata
maschera di stizza: « Arrivo subito, Ichigo-san, grazie dell’avviso. »
Con un’ultima
occhiataccia a Retasu e una
più languida a Pai, la morettina si dileguò a schiena dritta e mento
all’insù.
« Vipera, »
sussurrò di nuovo Ichigo
prima di voltarsi ancora verso la cassa. Con una risatina e l’animo
pieno di
gratitudine nei confronti della sua amica, che dalla prima volta in cui
l’aveva
trovata in difficoltà a causa del suo carattere docile era stata in
guardia
anche per lei, la verde seguì la larga schiena di Pai verso il
corridoio
esterno.
« Non so se sia
confortante o snervante che
voi femmine vi comportiate alla stessa maniera anche in galassie
diverse. »
Retasu si aggiustò gli
occhiali sul naso,
leggermente indispettita: « Voi femmine non è una
cosa molto carina da
dire, Pai-san. »
« Hai ragione, » lui
si fermò quasi
bruscamente sul primo gradino che portava al laboratorio, voltandosi
verso di
lei ora praticamente alla stessa altezza, « Ma non capisco i vostri…
bisticci.
»
Ogni tanto anche la
ragazza stessa si
domandava come una mente così geniale poteva essere così ottusa.
« Kayio-san ha
evidentemente un debole per
te, » commentò con nonchalance, « E ciò la rende… sgradevole nei
confronti di
altre persone. Ichigo forse a volte esagera, ma cerca di proteggermi
perché… »
« Perché tu sei troppo
buona, » concluse
lui al posto suo.
Retasu sentì le guance
arroventarsi e annuì
con la lingua impastata: « Io non… non amo litigare con le persone,
soprattutto
per motivi futili. »
Si arrischiò a
incontrare le iridi ametista
sopra il bordo degli occhiali, trovandole come sempre a scrutarla come
per
decodificare ogni centimetro di lei. Se solo avesse avuto il coraggio
di dirgli
che non era lui il motivo futile, ma che
solamente, se lui avesse avuto
altri interessi, lei non si sarebbe certo messa in mezzo.
« Mi sembra
intelligente, » commentò lui
sottovoce, con un abbozzo di sorriso, « Cosa che non si può dire di
Kayio, visto
che pare non comprendere la necessità di non disturbare la gente. »
« Pai-san! » Retasu
non riuscì a evitare la
risatina che le sgorgò dalle labbra, prontamente coperte dalle dita, né
il
rossore che le continuò sul volto a udire anche lo sbuffo basso e
divertito di
lui.
Prese un altro respiro
e lo scrutò ancora:
« Kisshu-san ci ha detto che oggi è il suo compleanno, stiamo pensando
di
organizzare qualcosa dopo lavoro in terrazzo. Di semplice, però. »
Pai sbuffò: « Gli date
troppo retta. »
« Trovo carino che si
voglia… integrare del
tutto, » commentò lei un po’ esitante, « La sua curiosità per certe
cose è
quasi… dolce. Anche se un po’ infantile. »
« Dolce e
Kisshu non possono
stare nella stessa frase a meno che tu non ti stia riferendo a quelli
commestibili. »
La verde quasi si
strozzò con il suo stesso
fiato; possibile che quel giorno l’algido alieno fosse così in vena di
spirito?
Cos’era quella nota positivamente ironica che sentiva nelle sue frasi e
che le
faceva sfarfallare il petto a ogni risata?
« Ma ti do pienamente
ragione
sull’infantile, » Pai la osservò un paio di secondi mentre lei
continuava a
ridacchiare, lo sguardo cobalto rivolto verso il basso, « Tra pochi
giorni sarà
anche il tuo compleanno, giusto? »
Se possibile, Retasu
assunse una sfumatura
ancora più violacea mentre annuiva velocemente, intontita dal fatto che
lui era
in possesso di quella informazione.
« Non… non ci hai mai
detto quand’è il tuo,
invece. »
« Fine dicembre.
Giorno più, giorno meno. »
« Ma… allora non
abbiamo festeggiato! »
Lui quasi si rammaricò
dell’espressione
abbattuta che le passò sul volto: « Non mi piace festeggiare. E mi
avevi già
fatto un regalo, » si affrettò ad aggiungere.
« Già, » la ragazza si
morse il labbro e
gli lanciò un’altra occhiata, schiudendo le labbra, « Sai, pensavo che
- »
« Nee-chan! » la voce
allarmata di Purin la
fece sobbalzare e quasi venire un infarto, « Nee-chan, sono arrivate
tipo dieci
pensionate tutte insieme, ci serve una mano! »
Con una mano sul
petto, Retasu si voltò
verso la biondina, alla fine del corridoio con un vassoio straripante
di piatti
e bicchieri vuoti.
« A-arrivo subito. »
« Ichigo-chan sta
continuando a battere
conti alla cassa, tra poco le verrà una sincope. »
La verde sentì Pai
sbuffare dal naso in
maniera un po’ ironica mentre lei si accodava già dietro a Purin; girò
il viso
– rischiando di inciampare brutalmente – e lo guardò da sopra la
spalla: « A…
dopo? »
Anche nella penombra
delle scale che lui
aveva iniziato a scendere, scorse l’ombra di un sorriso di conferma.
A fine giornata, si
ritrovarono
effettivamente tutti – meno le sgradite compagnie
– sul balconcino del
Caffè, in cui Keiichiro aveva allestito un tavolo centrale con sopra
vari
stuzzichini, più dolci che salati viste le preferenze di Kisshu, e una
semplice
ma bella torta al triplo cioccolato sormontata da ventitré candeline.
« Visto, non c’era
niente di cui
lamentarsi, » gongolò il festeggiato a Minto dopo aver esaudito il
desiderio di
concedersi quell’umana tradizione, « In cinque minuti, tutto fatto. »
La mora alzò gli occhi
al cielo, sbuffando
in maniera esagerata fin per lei: « Devi solo ringraziare l’estrema
gentilezza
di Akasaka-san, disorganizzato che non sei altro. »
« Nee-chan, guarda che
è vietato
arrabbiarsi coi festeggiati. »
« Grazie, scimmietta,
tu sì che sai
mantenere lo spirito dell’occasione. »
« Oh ma per favore,
solo perché siete
entrambi appena usciti dall’adolescenza! »
Mentre, giusto per
continuare a
innervosirla, Kisshu e Purin si prodigavano in strane smorfie e
atteggiamenti
decisamente infantili, Ichigo ridacchiò e ingollò una generosa
forchettata di
torta, che fu però seguita da una smorfia e uno sbuffo mentre la
creaturina nel
suo ventre reagiva fin troppo entusiasticamente all’arrivo di zuccheri
extra.
« Tutto okay, Ichigo? »
La rossa alzò appena
lo sguardo verso
Zakuro, comparsa con discrezione accanto a lei, e annuì massaggiandosi
il
costato: « Mi sa che non ne posso più mangiare… »
La modella rise appena
della sua
espressione afflitta mentre abbandonava il piattino sul tavolo e si
poggiava le
mani dietro la schiena per stiracchiarsi.
« Manca poco, no? »
Ichigo annuì e
ricambiò il sorriso, però
poi abbassò un po’ la voce, accarezzandosi protettiva il ventre: «
Anche se in
realtà vorrei rimanesse qui dentro ancora un po’, » mormorò con una
punta di
preoccupazione, « Finché è qui, sento che posso fare da… bolla di
sicurezza.
