Aggiorno di nuovo! *__*
E di nuovo a tempo di record, ma non abituatevi XD No, sul serio, non
abituatevi °-°, anche perché domani mattina
parto per una vacanza-studio di due settimane in Inghilterra (vicino
Manchester <3) e temo proprio che non mi rivedrete prima della
fine di luglio, ispirazione e impegni permettendo. Ciò
detto, devo confessare che in questo capitolo non c'è tutto
ciò che avevo promesso nelle scorse anticipazioni,
perché stava venendo troppo lungo (questa volta dodici
pagine XD) e ho deciso di tagliare un po', altrimenti la trama sarebbe
venuta a mancare nel giro di due capitoli... Non mi era mai capitato di
essere così
prolissa, anche se non sono mai stata esattamente maestra nell'arte del
riassunto. LFMAO
Ehi, voi mi avete detto che non vi annoiate, ora vi beccate gli
aggiornamenti infiniti X'D Seriamente parlando, mi auguro che la storia
non vi venga a noia e che abbiate la pazienza di rimanere con me fino
alla fine, dopotutto è il vostro supporto che mi
dà tanta energia per continuare questa fanfiction -
però, devo ammetterlo, io stessa mi ci sono affezionata da
morire e sono determinata a portarla avanti!
Bene, adesso smetto di tediare e vi lascio <3 Buon FrostIron a
tutti e a fine luglio! *__*
____________
#03:
That man called
“brother”
So go and tell all your friends
That I’m a
failure underneath
If it makes you feel
like a bigger man
But it’s my,
my heart, my life
That you’re
calling a lie
I’ve played
this game before
And I can’t
take anymore
-New Way To
Bleed, Evanescence
Quando la porta dell’attico di Tony si chiuse in silenzio
alle
loro spalle, l’uomo notò qualcosa di cui non si
era reso conto:
Loki era molto più rilassato.
Le spalle, prima contratte, erano soltanto tese. In qualsiasi
altra persona un cambiamento così insignificante non avrebbe
meritato la perifrasi “molto più
rilassato”, ma quello era Loki,
il nemico, il semidio, colui che non abbassava mai la guardia.
Tony si sorprese ad aver individuato un’alterazione dovuta al
nervosismo, quando, per quanto in ansia, Loki non permetteva a
nessuno di vedere attraverso la sua maschera di fiducia in se stesso,
e aggrottò la fronte – da quando lo
osservava con tanta
attenzione?
Di colpo si accorse che il semidio aveva intercettato il suo
sguardo su di lui – sulla sua schiena, sulle spalle non
più
irrigidite – e si affrettò ad alzare gli occhi.
«Luci».
Jarvis obbedì e un secondo più tardi il loft
splendeva di
energia ecosostenibile. Il fulgore soffuso del sole calante, ormai
quasi del tutto scomparso, e quello più penetrante degli
altri
palazzi della città che piovevano dalle pareti a vetrata
apparivano
candele in confronto alla luce generata dal reattore arc che dava
elettricità alla torre e Tony non poté fare a
meno di sorridere,
compiaciuto dalla sua ennesima ottima invenzione.
Era già sul punto di dirigersi verso il frigobar –
al diavolo i
suoi buoni propositi, un bicchiere di scotch non poteva fare nulla di
male – quando Loki lo afferrò per un polso, un
movimento
repentino, agile, e lo strinse in una morsa più salda di
quanto Tony
si sarebbe aspettato dal suo fisico snello.
«Mi servi sobrio, Stark» sibilò il
semidio in tono derisorio,
ma per un secondo le sue unghie affondarono nella carne prima che lo
liberasse dalla sua presa. Un avvertimento. «Hai fornito la
tua
tecnologia di localizzazione anche alla vostra insulsa organizzazione
di difesa?»
Tony inarcò le sopracciglia, si sforzò di
decifrare le sue
parole dal
vengo-da-un-pianeta-dove-la-parlata-è-a-livelli-medievali
all’inglese. “La vostra insulsa
organizzazione di difesa”
doveva essere il simpatico soprannome che Loki aveva affibbiato allo
S.H.I.E.L.D., ma gli mancava l’elemento fondamentale della
domanda.
«La mia tecnologia di localizzazione?»
Il semidio stava scandagliando la stanza con lo sguardo di quella
mattina, quel misto di ammirazione e curiosità e meraviglia
che in
un certo senso inquietava Tony.
Loki distruggeva ciò che riteneva banale e plasmava quanto
invece
attirava la sua attenzione nella forma che era più
congeniale alla
sua mente instabile – e Tony non era sicuro di quale fosse la
cosa
peggiore.
«Quando ho attraversato il portale e sono arrivato qui, la
mia
prossimità ha attivato gli allarmi a guardia dello
scettro» spiegò
il semidio, voltandosi di scatto a incrociare i suoi occhi.
«Allarmi
in grado di captare la mia magia». Non sembrava arrabbiato;
sorrideva e il luccichio verdeazzurro delle sue iridi, che spiccava
contro la carnagione pallida e i capelli neri, fece scorrere un
brivido lungo la schiena di Tony. Era quella la cosa peggiore.
«Li
hai forniti anche a loro?»
Mentre affrontava quello sguardo che gli dava l’impressione
di
voler leggere ogni più recondita verità scritta
dentro di lui, Tony
ricordò dove avesse già visto
quell’espressione.
Era quella che assumeva lui stesso quando scopriva qualcosa che
valeva la pena d’essere sezionato e studiato in ogni sua
parte fino
a che non fosse riuscito a carpirne tutti i segreti e a farne suo il
funzionamento.
Dopo averla vagliata con cura, scartò l’opzione di
tentare una
menzogna e decise che la sincerità era il male minore.
D’altra
parte, fin quando lui non gli avesse accordato un minimo di fiducia,
il semidio non avrebbe avuto alcuna ragione di essere onesto. E Tony
non voleva rischiare di trovarsi un coltello piantato nello stomaco
durante la notte.
«Non sono pronti per essere messo in vendita. Sono solo
prototipi» minimizzò con apparente noncuranza, ma
in un intimo
angolo della sua mente si stava complimentando con se stesso per il
nuovo successo. «Ricordi quando hai cercato di arruolarmi nel
tuo
esercito di zombie dagli occhi blu?» Picchiettò un
indice sul
reattore arc e Loki seguì il suo movimento con un guizzo
fulmineo
degli occhi assetati di conoscenza. «È stato
questo a bloccare
l’incantesimo, perciò ho pensato di usare la sua
energia per
creare un congegno che individuasse la presenza della magia».
L’intera, brutale verità era che aveva cominciato
a lavorare a
un progetto per respingere la magia, oltre che localizzarla, ma
ritenne più saggio tenere per sé quel
particolare, anche perché
fino a quel momento non aveva avuto molta fortuna.
Era convinto che il semidio gli avrebbe chiesto altre
informazioni, se non una dimostrazione pratica, ma d’un
tratto il
suo viso s’indurì, come se di colpo avesse perso
interesse per
l’argomento, e, paradossalmente, il suo corpo si
rilassò al punto
che chiunque avrebbe potuto notare il cambiamento. Ciononostante,
rimaneva impossibile associare al suo aspetto la parola
“vulnerabile”, sebbene all’apparenza non
avesse alcuna arma.
