Ehm... Salve a tutti!
Complimenti per aver avuto il coraggio di aprire questa pagina ^^ Be',
in realtà non ho molto da dire... Ho avuto un'illuminazione
ehm, allucinazione improvvisa e ho deciso di cimentarmi in questo
obbrobrio unico, mentre ascoltavo spasmodicamente la sigla di Hakuouki
Reimeiroku *^*. Per il momento è una OneShot, ma se ne
avrò voglia (e
se ne sarò in grado) la trasformerò
in una long fic (tremate).
E' solo un esperimento *continua a ripeterlo per giustificarsi
a scopo puramente informativo*, sono ancora troppo poco allenata a
scrivere pezzi di riflessione!
Ok, tecnicamente non dovevo avere molto da scrivere, ma mi sono
lasciata andare. Scusate!
Buona lettura
Bea^^
Watashi no kakujitsu 私
の 確実 - La mia certezza
Chizuru
era stanca. Stanca dei colpi di cannoni che le
esplodevano nelle orecchie, tappandogliele. Stanca del continuo
trascinarsi su
e giù per i sentieri appena tracciati del bosco dove lo
aveva baciato per
l’ultima volta. Stanca di ripetersi che era sola, che nessuno
sarebbe più tornato.
Stanca di sentirsi rimbombare nella testa un pensiero terribile, eppure
vero. Lui non c’è
più. Non tornerà più.
Rimarrà
per sempre immobile, e freddo.
Raggiunse
un paese all’alba, dopo aver vagato per tutta
la notte con la mente completamente vuota.
Un
paese piccolo, non certo una città, ma gremito di persone
con un
futuro. Un futuro che a lei era negato. Tutti coloro che aveva
conosciuto erano
morti. Non ci sarebbero più stati pattugliamenti con Saitou
che la salvava ogni
volta che si metteva nei guai, nè i momenti di imbarazzo
dovuti agli scherzi di
Okita. Harada e Shinpachi non avrebbero più fatto battute
salaci per poi
chiederle scusa, Heisuke non avrebbe più parlato con lei.
Kondou non le avrebbe
più sorriso con riconoscenza davanti ad un tè
caldo arrivato dopo una giornata
particolarmente lunga.
Ma
soprattutto lui
non l’avrebbe più guardata con quello sguardo duro
e autoritario, o con uno dei
suoi rari sorrisi dolci. Non l’avrebbe più
baciata, non si sarebbe mai più
appoggiato a lei per sostenere le responsabilità che gli
gravavano addosso.
E
pensare che sembrava quasi che le cose si stessero sistemando.
Sotto quel ciliegio, quando lui aveva riaperto gli occhi dopo aver
ucciso
Kazama, quando aveva pronunciato il suo nome... Si era illusa di poter
scappare,
di poter iniziare a vivere una nuova vita. Se l’era caricato
sulle spalle con
una forza che non credeva di avere e aveva cercato di raggiungere
proprio il paese in cui ora stava entrando.
Mentre
lottava per non farsi sconfiggere dalla fatica e dalla
sua debolezza di donna, aveva provato a pensare ad una vita normale:
dei figli,
una casa, lui che tornava stanco
dopo
una giornata di lavoro, lei che gli preparava la cena, felice,
perchè lui era al
sicuro, perchè non doveva più
misurarsi con la battaglia.
Aveva
ripreso forza, aveva aumentato il passo,
rassicurandolo sulla vicinanza della loro meta. Lui
aveva sorriso, stanco e pallido, si era fidato e aveva tentato
di camminare un po’ sulle sue gambe. Sciocco orgoglioso. Non
voleva lasciare
tutta la fatica ad una donna. Anzi, alla sua
donna.
Perchè
era così che Chizuru si sentiva: era sua e di nessun
altro. Durante i consigli di guerra, durante le rare feste organizzate
per cercare
di dimenticare la fine sempre più vicina, lei se ne stava in
un angolo e taceva.
Ma teneva il mento sollevato con orgoglio, perchè lei era la
sua assistente, ma soprattutto, la
donna
che lui aveva scelto. In quelle
occasioni si sentiva al posto giusto, perchè aveva un ruolo.
