The Seventh
PARTE 1: Becoming.
PROLOGO
Pleased to
Meet You, Hope you Guess my Name.
E' iniziato
tutto...
Da dove? Sono poco lucida in questo momento,
sto scivolando lentamente verso qualcosa di fresco e buio e i miei pensieri sono distratti da una fitta allo
sterno ogni volta che respiro.
Eppure voglio
resistere con tutte le mie forze. Che non si dica che GreyRaven sia morta senza
lottare sino all'ultimo. La resa non è mai stata un'opzione selezionabile dal mio punto di vista.
E quindi devo
mantenermi vigile. Ci sono tonfi e grida, rumori di crolli e di esplosioni al
di fuori di queste mura crivellate. Sarebbe così semplice chiudere gli occhi e
lasciare che i polmoni si fermino, anche solo per un attimo a riprendersi, che
sono ormai stanchi di muoversi tra le fitte.
No, Addison,
mantieniti vigile. Pensa a qualsiasi cosa. Ricordati da dove è
iniziato.
Forza, rispondi
alla domanda: Come hai fatto a ritrovarti qui, in questo stato?
Forse è iniziato
tutto da quando ti sei trovata davanti il Direttore Fury nell'aula di
detenzione del liceo?
No, anzi.
Diciamo che è iniziato tutto quando il libro di scienze mi ha preso fuoco da
sotto il braccio, davanti a metà corpo docente. Fuoco grigiazzurro, per la
precisione.
Che poi è il
motivo per cui mi sono ritrovata davanti a Nick Fury.
Anzi no, non è
vero. E' iniziato tutto da una ragazza su un letto d'ospedale, la sacca per la
trasfusione del sangue nel braccio sinistro e due buchi lividi sul lato destro
del collo. Da qui si sono scatenati gli eventi che hanno portato il mio libro
di scienze a prendere fuoco da sotto il mio braccio e poi a ritrovarmi in aula
detenzione davanti ad un Nick Fury incuriosito.
No, non è
neppure quello l'inizio. Quello semmai è il punto di svolta della mia
esistenza.
L'inizio di
tutto questo sono due occhi rossi come tizzoni ardenti che si voltano
lentamente verso di me. Verso una bambina incastrata tra le lamiere di un'auto.
Al momento
preferisco pensare al punto di svolta, piuttosto che al punto d'inizio. E’ più
piacevole, in fondo.
All'ultimo Liceo
che ho frequentato non ero una cheerleader, ma ero popolare. Non so
neppure bene io il perché: i ragazzi mi reputavano carina e alla
mano e le ragazze simpatica e innocua.
La mia migliore
amica Valerie era una cheerleader. E una sera, tornando a casa da un
allenamento finito poco prima di cena, è stata aggredita nel parcheggio della
scuola: l'hanno ritrovata agonizzante le sue compagne di squadra. Nessun segno
di violenza, a parte due buchi sul collo e molto sangue in meno.
Come nel
migliore cliché di un film horror studentesco, la polizia cercava l'aggressore
tra i vivi senza credere all'esistenza di altro. Due buchi sul collo, tanto
sangue in meno. Un vampiro, che altro vuoi che sia?
Beh, diciamocelo:
quanto è credibile la storia del vampiro? Nulla, ci arrivo pure io.
Eppure... eppure
c'era qualcosa in me che mi portava a credere fosse vera.
Era la stessa
sensazione di sensibile fastidio di quando una crosta viene tolta dalla
ferita prima che si sia completamente cicatrizzata. La ferita non è aperta, ma
l'epidermide sottile e fragile acuisce le sensazioni al tatto.
Era la stessa
percezione che avevo colto l'attimo prima che l'auto si ribaltasse e mi
ritrovassi ad urlare tra le lamiere contorte scrutata da uno sguardo di fuoco,
tanti anni prima. Un'increspatura nell'aria, mi era sembrata all'epoca.
Dovevo esternare
quello che provavo e non starmene con le mani in mano. Di certo non lo potevo
fare con chiunque ma sentivo di aver bisogno di non agire in solitaria. Scelsi
bene la mia squadra: Il mio vicino di casa nerd senza speranze, la sua
ragazza goth patita di Buffy l'AmmazzaVampiri e il capo del club cattolico
della scuola.
Sinceramente,
quest'ultimo l'avevo scelto per mio mero diletto: i giocatori di football
avevano messo in giro la diceria che avesse il pene più grosso della scuola. Ma
essendo ultrareligioso, non l'avrebbe riposto tra le grinfie di una ragazza
senza che prima si fosse sposato. Prima che finisse su di un letto d’ospedale
avevo scommesso con Valerie che gli avrei fatto cambiare idea. Riesco
sempre a convincere le persone, è una delle mie abilità.