C’era qualcosa, in lui, qualcosa d’indefinibile, di
antico e
potente e minaccioso e incomprensibile per lui, Tony, che era solo un
uomo, un genio, ma solo un uomo. Qualcosa di animalesco e divino
insieme che scintillava nel suo sguardo, nel suo sorriso.
«In questo caso, non devo preoccuparmi che si accorgano della
mia
presenza se faccio uso del mio potere» commentò
Loki, palesemente
sollevato.
Fu allora che Tony registrò, capì, mise insieme i
pezzi.
Perché il semidio non avesse ovviato con la magia nemmeno ai
compiti più banali, come preparare il caffè,
perché si fosse
comportato in modo tanto umano, quel giorno, perché a
livello fisico
avesse abbassato la guardia non appena aveva saputo che lo
S.H.I.E.L.D. non poteva determinare quando faceva un incantesimo.
Rendersi conto che Loki si era davvero sentito indifeso, sebbene a
lui sembrasse tutto meno che quello, lo lasciò interdetto.
Dopotutto, anche se privato dei propri poteri, il semidio era pur
sempre alto quasi due metri e forte come due uomini robusti, eppure,
per quanto assurdo potesse apparire, aveva provato la sensazione di
essere esposto, di poter morire, la stessa che avrebbe potuto provare
un qualsiasi essere umano – e “iniziare a
considerare Loki
umano” era uno dei primi punti nella sua personale
lista delle
cose da non fare per alcuna ragione al mondo, dopo “sostituire
la benda di Fury con un fiocco rosa” e “rubare
le
ciambelle a Hulk”.
La magia doveva rappresentare la vita, per lui, come la tecnologia
lo era per Tony. Letteralmente.
Per un istante, un unico, terrificante istante, si guardarono
negli occhi e l’uomo vi scorse qualcosa che non apparteneva
al
pericoloso semidio che aveva massacrato ottanta persone in due
giorni, ma all’uomo che Thor si ostinava a chiamare
“fratello”.
Poi l’istante passò e Loki fu di nuovo se stesso,
potente e
intoccabile, e Tony respirò e disse: «Pare che sia
il tuo giorno
fortunato, allora». Non era sicuro che suonasse sarcastico
quanto
avrebbe dovuto. Aggrottò la fronte, colpito da
un’inaspettata
folgorazione. «Ma perché non me l’hai
domandato subito? Perché
solo adesso?»
Il semidio tacque, inespressivo, e Tony sollevò le
sopracciglia.
«Ora è il mio turno di fare le domande, giusto? E,
in cambio
della calorosa accoglienza che ti ho offerto dall’alto della
mia
infinita generosità, ne va del tuo onore asgardiano o quello
che è
essere onesto». Il semidio esitò ancora e lui
insistette: «Capisco
che non volessi fidarti di me come se fossimo migliori amici, quando
mi hai proposto l’accordo, ma ora l’hai accettato,
e gli accordi
prevedono fiducia, che ti piaccia o meno. Io la do a te, tu a me.
Altrimenti non può funzionare, sai?»
Era assolutamente illogico e inutile considerare che, messa
così,
sembrava quasi che dovessero sposarsi, ma in fondo Tony Stark era
famoso per le sue considerazioni illogiche e inutili e persino lui
non vi dava troppo peso.
Loki non rispose subito, finse di ponderare la sua affermazione,
ma non aveva molta scelta e capitolò come Tony si aspettava.
«Come
vuoi, Stark. Mi chiedi fiducia nei tuoi confronti e sarà
quello che
avrai, ma ricorda sempre che, fin dall’inizio, ti avevo detto
che
non mi interessava che tu me ne dessi».
Pur non del tutto certo se dovesse prenderla come una minaccia,
Tony avvertì uno sgradevole tremito serpeggiare lungo la sua
spina
dorsale.
Un giorno si sarebbe pentito di aver commerciato fiducia con lui?
«Comunque sia, per soddisfare la tua
curiosità,» riprese il
semidio «avevo intuito che gli agenti non avessero il tuo
ingegnoso
apparecchio quando nessun manipolo di soldati ha devastato la tua
torre per arrestarmi, dopo che mi sono materializzato nella tua
dimora. Mi serviva soltanto una conferma».
Quella però era una risposta troppo comune perché
Loki avesse
indugiato tanto prima di propinargliela e persino un mortale
impotente come lui era capace di vedere attraverso il velo di
menzogne che il semidio aveva intessuto così malamente. E,
oltre
quel velo, c’erano la consapevolezza di entrambi che quel
giorno
Loki non aveva avuto il coraggio di usare un solo incantesimo e la
vulnerabilità di cui aveva dato prova poco prima.
Se però in quel momento Tony era stato troppo stupito per
approfittarne, scelse di farlo adesso. «Avevi
paura» fece notare,
senza dubbi nella voce, ma nemmeno ostilità.
«Paura che la tua più
grande arma potesse essere anche la tua più grande
debolezza. Puoi
ammetterlo, sai? Fino a nuovo ordine, siamo alleati, non
andrò a
raccontare a tua madre che il suo valoroso figlioletto ha paura del
buio perché ne possa ridere con le sue amiche
dell’ora del the».
Mentre lo diceva, lui per primo si accorse che era vero,
perché,
per quanto stuzzicare il semidio fosse divertente e corroborante,
specie quando riusciva a seccarlo, non aveva intenzione di sfruttare
quella minuscola breccia nell’autocontrollo Loki per il
proprio
tornaconto, almeno finché i loro tornaconti avessero
continuato a
coincidere.
Il problema era che, se anche quel concetto avesse potuto
convincere il semidio a essere meno guardingo nei suoi confronti,
come al solito non aveva operato la migliore scelta di parole
possibile.
Merda. Come aveva potuto dimenticare? Mai nominare
la
famiglia di Loki in presenza di Loki.
Era piuttosto elementare, persino Hulk avrebbe potuto arrivarci
–
e significava tanto.
Ora il semidio lo stava scarnificando con gli occhi, come se fosse
indeciso se tranciargli di netto la testa oppure farlo divorare dalle
formiche carnivore, ma alla fine scosse il capo –
più a se stesso
che a lui, intuizione che lo preoccupò circa la sua
sanità mentale
e la possibilità che parlasse da solo – e
incrociò le braccia al
petto.
Poi sorrise.
E Tony ancora non capiva perché sorridesse,
così
angelico, così innocuo, quando fino a un momento prima era
stato sul
punto di dare sfogo al suo istinto omicida. Non capiva che cosa
pensasse, non capiva che cosa sapesse, che cosa gli desse
quell’incrollabile convinzione di essere in vantaggio, quella
capacità di farlo credere anche agli altri. Avrebbe voluto
aprirgli
il cervello con un cacciavite per poter guardare dentro.