Avevano
camminato per quasi due ore, fermandosi di tanto in
tanto quando sentivano di non potercela più fare senza un
minimo di riposo, poi
era arrivato quello che avrebbe dovuto essere il momento peggiore: per
arrivare
al paese, avrebbero dovuto sfiorare una parte del fronte, dove si
combatteva ancora. Chizuru aveva sentito con sgomento i colpi di armi
da fuoco
diventare sempre più nitidi.
Si
erano mossi il più silenziosamente possibile, tenendosi
bassi tra i cespugli del sottobosco. Avevano temuto più
volte di essere
scoperti, ma la fortuna pareva essere dalla loro parte. Ormai tra
alleati e
nemici non faceva più differenza: non era dagli imperialisti
che scappavano, ma
dalla guerra. Avevano raggiunto entrambi il limite e lo sapevano. Forse
non era
un comportamento onorevole, ma a tutti e due serviva del tempo per
recuperare
le forze, sia fisiche che mentali.
Superata
la zona più critica, avevano tirato un sospiro di
sollievo. Be’, in verità solo lei,
perchè lui
era troppo orgoglioso anche per una cosa del genere. Avevano ripreso a
camminare in fretta, o meglio, a zoppicare in fretta. Nonostante le
ferite, si
sentivano quasi al sicuro. Poi si era sentito uno sparo molto vicino.
Chizuru
si era guardata intorno, allarmata, ma ormai era troppo tardi: il suo corpo era diventato improvvisamente
pesante e le era scivolato giù dalla spalla.
Aveva
urlato, lo aveva chiamato, ma lui
era riuscito solo a sussurrare un lieve Arigatou,
mentre i suoi occhi si chiudevano per sempre.
Ci
aveva messo diversi minuti per realizzare quello che era
appena successo. Sentiva il cuore rallentare. Era stato tutto troppo
improvviso, a freddo, non poteva essere successo davvero. Lui
era sopravvissuto a
tutti i suoi compagni, anzi, era sopravvissuto grazie a loro, lui aveva condotto innumerevoli
battaglie, lui si era guadagnato il
rispetto di un Oni e l’aveva ucciso. Non poteva morire in
quel modo. Non poteva
morire. Punto. Doveva vivere, doveva vivere per lo Shinsengumi, per il
bushido,
per Kondou, per tutti i suoi compagni e amici. Per lei.
Invece
era morto davvero.
Chizuru
aveva ancora alcuni soldi in tasca. Li usò per
pagarsi una modesta stanza in una locanda nella via principale. Dovette
contrattare
per un po’ sul prezzo, perchè il proprietario
vedendo una donna da sola pensò
di approfittarne e di farsi dare un po’ di più.
Lei però non si fece
imbrogliare: gli sbattè la giusta cifra sul tavolo al quale
era seduto e se ne
andò nella sua stanza con un insolito passo marziale. Non
riuscì a spiegarsi il
perchè del suo comportamento: forse era rimasta per
così tanto tempo insieme a
uomini che la rispettavano nonostante il suo sesso che ormai lo dava
per
scontato. Avrebbe dovuto invece ricordare che adesso era solo una donna
non
sposata senza un posto dove andare.
Quando
arrivò alla camera, rimase a lungo sulla soglia ad
osservarne l’interno. Era così che lei immaginava
la stanza di una casa abitata
da persone tranquille e ordinarie. Se lui fosse stato ancora vivo,
forse
qualche mese dopo avrebbero potuto davvero vivere in un posto come
quello,
semplice ma pulito.
Contemplò
a lungo l’ambiente, ma non riuscì ad entrarvi e
uscì dalla locanda sotto lo sguardo stupito del proprietario.
“Non
siete soddisfatta della stanza, musume - san?”
le chiese con ironia l’uomo, toccandosi i baffetti
unti con le dita “Forse non è adatta alle vostre
attività?”
Chizuru
lo guardò freddamente, ignorando l’ultima frase.
“Ritornerò questa sera” disse
controllata, quasi con aria di superiorità. Si
domandòcome avesse fatto ad uscirle una voce del genere. In
un altro frangente
gli avrebbe risposto appassionatamente per le rime.