E poi un vergine
nella squadra tornava sempre utile, quando si trattava di vampiri. Bela
Lugosi docet.
La farò breve:
capito chi era (Una goth e un hacker insieme sono una spettacolare squadra di
ricerca) e stabilito un piano, mi sono proposta io stessa di andarlo a stanare.
La certezza di poterlo battere, di essere abbastanza forte mi scorreva nelle
vene e potevo sentire in bocca il sapore della sfida, il gusto del pericolo e
del mistero.
Prima di partire
all’attacco piagnucolai sulla spalla dell'ultrareligioso dicendogli che
temevo per la mia incolumità, essendo i vampiri attratti dalle vergini.
Ehehe, al
risveglio Valerie mi avrebbe dovuto venti dollari.
Si, aveva un
pene notevole. Si, si è accorto che la storia della mia verginità era piuttosto
falsa. Si, gli ho mentito dicendo che dovevo essere stata accidentalmente
deflorata durante una lezione di equitazione.
No, non sono mai
salita su un cavallo ma so mentire in modo convincente e lui era piuttosto
ingenuo.
Ad ogni modo, la
trappola scattò con una puntualità disarmante e mi ritrovai davvero faccia
a faccia con un vampiro.
Dimenticatevi le
fatine sbarluccicanti, i petti lucidi e i vestiti alla moda di quelle mezze
checche di Twilight. Qui avevo davanti un mezzo mostro. Simile al Nosferatu
cinematografico, però con i capelli. E un alito pestilenziale.
Ho sbagliato una
mossa e lui è riuscito a ghermirmi e a mordermi. Al collo, si, cliché
tremendo e prevedibile.
La cosa strana è
stata che però non ho avvertito alcun dolore.
La cosa ancora
più strana, è stato che ho sentito qualcosa dentro di me esplodere e
percorrermi tutto il corpo. E' stata una scossa.
E stato come
spalancare la vetrata di una stanza opprimente su una montagna innevata.
E' stato gelido
e caldissimo insieme. Piacevole e doloroso. Troppo breve e lunghissimo. E
liberatorio.
E subito dopo
avevo la forza di staccargli la testa dal mio collo, scaraventarlo a terra e
prenderlo per la gola. "Hai addentato la mela sbagliata." Qualcosa di
caldo mi è scivolato nelle vene del braccio ed è passato attraverso le mie dita
strette attorno alla sua gola. E l'ha incendiato di fiamme grigiazzurre.
All'ospedale,
Valerie ha aperto gli occhi.
Con calore dalle
ceneri del vampiro sulle mani, mi sono alzata e lo sguardo mi è caduto sul
vetro rotto di una finestra della casa in cui l’avevo intrappolato.
Il mio riflesso
era diverso. I lineamenti erano sempre i miei, ma il mio sguardo era d’oro, la
pelle del mio viso sembrava così bianca e perfetta e le mie labbra avevano
assunto il colore del sangue vivo.
Il morso di
quell’essere sembrava aver risvegliato in me qualcosa di sopito, una forza
affascinante e nascosta che si era rivelata nella mia capacità di scaraventarlo
a terra senza problemi e di incendiarlo con delle fiamme emesse dal mio stesso
corpo. Ero confusa, ma mi sentivo bene. Non provavo paura, sentivo questa forza
mia come se lo fosse sempre stata. E forse lo era.
La mia squadra
mi ha accompagnato a casa, trattandomi da eroina. L'ultrareligioso voleva prima
portarmi da un esorcista ma davanti al mio sguardo schifato è andato
ad accendere un cero in chiesa a ringraziare qualche santo a me sconosciuto e a
chiedere perdono per aver ceduto alle tentazioni della carne.
Sono rientrata
di nascosto in casa, senza accendere le luci per non svegliare nessuno
scivolando silenziosa in camera mia. Solo lì ho acceso la luce della lampada di
fianco allo specchio.
Il mio aspetto
stava tornando quello di prima: gli occhi avevano ancora qualche riflesso
ambrato, ma la pelle era tornata ad assumere un colore normale, le piccole
efelidi sul naso stavano lentamente ricomparendo.
Alle mie spalle,
individuai una sagoma al di là del vetro della finestra.
E un leggero
bussare al vetro: Toc Toc.
Ok, sono
venuti a prendermi. Ho
pensato aprendo la finestra con una spavalderia incauta.
Fuori, seduto
sul davanzale con la schiena appoggiata al muro con noncuranza, c'era un uomo
sulla trentina. La luce fredda del lampione della strada gli gettava addosso
una penombra quasi fatata.