«Hai ragione, Stark» ammise, e doveva essere quanto
di più
folle Tony gli avesse mai sentito commentare. Loki fece un passo
avanti, verso di lui, e premette un indice contro il suo petto,
vicino al reattore arc. «A ogni modo, la vera domanda
è: ti ho
concesso la fiducia che volevi, ma tu sarai in grado di concederla a
me?»
Dannazione. Ogni volta che si compiaceva di essere in vantaggio,
il semidio finiva irrimediabilmente col portarsi un passo avanti a
lui. Invulnerabile.
«Scommettiamo, Dio dell’Inganno» lo
sfidò Tony con un sorriso
smagliante, molto più a proprio agio con lo scontro verbale
che con
un Loki umano o che gli concedeva di avere ragione. «Spiegami
come
si deve questa storia della tua fuga dalle impenetrabili prigioni di
Asgard – non così impenetrabili come si vanta
Thor, in ogni caso –
e vediamo se posso crederti sulla parola».
Il semidio doveva aspettarselo, perché la richiesta non lo
mise
particolarmente a disagio. «Bene»
accettò, inclinando la testa da
un lato. «Ma, prima, ho bisogno di placare
l’appetito».
Quando Loki lo disse ad alta voce, Tony ricordò di aver
messo
nello stomaco solo un panino durante la pausa pranzo e quattro tazze
di caffè a intervalli nel pomeriggio. In realtà
aveva riposto ogni
speranza di consumare un lauto pasto nella cena con Pepper, ma
qualcuno gliel’aveva rovinata –
non riuscì a non scoccare
un’occhiata torva al semidio mentre ordinava una pizza.
«Pizza» gli fece eco Loki, senza badare al suo
sguardo
inceneritore, e, come la prima volta che era apparso
nell’attico,
si teletrasportò dall’altra parte della stanza, su
uno degli
sgabelli che circondavano il tavolo da pranzo, un bancone lungo e
stretto che somigliava più a quello di un bar che di una
casa. Un
tocco di classe a cui non aveva voluto rinunciare e a cui Pepper
aveva dovuto acconsentire per arredare il loft con i suoi quadri in
cambio. «Devo aver letto qualcosa a riguardo. Uno dei cibi
che
preferite voi midgardiani, giusto?»
Tony si chiese che razza di memoria avesse per ricordare tante
informazioni disparate e lo corresse in tono professorale:
«Uno dei
migliori cibi di ogni galassia, dimensione o quello che vuoi. E tu
avrai l’onore di assaggiarlo grazie a me».
Il semidio levò gli occhi al cielo, ma la sua
curiosità era
palese quando Jarvis comunicò che la consegna era arrivata.
Prima di assaggiare la fetta che Tony gli porse, però, se la
rigirò più volte tra le mani e studiò
ogni singola goccia di
pomodoro con la cautela di chi stia cercando di capire come funzioni
una bomba.
Tony stava per rassicurarlo che la pizza non avrebbe cercato di
sfondargli la gola dall’interno, tentato
dall’espressione furiosa
che Loki avrebbe potuto esibire, ma era ancora più tentato
dallo
spettacolo del semidio alle prese con il suo primo trancio.
Alla fine si decise a mordere e Tony quasi si soffocò con un
boccone, colto dalle risate a metà della masticazione: Loki
aveva
affondato i denti nella punta della fetta, ma, quando fece per
strapparne un pezzo, la mozzarella rimase saldamente ancorata al
resto del trancio e il semidio esitò, incerto sul da farsi,
i
filamenti bianchicci della mozzarella sospesi tra il boccone che
aveva staccato e la fetta che ancora stringeva tra le dita,
l’estremità del trancio seminascosta tra le labbra
e il rischio
che la mozzarella cedesse, si spezzasse e gli macchiasse gli abiti.
Tony dovette riporre la propria fetta nel contenitore di cartone
per serrarsi il ventre con le braccia nello sforzo vano di arginare
il riso che lo faceva tremare da capo a piedi.
Se un giornalista gli avesse scattato una foto in quel momento, il
giorno dopo sarebbe apparso sulle prime pagine di ogni giornale degli
Stati Uniti e il titolo non sarebbe stato lusinghiero, ma era troppo,
troppo, era ridicolo, insensato, allucinante,
e non
rideva così da tanti anni.
O forse non aveva mai riso così e la ragione più
probabile ad
averlo indotto in simili condizioni doveva essere lo stress dovuto
alla presenza di Loki nella torre e all’inganno che stava
perpetrando ai danni dei suoi compagni e della Terra. Qualsiasi
fossero i motivi, non aveva mai riso di una risata tanto spontanea,
di cuore, perché suo padre non
l’aveva mai amato e un
giorno il suo mentore lo aveva venduto a dei mercenari che glielo
avevano strappato dal petto, il cuore.
E, malgrado il primo reattore arc che troneggiava nel suo
laboratorio, a Malibu, sopra l’insegna “La
prova che Tony
Stark ha un cuore”, Tony non era mai stato sicuro
di possederne
ancora uno per ridere.
Quando riuscì a quietare quello scoppio
d’ilarità, si affrettò
a ricomporre il consueto contegno da
sono-figo-e-consapevole-di-esserlo-adoratemi-comuni-mortali e si
raddrizzò sul suo sgabello, rassettandosi con disinvoltura
la
camicia. Durante il suo eccesso di risa, il semidio aveva trovato il
modo di separare la mozzarella senza danni e si stava ripulendo la
bocca con il tovagliolo nel momento in cui Tony alzò la
testa.
I loro sguardi si incontrarono, e l’uomo fu certo che, se
fosse
stato possibile, quello di Loki l’avrebbe trucidato.
E c’era sempre la possibilità che lo trasformasse
in un
porcellino d’India.
«Ti sei divertito, Tony Stark?» domandò
con gentilezza il
semidio, quella gentilezza che non poteva che essere il preludio a
una vendetta sanguinosa.
Per una volta, Tony ritenne saggio tacere e si limitò a
imitare
Loki, che aveva ripreso a mangiare con molta più confidenza
di
prima. Dopo i primi, goffi tentativi, ogni suo gesto stillava grazia
ed eleganza e non aveva nulla da invidiare a chi mangiava pizza fin
da neonato, nulla che l’uomo potesse schernire.
Oh, beh, è stato divertente finché
è durato.
Il semidio non intavolò una conversazione e Tony
preferì fare lo
stesso, anche se il silenzio era molto più inquietante di
qualunque
minaccia di una morte atroce.
Quando Loki non parlava, l’uomo non aveva alcun mezzo per
sforzarsi di penetrare la sua mente e aveva l’impressione di
essere
tornato indietro nel tempo, a quel giorno in cui il convoglio
militare con cui viaggiava era stato attaccato da missili targati
Stark e lui aveva dovuto trovare riparo dietro una roccia, protetto
da nient’altro che uno smoking stropicciato e sporco di
fuliggine.
Nudo, disarmato, indifeso.
Di conseguenza, dovette tentare un approccio, dopo aver svuotato
il contenitore della pizza e una bottiglia di soda.
«Il vostro stomaco è sazio a sufficienza, o Sommo
Signore del
Male?»