Si
incamminò con questo interrogativo ancora in mente, ma
poi dovette accantonarlo per pensare a cose più concrete,
ovvero il fatto che
le servisse al più presto un kimono da donna. Le sarebbe
andato bene qualunque
abito pur di togliersi i vestiti da battaglia che indossava. La
spiegazione
ufficiale che si diede fu che una ragazza con i pantaloni dava troppo
nell’occhio, ma la verità era che voleva
sbarazzarsi al più presto di tutto ciò
che le ricordava il capitolo della sua vita che si era appena concluso.
Almeno
delle cose concrete. Sapeva benissimo che i ricordi sarebbero tornati a
visitarla anche solo alla vista di una haori blu, o più
semplicemente di una
spada. Lei però doveva farci i conti perchè anche
dopo tutto quello che era
successo, anche dopo tutto quello che aveva perso, voleva
vivere.
La
vita le era ancora preziosa, come quella notte in cui era
iniziato tutto.
Il
primo negozio che vendeva anche abiti che trovò fu una
minuscola bottega stretta tra due case piuttosto ambigue,
coraggiosamente
gestita da una donna con il doppio dei suoi anni. Aveva un neonato
appeso alla
schiena grazie a due strisce di stoffa e la accolse con il sorriso di
chi è
abituato a servire ogni cliente che avesse bisogno di lui.
“Allora,
signore... In cosa posso esserle utile? Un regalo
per la vostra bella?”
Da
non credere: l’aveva scambiata per un uomo? Nel passare
di fianco ad una notevole serie di ekagami , Chizuru si
specchiò
frettolosamente. Quella donna in effetti non aveva tutti i torti: le
sue guance
erano imbrattate di polvere e fango secco e gli occhi privi di luce.
Nel
complesso sembrava un ragazzo molto femminile o una ragazza davvero
brutta.
Decise
di dire la verità, anche perchè sarebbe stato
imbarazzante o quantomeno difficile fingersi un uomo in cerca di regali
per la
fidanzata. Fece un bel respiro e si preparò alla prevedibile
reazione che
avrebbe avuto la mercante..
“In
realtà sono una donna” disse senza esitazione. Di
nuovo
le era venuto in soccorso quel tono freddo e distaccato che le aveva
permesso
di liquidare il locandiere. Dovette ammettere che sebbene non si
sposasse bene
con la sua personalità, le era davvero utile.
La
donna intanto stava cercando di assimilare la cosa.
“Una... Donna?” chiese a stento, portandosi una
mano al petto come se si fosse
trattato di una notizia terribile e sconvolgente “Una donna
vestita come un
soldato?”
In
realtà la sua reazione era più che comprensibile:
le
donne vestite da soldato potevano fare solo un tipo di lavoro, ovvero
portare
uno spiragli di amore e femminilità in una truppa con il
morale basso. Detto in
altri termini, cortigiane.
Chizuru
pensò di inventarsi qualcosa di plausibile per
fugare ogni sospetto sul suo lavoro e sulla sua filosofia di vita, dato
che in
quella giornata la proprietaria del negozio era la seconda a capire
male. In
pochi istanti la sua storia era già pronta.
“In
realtà questi abiti erano del mio promesso
sposo...”
mormorò sommessamente. Le vennero le lacrime agli occhi
senza che lo volesse.
“Era un soldato al servizio della nostra nazione... Ma pochi
giorni fa è morto
in battaglia. Ho preso i suoi abiti solo per viaggiare con
più sicurezza...”
Non riuscì più a trattenersi e scoppiò
a piangere. Avrebbe voluto dire che il
suo... Sì, il suo fidanzato era
un
grande samurai, il più grande di tutti, che il suo nome era
Hijikata Toshizou,
ma non poteva: se voleva vivere, e lei lo desiderava davvero, non
avrebbe mai
più dovuto parlare di lui
con
nessuno. Paradossalmente, la memoria di colui che voleva condurla verso
il
futuro doveva essere nascosta per permetterle di averne uno.