Invece quando sarà fuori ci saranno così tante cose che non potrò
controllare,
tante cose da decidere… poi pensa se mi esce pelosa e con le orecchie
da gatto!
»
Zakuro, divertita
dall’ultima affermazione,
scelse di non farle notare che aveva accidentalmente utilizzato il
femminile e
le sorrise affettuosamente mentre le sfiorava la pancia: « Vedrai che
andrà
tutto bene. In caso contrario, ce la prendiamo con Shirogane. »
Anche Ichigo
sogghignò, poi la guardò da
sotto in su: « Tu come stai, nee-san? »
La mora annuì piano: «
Tutto a posto,
Ichigo, » commentò pacata, « Solo un po’ stanca, con la primavera
cominciano a
moltiplicarsi gli impegni in vista della pausa estiva. »
La rossa sembrò
accettare la risposta senza
troppi dubbi, e ricominciò a parlottare allegramente con lei. Non era
necessariamente tutta una bugia, alla fine. Stava lavorando molto di
più,
quello era vero; che avesse scelto lei stessa di prenotarsi molti più
impegni
era solo un dettaglio collaterale. Un piccolo effetto indesiderato del
suo
desiderio di indipendenza.
E di quella lealtà
che, in effetti, aveva
imparato a dimostrare anche ad altri e non solo a sé stessa.
Alzò lo sguardo
velocemente su Retasu, che
con un sorriso timido fingeva di ascoltare una Purin completamente su
di giri
mentre chiaramente il suo corpo era più impegnato a cercare di non
andare in
iperventilazione vista la vicinanza di un certo alieno dagli occhi
ametista, il
viso inespressivo ma assolutamente rilassato. Ed era un’espressione che
nemmeno
lei aveva visto spesso.
« Retasu è innamorata
di te, » gli aveva
detto chiaro e tondo una sera di fine febbraio, quando lui si era
palesato
senza annunciarsi da lei. Non aveva mai avuto bisogno di molti giri di
parole,
li trovava solo uno spreco di tempo, ed erano sempre stati molto chiari
su cosa
fossero. Dato che aveva percepito qualcosa, un’esitazione,
un’incertezza, nel
comportamento di Pai da dopo il più che timido tentativo di Retasu di
dichiararsi a San Valentino (Ichigo ne era in qualche modo venuta a
conoscenza
e non aveva fatto segreto con nessuno di quanto disapprovasse il fatto
che
l’alieno, a parer suo, non avesse ringraziato o fatto abbastanza di
ritorno),
aveva deciso lei stessa di agire, di mettere le cose in chiaro. Di
chiuderla, e
non pensarci più, prima che diventasse troppo tardi.
« Lei è innamorata di
te, e tu ci tieni a
lei, » si era quasi divertita dell’espressione impercettibile che aveva
attraversato il viso di marmo, quasi offeso dall’essere anche
leggermente
leggibile da qualcun altro, « Quindi smettiamola di prenderci in giro.
È meglio
per tutti. »
Cosa facesse o
pensasse lui in quel
momento, o perché ci stesse mettendo così tanto a fare qualcosa con la
dolce
Retasu, non erano più fatti suoi.
Zakuro aveva fatto ciò
che necessario. Come
ogni volta. Il sorriso contento dell’amica le sarebbe bastato.
« Vedo che come al
solito battete la
fiacca. »
Ryou spuntò
dall’entrata con un sorriso
irriverente e un sopracciglio alzato.
« È il compleanno di
Kisshu nii-san! »
« Come se non
scroccasse abbastanza, » il
festeggiato e l’americano si lanciarono la solita occhiataccia
sarcastica, il
primo troppo impegnato a riempirsi ancora la bocca di cioccolato per
essere
davvero infastidito.
Il biondo ignorò il
tavolo di cibo e si
diresse a passo deciso verso Ichigo, che sfoderò la sua miglior
espressione
innocente.
« Ne ho mangiato un
pezzo piccolissimo,
giusto un assaggio, Zakuro-san può confermare! »
La modella nascose un
sorrisetto dietro il
bicchiere di succo di frutta alla stoica faccia dell’amico: « Confermo.
»
« Non voglio sentire
lamenti, poi, » Ryou
picchiettò con l’indice il naso della rossa, poi afferrò una delle
sedie
arrangiate lì attorno e quasi la costrinse a sedersi.
Ichigo alzò gli occhi
al cielo, sedendosi
con uno sbuffo, e all’improvviso sembrò recuperare tutta la sua
energia: « C’è
qualcosa di cui mi devo lamentare, quelle insopportabili e
scortesi
cameriere che tu hai deciso di assumere! »
« Ginger,
please… »
« Sono delle vipere!
Anche stamattina non
hanno fatto altro che parlottare alle nostre spalle, e quell’odiosa di
Kayio
stava anche trattando male Reta-chan! Vero?! »
Sentendosi chiamata in
causa, Retasu
tossicchiò su una tartina e scosse la testa: « Ma… ma no, era solo che…
»
« Stava facendo la
smorfiosa come al
solito, e per farlo stava mettendo in cattiva luce Reta-chan, »
insistette
Ichigo, una chiara smorfia di disgusto in volto, « Le ho detto di
tornare al
suo lavoro. »
« Ichigo! »
« Be’! Come cameriera
più senior credo di
avere dell’autorità! Non è che si può passare il tempo a flirtare! »
« Tu dici, Ichigo? »
La rossa guardò in
cagnesco Minto, che a
sua volta le stava rivolgendo un sarcastico sopracciglio arcuato: «
Stamattina
eri d’accordo con me riguardo i commenti su Kisshu. »
« Uh? Che commenti? »
« Scordatelo. »
« Vai in giro un po’
troppo svestito,
nii-san. »
« Fa tutto parte del
fascino, scimmietta. »
« Ma per favore… »
In previsione del
battibecco in arrivo,
Ryou smise di ascoltare e poggiò entrambe le mani sulle spalle di
Ichigo a mo’
di avviso di non agitarsi troppo, e lei lo guardò da sotto in su: «
Potremmo…
trovarne di più simpatiche. »
« Direi che non è per
niente il momento,
Momomiya, ho altre cose a cui pensare. E infatti, io e te dobbiamo
andare,
anche perché sta per venire un temporale. »
« Dai, non essere
negativo, capo! » lo
rimbrottò Purin, un dito sollevato tra due vassoi a fare la conta su
quale dei
cinque dolcetti fare il bis, « È ancora un bellissimo pomeriggio. »
Il tuono che risuonò
lontano sembrò
solamente accentuare l’espressione di Shirogane.