Non era esattamente il genere di approccio da mettere in atto per
non essere arrostito vivo, ma “rinomata”
non era
l’aggettivo più di frequente associato alla
diplomazia di Tony
Stark. Sempre che esistesse.
«Tu vuoi sapere come sono fuggito da Asgard». Il
semidio girò
intorno alla domanda con deliberata calma.
«Perché? Perché non
concentrarsi sui chitauri? Sono loro la minaccia, non io».
«Tu sei sempre una minaccia» ribatté
Tony, all’improvviso
serio e deciso, più coinvolto di quanto volesse apparire.
Loki non
lo contraddisse, sorrise. «A parte questo, mi serve una
prova, te
l’ho già detto. Noi umani sfigati non abbiamo
più avuto notizie
di te, Thor e del Tesseract dopo il vostro ritorno a casa. Siamo un
tantino stanchi di essere sempre gli ultimi arrivati».
Voglio anche sapere perché non ne vuoi parlare.
Il semidio non sorrideva più, ma non si tirò
indietro. «Così
sia» cedette con un cenno della testa, il mento sollevato, la
schiena diritta, il braccio steso sul ripiano del bancone. Ogni cosa,
in lui, suggeriva fierezza. «Ebbene, mi trovavo in carcere,
in
attesa della mia sentenza. Sapevo che presto i chitauri sarebbero
venuti per me e non potevo più aspettare: ho dovuto usare un
piccolo
trucco, ma sono riuscito ad andarmene». Poiché
l’uomo rimaneva in
attesa, insoddisfatto, Loki aggiunse con un sospiro: «Mi sono
sdoppiato, Stark, e ho reso invisibile il vero me stesso. Non ho
dovuto far altro che lasciare la cella quando mi è stato
portato il
pranzo».
Dal momento che il silenzio si protraeva tra loro interminabile,
Tony capì che il semidio non aveva altro da dire. E che
forse la sua
mascella si era slogata, tanto l’aveva spalancata.
«Tutto qui?»
Loki si strinse nelle spalle. «Tutto qui».
L’uomo non riusciva a crederci, sebbene il semidio non avesse
alcuna ragione valida per mentirgli e negarsi il suo supporto: era
troppo semplice, troppo lineare, troppo perfetto. Se c’era
qualcosa
di cui aveva imparato a diffidare, era la perfezione apparente.
Sapeva altrettanto bene, tuttavia, che non avrebbe strappato a
Loki una sola parola sui sentimenti che aveva provato o sui dubbi che
lui stesso poteva aver avuto sulla brillante riuscita del suo piano.
Il semidio non era uno sciocco, Tony non dubitava che si fosse
perlomeno domandato perché diavolo le guardie si
arrischiassero ad
aprire la porta della prigione di un carcerato famigerato per i suoi
incantesimi.
A che conclusione fosse arrivato, non aveva intenzione di
rivelarglielo. Perché avrebbe potuto essere una debolezza,
intuì
Tony.
Di lì la conclusione fu immediata: Loki non poteva aver
eluso le
misure di sicurezza contro la magia degli asgardiani, della sua
famiglia, che lo conosceva meglio di chiunque altro, a meno che
qualcuno non l’avesse lasciato andare. Thor.
Prima che il semidio potesse anche soltanto sospettare cosa si
celasse dietro la sua espressione incredula, l’uomo si
schiarì la
voce con un colpo di tosse e disse: «Oh, beh… wow.
Davvero niente
male. Okay, amico, mi fido, sul serio».
Anche se Loki aveva raccontato una storia scarnificata
all’osso.
Anche se Sua Maestà si ostina a concedermi solo
mezze verità.
«Vogliamo passare ai chitauri, allora?» Il semidio
esalò un
sospiro esasperato, poi qualcosa nel suo sguardo si alterò e
sul suo
volto scesero le tenebre. «Avremo bisogno di armi, armi che
siano in
grado di riconoscere la magia, di difendersi e opporsi a essa. Avremo
bisogno della tua tecnologia, Stark, e di una ancora migliore che
soltanto tu puoi costruire».
«È questo che intendevi quando hai detto che sono
l’unico con
cui valesse la pena stringere un accordo?» ribatté
Tony. «Ti serve
il mio genio?»
«In parte è così»
annuì bruscamente Loki. Un gesto da
soldato, che gli ricordò che, prima che un supercattivo, il
semidio
era uno stratega straordinario del calibro di Steve. Un immortale,
che aveva assistito a cose che lui non aveva alcuna speranza di
riuscire a immaginare.
Era una consapevolezza annichilente, così come era
terrificante
quella che fosse venuto a chiedere aiuto a lui, un mortale,
perché
esisteva qualcosa di ancora peggiore.
«Ma non è l’unico motivo»
proseguì Loki, sibillino, senza
specificare oltre. «Comunque sia, dobbiamo lavorare su quei
tuoi
allarmi. Mi fa piacere che, dopo la mia cattura, tu non sia rimasto
con le mani in mano». Era quanto di più vicino a
un complimento
avesse mai ricevuto da lui, considerò tra sé
Tony, indeciso tra
l’irritazione e l’autocompiacimento.
«Più tempo risparmieremo,
meglio sarà per entrambi».
C’era un unico difetto, che sarebbe stato evidente anche a un
bambino, ma il semidio non ne aveva ancora fatto parola.
«In effetti sarebbe un’idea geniale, progettare le
armi e
tutto…» L’uomo scosse la testa e
allargò le braccia, sorpreso
che il semidio sembrasse non rendersene conto affatto. «Ma
manca
l’elemento fondamentale: chi le userà? Non ti
aspetterai di
sconfiggere un intero esercito incazzato da solo, vero?
Cioè, non
possiamo mentire allo S.H.I.E.L.D., agli Avengers e al mondo fino
alla fine di questa storia, penso che qualcuno si accorgerà
se un
esercito alieno tenta di invaderci di nuovo, no?»
Loki lo guardò come si potrebbe guardare qualcuno
estremamente
ottuso, oppure qualcuno a cui sfugga qualcosa. Tony aggrottò
la
fronte, il semidio scrollò le spalle.
«Credevo fosse ovvio che mi sarei servito anche dei loro
poteri,
quando fosse giunto il momento».
Beh, sì, certo. Perché lui era
Loki l’Infallibile, Loki
I-miei-piani-sono-perfetti, Loki
Io-non-dico-mai-un-cazzo-a-Tony-anche-se-in-teoria-siamo-alleati.
L’uomo si grattò la nuca per sopprimere
l’urgenza di attivare
il Mark VII. «E, di preciso, quando progettavi di dirmelo?
Non ti è
venuto in mente che io potessi, che so, essere un po’ in
difficoltà
qui con, ehi, la storia di nascondere uno dei
criminali più
ricercati di tutte le galassie?»
Fu più uno sfogo che un commento pungente di quanto non
volesse e
Loki batté le palpebre, sorpreso e interessato.
Troppo senso di colpa, Tony Stark non si sentiva in colpa e
specialmente non in presenza di Loki Odinson, imprecò tra
sé Tony,
in attesa che il semidio facesse la sua mossa, sconfitto, esasperato,
perché ormai non poteva incasinarsi più di
così.
