Note:
non
sono miei sono
patrimonio internazionale dell’umanità,
non fanno davvero quanto scritto
sotto (…?) (no, dai, siamo politically correct, non lo
fanno) (a-hem) e io non
ci ricavo assolutamente niente. Il fangirling è gratuito,
auto-sufficiente, senza
grassi aggiunti e senza colesterolo.
No regard for the cost
Of saying his feelings
In the moment they were felt.
Miles
ride moltissimo, anche quando, apparentemente, non ce
n’è motivo – o perlomeno,
non un motivo così evidente. È solo una delle
tante manifestazioni di quella
fiducia in sé stesso che a volte sconfina nella presunzione.
Poco
prima di conoscerlo di persona, qualcuno gli aveva parlato di questo
suo aspetto;
o forse era più corretto dire che l’aveva messo in
guardia.
“Kane
è a posto”, gli aveva detto questo qualcuno di cui
non conservava alcun
ricordo, “è a posto ma dopo un po’
può risultare irritante. Sai, da per
scontato che tutto quello di cui parla possa essere di un qualche
interesse – è
convinto di piacere a priori. Ah, e suona, pure, come te.
Benino”.
Lui
si era immaginato subito qualche egotico, aspirante divetto fan delle
b-sides
dei Beatles senza alcun talento e con le camicie stirate dalla mamma.
Era
invece bastato semplicemente stringergli la mano per capire che i suoi
modi gli
piacevano (anche se non erano i suoi), che i suoi gusti musicali gli
piacevano
(e quelli erano decisamente i suoi), che la sua faccia gli piaceva
(anche se
era strana, lunga, vagamente caricaturale) e che non suonava benino:
suonava
benissimo, e aveva una confidenza col palco che lui si limitava a
sognare di
notte.
Aveva
capito anche che quell’adorazione in boccio era reciproca. A
lui, che
frequentava e si fidava solo dei propri amici d’infanzia, la
cosa era sembrata
eccitante come il dare per la prima volta confidenza
all’alcool e prendersi una
sbronza coi fiocchi.
*
Miles
ha spesso dei momenti di vuoto. Rallenta le parole, si distrae, guarda
altrove,
sembra perdere sicurezza d’un tratto e riguadagnarla
rumorosamente un secondo
dopo. È pigro e iperattivo allo stesso tempo. Ama le feste,
adora i party,
venera il casino – eppure Alex si ricorda di più
di una serata in cui l’ha
chiamato al telefono di casa e lui ha risposto, invitandolo a
raggiungerlo.
Alex
non si definirebbe certo il tipo più facile con cui avere a
che fare (si
ricorda ancora di una zia che, da bambino, aveva sussurrato a sua madre
dopo un
pranzo di famiglia “ancora un
po’ più
introverso e ti diventa un buco nero”, oltre ad
altre orribile espressioni
come “costringerlo ad uscire dal
guscio”,
“cambiare compagnie”, “parlare,
camminare, comportarsi come un uomo”) ma da
quando lo conosce pensa di non essere poi così tanto
indecifrabile, e la
propria natura schiva e problematica lo preoccupa meno. Ci sono momenti
in cui
persino lui – e si accorgerà solo dopo che
è da quel “persino” che i guai sono
cominciati – non riesce a capire cosa gli passa per la testa.
Eppure
per la maggior parte del tempo Miles è un libro aperto, e il
rendersene conto
gli da un senso di comunione autentica che non ha mai provato con
nessuno.
Arriva al punto di ammirarne i difetti, di apprezzarne le
contraddizioni, di
trovarne tenere le meschinità – oltre, ovviamente,
a provare un entusiasmo
infantile per tutti i lati positivi del suo carattere.
Sa
quanto può essere caparbio e deciso, in certi frangenti. Sa
che pondera
attentamente le decisioni e calibra alla perfezione il suo
comportamento di
conseguenza; probabilmente, e di questo ne va fiero, è una
delle poche persone
al mondo a sapere quanto questo processo di auto-preparazione lo
sfianchi e lo tormenti.