« Sei ancora
arrabbiata? »
« Non sono arrabbiata,
sono contrariata. »
« Non riesco a capire
dove sta la
differenza. »
Minto sbuffò e si
aggiustò la sciarpa
leggera intorno al collo, un sorrisetto supponente: « Così impari. »
Kisshu roteò gli occhi
al cielo, insistendo
a giocherellare con uno dei suoi boccoli neri: « Non mi hai ancora
detto perché
te la sei presa. »
« Mi piacciono le cose
fatte bene, »
rispose lei, abbassando lo sguardo sulla maglietta di lui, «
Organizzate,
pensate. E non mi piace essere l’ultima a venirle a sapere. »
L’alieno le cinse la
vita con le mani e la
tirò un po’ di più a sé: « Cosa ti dico sempre riguardo al voler
controllare
tutto? »
« … non è per quello. »
« Ah no? E allora per
cosa? »
La mora storse
visibilmente il naso alla
sua espressione sarcastica e poi alzò il mento con decisione: « Ho ben
altri
impegni che dover star dietro ai tuoi ghiribizzi. »
« Tortorella, non fare
l’antipatica, » la
voce di Kisshu si abbassò di qualche nota, « Ti accompagno a casa, che
dici? »
« Per tua
informazione, sono a cena con
delle mie vecchie compagne del teatro. Se me l’avessi detto prima… ! »
Lui nascose il naso
appena sotto al suo
orecchio: « D’accordo, allora vengo dopo, okay? »
Con un sorriso
intenerito, e una punta di
vergogna, Retasu attese appena dietro l’angolo dello spogliatoio, ben
attenta a
non farsi notare da Minto. Non stava origliando, ovviamente, ma sapeva
bene che
astio provasse l’amica verso qualunque forma esplicita di pubbliche
dimostrazioni di affetto, quindi meglio nascondersi fino al momento
giusto. E
il fatto che la conversazione si fosse interrotta segnalava che
sicuramente
l’elegante ex ballerina non era in un momento disponibile al pubblico,
anche se
la verde pensò tra sé e sé che forse avrebbe fatto meglio a non
appartarsi
proprio davanti all’entrata del Caffè. Dopotutto, al contrario, Kisshu
non era
certo uno che si facesse molti problemi.
A Retasu scappò un
altro sorriso e si
arrischiò ad affacciarsi quando la campanella trillò sopra la porta,
segnalando
il via libera. A volte non capiva le sue amiche, ma più di tutte a
volte non
capiva Minto, il suo essere sempre così rigidamente in controllo di sé
per poi
infilarsi in situazioni come quella. Seppur l’espressione che le aveva
intravisto fare sull’uscio fosse stata particolarmente rivelatoria.
« Sono contenta per
Minto-chan, anche se
non scuce un dettaglio, » aveva commentato divertita Ichigo qualche
mese prima
con una nota di malizia, in un pomeriggio in cui l’aveva accompagnata a
cercare
giocattoli per il bebè in arrivo, « È giusto che si lasci andare, una
volta
ogni tanto. Se lo merita. »
Aspettò che anche
Kisshu svanisse da
qualche parte, probabilmente al piano di sopra ora che non c’era più
nessuno
nel locale e poteva evitare di fare le scale, ed uscì dal suo angolino,
pronta
ad avviarsi verso casa e infilarsi sotto una doccia calda per scacciare
quel
fastidioso freddo primaverile portato dalla pioggia.
« Non puoi uscire ora.
»
Alla verde sfuggì un
gridolino stridulo e,
per la seconda volta, sobbalzò vistosamente, coprendosi la bocca con i
pugni.
Possibile che stessero cercando tutti di ucciderla, quel giorno?!
Pai, grondante da capo
a piedi appena
davanti all’entrata sul retro, la guardò come se non capisse il perché
del suo
spavento.
« Sta piovendo troppo,
ora. Se esci così ti
prenderai un malanno. »
Retasu spalancò gli
occhioni blu, confusa
dalla sua apprensione così caustica – le sembrava quasi la stesse
accusando di
avere una salute cagionevole – e dal fatto che tra i due quello che
pareva sul
punto di beccarsi la polmonite fosse lui.
« Cosa stavi… sei
fradicio… » riuscì solo a
balbettare.
Pai annuì e prese
fuori dalla tasca una
fialetta piena d’acqua: « Sto raccogliendo campioni delle vostre piogge
per
determinare il livello di acidità del tempo, controllare la presenza di
Mew
Aqua, e altre misurazioni interessanti anche per il nostro pianeta. Le
differenze di condizioni atmosferiche sono centrali nelle mie ricerche.
»
« Ma… il malanno… »
Le sembrò che la sua
espressione si
addolcisse di una frazione: « Non sono suscettibile a queste
temperature,
Retasu. »
Il ventre le diede una
potente fitta a
sentire il proprio nome scivolare così facilmente sulla lingua di lui
quando se
lo trovava completamente bagnato davanti, con la frangetta scura
appicciata al
volto diafano e la maglietta nera più stretta che mai.
Si impose di respirare
mentre, già lo
sapeva, le sue guance si arroventavano.
Non
ci pensare, Retasu.
«
È giusto che si lasci andare. Se lo
merita. »
« Devo… andare a casa.
»
Bofonchiò distratta,
più per riempire il
silenzio che per un’effettiva necessità di allontanarsi. Anzi.
«
Se lo merita. »
« Mi accompagni? »
Un tuono rombò nello
stesso istante in cui
lei ebbe posto la domanda, accompagnando il suo raccogliere tutto il
coraggio
che aveva in corpo per fissarlo dritto negli occhi. Le iridi ametista
si
contrassero appena, e Retasu ci rivide per un secondo quello sguardo
affranto
ma deciso che le aveva rivolto così tanti anni prima, come ultima
scelta.
Si sgonfiò come un
palloncino, tutto
l’ardire di quella situazione che le defluì dal petto come una cascata;
strinse
i pugni e distolse il viso, sospirando piano per mascherare il groppo
in gola.
« Scusami, è evidente
che sei impegnato,
non preoccuparti posso - »
« Retasu. »
Si morse il labbro
fino a farlo impallidire
a quel richiamo, incapace di distrarsi dalla punta delle proprie scarpe.
Non avrebbe dovuto
fare tanto male. Il suo
nome sulle labbra di lui non avrebbe dovuto suonare così
angosciato.
« Davvero, non fa
niente, » continuò a
mormorare, forse anche un po’ più a sé stessa, « Troverò un modo. E
dopotutto
l’acqua… »
Quasi si strozzò
quando percepì la punta
calda delle sue dita lunghe accarezzarle uno zigomo come se avesse
paura di
ricevere la scossa al solo sfiorarla.
« Retasu… » la voce di
Pai fu più un soffio
roco, così basso da sembrare l’eco del tuono stesso, « Tu sei… così
buona, e
tenace. »
« Lo dici come se
fosse un insulto… »
riuscì a borbottare lei, quasi stupendosi, e lo udì sbuffare piano.
« Ci sono delle cose
che io… ho fatto, che…
»
« Non mi interessa. »
Le dita del ragazzo
tornarono sulla sua
guancia, più tese questa volta: « Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »
Fece un passo avanti
e, ancora, piantò gli
occhi nei suoi, più decisa, nonostante la voce tremante e lo sguardo
umido. Pai
continuò a studiarla in silenzio per quella che le parve un’eternità,
il
pollice che continuava a toccarla leggero, avanti e indietro,
guadagnando pochi
millimetri alla volta, e Retasu rimase ferma così, le mani giunte in
petto e il
viso alzato.
« Io… non credo di
meritarti, » le sussurrò
infine, e il pollice divenne un intero palmo che le cinse la guancia,
le dita
che le presero ferme la nuca, « Ma posso provare a cambiarlo. »
La maglietta
dell’alieno era gelida di
pioggia, così come le punte della frangetta che le sfiorarono il naso;
ma sotto
di essa, lui era bollente, e fu l’unica cosa che Retasu percepì quando
finalmente
la tirò a sé per baciarla quasi con fame. Gli si strinse addosso più
che poté,
come mai aveva immaginato di poter fare, incurante degli occhiali
storti sul
naso o della propria camicetta che si stava inzuppando, o del fatto che
qualcuno sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento.
