“Quando il prezioso scrigno si
aprirà
E la bellezza
primaverile fiorirà
Il
bel cavaliere la mia mano avrà.”
1492
– Palazzo del Vaticano
“A chi appartiene mai questa soave voce?” si chiese
Cesare, mentre
passeggiava tranquillo e spensierato lungo il colonnato del grande
chiostro del
Vaticano.
Questa leggera voce femminile gli arrivava da non molto lontano.
Era una giornata soleggiata, ma malinconica e vuota.
Da quando il nuovo papa Alessandro VI, appena eletto, lo aveva
convocato
a Roma per qualche ragione a lui ancora oscura, circa un mese prima,
Cesare non
aveva ancora avuto l’occasione, o meglio l’ardire,
di parlare ad alcuno.
Tutti lo guardavano circospetti, ma anche con deferenza, a tratti, e
questo ancora non riusciva a spiegarselo.
Non aveva amici lì, da quando lo avevano strappato dalla sua
scuola di
Pisa, dove studiava per avviarsi alla carriera ecclesiastica insieme ai
suoi
cari compagni Alessandro Farnese e Giovanni de’Medici.
Sentiva una vocazione, diceva; ma ora la sola cosa che desiderava era
parlare e confessare i suoi segreti e tormenti ad una persona amica.
Aveva sempre vissuto con i due ragazzi nel dormitorio del palazzo
pisano, senza mai conoscere i suoi genitori; era di nascita nobile,
questo lo
sapeva, ma nulla di più.
Che fosse destinato a qualcosa di più grande, questo no, non
lo poteva
sapere, ne sospettare.
Abbandonato a questi pensieri nelle sue vesti di damasco nero, quasi
non si accorse che aveva seguito involontariamente quella melodia, quel
canto
di sirena che lo aveva condotto fino a una delle stanze riservate alle
dame
della corte papale, al piano rialzato rispetto al chiostro.
Una porta semiaperta dava su una piccola stanza, probabilmente dedicata
agli svaghi, irradiata di luce, dove sedeva di spalle, ricamando, una
giovane
fanciulla, nel fiore dei suoi anni migliori; i suoi rossi e lunghi
capelli,
simili a una cascata vermiglia, fluttuavano alla leggera brezza
d’aprile, che
entrava dalla finestrella sulla destra.
Senza il minimo rumore, egli entrò nella stanza, ammaliato e
muto,
come i giovani che durante la notte sognano imprese eroiche e al
risveglio
rimangono spaesati dalla loro condizione.
La ragazza, ignara della sua presenza, continuava intanto il suo
canto, dolce come il miele, che richiamava immagini di racconti epici e
cavallereschi non dissimili a quelli che si insegnano agli infanti
ancora nella
culla.
Cesare, dal canto suo, non sapeva da quanto tempo era immobile dietro
di lei, simile a pietra, il suo corpo rifiutava ogni minimo movimento,
quasi a
voler prolungare quegli attimi, già eterni.
Avrebbe potuto rimanere lì per sempre, pensava.
“Lucrezia, Lucrezia!”
Di chi era questa
nuova voce? E
Lucrezia era forse il nome della soave creatura davanti agli occhi del
giovane
novizio?
Non fece in tempo a concludere il flusso dei suoi pensieri che la
giovane si girò, balzando indietro e gridando dallo spavento.
“Chi siete? E cosa stavate facendo negli appartamenti delle
dame, di
grazia?”
“Vi-Vi chiedo scusa, madonna. Non avevo alcuna intenzione di
spaventarvi o crearvi disturbo…”
“Lucrezia! Per l’amor di Dio, è da
un’ora che nostro padre Alessandro
vi cerca. Vi prega di allietarlo con la vostra presenza.”
A parlare fu il nuovo arrivato: era un ragazzo alto, robusto e dai
capelli e occhi scuri come l’ebano. A lui apparteneva la voce
che richiamava
all’attenzione la giovane dai capelli rossi poco prima.
Cesare lo aveva già notato durante la sua permanenza a Roma
naturalmente;
aveva fame di rissoso e vorace, e di lussurioso come pochi.
Ma suscitava in Cesare un senso di familiarità che ancora
non sapeva
decifrare.
“Sorella, chi è costui? Uno dei vostri nuovi
trastulli?” Rise il nuovo
arrivato, con accenno di malizia.
“Giovanni, non vi smentite mai. Vi prego di essere
più rispettoso in
presenza di estranei. Comunque” disse lei dolcemente,
rivolgendosi a Cesare “Permettetemi
di presentarmi: sono donna Lucrezia, e questo rozzo individuo
è mio fratello, don
Giovanni. Siamo due dei figli di Sua Santità papa
Alessandro, come avrete
potuto capire. E voi siete..?”
Gli occhi azzurri di donna Lucrezia brillavano come pietre preziose
bagnate dall’acqua cristallina dei ruscelli di montagna.
“Don Cesare, per servirvi. Sono stato convocato da vostro
padre circa
un mese fa, ma non sono ancora a conoscenza del motivo preciso,
madonna”
“Oh, interessante. Teneteci informati, don Cesare. Giovanni,
venite. Vogliate
scusarci, ma abbiamo delle incombenze. Arrivederci, e statemi
allegro.”
“Ossequi, madonna.”
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