Sa quanto lui ami le toccate e fughe e sa anche che è maturo
al punto da
desiderare e saper sostenere un rapporto di un’altra
intensità.
Sa
per certo che Miles ama scherzare quasi quanto ama fare le cose sul
serio,
anche se solitamente le persone che lo frequentano percepiscono solo
una faccia
della sua medaglia.
Infine,
sa che con lui Miles non ha mai avuto paura di fare né
l’una né l’altra cosa.
*
Sua
madre aveva incontrato Miles quando lui aveva cominciato ad
accompagnare in
tour gli Arctic Monkeys e, forse memore di quella tremenda discussione
con la
zia, gli aveva detto con gli occhi brillanti di sollievo che la sua
compagnia
gli faceva bene.
A
sua mamma Miles ovviamente piaceva (non avrebbe scommesso un soldo su
di lui
come tipo che piace alle madri, ma era stato pesantemente
contraddetto), eppure
Alex sapeva che non quello non era il solo motivo per cui lei gli aveva
detto
quella cosa. Stare con lui era più che piacevole e
divertente: lo calmava e lo
galvanizzava insieme. Era un conforto, ma un conforto energico, che gli
infondeva sicurezza e allegria e una strana smania di fare cose – e sua madre se
n’era accorta.
Ma
anche Matt, Jamie e Nick. E Alexa. E il loro tour manager. E la
parrucchiera, e
i fonici, e il produttore dell’uno e dell’altra
band, e i fan - e i
giornalisti, ovviamente, che al solo vederli sguazzavano nella gioia di
poterli
punzecchiare con qualche commentino malizioso. Chiunque avesse un paio
d’occhi,
insomma.
A
Miles la cosa non preoccupava, anzi, sembrava ne ricavasse una neanche
così
tanto segreta soddisfazione; per cui, Alex decise di fare lo stesso.
D’altro
canto, era troppo felice di come stavano andando le cose per poter
anche solo
pensare di rovinarle con qualche ansia.
*
Aveva
sempre pensato alla loro relazione come a un’intesa, nel
senso di comprensione
assoluta e affettuosa. Era incredibile la facilità con cui
l’uno arrivava all’altro,
fisicamente e spiritualmente. Nessuno sforzo, nessun rimorso di
coscienza,
nessun conto in sospeso. Ogni momento era speciale, creativo,
solidissimo nella
memoria se paragonato agli attimi che passava insieme ad altre persone
–
persino quelli trascorsi con Alexa.
Non
aveva mai pensato alla loro come a un’amicizia. Il termine
gli era sembrato
riduttivo sin da subito. Sapeva chi erano i suoi amici, e Miles non
rientrava
nella categoria; sconfinava in un’altra, ambigua, difficile
da descrivere, che
non avrebbe mai potuto accogliere nessuno oltre a lui.
Dato
che tra le altre cose erano anche compagni di band, questo termine
affiorava
spesso nelle interviste e in generale nelle descrizioni di loro due
– e gli
piaceva moltissimo. Compagno.
A
quanto fosse ironica questa sua difficoltà
nell’etichettare il loro rapporto e
la predilezione che provava per quella parola, beh, ci avrebbe pensato
solo
dopo.
*
Nessuno
di loro due poteva lamentarsi del proprio successo con le donne. Si
stimavano a
tal punto da dare per scontato che il sesso femminile impazzisse per
l’altro.
Alex
trovava esilarante il modo di flirtare di Miles, o meglio,
l’assenza di un
qualsiasi corteggiamento… Faceva sembrare tutto dannatamente
facile. Si era
ritrovato a dire a voce alta a chissà chi che non
c’era nulla di innocente in
lui: era tutta malizia, e la cosa girava a suo vantaggio.