Pai la stava baciando,
erano le sue labbra
quelle che premevano con forza contro le sue, le sue mani che la
esploravano
decise ma prudenti. Suo il respiro che sentiva mischiarsi al proprio,
suo il
profumo, suo il calore, suo il battito del cuore sotto al suo palmo, ed
era
tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Fu l’ennesimo rombo di
tuono a separarli,
perché Retasu sobbalzò un po’ spaventata, un pigolio che le scappò
dalle
labbra.
« Scu-scusa… »
balbettò, senza fiato, una
mano che salì automaticamente ad aggiustarsi gli occhiali e l’altra che
tentò
di coprirle le guance scarlatte mentre pian piano ricomponeva i pezzi.
Pai non poté evitare
di trovarla
estremamente adorabile, ma decise di non commentare per non peggiorare
ulteriormente
la situazione, visto cos’era successo non appena aveva deciso di
lasciar agire
un po’ di più l’istinto. Così la portò di nuovo a sé, abbracciandola
piano
mentre lei posava la fronte contro al suo petto.
Come se fosse
l’incastro perfetto.
« Ora devo proprio
andare, » sussurrò
Retasu controvoglia, « A casa si staranno chiedendo che fine ho fatto. »
Gli occhioni blu lo
scrutarono come a
cercare di capire se il momento ora spezzato non si sarebbe mai più
ripetuto, e
lui avvertì l’ennesima fitta di senso di colpa alla bocca dello
stomaco, ma
decise solo di sorriderle.
« Ti accompagno. »
Lei si illuminò
contenta e annuì,
scostandosi ancora di pochi passi, lentamente, mentre ancora cercava di
ricostruire per bene gli eventi della giornata che l’avevano condotta
fino a
lì.
« Sai, pensavo - »
Si bloccò
all’improvviso nel suo tragitto
verso il soprabito, appoggiato a una delle sedie, e guardò Pai da sopra
la
spalla con aria interrogativa.
Lui piegò ancora le
labbra in una smorfia: «
Cosa fai per il tuo compleanno? »
Retasu avvertì
distintamente il cuore
perdere quattro o cinque battiti di fila; se Pai si metteva pure a fare
dello
spirito, lei sarebbe definitivamente morta stecchita.
§§§
Ichigo aveva
affrontato mostri zannuti e
grandi tre volte lei, alieni invasori e anche un po’ insistenti, ed
ex-fidanzati che condividevano il patrimonio genetico con un’antica
divinità
dal desiderio di conquista, ma la paura non era comparabile a quella
che stava
provando in quel momento.
D’accordo, forse la
sua tendenza drammatica
era particolarmente scatenata, ma in ogni caso, era letteralmente
terrorizzata.
« Non sono pronta, non
sono pronta, »
continuò a ripetere a macchinetta, camminando avanti e indietro davanti
al
letto con le mani contratte sul pancione, « Non lo posso fare. »
« Sì che puoi farlo, »
Ryou esclamò con
estrema pazienza mentre dava un’ultima controllata al borsone poggiato
sul
materasso e ne chiudeva la zip, « You just have to breathe. »
« Guarda che non mi
aiuti se – uuuuuuff!
»
Si fermò a metà
dell’ennesima vasca,
storcendo il viso in una smorfia di dolore e piegandosi di più su sé
stessa; il
biondo la raggiunse e la tenne stretta in silenzio, scostandole poi i
capelli
dagli occhi per poterla guardare bene.
« Ogni cinque minuti,
e per un minuto, » le
mormorò, « Dobbiamo andare. »
Lei si limitò ad
annuire e ad artigliargli
le mani: « Come fai ad essere così calmo? »
« Qualcuno che
mantenga il sangue freddo
serve, ginger. »
Perché se pure
Shirogane avesse ammesso che
in realtà anche lui era parecchio agitato, la situazione non sarebbe
sicuramente divenuta più gestibile.
« Chiamo i tuoi
genitori e gli dico di
raggiungerci in clinica, d’accordo? »
Ichigo deglutì
rumorosamente ed annuì, seguendolo
lenta verso l’uscita: « Però avvisa anche gli altri, o so già che Minto
si
offende. »
Il tragitto verso la
clinica privata fu
insolitamente silenzioso; Ichigo, che di solito riempiva sempre
l’abitacolo di
chiacchiere, era pallida e visibilmente distratta, concentrata a
respirare come
da manuale e un po’ a fissare solo davanti a sé, la mano contratta su
quella di
lui che le aveva poggiato sul ginocchio per darle un minimo di
conforto. Non
cambiò atteggiamento nemmeno durante l’accettazione, né quando la
indirizzarono
alla camera riservata a loro, molto più elegante di una normale sala
parto, con
un lettino extra per l’accompagnatore e una larga vasca in un angolo
(anzi, si
risolse solo a borbottare che Ryou non avrebbe nemmeno dovuto pensare a
dormire
se a lei non sarebbe stato concesso quel lusso), né tantomeno quando le
fu
comunicato che c’era ancora un po’ di strada da fare e avrebbe fatto
meglio a
rilassarsi più che poteva prima del momento cruciale.
Ryou ponderò che
probabilmente non l’aveva
mai sentita parlare così poco in vita sua, e ciò lo preoccupò più della
situazione in sé. Quando l’ostetrica e l’infermiera di turno si
chiusero la
porta alle spalle per concederle un po’ di riposo, con la promessa di
ripassare
a regolari intervalli, lui trascinò la poltrona il più possibile vicino
al
lettino su cui si era raggomitolata e le prese le mani per lasciarle un
bacio
sulle nocche.
« Ho detto agli altri
che siamo arrivati, »
le disse sottovoce, carezzandole una guancia, « I tuoi non hanno voluto
sentire
ragioni, Sakura si è detta disposta a campeggiare in sala d’attesa pur
di
esserci, quindi arriveranno a breve. Le ragazze ti mandano un bacio e
chiedono
aggiornamenti regolari, ma ho fatto promettere di non avere invasioni. »
Ichigo emise uno
sbuffò che avrebbe dovuto
essere una risatina, poi si morse un labbro: « È così tua figlia che è
in
anticipo. »
« Solo di qualche ora,
» la rimbeccò
dolcemente lui, « E se ha preso dalla sua mamma, scommetto che si
prenderà
tutto il tempo necessario. »
Lei rispose solo con
un mugolio incerto che
però suonava molto come se lo stesse scimmiottando, e tenendo sempre la
mano
ben stretta tra le sue, iniziò a distrarsi con i vari strumenti che le
erano
stati appiccicati addosso e qualche chiacchiera poco importante.
L’arrivo dei coniugi
Momomiya, poco più
tardi, fu il solito ciclone in tempesta. Sakura sembrava più su di giri
della
figlia, nonostante una recondita promessa di comportarsi da faro nel
buio vista
l’esperienza, ma il più esagitato di tutti era proprio Shintaro, che
sberciò ad
alta voce richiamando l’assistenza di un medico non appena non ne vide
comparire uno al capezzale della sua “dolce e povera bambina” entro i
dieci
minuti dalla sua comparsa.