“Oh,
mia cara...” boccheggiò la donna “Oh,
povera, povera
ragazza... Sei ridotta peggio di uno straccio... Lascia che ti aiuti:
ti do una
ripulita così puoi toglierti quegli abiti sporchi e
inadatti... E poi puoi
fermarti qui a cena, d’accordo, piccola?”
Chizuru
si sentì davvero commossa da quella proposta, ma
sapeva di non poter accettare: era chiaro che quella donna non aveva
quasi di
che sfamare se stessa e la sua creatura. Non le avrebbe rubato il cibo
che si
stava guadagnando con il suo lavoro.
“Arigatou gozaimasu,
demo... Mi basta un kimono nuovo, davvero signora. Voi siete
così
gentile...”
“No,
no, cara: insisto. Ce l’hai un posto dove dormire,
almeno? Puoi restare qui se vuoi”
Chizuru
scosse la testa. “Dormirò da alcuni parenti.
Vorrei
solo un kimono per non presentarmi così a loro. E un
pettine, se l’avete”
“Ma
certo, tutto quello che vuoi” sorrise con dolcezza la
signora, mostrando poi un’espressione fiera “Il mio
negozio è più che fornito,
non temere”
La
condusse in giro per la bottega e Chizuru si scoprì di
colpo molto interessata agli oggetti della vita quotidiana. Osservava
con
attenzione piatti, ciotole, lampade di carta, zori... Tutto
ciò che le
ricordava la sua vita nel Quartier Generale dello Shinsengumi, prima
che
cominciasse la guerra.
La
proprietaria le mostrò dei bei kimono colorati, davvero
graziosi, ma lei ne scelse uno grigio senza alcun fregio. Non era
dell’umore
adatto per riprovare a indossare vesti davvero femminili.
Si
cambiò dietro un paravento di carta che sarebbe stato in
vendita e mano a mano che gli abiti cadevano a terra le sembrava di
cambiare.
Prima il corpetto, poi gli stivali, le protezioni per le braccia, i
pantaloni e
infine la camicia. Il nastro rosso che teneva annodato intorno al collo
decise
di tenerlo e se lo legò ad un polso. Era un oggetto che lui, nei momenti in cui la sete lo
prendeva, aveva toccato spesso.
La
donna le fornì anche della biancheria pulita e un paio di
geta, così Chizuru potè indossare abiti
completamente nuovi. In verità, la
gonna del kimono la intralciava e sentiva le gambe un po’
troppo nude. Per non
parlare del disagio che provava nel portare calzature così
alte e instabili.
Quando
uscì però, la proprietaria del negozio fece
un’espressione deliziata e le porse uno specchiò
dove guardarsi. “Oh, ma
guardatevi. Siete proprio graziosa. Sono sicura che non avrete
difficoltà a
trovare marito. O alla peggio potreste diventare una geiko... Siete un
po’
troppo cresciuta, in realtà, ma forse...”
Un’altra
valanga di ricordi. Le sere d’inverno passate a
Shimabara, i suoi goffi tentativi di sembrare una geisha, i ragazzi che
la
difendevano da chi allungava troppo le mani, Osen... Già,
Osen... Chissà
dov’erano lei e Kimigiko... Forse le avrebbe riviste. Osen
glielo aveva
promesso. Si rifugiò in questa speranza. Non tutto era
perduto, forse. Forse
qualche brandello della sua vita era recuperabile.
Si
pulì il viso con un po’ d’acqua fredda e
si pettinò i
capelli con un bel pettine preso dalla piccola esposizione del negozio.
Poi usò
il nastro rosso per legarseli in una bassa e sbrigativa coda. Quando si
sentì
pronta, si specchiò di nuovo.
Ora sei una ragazza
normale... disse alla ragazza che la guardava con gli occhi
castani velati
di tristezza.
La
donna protestò un po’, ma alla fine Chizuru
riuscì a
metterle in mano alcune monete per ringraziarla degli oggetti che aveva
voluto
gentilmente regalarle e per il kimono. Dopo qualche minuto di tira e
molla, si
era ritrovata padrona di un pettine, di uno specchio, di un cambio di
biancheria e di un pacchetto di hanao di ricambio per i geta.
Sperò che questi ultimi non le dovessero mai servire*.