Un uomo che mi
sembrava di aver già visto da qualche parte. Dove?
I capelli scuri
gli cadevano in leggere onde i sulle spalle coperte da quella che sembrava una
casacca cremisi decorata con dei fili d'oro. Gli occhi castani erano venati
della stessa ambra che avevo scorto nei miei qualche istante prima. Mi restituì
lo sguardo perplesso grattandosi il pizzetto scuro. "Posso entrare?"
"Non se sei
un vampiro."
"Ti sembro
un vampiro?"
No, era del
tutto diverso da quello che avevo appena incenerito. Eppure umano non lo poteva
essere: non con quegli occhi e non sdraiato sul davanzale di una finestra a
quindici metri da terra come se nulla fosse. "Palliduccio lo sei."
L'uomo scoppiò a
ridere di gusto e temetti che potesse svegliare il resto della casa. "In
effetti io e il sole non siamo compatibili. Ma se fossi un vampiro non credo
risponderei positivamente alla tua domanda diretta. Ti facevo più sveglia, sai?
Dopotutto, hai appena sconfitto un non morto senza sapere esattamente a cosa
andavi incontro. O sei molto stupida, o sei maledettamente..."
"Istintiva"
suggerisco. Piegando la testa di lato con una smorfia affermativa mi fa capire
di essere d'accordo. "Cosa diavolo mi sta succedendo?"
"Ecco, Diavolo
è una delle parole chiave. E' una storia piuttosto complicata. Non per essere
insistente, ma spiegarla in bilico sul davanzale risulterebbe piuttosto
scomodo."
Gli ho fatto
cenno di entrare che aveva già una gamba al di qua della finestra. "Speravo
che saresti diventata così normale." Sembrava piacergli la mia
stanza. Osservava i poster alle pareti e il caos adolescenziale con vivo
interesse e un sorriso divertivo. "Lieto che tu la sia stata sin'ora.
Peccato che sarai costretta a cambiare..."
"Che vuoi
dire?"
"Che ora
che le porte si sono spalancate e ci hai guardato ciò che nascondevano, non
vorrai mai più chiuderle."
"E questo è
un bene?"
Alzò le spalle:
"Esistono diversi punti di vista. Avrai tempo per costruirtene uno tuo.
Scema non la sei."
Si, era
dannatamente famigliare, eppure non riuscivo ad afferrarne l'identità.
"Chi sei?"
Si avvicinò a me
e mi posò una mano sulla guancia. Ricordo quel contatto come un brivido. Era
qualcosa che andava ben oltre all'essere famigliare. Era un gesto che sentivo
mio dal profondo dell'anima. Il gesto dolce di una notte maledetta. La carezza
di un'ombra alata e alta china su una bambina spaventata.
Occhi ambrati
che avevano appena spento quelli di brace con la lama di una spada.
"Il mio
nome è Amon, Sovrano del Limbo. E tuo cugino, Addison."
Quindi, mi sono
presentata il giorno dopo a scuola con il libro di scienze sotto il braccio e
lo sguardo completamente assente.
Giusto in tempo
per vedere schierato mezzo corpo docente davanti ai miei occhi a chiedermi
notizie.
Notizie? Che ho
scoperto di essere un mezzo-demone, di una stirpe di mezzi demoni nati
dall'incontro di tale demone Astarot con la strega irlandese Morrigan prima
dell'anno Mille, stirpe spazzata via dalla faccia della terra da tale Baal, in modo
da poter avere meno pretendenti al trono degli inferi (pare ci sia stata una
specie di guerra civile, laggiù) a sua volta fatto fuori da Amon, alias mio
cugino di settantaseiesimo grado davanti ai miei occhi la notte della morte dei
miei genitori.
Si, quella
simpatica scena del gigante con gli occhi di brace che tutti gli psicologi
infantili a cui sono stata in cura hanno identificato come una manifestazione
del mio stato di shock indotto dall'incidente automobilistico.
Notizie? Che da
grande voglio fare la psicologa. Mi piace l'idea di essere pagata per sentire
assurdità e dare una spiegazione plausibile farcita di tanti paroloni.
Mi piacciono i
paroloni. Suonano bene. Tra l'altro, sono capacissima di convincere la gente a
fare ciò che dico. Ciò fa di me una Manipolatrice? Ok, vada per la
Manipolatrice, tanto non ho vinto nessuna borsa di studio per pagarmi il
college.
"Addison,
volevamo avere notizie di Valerie." precisa la professoressa di
matematica. Oh, Valerie, giusto.