I
primi dubbi cominciarono non appena quelle parole gli furono scivolate
di
bocca. Miles era davvero così? Sì. Con gli altri.
Con le altre, più
precisamente. Ma con lui?
No.
Con lui era un fratello senza tutti i fastidi che la
consanguineità porta con
sé.
In
quel momento Alex si rese conto che c’era un lato di Miles
che non avrebbe mai
conosciuto direttamente, per forza di cose. E la cosa gli dispiaceva.
Gli
dispiaceva in maniera dolorosa, e
lo
shock provocato dal rendersene conto fu enorme.
*
Passò
un periodo di negazione. I “no” gli affollavano la
mente.
No,
è un uomo.
No, è un amico, un compagno, un collega. No, è
sbagliato. No, Alexa. No, non ho
mai desiderato questo da nessuno che non portasse una gonna. No,
è Miles, dai,
lo stesso Miles di sempre, che ti succede?
Si
sforzò di trovarlo brutto, di obbligarsi a provare disgusto
di fronte a un’eventuale
fantasia fatta su di lui. Aveva una faccia fuori dal normale, di questo
se n’era
reso conto non appena l’aveva conosciuto; ma dannazione, era
anche vero che l’aveva
sempre trovata interessante.
Era
espressiva a livelli grotteschi. Era divertente, stramba, affascinante
a un
tempo – andiamo, era la sua faccia!
Se la ricordava a memoria. Era così famigliare, ormai, e in
una maniera così
piacevole…
Il
corpo di Miles era magro come il suo: un’altra cosa che gli
aveva sempre
segretamente fatto piacere, un’altra prova della loro
compatibilità. Non aveva
mai dato un giudizio estetico, ma di certo era una delle mille cose che
costituivano la sua predilezione per tutto ciò che era Miles
Kane nella sua
totalità. Era buffo, in qualche modo, ma anche definito con
estrema precisione –
una precisione che si rifletteva anche nei ricordi di Alex, il quale si
stupì
di poter tracciare a mente ogni linea del suo fisico.
Non
ci aveva mai pensato tanto, eppure eccolo lì, incastonato
nella sua memoria. E Alex
si scoprì impaziente di saperne di più a riguardo.
*
A
chi gli diceva che tra di loro si creava sempre una strana tensione, e
che
Miles non faceva altro che guardarlo, toccarlo, rivolgerglisi in una
maniera inadatta
a due uomini adulti ed eterosessuali, lui aveva sempre risposto cose
molto
vaghe. “Passiamo molto tempo insieme”, oppure
“abbiamo preso abitudini
matrimoniali – provate voi a registrare un album vivendo
esclusivamente con una
sola persona per settimane”, o anche “fa ridere,
vero?”
Beh,
Alex non rideva più. Se prima ogni contatto, sguardo e
sorriso sembravano
diluirsi nell’espressione armoniosa di un rapporto sereno,
ora tutto si era
tramutato in spilli che lo facevano sobbalzare, stupire e –
Cristo santo – eccitare di
continuo. La sua reazione
istintiva fu ritirarsi lentamente ma inesorabilmente da quelle
attenzioni e
Miles se ne accorse subito.
Non
disse nulla solo perché sapeva che il rapporto con Alexa
stava marcendo, e l’ultima
cosa che voleva era caricare l’amico di altri problemi. Era
una fase. Sarebbe
passata, e tutto sarebbe tornato come prima – per quanto il
solo pensiero lo
frustrasse e lo facesse soffrire.
Cambiò
idea quando, un giorno, lui si divincolò da un abbraccio
come se si fosse
spaventato; Miles capì che poteva andare oltre al fatto che
Alex gli sfuggisse temporaneamente
con la testa, ma non poteva sopportare che lui respingesse il contatto
fisico.
Era una prospettiva insostenibile, che troncava sin troppe speranze.