« Non ce n’è bisogno,
papà, » aveva tentato
di blandirlo Ichigo, « Manca ancora molto e sono passati da poco. »
« Mi sembra una follia
che in questa presunta
super-clinica si abbandonino le partorienti, e per giunta
così giovani e
inesperte! »
La rossa aveva
prontamente agguantato la
mano di Ryou per impedirgli di ribattere: « Proprio perché sono così
giovane
dovrei avere meno problemi, papà. E poi guarda che bella la camera,
posso anche
scegliere di usare la vasca se volessi. »
« Come se queste cose new
age
fossero una rassicurazione! »
A quel punto, Sakura
aveva percepito che
fosse il caso di concentrarsi sul suo solito ruolo da mediatrice, visto
anche
il pronto arrivo di un’ostetrica altrettanto battagliera, e Shirogane
aveva
colto l’occasione per dileguarsi dal capofamiglia.
« Vi lascio soli dieci
minuti, okay? »
aveva preso la mano di Ichigo per lasciarle un bacio sulle nocche e al
tempo
stesso lanciarle un’occhiata acuta, « Così siamo meno in camera e puoi
stare un
po’ con i tuoi. Vado a prendermi un caffè. »
La rossa era stata
abbastanza clemente da
annuire e mormorare un torna presto a labbra
chiuse. Lui si chiuse la
porta alle spalle nello stesso istante in cui Shintaro cominciava a
borbottare
qualcosa riguardo il “ruolo del padre” e prese un lungo respiro; erano
lì da
meno di due ore e già era rimasto senza energia. S’incamminò verso la
macchinetta automatica che aveva adocchiato alla fine del corridoio,
passandosi
le mani sul viso per rinvigorirsi, e nel frattempo ne approfittò per
mandare un
messaggio di gruppo di aggiornamento della situazione (cui Purin
rispose con
una sequela di GIF e faccine, alcune molto inopportune, che però gli
strapparono una risata).
La sua pausa di
ristoro, però, non poté
durare a lungo; aveva appena finito di ingurgitare quella brodaglia
amara pure
per i suoi gusti quando un certo tono di voce dal capo opposto della
corsia lo
distrasse. Pensò che forse avrebbe dovuto pagare qualche cosa extra per
tutto
il disturbo che stava arrecando Shintaro, che stava indietreggiando
dall’uscio
sberciando contro l’ostetrica che, a sua volta, lo intimava a
tranquillizzarsi.
« Mi sembra inaccettabile
che io non
possa rimanere dentro con la mia bambina! »
« La signorina
Momomiya deve riposarsi e
soprattutto non agitarsi, » lo rimbeccò l’energetica signora, « E ha
espressamente richiesto che nella stanza ci fosse solo il signor
Shirogane, e
io sono tenuta a rispettare i suoi desideri per rendere l’esperienza
più felice
possibile. Visto che ora è il momento migliore perché possa riposarsi,
le devo
chiedere nuovamente di accomodarsi in sala
d’aspetto. »
Forse avrebbe dovuto
mandare direttamente
una bottiglia di champagne e un vaso di fiori a lei.
« Su, caro, la
dottoressa ha ragione, » lo
calmò Sakura con altrettanto cipiglio, « Non è il caso di innervosire
Ichigo,
ora. Ma la prego, mi tenga informata su qualsiasi cosa. »
L’ostetrica, il cui
cartellino rivelava il
cognome di Nakagawa, la rassicurò mentre le indicava la sala d’aspetto
riservata, due corridoi più a destra, e nel frattempo Ryou si intrufolò
in
camera, non senza uno scambio di occhiatacce con il suocero putativo.
« Ti ho portato in un
posto troppo new
age, bambina, » commentò velenoso, lanciando il suo
bicchierino vuoto
dentro al cestino.
Ichigo lo guardò
implacabile: « Non è il
momento. E pure tu mi chiami ragazzina. »
« Non fare certi
paragoni, please. »
La rossa rise e
affondò ancora di più tra i
cuscini mentre espirava lentamente, allungandogli una mano in maniera
molto
chiara. Ryou fece il giro del lettino e riconquistò la poltrona,
stringendole
le dita e ricominciando a carezzarle la faccia.
« È il tuo momento, ginger,
» la
prese in giro affettuosamente, « Anche oggi ti tocca un pisolino. »
« Credo dovremo
approfittarne, » ribatté
lei con una smorfia, « Potremmo non averne molte altre occasioni. »
Ovviamente, Ryou non
riuscì a chiudere un
occhio. Ichigo si appisolò pian piano sotto le sue carezze, e lui non
ebbe il
coraggio né la volontà di spostarsi, il cervello troppo su di giri per
poterlo
sopire. Si concesse solo di spostare la poltrona, tenendo una mano
stretta tra
le quelle di lei mentre con quella libera perdeva del tempo al
cellulare. Nel
frattempo, la dottoressa Nakagawa e un altro paio di infermiere
andarono e
vennero in silenzio, controllando la situazione, così come una
quietissima
Sakura, che si premurò di portargli un po’ d’acqua e dei dolcetti
ristoratori e
fare con lui due chiacchiere sottovoce.
Al risveglio di
Ichigo, incredibilmente –
non che avrebbe mai ammesso l’uso di questo avverbio né
l’attualizzazione del
pensiero, ben conscio delle eventuali ripercussioni che avrebbe dovuto
subire –
Ryou osservò un cambiamento non indifferente nel suo comportamento
post-intervento
di Shintaro sul suo essere bambina e post-pisolino man mano che il
travaglio
avanzava. Lei che tanto era portata a lamentarsi per le cose più
piccole e che
tanto era stata angosciatissima quella mattina sembrava ora avvolta da
una
caparbietà che poche volte le aveva visto addosso (volte che, se doveva
essere
sincero, non aveva voglia di ricordare né avrebbe voluto associare alla
nascita
del suo erede). Gli aveva intimato di rimanere in poltrona a fare
le sue
cose da genio, in silenzio e senza starle addosso; lei, nel
frattempo, se
la sarebbe cavata da sola. Si aggirava perciò per la stanza,
borbottando ed
espirando tra i denti ad ogni forte contrazione, a volte appoggiandosi
alla
grande palla da yoga, altre contro al muro, richiedendo l'aiuto del
biondo solo
un paio di volte.
Naturalmente, Ryou
stava solo fingendo di
essere impegnato, continuava a tenerla d'occhio senza farsi notare,
pronto ad
intervenire in caso di necessità.
« Shirogane? » esclamò
in quel momento la
rossa, i palmi contro al muro e piegata in avanti mentre sopraggiungeva
un'altra contrazione, « Un pochetto mi stai assolutamente sulle scatole
ora. »
Lui non poté evitare
di ridacchiare: « Non
fa niente, ti perdono. »
« Qui quella che deve
perdonare sono io, in
caso. »
« Tu sei anche quella
che mi ha teso un
agguato dopo il bagno notturno al compleanno di Purin. »
« … non era un agguato!
»
Ryou rise di nuovo del
suo viso in fiamme e
richiuse il tablet che si era portato per andare a raggiungerla,
accarezzandole
piano la schiena.
« Quindi la prossima
volta dovrei dirti di
no? »
« Sei fiducioso che ci
sarà, una prossima
volta. »
« Non iniziare con
queste frasi fatte prese
da tutti quei film idioti che hai visto, ginger, »
la rimbeccò poco
divertito, « Non ho mai sentito lamentele. »
Ichigo gli rispose
solo con una lunga
esalazione, ondeggiando piano da una parte e dall’altra.