Era vicino al punto di rottura, sapeva che, a un commento un
po’
troppo sagace e un po’ troppo mirato da parte di Loki,
avrebbe
potuto commettere un errore, arrabbiarsi, lasciare scoperto un fianco
perché il semidio potesse affondarvi il suo pugnale di
parole
mordaci. Sapeva anche, tuttavia, di essere in grado di resistere, di
essere in grado di rialzarsi.
Non era altrettanto preparato, al contrario, a come
d’improvviso
nello sguardo di Loki si spensero le braci ardenti del desiderio di
trarre vantaggio da quella sua debolezza. E non era sicuro che
sarebbe stato preparato a quando il fuoco sarebbe stato riattizzato.
«Tu non mi ascolti con attenzione, Stark» lo
rimproverò il
semidio con il fare di un genitore paziente. «Ti avevo detto
che non
volevo che i tuoi compagni fossero informati della mia presenza e che
tu sei l’unico con cui ritenga utile stipulare un accordo, ma
non
ho mai specificato che sarei rimasto di questa opinione per
l’intera
durata del patto». Tacque, forse per apprestarsi a spiegare,
forse
per godersi l’espressione sgomenta di Tony. «Mi
rivelerò ai tuoi
amici Avengers quando lo riterrò più
opportuno, quando si
renderanno conto che il loro adorato pianeta è in pericolo e
che
dovranno darmi ascolto per preservarlo, non ridurmi in
catene».
L’uomo alzò le sopracciglia in
un’espressione scettica. «E
come la vinceremo, la tua guerra, se non avranno il tempo di
prepararsi?»
Non era un’argomentazione valida, la verità era
che desiderava
solo trovare un espediente per poter interrompere quella recita; Loki
lo sapeva bene e gli scoccò un’occhiata annoiata.
«Sono gli
Avengers, Stark. Rogers è stato
costruito per combattere,
Barton e la Romanoff sono assassini professionisti, Banner- suvvia,
devo davvero spiegartelo? E Thor…»
Aggrottò la fronte, come
faceva d’istinto quando si trovava a parlare del fratello.
«…
Thor è stato destinato alla grandezza in battaglia sin dalla
giovinezza. Non credo che nessuno di loro abbia bisogno di ulteriore
addestramento». Incrociò le braccia al petto e
concluse in tono
secco: «Vogliamo metterci all’opera, oppure devi
farmi perdere
molto altro tempo?»
«Okay, okay». Tony mostrò i palmi aperti
in segno di resa,
sconfitto. «Andiamo».
Troppo vicino al punto di rottura, al baratro, in procinto di
cadere giù.
Stanco di combattere quando nessuna delle due parti era disposta a
cedere terreno, stanco di aspettarsi il gesto che l’avrebbe
fatto
precipitare e che non arrivava mai, stanco che Loki riuscisse sempre
a scavare dentro di lui, talvolta persino senza accorgersene, come se
fosse un libro aperto, come se gli sforzi che aveva fatto per
costruire la sua maschera di genio, milionario, playboy,
filantropo fossero del tutto privi di significato.
E ora era sul punto di dare al semidio libero accesso al suo
laboratorio, al suo cuore, alla sua anima.
Si trovava nel sotterraneo, dove le condizioni ambientali
garantivano agli strumenti un basso livello di umidità e una
temperatura mai superiore ai diciotto gradi. La sala era immersa
nell’oscurità quando vi fecero il loro ingresso,
ma a un suo
ordine Jarvis accese le luci e il laboratorio sfolgorò di
tecnologia, di elettricità, di vita.
Gran parte dell’ambiente era occupata da tavoli di varie
dimensioni, disseminati in ordine sparso, dov’erano
affastellati i
suoi progetti. In un angolo ammucchiava le cianfrusaglie che non gli
servivano più ma che preferiva non buttare, presso un altro
si
trovava una piattaforma per il collaudo delle invenzioni e in
particolare delle nuove armature, l’ultimo, infine, era
impiegato
come piccolo garage e vi erano parcheggiate due delle sue auto da
corsa. Al centro troneggiava la centrale di comando, una decina di
computer di ultima generazione disposti a semicerchio, spenti.
Se non altro, ebbe la soddisfazione di vedere Loki, un dio o
quasi, senza fiato per la meraviglia.
Mentre Tony raggiungeva il tavolo che aveva adibito al Progetto
Winx – doveva essere stato piuttosto ubriaco, la notte in cui
l’aveva battezzato in quel modo, persino lui era costretto a
riconoscerlo –, fingeva di non notare il suo stupore e vi si
crogiolava con noncuranza, il semidio lo seguiva, a tratti fermandosi
presso qualcosa che lo interessava più del resto, a tratti
aggirandosi più lontano per posare lo sguardo affamato
dovunque
fosse in grado di giungere.
«Vuoi fare un giro turistico?» si
informò Tony, divertito, si
accomodò sulla sedia girevole e la fece ruotare su se stessa
per
fronteggiare Loki, che si limitò a sorridere appena.
Un serpente che permette alla sua preda di dibattersi, di cercare
di fuggire, di avere ancora una speranza di vivere, quando in
realtà
sa bene che gli basterebbe un piccolo morso per ucciderlo senza
nemmeno dargli il tempo di rendersene conto, pensò Tony.
Perché ormai il semidio aveva visto troppo di lui.
Perché aveva visto il punto di rottura e prima o dopo gli
avrebbe
dato una spinta, e non si sarebbe fatto sfuggire
quell’occasione,
qualsiasi frecciata l’uomo avesse tentato.
Quando Loki fu al suo fianco, lo sguardo che scandagliava ogni
oggetto presente sul tavolo, una scarica di pura eccitazione discese
la schiena di Tony, facendolo rabbrividire. Di qualunque vantaggio il
semidio potesse fregiarsi, adesso si trovavano nel suo laboratorio.
Non soltanto la sua anima, non soltanto il suo cuore: la sua arma,
il suo regno.
Entro quelle quattro mura c’era un piccolo universo che Loki
non
conosceva, se non a livello basilare, e su cui non aveva alcun
potere. In quel luogo, Tony aveva le sue stesse possibilità
di
spingerlo al punto di rottura – ma chi sarebbe
stato il primo a
cadere?
«Bene». L’uomo accese i computer della
consolle centrale con
un semplice schiocco di dita e fece un cenno in direzione del
semidio, che seguiva i suoi movimenti con un misto
d’incomprensione
e feroce curiosità. «Ora, se il Re del Male
potesse farmi la
cortesia di spogliarsi…»
Loki si irrigidì a quella richiesta, la sua espressione si
incupì. «Di che cosa stai parlando?»
Tony finse di stupirsi per la sua reazione. Uno a zero.
«Non era ovvio» si
premurò di calcare adeguatamente il
termine «che, se ti avessi concesso di entrare nel mio
laboratorio,
in cambio avresti dovuto permettermi di farti degli esami? Se devo
costruire delle armi che respingano la magia, mi serve capire come
funziona la tua, dolcezza».