La
ringraziò con calore, augurando ogni bene a lei e al
bambino, poi uscì dal negozio con il cuore un po’
più leggero di prima. Aveva
scoperto che al mondo esistevano ancora persone buone e generose,
felici di
aiutare chiunque si trovasse in difficoltà.
Chissà, forse anche lei avrebbe
potuto incontrare qualcun altro così gentile e trovarsi un
lavoro. Non le
sarebbe dispiaciuto, nell’attesa di trovare ciò
che stava cercando. In realtà
però si sentiva persa, come gettata in mezzo al mare senza
nulla a cui
aggrapparsi, e non vredeva capace di sopravvivere completamente sola.
“Neh,
musume –san,
dove state andando tutta sola?” schiamazzò una
roca voce maschile.
Chizuru
si voltò di scatto e vide un gruppetto di uomini ubriachi
fuori da una delle due case accanto al negozio dove era stata. In
effetti le
erano sembrate fin da subito posti malfamati. Riprese a camminare
più in
fretta, ma i geta non le permettevano di muoversi come avrebbe voluto.
Sentì
dei passi dietro di sè, ma non si fermò ad
indagare, fino a che una mano non le
afferrò bruscamente il colletto del kimono.
“Non
è educato non rispondere, musume
– san...” la rimproverò la
voce di prima, venata di
divertimento.
Si
voltò per ritrovarsi davanti il volto disgustoso di un
uomo di quarant’anni. Gli diede uno schiaffo dritto in faccia
e lo costrinse a
lasciarla.
“State
lontano” ordinò con freddezza.
“Ma
come? Io mi preoccupo per voi, bella mia” rise
l’uomo.
Intanto anche i suoi compari si erano avvicinati, come cani randagi
attorno
alla preda.
Qualcunò
la spintonò. Il pacchetto che teneva sottobraccio
cadde a terra, aprendosi. Lo specchio si ruppe. Già,
ricordò Chizuru, oltre
alle persone buone c’erano anche quelle cattive. Che erano
molto più numerose.
In quel momento avrebbe voluto avere la sua kodachi...
Ricordò che l’aveva lasciata nel negozio e si
diede della stupida.
Nel
frattempo la comitiva di ubriachi continuava a toccarla
e a gridare oscenità. Si chiese se per la strada non stesse
passando proprio
nessuno. Sperò che la donna che l’aveva aiutata
non uscisse attirata dal
rumore. Non doveva accaderle nulla per colpa sua.
“Ehi,
donna, per caso sei fidanzata? No, perchè un
pensierino su di te me lo farei...”
Chizuru
cominciò ad indietreggiare per allontanarsi il
più
possibile da quella via, ma dopo qualche passo la sua schiena
urtò qualcosa di
duro. Ma come, qualcuno era riuscito a portarsi dietro di lei senza che
se ne
accorgesse? Sentì un braccio circondarle le spalle e una
mano fredda
appoggiarsi al suo braccio.
“Questa
è la mia donna” fece una voce che conosceva bene
“La
cosa vi crea problemi?”
Alzò
il volto e incontrò proprio quello che si aspettava:
due occhi di un rosso inquietante e ciocche di un biondo insolito.
“Ka-Kazama
– san?” mormorò a mezza voce, attonita.
Aveva
visto lei stessa il suo cadavere. Aveva visto la sua
spada trapassargli il petto. Non poteva essere vivo.
“Cosa
credevate? Gli Oni non muoiono per così poco”
ribattè
lui, quasi scocciato, per poi rivolgersi agli uomini che la stavano
importunando “Fuori dai piedi” ordinò
con flemma.
Quelli
lo guardarono con stupore per alcuni istanti, ma poi
reagirono. Uno di loro si slanciò in avanti con una mano
chiusa a pugno, già
pronta a colpire, ma Kazama non si spostò di un millimetro.
Alzò una gamba e
gli sfondò quasi la cassa toracica. Il rumore delle costole
che si spezzavano
fu sufficiente perchè gli ubriachi arretrassero di alcuni
passi, mormorando
spaventati.
“Finito.
Possiamo andare” fece Kazama, impassibile.