*
Alex
capì immediatamente di aver per la prima volta varcato la
soglia della
sicurezza, dell’agio, della tranquillità, di tutti
i sentimenti placidi e
famigliari che erano stati loro.
Sentiva
il cuore battergli forte nel petto per la paura. Miles lo guardava
incredulo,
arrabbiato.
“Che
c’è?” gli chiese secco. Dritto al punto.
Alex
arretrò di un altro passo e Miles spalancò gli
occhi. Teneva le braccia aperte –
come prima, quando gli si era avvicinato per abbracciarlo, e lui era si
era
sottratto. Sembrava impotente, frustrato, come chiunque non capisca
quel che
sta succedendo.
“Alex,
che c’è?” Ora era proprio arrabbiato.
“Che cazzo ti prende? Dimmi se c’è
qualcosa che non va, ne parliamo”.
“Non
c’è niente che non va”,
replicò piattamente. Voleva prendere tempo –
più di
tutto, voleva prendere coraggio.
“Al,
senti, lo so che è un brutto periodo con Alexa e tutto, ma
questo non ti
autorizza a scattare come una molla. Non sono infetto”.
Alex
rialzò lo sguardo su di lui e strinse le labbra. Sembrava
ferito; lui l’aveva
ferito; il senso di colpa e
il dispiacere istintivo sembravano non riuscire a soffocare
l’enorme
soddisfazione che gli suscitava la coscienza del potere che aveva su di
lui.
Quel
tipo di stupida gioia certo non apparteneva all’amicizia. Era
qualcosa di
sleale, istintivo e glorioso che era proprio della sicurezza di una
conquista
sentimentale. Ed era esattamente quella botta di euforia di cui aveva
bisogno.
Coprì
con un solo passo la distanza che aveva poco prima frapposto tra loro e
lo
abbracciò, forte, e lo baciò, piano,
perché il contatto con le sue labbra fu
come sbattere contro un treno in corsa e lo frastornò. Tenne
le palpebre
serrate; e seppe di per certo che - ed era meraviglioso quanto quella
loro intesa
fosse rimasta anche ora che i pesi si erano sbilanciati - anche lui
aveva gli
occhi chiusi.
In
un certo
senso è colpa sua, pensò
vigliaccamente quando lui restò immobile e non
reagì. Colpa sua.
Lo
sentì ingoiare un sospiro e troncarlo in gola, le labbra
socchiuse.
Anzi,
no.
I
suoi occhi si riaprirono piano.
In
tutti i
sensi.
Se
Miles avesse continuato a tenerli spalancati, quegli occhi, e a
persistere nel
guardarlo come se lui avesse appena fatto qualcosa di avventato,
proibito,
rischioso, terribilmente intrigante – come appiccare un
incendio –, Alex sarebbe
anche riuscito ad elencarsi tutti i sensi secondo i quali si
declinavano le
colpe di Miles Kane.
Ma
Miles gli occhi li aveva richiusi e aveva ricambiato il bacio. E Alex
non era
stato più in grado di pensare a nulla.
Note
dell’autrice:
allora,
sono completamente nuova nel fandom – questa storia
è la prima cosa che si
avventura fuori dalla mia abituale “terra madre”
– per cui faccio un atto di
fede e pubblico, sperando che vi piaccia XD Dio, il nervosismo da
debuttante XD
Devo
ammettere che, rispetto ad altri musicisti che amo, Miles Kane e Alex
Turner li
ho sempre inquadrati poco, e il mio principale timore è che
la loro
caratterizzazione sia campata per aria. È stata una sfida
scrivere questa
scemenzuola :D, ma dire che mi sono divertita è poco
– è da quando ho visto il
primo video di una loro intervista che sogno di farlo.
Il
verso in apertura è, no need to say it, “Calm Like
You” di un gruppo di nostra
conoscenza. :D
Grazie
in anticipo a chiunque leggerà, lurkerà,
commenterà, whatever.
:***
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