Kun-Kun.
Cercavo di
nascondermi non sapendo da cosa,
ma sapevo che quella caffetteria era il posto giusto lì era
l’unico posto dove
non mi avrebbe mai scovato, mai. D’altronde era troppo
stupido e non avrebbe
mai ficcato il naso oltre il suo amato teatro, ma ogni singolo
centimetro di
quel posto era troppo diverso a quello lasciato da me. Non potevo di
certo
tirarmi indietro, ormai erano passati tre anni da quel giorno e non
sarebbero
stati ora a distruggermi quegli stupidi frammenti di vita che tanto
cerco di
dimenticare, quella piccola ancora che ti lascia sospesa tra vita e
dolore, i
ricordi.
“Kun?” Con voce
incerta mi chiamò Tessa la proprietà di quel
caffè, mi conosceva da tre anni e tutti gli anni facevamo la
stessa scenetta
quasi fosse un gioco, quasi le divertisse.
“Sono io.” Mi
alzai evitando di guardare le altre ragazze
che aspiravano a diventare le nuove commesse del “Tessa
caffè” ma ero io la
prescelta, lo sapevo e lo sapevano anche loro.
“Tessa.” La
salutai notando un uomo alto dalla corporatura
massiccia affianco a lei che determinato cercava di vincere a snake sul
suo
noki,a forse uno dei primi che tempo addietro si affacciò
sulla terra.
“Kun,
presentati.” Sbuffai. Mi ero presentata l’ anno
scorso
e quello avvenire ormai sapevo cosa dire quasi a memoria.
“Il mio nome è
Kun anche se vengo da Roma ma mia madre era
molto strana, me ne sono andata via appena compiuti diciotto anni
poiché
trovavo la mia vita opprimente a dir la verità trovavo solo
mio fratello
opprimente, anzi opprimente erano i sentimenti che provavo per
lui.” Volevo
tacere non era quella la mia solita presentazione, ma forse
l’uomo che
continuava ad interessarsi di più al gioco che a me e alle
mie parole, che solo
ora trovavo il coraggio di sputare fuori dal mio cuore e della mia
bocca mi
fece innervosire quel tanto che bastò a farmi continuare
senza pensare neanche
per un secondo alle conseguenze.
“Derek, bel nome al
contrario del mio che significa sola
forse perché sarò per sempre sola. Sai Tessa sono
la tipica ragazza senza amici
di cui i belli non si innamorano, ma esser sinceri neanche i brutti
però io per
tutti i ventuno anni della mia esistenza non me ne sono mai curata,
invece
Derek si. Lui viveva per farsi vedere dalle persone per far vedere a
tutti
quanto fosse stupendo perciò quello stupido giorno ci
segnò tutti a due a
recitazione. Sarà divertente diceva lui, invece no. Non era
affatto divertente,
anzi è stata la mia distruzione. Uno spettacolo importante a
quanto pareva dove
io non volevo partecipare, ma era una scommessa del destino o
chissà cosa che
mi fu affibbiata la parte della protagonista la quale ovviamente era
innamorata
di suo fratello, del suo bellissimo fratello che sempre le aveva
dedicato solo
odio, eppure lei a furia di odiarlo se ne innamorò facendo
innamorare anche lui
di lei, però se non sbaglio c’erano i loro
genitori assieme ai reciprochi
spasimanti che ostacolavano il loro amore. Storia avvincente non
è vero? Eppure
io non ho mai saputo come finiva, non sono mai andata in scena
perché il giorno
prima del mio compleanno lo stesso in cui avrei dovuto recitare la
prima io e
mio fratello nella penombra del teatro nascosti dal buio
dell’amore che forse
ci offriva asilo incominciammo a baciarci interpretando però
le penultime
pagine del copione, le ultime non le ricevetti mai, ma da un semplice
bacio
quasi forzato finimmo per fare l’amore lì dove il
giorno dopo avremmo dovuto
recitare e dichiarare il nostro finto amore a tutti. Lui mi disse ti
amo ed io
dormii fra le sue braccia, la mattina dopo ero ufficialmente
maggiorenne e
scappai via. Una fuga pianificata che non era proprio una fuga visto
che i miei
genitori sapevano.