Chizuru
in quel momento si accorse che gli si era stretta
addosso in modo abbastanza imbarazzante, prendendogli tra i pugni parte
del
cappotto occidentale. Lo lasciò come se scottasse, rossa in
faccia, e si chinò
per raccogliere gli oggetti che le erano caduti. Lui la
guardò con aria
interrogativa mentre rifaceva con attenzione il suo fagotto.
“Andiamo”
convenne Chizuru quando ebbe finito.
Due
minuti dopo erano in una delle strade più affollate del
paese, piene di gente che andava e veniva o urlava per richiamare
l’attenzione
sulle proprie merci.
“Non
mi aspettavo di trovarvi qui, Yukimura Chizuru”
commentò in modo neutro Kazama.
La
ragazza trovò strano che fosse lui ad intavolare una
conversazione, ma annuì. “Non avevo altro posto
dove andare”
“Perchè
avete lasciato la vostra kodachi in
un posto come quello?” le chiese l’Oni in tono
quasi
accusatorio, estraendo dalla cintura la corta spada e porgendogliela.
“L’ho
dimenticata” confessò con vergogna Chizuru,
prendendola tra le mani e stringendola con forza.
Per
un po’ non ci furono altri scambi di parole. Chizuru era
più che imbarazzata, come ogni volta in cui stava con
Kazama. Insomma, lui non
era una compagnia molto semplice e aveva detto chiaramente che avrebbe
voluto
sposarla per avere un figlio. Lei aveva sempre rifiutato con decisione,
ma in
quel momento tutte le sue certezze erano in frantumi e stare con Kazama
era
quasi più semplice.
Continuarono
a camminare fino a che non uscirono dal paese e
si addentrarono nei campi coltivati lì attorno.
C’era un silenzio pieno e
perfetto, rotto ogni tanto da una folata di vento che scuoteva le
fronde degli
alberi. L’aria era bassa e pesante nonostante fossero
nell’Hokkaido.
Chizuru
non sapeva perchè lo stesse seguendo. Le era venuto
istintivo, naturale. Kazama era un pezzo della sua vita precedente,
nonostante
non evocasse ricordi piacevoli. E lei aveva bisogno di qualcosa di
conosciuto,
anche solo per poco. Aveva bisogno di convincersi che non era stato
tutto un
sogno.
Ad
un certo punto, l'Oni si fermò di colpo e si
voltò verso
di lei. Sul suo volto aleggiava il leggero sorriso che aveva spesso.
Le
tese la mano.
Chizuru
capì che era un invito. Un invito per una vita che
non aveva mai voluto, ma che in quel momento forse...
Non
poteva sperare di cavarsela da sola, non lì. Se fosse
stata ad Edo, sarebbe potuta andare nella sua vecchia casa. Persino a
Kyoto
avrebbe avuto qualche possibilità, con un po’ di
fortuna. La verità era che
però non aveva proprio idea di come andarci. Le dicevano
tutti che era una
donna forte, determinata, ma senza nessuno che potesse fungerle da
appoggio era
completamente impotente. Anche se avesse trovato un lavoro, non avrebbe
saputo
dove vivere nel frattempo. Forse ad Ezo... Poteva proporsi come serva e
abitare
nella casa di qualcuno. Ma era davvero quello che voleva? Ce la poteva
davvero
fare? Per vivere le servivano delle certezze e lei non ne aveva
più. Forse.
Non
prese la sua mano, ma avanzò fino a che non si
ritrovò
costretta ad alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi.
Annuì in silenzio.
Avrebbe
vissuto. Nessuno gliel’avrebbe impedito. E Kazama
Chikage era l’ultima certezza che le era rimasta.
Ok,
e ora i significati dei nomi messi solo per soddisfare l'ego
dell'autrice =)
haori
= casacca (ovvio -.-)
ekagami
= specchi
geta
= le scarpe tradizionali giapponesi, quelle alte
hanao
= il laccio dei geta (*rompere gli hanao porta sfortuna)
Arigatou gozaimasu, demo... -
Grazie mille, ma... Questo l'ho voluto inserire
perchè è uno dei punti forti di Chizuru u.u
Grazie
per l'attenzione e per essere arrivati fino a qui!
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