Il semidio strinse le labbra in una linea sottile, in parte –
così sperava Tony – anche per il soprannome
affibbiatogli. «Non
ho mai acconsentito a farmi studiare, Stark. Per
aiutarti,
accetto di mostrare, ma non ho alcuna intenzione di
consentirti di analizzarmi come un ratto».
«Mostrare non basta» ribatté
l’uomo, calmo e posato, un
leggero sorriso a insaporire la sua espressione placida.
«Queste
sono le mie condizioni. Se vuoi il mio aiuto, questo è il
prezzo».
«È un prezzo troppo alto».
Come se Tony non ne fosse ben conscio. Come se non lo stesse
ricattando, sfruttando come merce di scambio proprio ciò che
aveva
di più caro. Come se non lo sapessero entrambi, che era un
prezzo
troppo alto.
«Sono le mie condizioni».
Fu allora che Loki colpì, con la precisione di una belva
famelica, e Tony rovinò nella gola che lo attendeva con
pazienza.
Ma era pronto all’impatto, e il semidio era precipitato nel
buio
prima di lui.
«Tony Stark, l’unico uomo al mondo abbastanza
meschino da porre
delle condizioni, da mettere a rischio la salvezza
della Terra
per- per cosa, in fondo? Soddisfare la tua curiosità?
Provare che la
tua scienza è migliore della magia? Provare che tu
sei
migliore?» Loki scoprì i denti in un ghigno e non
esitò a rigirare
con violenza il coltello nella ferita aperta e sanguinante.
«Ti
crogioli nell’ammirazione del mondo, perché per
una volta hai
fatto la scelta giusta, ma questo soltanto perché era anche
la
migliore per il tuo tornaconto. Non esiste una singola occasione in
cui tu non abbia agito solo e unicamente per te stesso, non
è forse
vero? Tu non sei mai cambiato».
Se lo aspettava, ma fece male lo stesso.
Fece male e Tony serrò la mascella in un ibrido tra un
sorriso e
una smorfia sofferente. Fece male e Tony lo sentì tutto, il
peso
della propria inadeguatezza.
Il peso dell’essere Anthony Edward Stark, che aveva tutto e
non
aveva niente, che non aveva principi e neppure un padre, che non
avrebbe mai puntato un’arma se non fosse stato certo di
essere
coperto dall’armatura o dai suoi compagni.
Lui che non era un eroe, che non era un soldato e non aveva mai
chiesto di diventarlo.
Neppure Coulson, però, l’aveva mai chiesto, eppure
aveva deciso
di sua sponte di sollevare un fucile contro un nemico che avrebbe
potuto annientarlo con uno schiocco di dita.
“L’unica cosa per cui combatti
è te stesso”.
Fece male e Tony sapeva di non essere Steve, sapeva di non essere
perfetto come lui, sapeva di sbagliare, sapeva di
non essere
all’altezza delle aspettative.
Non lo era stato da bambino per suo padre, non lo era da adulto
per il mondo.
Fece male, ma si rialzò, perché non era peggiore
di tutti gli
altri dirupi.
Si rialzò, incrociò lo sguardo del semidio senza
tentennare e
ricambiò il suo sorriso con un sogghigno altrettanto
selvatico,
altrettanto ferino. «Forse hai ragione tu,» ammise,
sardonico «ma
questo non cambia le cose. Se non ti sta bene, la porta è
quella».
Loki non rispose per un lungo momento, i pugni stretti, il corpo
teso, gli occhi brucianti. «Pagherai per questo».
E d’un tratto Tony era ancora più stanco di prima
e non aveva
più la forza di giocare a un gioco che, a lungo andare,
avrebbe
portato alla loro reciproca distruzione. Scrollò le spalle,
senza
curarsi che il semidio notasse la sua spossatezza, e il sorriso
spietato fu spodestato da un’espressione insolita per lui.
Arrendevole, quasi solenne. «Lo so. Tutto ha un prezzo, ma
non sono
disposto a pagare con la salvezza della Terra a causa delle nostre
dispute. Tu sì? Sei disposto a pagare con la tua vita, solo
per
vedere chi è più forte?»
Tregua, chiedeva Tony. Dammi la mano.
Loki esitò, poi si afferrarono le mani a vicenda e tornarono
in
piedi in contemporanea, insieme. Solo per questa volta.
«Sei diverso dagli altri mortali, Stark» ammise.
L’uomo non
seppe se interpretarlo come un complimento o come un insulto.
«Singolare». Il semidio sorrise, in netto contrasto
con
l’atteggiamento iroso di poco prima. Il Dio
dell’Inganno,
ricordò Tony. «Talvolta, lo confesso, persino io
mi domando come
prenderti. Non posso dire che mi piaccia, ma per certi versi non mi
dispiace».
L’uomo ostentò un sorriso. Il precipizio non
sembrava più così
profondo, forse potevano persino risalirlo, insieme. Solo per
questa volta. «Devi lavorare sui complimenti. Non
ti riescono
troppo bene».
«Hai ragione». Loki aveva riacquistato il consueto
contegno
elegante e non smise il suo sorriso, ma esso assunse una piega cupa
quando il suo sguardo saettò verso la centrale, i computer
che
vibravano, gli ologrammi touch-screen dei monitor sospesi sopra il
complesso elettronico semicircolare. «Dimmi cosa devo
fare».
Tony gli indicò lo spazio attorno al quale la consolle si
chiudeva sin quasi a creare un cerchio perfetto. «Togli la
camicia.
Dovrebbe essere sufficiente».
Il semidio si limitò ad annuire; raggiunta la postazione, si
sfilò la cravatta e sbottonò la camicia con gesti
svelti e precisi.
Quando ebbe lasciato scivolare la camicia lungo le braccia con una
scrollata di spalle e la cravatta giacque inerte intorno al suo
collo, piegò con cura entrambi gli indumenti e li
depositò sulla
centrale, in mancanza d’appendiabiti.
Sottoposti allo sfolgorare azzurrino degli ologrammi dei desktop,
gli occhi ricordavano il mare di notte, mentre la sua pelle
translucida assumeva una particolare sfumatura bluastra che metteva
in risalto le vene, tralci di un blu più scuro che lo
percorrevano
da capo a piedi in una sorta di tatuaggio tribale.
Era bello, dovette confessare Tony, se non altro a se stesso, in
un modo in cui nessun essere umano avrebbe mai potuto esserlo, in un
modo che nessun essere umano avrebbe mai potuto negare.
Loki lo trafisse con il suo sguardo penetrante. «E
ora?»
L’uomo si affrettò dall’altra parte
della consolle, selezionò
una serie di opzioni sullo schermo a mezz’aria e il computer
sibilò
prontamente una risposta. Il semidio fissava le finestre che si
aprivano nell’atmosfera tra lui e Tony, quando
quest’ultimo
disse: «Okay, si parte. Cominciamo con gli incantesimi
più
semplici, va bene? Niente che faccia saltare in aria le cose, siamo
intesi?»
Malgrado il nervosismo quasi palpabile, Loki sogghignò e
rivolse
i palmi aperti contro di lui, le braccia stese lungo i fianchi.
«Siamo intesi, Stark».