« Mi devi dire che
andrà tutto bene, »
esclamò all’improvviso.
« Giuro che andrà
tutto bene. »
« E che non la farò
cadere appena me la
daranno in braccio. »
« Sarai bravissima. E
in ogni caso
circondata da superfici morbide. »
« E che smetterai di
essere sarcastico
prima che ti infilzi con la flebo. »
« Quello non posso
promettertelo, » rise
sottovoce, mentre Ichigo abbandonava il muro per stringersi a lui e lui
le
baciava la testa, continuando a dondolare insieme a lei, « Non è stato
espressamente vietato da tutti i corsi seguiti. »
« Secondo me non hai
ascoltato abbastanza,
allora. »
Ryou sbuffò, muovendo
il naso tra i suoi
capelli un po’ sudati e iniziando a mormorarle sciocche filastrocche in
inglese
con il solo scopo di aiutarla a rilassarsi mentre l’aiutava a
ristendersi sul
lettino.
Non passò molto prima
del ritorno della
dottoressa Nakagawa, che si scambiò uno sguardo d’intesa con i due
giovani
prima di ammiccare: « Ci siamo. »
« È una
femminaaaaaaaaaa! » Purin fu
la prima a scattare in piedi nel salotto di casa Fujiwara (che era
stato preso
d’assalto senza che la modella potesse opporsi più di tanto solo perché
il più
vicino alla clinica, e il cui tavolo era ricoperto di cartoni della
cena
d’asporto), brandendo il cellulare come un’arma e saltellando col
rischio di
pestare qualcuno, « È una bimba, è una bimba, è una bimba!
Andiamo! »
« Purin, calmati, » la
redarguì piano
Retasu, con gli occhi lucidi e le guance rosse mentre leggeva anche lei
il
messaggio mandato da Ryou, « È letteralmente appena nata, avranno
bisogno di
qualche ora. E poi è sera, mica ci possiamo presentare così. »
« Ma io voglio
vederla! La prima nipotina!
»
« Andrò io in clinica
causa timpano
perforato. »
Keiichiro rise
sommessamente, nonostante
l’evidente emozione anche sul suo volto: « Fatemi telefonare a Ryou e
vediamo
come organizzarci, d’accordo? »
« Teletrasportiamoci!
»
« Purin, ti
scongiuro. »
Il pasticcere si
ritirò in cucina in cerca
di più calma per la chiamata, alla quale Ryou rispose con incredibile
velocità.
« Congratulazioni,
ragazzo mio. »
«
Grazie,
» non scappò a nessuno dei due l’emozione nella voce
dell’altro, « Ho
appena mandato una foto. »
Keiichiro dovette in
effetti tapparsi
l’orecchio libero visto il boato di mugolii che scoppiò dall’altra
stanza: «
Sì, ho sentito. Sarà bellissima, ci scommetto. Come sta Ichigo? »
« She was a
trooper, » (*)
esclamò, « È cotta, ma è con i suoi genitori ora. Siamo
riusciti a tenerli
fuori finché non l’hanno risistemata un attimo. La bimba è alla nursery
per
alcuni controlli ma sta benone. »
Il pasticcere attese
un secondo in linea, e
Shirogane continuò dopo poco a voce più bassa: « I called
Joel. Ha detto che
ci pensa lui. Tu potresti - ? »
« Non preoccuparti. Tu
rilassati e goditi
la tua famiglia, noi aspettiamo un vostro segnale. Prometto che terrò
le truppe
a bada. »
« Good luck
with that, » scherzò il
biondo, « Voglio che Ichigo si riposi, cerca di contenerli
fino a domattina,
per favore. »
« Non posso assicurare
che non apriranno i
cancelli alle otto, però. »
« Meglio di
niente. »
Si scambiarono ancora
qualche parola di
conforto e felicitazioni, Keiichiro che portò il cellulare in vivavoce
in
salotto così che la baraonda potesse raggiungere Ryou direttamente.
Dopo la
promessa di mandare ulteriori fotografie, inclusa di Ichigo, e di
mandare i
saluti alla neomamma, Shirogane terminò la comunicazione e ritornò
nella loro
camera.
« È la bambina più
bella del mondo, » stava
tubando Sakura, china sopra il fagottino stretto tra le braccia di
Ichigo, «
Forse anche più bella di com’eri tu, cara. »
« Grazie, mamma, »
replicò la rossa più
giovane, ma era troppo stanca e piena di emozioni per darci davvero
peso.
La signora Momomiya
fece ancora qualche
smorfia alla nipotina, poi incrociò gli occhi di Ryou, accuratamente in
un
angolo, e gli sorrise calorosa: « Ora vi lasciamo un po’ da soli.
Andiamo a
casa a riposarci e torniamo domani, d’accordo? »
Shintaro aprì la bocca
per protestare, ma
la moglie lo zittì con un gesto della mano: « I ragazzi hanno bisogno
dei loro
momenti e sono stanchi. Su, forza, saluta, o domani sarai un nonno
rintronato
dal sonno. »
«Ciao, mamma, papà,
grazie ancora. »
« Signora,
Momomiya-san. »
Sakura rispose al
saluto di Ryou dandogli
un’affettuosa stretta sul braccio e una carezza veloce, uscendo prima
del
marito in un chiaro monito da seguire. Shintaro arrancò dietro di lei,
fermandosi appena per incrociare lo sguardo dell’americano:
« Ottimo lavoro,
ragazzo. »
Quando la porta si
chiuse, il ragazzo in
questione non poté evitare di voltarsi con estremo stupore verso
Ichigo, che lo
guardava altrettanto divertita: « Me lo devo segnare: due maggio, il
primo
complimento che ricevo da Shintaro Momomiya. »
« Non farci
l’abitudine, » lo prese in giro
prima di sbadigliare, poi però si riconcentrò di nuovo sulla bimba
avvolta da
una morbida copertina rosa, « Però è vero, abbiamo fatto un lavoro
perfetto. »
Ryou cercò di non far
notare il suo
inspirare lentamente e si appoggiò al bordo del letto, scostando piano
la
coperta per sfiorare una guanciotta arrossata.
« Vedi che non l’hai
fatta cadere. »
Ichigo rise e strofinò
il naso contro
quello in formato mignon: « Non mi sono ancora spostata però. È così
piccola… »
« Pesa quattro chili, darling.
»
« È piccola lo stesso,
» la rossa le
rivolse un altro sorriso innamorato, sfiorandole la peluria
biondo-rossiccia che
le ricopriva la testolina, « Tocca di nuovo a te. Sei pronto? »
Onestamente, avrebbe
voluto rispondere di
no; per quanto bramasse risentire quel calore tra le braccia, era
terrorizzato
di fare una mossa falsa, causare un pianto improvviso o qualche dolore.
Che ne
sapeva lui del legame che c’era tra un neonato e la sua mamma, o di
come
affrontare quell’incredibile necessità di proteggere con tutto se
stesso quella
creaturina dai tratti così simili ai suoi?
« Io l’ho detto che
sarebbe somigliata a
te, » gli sussurrò di nuovo Ichigo, porgendogliela un po’ di più.