Loro mi avevano
aiutato ad organizzare il tutto, non
gli
ero mai stata simpatica. Ora non so se sono una semplice vigliacca che
non ha
voluto affrontare la propria vita, una stupida che ha gettato via il
grande
amore o solo una grande credente, visto che l’amore fra
fratelli è dannato da
Dio e i suoi compari lì su, che si divertono a giudicare con
l’aureola in testa
e le ali senza mai peccare, senza mai innamorarsi dei propri fratelli
ma, non
mi sono mai pentita di aver amato per la prima volta quella notte nella
penombra del nostro stesso amore. Anche se
a dirla tutta ogni singolo secondo di questa vita
indesiderata e
opprimente non faccio altro che pensare a cosa sarebbe successo se io
fossi
rimasta fra le sue braccia quella notte e non sarei scappata accettando
quell’amore
dannato di cui si io che lui ci nutrivamo benché non ci
facesse altro che male
come quelle notti passati assieme dormendo senza neanche sfiorarci per
paura
che mamma e papà potessero scoprire qualcosa, quel qualcosa
che non avevamo il
coraggio di annunciare al mondo. Forse se quella notte sarei rimasta
lì ad
amarlo non sarei
stata più sola.”
Le lacrime rigavano inevitabilmente
il mio viso per quei
ricordi che si erano insinuati in me, piccoli quasi come una sfumatura
di
bianco appena percettibili e
mi avevano
sconvolta come uno tsunami, d’un blu elettrico radendo al
suolo tutto ciò che
incontravano come la mia stabilità. Esaminai per un secondo
i loro volti
sorpresi o rattristati, per uno gioco non portato a termine ma un altro
passatempo trovato in un pomeriggio che si presentava normale come gli
altri;
mi girai e andai via pensando di aver fatto un’ottima
presentazione.
“Kun-Kun.” Una
sola persona su sei miliardi mi chiamava in
quel modo con quella voce sempre bassa quasi roca come un sussurro, non
volevo
voltarmi non’ora.
“Kun-kun girati
ora.” Fermo e deciso come era sempre stato,
ma non poteva essere lui, no lui ormai era diventato un attore uno di
quelli
famosi.
“Si?” Infatti non
era lui ma solo un ragazzo un po’
cicciotto che si strozzava con la cioccolata, scoppiai a ridere
scappando via
lasciando in quella sala tutti i miei ricordi e tutta la mia angoscia
assieme
alla mia solitudine sperando di liberarmene per sempre, ma, invece per
ironia
della sorte mi ritrovai davanti ad uno stupido teatro. Entrai per
curiosità,
così simile al mio al nostro vecchio teatro di Roma dove
c’eravamo amati e
odiati in un unico momento sapendo di sbagliare.
“Kun?” Nessuno
mai mi cercava eppure oggi tutti che sapevano
il mio nome, infastidita voltai lo sguardo verso la voce calda che
sillabò il
mio nome come un sussulto. Quei capelli neri pece che sembravano
risplendere
nella propria oscurità, quegli occhi verdi splendenti che
sembravano fluo,
quelle labbra rosee e carnose che tanto avevano bramato le mie, quel
peccato
vivente che avanzava a passo incerto, ma pieno di sicurezza verso di me
con quel
ghigno sul volto.
“Kun-Kun ti cercavo da un
po’ sai?” Kun-Kun poiché anche la
parola sola ripetuta due volte
trova
compagnia illudendosi d’aver qualcuno accanto a se.
-Angolo me-
Wow c’è
l’abbiamo fatta a finire *--*
Kun in danese significa solo un nome
appropriato per la
protagonista rassegnata al suo destino crudele, eppure in una routine
che fa da
tre anni si fa vincere dai ricordi da cui lotta ogni singolo secondo e
parla,
parla, forse cercando cosa dire sul serio, ma capisce che vive nel
rimpianto e
scappa via da quelle emozioni troppo dolorosi e troppo vere per poterle
vivere.
Scappa via trovando un teatro che le ricorda il suo e trovando una
persona
familiare o la sua persona?
Grazie per
esser
arrivati fino alla fine; e fatemi sapere cosa
ne pensate! *--*
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