Fu uno degli eventi più straordinari cui Tony avesse mai
preso
parte.
Il semidio accondiscese a ogni sua richiesta, gli permise di
raccogliere informazioni su quasi ogni genere di magia di cui era
capace – “Ci sono cose che so fare che
potrebbero far saltare
in aria tutto il laboratorio, Stark” – e
l’uomo non aveva
mai visto nulla del genere, nulla di così potente e illogico
eppure,
allo stesso tempo, così vicino alla scienza. Quanto avrebbe
potuto
fare con quei dati, non era nemmeno in grado di immaginarlo, ma era
impaziente di provare.
Impaziente di sapere di più, di elaborare, di creare.
Per la prima volta nella sua vita di genio abituato a stupire gli
altri, stava sperimentando sulla propria pelle quella sensazione di
devastata meraviglia, di trovarsi di fronte qualcosa che poteva
osservare ma non afferrare. Proprio come Loki quando aveva scoperto
Jarvis, così adesso Tony contemplava le scintille di energia
magica
che danzavano lungo il corpo del semidio, tra le lunghe dita, sulle
guance, sul petto, sul cuore, negli occhi splendenti.
Visibilmente compiaciuto, Loki allargò le braccia per farsi
ammirare. «Tu, Tony Stark, devi considerarti l’uomo
più fortunato
al mondo».
Tony ricordò se stesso in quella medesima posizione, una
serie di
testate esplosive che detonavano alle sue spalle, terribili e
affascinanti, letali e bellissime. Come la magia del semidio. Tony
Stark riflesso nello sguardo di ghiaccio di Loki.
Sì, sono l’uomo più fortunato
al mondo.
Quando l’uomo ritenne di aver immagazzinato informazioni
sufficienti per iniziare a lavorare su un prototipo, il semidio non
appariva affatto stanco. Al contrario, usare la magia sembrava
rinvigorirlo, sebbene lui stesso avesse spiegato che, a lungo andare,
sfruttare il suo potere lo sfiniva. Doveva essere il piacere di avere
una tale potenza per le mani – e non tanto il farne uso di
per sé
– a corroborarlo, concluse Tony.
La magia, la più grande arma e più grande
debolezza di Loki.
Tutto ciò che aveva.
«È abbastanza, Stark?» volle sapere il
semidio, rendendosi
conto che il ronzio dei computer era diminuito
d’intensità. Cercò
gli occhi di Tony per avere conferma e, nel preciso istante in cui
l’uomo assentì, il manto di potere che lo
avvolgeva si dissolse.
Colto alla sprovvista, Tony indietreggiò di un passo, quasi
fosse
stato colpito da un’onda d’urto. Loki sorrideva,
sornione. Il
Dio del Trucco.
Non appena fosse arrivato sulla Terra, avrebbe dovuto chiedere a
Thor che genere di dispetti prediligesse il fratello, perché
aveva
lo spiacevole presentimento che “dispetto”, su
Asgard, non avesse
lo stesso, innocuo significato che aveva sul suo pianeta. Non si
sarebbe sorpreso se il senso dell’umorismo tendente alla
schizofrenia dimostrato dal semidio fosse considerato la norma, nel
Reame Eterno.
Per associazione d’idee, da “Thor”,
“dispetto” e
“spiacevole” arrivò a ricordare che non
aveva ancora telefonato
a Bruce e che Fury doveva essere – nomen omen
– furioso. E
quello sarebbe stato altamente spiacevole.
Gettò un’occhiata disperata agli ologrammi dei
desktop,
occupati da decine di progetti e dati accumulati nelle ultime- perché
erano già le undici e mezzo?
Ah, cazzo.
Loki lo scrutava, disorientato, afferrare una dopo l’altra le
finestre aperte sui monitor virtuali e spostarle, di malavoglia ma
con un’improvvisa frettolosità, nella cartella
denominata
“Progetto Winx”. «Qualcosa non
va?»
«Beh, è stato tutto molto bello e mi piacerebbe
rifarlo, ogni
tanto, volentieri, sul serio, ma Fury mi caverà
l’intestino con un
cucchiaio se non chiamo subito Doc e, sai com’è,
non ho voglia di
testare la sua pazienza, però ho già un progetto
in mente e non
vedo l’ora di lavorarci su, solo, non stasera,
perché, te l’ho
detto…»
«Doc» lo interruppe il semidio, due dita premute
sulla tempia.
Non era una domanda e Tony sospettò che fosse intervenuto
soltanto
per metterlo a tacere. «Banner?»
«Esatto». L’uomo ammiccò ai
desktop in fase di spegnimento a
indici spianati, bellamente incurante del sopracciglio inarcato con
cui reagì Loki. «Adesso, se non ti spiace, dovrei
fare una
telefonata. Va’ a dormire, che domani
c’è scuola. Ti raggiungo
dopo. ‘Notte».
Dapprima immobilizzato dallo spaesamento, il semidio prese
sottobraccio gli abiti ancora appoggiati sulla consolle e si diresse
verso l’uscio.
Prima che si voltasse, Tony aveva avuto l’impressione di
scorgere un’espressione di disappunto, ma Loki se ne
andò senza
che potesse interrogarlo o anche solo riflettere con più
attenzione
a riguardo. Per la verità era anche la prima volta che il
semidio
obbediva senza protestare e non voleva rovinare quel momento di
gloria e immenso gaudio.
Mentre scorreva la rubrica in cerca del numero di Bruce,
meditò
che, se non altro, avrebbe potuto giustificarsi con Fury che tra
Calcutta e New York c’erano nove ore e mezzo di differenza e
che
non aveva chiamato, quel giorno, per evitare di svegliare Bruce nel
cuore della notte e rischiare che si trasformasse in Hulk.
Soffermandosi a pensare seriamente a
quell’eventualità, calcolò
che in India dovessero essere più o meno le dieci del
mattino, un
orario sicuro, a meno che Bruce non fosse un dormiglione.
Era un’idea strana e alla fine Tony lasciò perdere
e si
concentrò sulla telefonata.
«Signor Stark?»
Non era la voce di Hulk. Da qualche parte dentro di sé, dove
aveva davvero temuto d’incorrere nelle sue ire,
l’uomo sospirò
di sollievo. «Come va, Doc?»
«Il solito» replicò Bruce, ragionevole.
Più gentile di
“Comunque possa andare a uno che si trasforma in un
mostro verde
ogni volta che si arrabbia”, in ogni caso.
«A che cosa devo il
piacere?»
Da parte di chiunque altro la domanda sarebbe suonata sarcastica,
ma il dottore era sincero. Tony accettava senza fare una piega i suoi
“momenti Hulk”, come li aveva
ribattezzati lui stesso, e
non esitava a fare battute a riguardo; Bruce, sebbene di tanto in
tanto le trovasse fin troppo di cattivo gusto, lo apprezzava proprio
per quella ragione: perché Tony lo prendeva in giro come
avrebbe
fatto con chiunque altro, senza messe misure.