Si concentrò come non
mai per fare in modo
che le sue mani sostenessero tutti i punti giusti, e la piccola quasi
scivolò
naturalmente nell’incavo delle sue braccia, solo uno sbadiglio sonoro
come reazione
che lo fece sorridere: « You sure about that? »
Ichigo rise e si
appoggiò al suo braccio,
ormai più stanca che mai nonostante la voglia di non perdere neanche un
secondo.
« Credo che il nome
che hai scelto sia
perfetto, » mormorò sottovoce.
Il petto gli si gonfiò
in maniera
esagerata. Com’era possibile contenere tutto quello?
« Era il nome di mia
madre. »
Sentì le dita di
Ichigo stringersi attorno
al suo braccio mentre gli si faceva più vicina e accarezzava il profilo
della
bimba: « Allora benvenuta, Kimberly Shirogane. »
Purin fu quasi
praticamente imbavagliata il
mattino dopo, quando le altre quattro ex Mew Mew si presentarono nel
reparto
maternità, visto il suo incredibile entusiasmo alla vista della nuova
mascotte
onoraria del gruppo. Sotto la rigida direzione della dottoressa
Nakagawa, le
ragazze furono fatte entrare in coppia per non travolgere troppo la
neonata, e
Zakuro fu predisposta a contenere l’energia della più giovane di loro.
Nonostante ciò, i suoi
mugolii estasiati
erano ben udibili anche attraverso la porta chiusa, davanti alla quale
Minto e
Retasu chiacchieravano amabilmente con il neopapà e Keiichiro.
« È andato tutto bene,
quindi oggi
pomeriggio torniamo a casa, » sospirò Ryou, « Anche se devo ancora
montare la
culla, Ichigo è stata presa da non so quale credenza che portasse
sfortuna
farlo prima che nascesse. »
« Dovete farne altre
tre! » scoppiò Purin,
aprendo la porta di scatto, « Una nipotina a testa! »
« Ssssh! »
« Intanto basta così,
grazie. »
Keiichiro rise del
pallore di Ryou mentre
le ragazze si davano il cambio e ricominciava lo scambio di gridolini
eccitati,
poi il biondo si passò una mano tra i capelli e offrì l’altra all’ex
tutore.
« A proposito, »
esclamò con un sorriso, «
Non c’è nessun altro che potrebbe farle da padrino. »
Il pasticcere gliela
strinse di ricambio,
mascherando a fatica l’emozione: « Ne sarei onorato. »
Purin emise un altro
gridolino di gioia e
si buttò al collo di entrambi, praticamente dondolandosi con i piedi
staccati
dal suolo nonostante non ci fossero più così tanti centimetri di
differenza.
« Ah, siamo una
famiglia bellissima! »
« Cosa le hai dato per
colazione? »
Zakuro nascose una
risata: « Non guardare
me, il pigiama party è stato a casa di Minto. »
Ryou riuscì a
staccarla prima che gli
spezzasse l’osso del collo, ma Purin gli rimase lo stesso appiccicata
al
braccio, sommergendolo di parole su come lei adorasse i bambini e fosse
sempre
disponibile a fare da babysitter, vista l’esperienza con i suoi
fratellini. Non
sapeva se fosse la mancanza di sonno, la montagna russa che erano stati
quei
due giorni, o il nuovo ruolo che si trovava a ricoprire, fatto sta che
per una
volta Shirogane si sentì pieno e felice come non mai.
« Potrei prenderti
molto alla lettera sul
discorso babysitter, » scherzò con un occhiolino verso la biondina.
Lei gli gongolò
accanto: « Poi ci siamo
coordinati con i tuoi suoceri, tutti i nostri regali vi aspettano già a
casa,
inclusa una montagna di cibo congelato made in Reta-chan.
Be’, io ho
fatto le shizitou(**). E
Zakuro nee-san ha organizzato
qualcosa di speciale. »
« Una cena al
ristorante preferito di
Ichigo già assicurata per quando sarete più in forma, » si affrettò ad
aggiungere la modella, « Per un momento per voi. »
L’americano non mancò
l’occhiata sibillina
che gli rivolse, ma era troppo stanco per ricambiare con una
altrettanto
alterata dalla sua simpatia.
« La smettete di
parlare di cibo? Io ho
fame! »
La voce di Ichigo
risuonò cristallina e
divertita quando anche Minto e Retasu uscirono dalla stanza, Purin che
ne
approfittò per intrufolarsi di nuovo.
« Guarda che adesso
bisogna rimettersi in
forma, Momomiya. »
« Minto, ti sta per
essere revocato il
titolo. »
« Resisti ancora
qualche ora, principessa,
e troverai un sacco di cose ottime a casa. »
Ryou si passò una mano
nei capelli e guardò
sconsolato il suo migliore amico: « C’è un enorme orso di peluche in
salotto,
vero? »
« E chi lo sa. »
La dottoressa Nakagawa
rispuntò in quel
momento, in mano una cartellina e sul viso un sorriso affabile ma
deciso.
« Mi dispiace ma è ora
di sgombrare il
campo. È ora di assicurarsi che tutto vada bene prima di tornare a
casa. »
E così dicendo, scoccò
uno sguardo eloquente
alla biondina ancora piegata sulla culla, che sfoggiò un sorriso
smagliante ed
uscì dalla stanza con le mani dietro la schiena.
« Allora io vado al
Caffè. Mi aiuti tu,
Reta-chan? »
« Seriamente siete
aperti anche oggi? »
« Chiedi al capo,
Minto-chan. »
« Ne ho due da sfamare
adesso, sai. »
Keiichiro gli batté
un’altra volta la mano sulla
spalla e rise: « Ci vediamo domani. Se avete bisogno di qualsiasi cosa,
chiamate. »
« Sì, non importa
l’ora, mi raccomando. »
« Ciao piccoletta! »
« Purin, ssssh!
»
Il buonumore della
biondina perseguì anche
durante la mattinata, passata a servire i clienti fischiettando e
sorridendo
più del solito. L’aria frizzante di inizio maggio filtrava dalle
finestre
portando con sé l’odore dei fiori e rendendo l’atmosfera al Caffè
ancora più
romantica.
Oppure erano davvero
solo gli ormoni di
quel periodo.
Purin sorrise sotto i
baffi mentre beveva
un bicchiere di tè freddo – quello che Akasaka teneva da parte
appositamente
per loro – e prendeva un respiro in vista della pausa; stava anche
iniziando a
fare caldo, il che voleva sempre dire un aumento notevole di clienti in
cerca
del refrigerio dell’aria condizionata, ovvero nugoli di coppiette in
amore e
teenagers sospiranti.
Un po’ come tutte le
sue amiche.
Rise ancora e lanciò
uno sguardo a Retasu,
concentrata a non sbagliare mentre prendeva l’ordinazione a un tavolo
chiaramente impegnato in un’uscita a quattro. Non sapeva molto di ciò
che era
successo nelle ultime tre settimane, Retasu era notoriamente timida e
Ichigo –
fortunatamente per l’amica – troppo impegnata tra falsi allarmi e
ultimi
preparativi per concentrarsi troppo sui gossip, ma
lei non aveva certo
non captato gli sguardi e i sorrisi tra la dolce ragazza dai capelli
verdi e un
certo alieno immusonito. Né le battutine di Kisshu a riguardo.
Il ghigno di Purin si
allargò: se Minto era
riuscita, almeno in parte, a schivare le domande più infime sulla sua
attuale
situazione sentimentale (e giusto per la soddisfazione di far finta di
non
ammettere nulla, non certo perché facessero le cose di nascosto), lo
stesso
trattamento non sarebbe certo stato riservato a Retasu; bastava solo
aspettare
che Ichigo si riprendesse un secondo per tornare alla carica. Forse
sarebbe
stata la volta buona che Pai le avrebbe incenerite tutte in un colpo
solo.
Ripose la caraffa in
frigo e si sistemò il
grembiule a forma di cuore; non poté fare a meno di pensare, ancora, al
terzo
componente mancante degli Ikisatashi. Era ovvio che avesse sentito la
mancanza
di Taruto, in quegli anni; era stata la prima a fidarsi di quell'alieno
dai
buffi codini e un pessimo carattere, la prima a capire che c'era del
buono
dentro di loro. Così com'era ovvio che le mancasse ancora di più ora
che i suoi
fratelli maggiori erano tornati e si erano integrati così bene nel loro
gruppo.
Le sembrava quasi
strano che fosse già
passato un anno dal loro arrivo, perché per lei era quasi come se ci
fossero
sempre stati, come se quella fosse la condizione normale della loro
vita.
Meno il suo buffo ed
irascibile, grande
amico.
Con la complicità di
Kisshu, Purin era
riuscita a mandare qualche messaggio a Taruto; niente di che,
ovviamente, solo
vaghi saluti anche un po’ in codice per non sfruttare in maniera
esagerata
comunicazioni che – per quanto ne avesse capito lei – rimanevano
ufficiali e
militari. E qualche risposta le era arrivata, certo, filtrata
dall’ironia del
più grande e dalla naturale reticenza di Taruto che lei era sicura non
fosse
cambiata. Solo che le sarebbe piaciuto sapere un po’ di più di lui, su
cosa
stesse facendo, se avesse terminato questa fantomatica accademia
militare… se
si sarebbe mai unito ai fratelli.
Sbuffò piano e si
diresse fuori dalla
cucina. Non era molto saggio soffermarsi su certi ragionamenti,
riuscivano
sempre a farla sentire malinconica e non era uno stato d’animo che le
piacesse
sfoggiare. Ma forse un saluto poteva farlo.
Invece che ritornare
in sala, si affrettò
su per le scale, allungando il collo per vedere se Kisshu fosse ancora
in
camera sua. Dalla sequela di parolacce che sentì sibilare fuori dalla
porta
socchiusa, capì di aver avuto successo.
« Ma come diamine… »
« Toc toc, »
rise divertita, « Cosa
stai combinando, nii-chan? »
« Questi aggeggi sono
demoniaci! » rispose
lui, roteando tra le mani lo smartphone che era stato dato sia a lui
che a Pai
qualche tempo prima per fare in modo che fossero contattabili nella
maniera più
umana possibile, « I nostri comunicatori erano molto più intuitivi.
Cosa
diavolo sarebbe un sms? »
Purin rise e gli si
avvicinò saltellando,
bloccandosi appena prima di prendere il telefono: « C’è qualcosa che
non dovrei
vedere? »
Kisshu ghignò
malizioso: « Ma magari. »
« Sei proprio
terribile. »
Gli smanettò davanti,
mostrandogli i
passaggi principali di quella che per lei, a confronto di ciò che gli
aveva
visto fare, era la cosa più semplice del mondo.
« Poi premi qui e
fatto. E puoi vedere
l’intera conversazione qui. »
Il verde studiò ancora
il rettangolo che
teneva in mano, poi scosse la testa: « Se lo dici tu… allora, che ti
serve? »
Purin sorrise
innocentemente, dondolandosi
sui talloni con le mani dietro la schiena: « Niente. Pensavo. »
Kisshu la guardò poco
convinto, il solito
ghigno sardonico in faccia: « Dai, sputa. Quando sei così calma mi fai
paura. »
La biondina ridacchiò
e poi lo guardò da
sotto in su: « … l’hai sentito? »
Il verde sbuffò,
piegando la testa da una
parte: « Non andiamo a controllare le comunicazioni da un paio di
settimane. Io
continuo a dire a Pai di installare un dispositivo qui, ma sai com’è
testardo,
e ultimamente… » si scambiarono un’occhiata divertita, poi lui continuò
con una
stretta di spalle, « Qualcosa dovrebbe esserci, ma non ne sono mai
sicuro, lo
sai. »
« Mmmh, » Purin sembrò
ponderarci su, poi
fece un passo avanti, « E… questa vostra scuola militare… quanto dura? »
« Dipende da quello
che vuoi farci,
scimmietta, » rispose lui, poggiandosi con i palmi sul letto per
mettersi più
comodo, « Se nella vita vuoi essere come Pai, può durare molto a lungo.
Il
ciclo obbligatorio di educazione, se così lo vogliamo chiamare, dalla
rinascita
del nostro pianeta è stato istituito dai cinque ai sedici anni. Ma
adesso
stanno ancora cercando di far recuperare a chi, come noi, è vissuto
sotto Deep
Blue. In più, noi tre abbiamo saltato parecchi gradi dell’esercito a
causa
della nostra scorrazzata sulla Terra, cosa che non è piaciuta a tutti,
come ti
ho detto. Quindi il buon Taruto deve fare un po’ di gavetta. » (***)
« Sì, ma me lo hai
detto l’anno scorso
però. »
Kisshu ridacchiò, la
osservò con le iridi
dorate più ambrate del solito: « So dove vuoi andare a parare, ma non
posso
dirti nulla. Non perché non voglia, ma perché non ho la minima idea di
cosa
pensi il Comando Generale. E se posso essere sincero, preferisco
evitare
domande che pongano l’attenzione sulla nostra permanenza qui. »
Purin annuì,
leggermente contrariata, e
l’alieno tentò di sfoderare il suo sorriso migliore.
« Prometto che
continuo a salutartelo,
okay? Posso anche tentare di strappare un video, se riesco a convincere
Pai a
creare un canale riservato per meno di tre minuti. »
« Tanto adesso è di
buon umore. »
Ridacchiarono insieme,
poi la ragazza gli fece
l’occhiolino: « Magari un giorno mi porti a vedere l’astronave. »
« Dillo che vuoi che
mio fratello mi
appenda in camera a mo’ di trofeo di caccia. »
« Mh, con quei capelli
forse fai più da
scendiletto. »
« Fila via, pidocchia!
»
Ascoltando la risata
divertita di Purin che
ritornava al lavoro, Kisshu giocherellò ancora un po’ con il cellulare,
diventando pensieroso all’improvviso.
Avrebbero fatto meglio
a installare un
comunicatore in laboratorio il prima possibile.
(*)
Letteralmente
trooper = un
soldato, un poliziotto, ma viene anche utilizzato per indicare qualcuno
che
affronta situazioni di avversità in maniera stoica e persistente.
Quando si
dice a qualcuno “You were a real trooper”, gli si
sta facendo un
complimento per la caparbia nell’aver affrontato un momento o svolto
un’azione.
(**)
Alla
lettera teste di leone (獅子頭,
è un piatto della cucina
cinese consistente di polpette di carne di maiale solitamente stufate
con
cavolo cinese e altre verdure. Il nome deriva dal fatto che la forma
delle
polpette ricorderebbe quella della testa del leone guardiano cinese.
(***)
Capitolo 2
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