«Pare che gli Avengers debbano unirsi di nuovo»
tagliò corto
Tony. «Ordini di Fury. Loki è scappato e dobbiamo
proteggere la
Terra, e blablabla…»
«Scappato?» gli fece eco il dottore, stupito.
«Così mi si dice dalla regia»
scherzò Tony. «Fury vuole che
torni a New York per una felice rimpatriata. Verrai?»
Nell’ultima frase – Verrai?
– non c’era sarcasmo.
Dall’altra parte del filo vi fu un lungo silenzio, interrotto
soltanto dal crepitare del respiro di Bruce nella cornetta. Tony si
massaggiò la barba, un gesto abitudinario per scacciare
l’inquietudine.
«Parto appena posso. Cerco di essere lì staser-
cioè, domani,
secondo il fuso orario americano».
Tony sorrise, anche se il dottore non poteva vederlo. «Ti
adoro».
«Ah, no grazie» rifiutò Bruce nel suo
tono più educato e Tony
seppe che anche lui stava sorridendo. «Io non- non con gli
uomini».
«Oh, ma sai che io potrei farti cambiare idea»
obiettò. Quando
il dottore si limitò a ridere di rimando – ridere
come non l’aveva
mai sentito ridere con nessun altro, ridere come, all’inizio
della
loro amicizia, Tony aveva temuto non fosse più capace di
fare –,
l’uomo finse di indignarsi e pretese di congedarlo con un
freddo
“Ti si possa schiantare l’aereo, dottor
Banner”.
Dopo aver terminato la telefonata, guardò il display del
cellulare senza vederlo, perso nei propri pensieri, e si
riscoprì
felice dell’arrivo imminente di Bruce,
così come avrebbe
potuto essere felice di tornare a casa dopo tanto tempo. Non aveva
smesso di sorridere.
«Signore?»
Tony si riscosse e aggrottò la fronte. Di solito Jarvis non
prendeva la parola di propria spontanea volontà, a meno che
non si
trattasse di un’emergenza. Loki.
«Sì?»
«Scusi il disturbo. Vorrei solo avvertirla che-».
Al diavolo l’AI, i suoi convenevoli zuccherosi e la sua
tempistica del tutto inutile. Nel momento in cui le luci si spensero
e la temperatura nella sala scese di almeno cinque gradi, se non di
più, nel giro di un secondo, Tony lo interruppe, seccato:
«Grazie,
Jarvis, di essere sempre così puntuale
nell’aggiornarmi».
Jarvis suonò quasi offeso. Urgeva una
riprogrammazione,
stabilì con decisione Tony. «Scusi,
signore».
«Uhm, non avevo detto che domani c’è
scuola?»
Loki esalò una di quelle sue risatine basse e controllate
che
inevitabilmente provocavano la discesa di un fremito lungo la schiena
di Tony. L’uomo si strinse nelle spalle nel tentativo di
scrollarsi
di dosso quella sensazione. «Non mi piace che non si presti
adeguata
attenzione alla mia persona, Stark».
A Tony quasi cadde la mascella. Di nuovo.
La sua bocca si mosse, ma non ne uscì alcun suono, sebbene
il suo
cervello strabordasse di parole, da “È
una dannata diva”
a “Devo assolutamente parlarne con Thor”
a “È per
questo che è qui?”.
«Non ci credo che hai ideato quest’apparizione
terrificante
solo perché avevo qualcosa di più
importante da fare che non
fosse prestarti attenzione» riuscì a
farfugliare alla fine,
onestamente sgomento. «No, perché, davvero,
è preoccupante. La tua
salute mentale, intendo».
«Ma come sei premuroso». Tony non poteva vederlo,
ma riusciva ad
avvertire il suo sopracciglio inarcato.
«Che tu voglia
crederci o meno, mi aspetto un certo rispetto da una creatura
inferiore e cacciarmi dal tuo laboratorio dopo avermi propinato una
blanda giustificazione non è ciò che io chiamo
“rispetto”».
L’uomo percepì un movimento, ma i passi del
semidio erano
troppo felpati perché fosse in grado di localizzarlo. Era
vicino,
però.
«Okay, primo: non ti ho “propinato una blanda
giustificazione”
– che poi, a quando risale questo gergo, mio signore?
Fury
mi avrebbe davvero fatto a pezzi se non avessi
avvertito Doc,
quell’uomo non scherza, non ricordi la volta in cui ti ha
minacciato che un giorno ti saresti pentito d’averlo reso
disperato
e- e, beh,» esitò, rendendosi conto troppo tardi
dell’errore «non
hai conquistato la Terra. Sì, ecco».
Alle sue spalle, Loki non replicò, ma si spostò
di nuovo
nell’ombra, ancora più vicino. Il silenzio
sbocciò tra loro, un
fiore carnivoro dai petali rossi come il sangue.
Tony era teso, ma non aveva idea di come scusarsi per aver
ricordato al semidio che non era divenuto il padrone del mondo. Non
era nemmeno convinto di doversi scusare, sarebbe
stato
piuttosto paradossale. “Mi dispiace di averti
impedito di
mettere in ginocchio la razza umana”. Disturbante.
«Rispondi a una domanda, Stark». La voce di Loki
era bassa e
suadente, il suo respiro una brezza calda sulla nuca di Tony, il suo
petto – ancora nudo, registrò un lato di lui di
cui avrebbe
preferito rimanere ignaro –, una presenza improvvisa e
possente
contro la sua schiena. «Sii sincero con me e forse ti
lascerò in
vita».
Mi sembra un ottimo compromesso, commentò
tra sé Tony, ma
si morse un labbro per non pronunciare quelle stesse parole ad alta
voce e attese, immobile, congelato sul posto. Non metteva in dubbio
che il semidio avrebbe potuto tagliargli la gola con un solo gesto;
non che prima lo sottovalutasse, ma era molto più semplice
sentirsi
minacciato, dopo che l’aveva sorpreso alle spalle senza che
se ne
accorgesse.
«Non ti ricordi proprio nulla di ieri sera?»
In un qualche angolo malato della sua mente, l’uomo si
aspettava
quella domanda. Quale fosse quell’angolo, non gli era dato
saperlo
e probabilmente era meglio così. Salute mentale.
A livello inconscio soppesò l’idea di mentire, ma,
se avesse
tentato, Loki avrebbe saputo di avere ragione e ne avrebbe
approfittato per schernire il suo inutile tentativo di raggirare il
Dio dell’Inganno.
Infine esalò una risposta sottile come un sospiro, come un
filo
di fumo. «Mi ricordo».
Contrariamente a ogni sua previsione – ognuna delle quali
coinvolgeva una tortura differente –, il semidio
soffocò una
risata e lo abbandonò nell’oscurità del
laboratorio vuoto e
spento con un’unica parola, che poteva essere una promessa
come una
minaccia, ma senza dubbio non una spiegazione.
«Ottimo».
L’uomo rilasciò il fiato in un respiro greve e
appoggiò
d’istinto il palmo della mano sul reattore arc. Era ancora al
suo
posto, lui era ancora vivo. Andava ancora tutto bene.
«Grazie della tempestività, eh, Jarvis»
sibilò in tono amaro.
L’AI scelse saggiamente di tacere.
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