Cielo, non ho
detto tutte quelle cose prime ad alta voce, vero? Mi agito, e prima che me ne
sia resa conto, ho la stessa sensazione di caldo della sera precedente nelle
vene. Prima che possa fermarla è passata alle mie dita e al libro di scienze.
Che prende
fuoco. Fuoco Grigiazzurro, appunto. E si scatena il putiferio.
All'ultima ora
sono nell'aula di detenzione, da sola. Scommetto che la scuola abbia già
avvisato i miei genitori affidatari e che stasera mi faranno una bella lavata
di capo. Mi alzo dal banco e ciondolo verso una pila di libri su un tavolo. Ne
scartabello qualcuno, ho bisogno di evitare di pensare, che le ultime
ventiquattro ore sono state piuttosto incasinate. Tra i libri trovo un fumetto
degli X-men, probabilmente confiscato da qualcuno. Ho uno scatto di stizza e lo
lancio fuori dalla finestra, nel cortile.
Poi prendo il
primo libro che mi capita, Racconti della Civiltà Norrena, e ritorno al
banco. In realtà non riesco a leggere, ho la testa che vaga da tutt'altra
parte, ma un libro in mano mi da un tono e chiunque entra da quella porta vedrà
la solita Addison che, insolitamente in detenzione, passa il tempo nel modo
migliore che si possa richiedere.
Ed infatti
qualcuno entra.
"Miss
Addison Borgo?"
Alzo gli occhi
dal libro per trovarmi davanti un uomo vestito di nero con un lungo cappotto
che gli arriva sotto le ginocchia un occhio bendato. Appoggio il libro sul
banco senza riuscire a trattenere un sospiro.
Con l'andazzo di
questi giorni, non farei fatica a credere di trovarmi davanti al cosplayer guercio di Blade. O alla Morte
in persona. "Lei non mi sembra uno dei servizi sociali."
"Dovrei
esserlo?"
"I miei
genitori affidatari sono piuttosto severi in materia scolastica. Aver saputo di
una detenzione potrebbe indurli a richiamare i servizi sociali e farli cercare
un'altra famiglia per me." cerco di assumere un tono a metà tra
l'innocente e lo sconsolato. L'uomo alza un sopracciglio. "Un'altra
ancora?"
Ah, ecco. Se
conosce tutta la storia delle mie famiglie affidatarie, allora è davvero dei
servizi sociali. Chissà come si è giocato l'occhio. Rissa tra divorziandi? Alzo
le spalle, come se non potessi farci niente.
L'uomo si
avvicina con studiata lentezza e prende una sedia. "Posso sedermi?"
chiede avvicinandola al mio banco.
"Siamo in
una scuola pubblica, io non posso impedirglielo."
L'uomo si siede,
aggiustandosi il cappotto. Mi studia con lo sguardo e io lo sostengo. "Non
mi ha ancora detto il suo nome. Sarebbe così cortese? In fondo lei conosce il mio."
Fa un mezzo
sorriso, qualcosa di non molto decifrabile e neppure troppo tranquillizzante.
"Il mio nome è Nick Fury."
Mi scappa una
mezza risata, mentre incrocio le braccia. "Mi perdoni, ma ha l'aspetto e
un nome da rockstar, più che da servizio sociale."
"Non sono
dei servizi sociali, Miss Borgo." Risponde senza sorridere. Ecco, ora ha
stimolato la mia curiosità. Faccio per aprire la bocca e riempirlo di domande,
ma lui mi precede. "Il motivo della sua detenzione è piuttosto
inusuale, non trova Miss Borgo?"
Diretto al
punto. "Se devo andare in detenzione, ci vado con stile."
Ancora quel
mezzo sorriso. "Emettere fiammelle azzurre ha indubbiamente un suo
stile."
"Grigiazzurre,
per la precisione."
"Giusto. Ed
è una cosa usuale, per lei? Voglio dire, è il motivo per cui ha cambiato sei
famiglie affidatarie negli ultimi tredici anni?"
Mi raddrizzo
sulla sedia e allungo le braccia sul banco, le dita delle mani intrecciate.
Questa mia posa vedo che suscita un guizzo d'interesse nel suo occhio scuro. So
come trattare questo argomento. So come non passare per la vittima delle
circostanze, ma neppure sembrare una menagramo: "Se lei dovesse pensare a
cinque singole parole che descrivono la famiglia, quali sarebbero?"
L'ho preso alla
sprovvista, e mi sembra piacevolmente colpito. Ci pensa un po' su. "Non
sono molto esperto in materia." ammette. "Ma direi... bah!
Calore. Somiglianza. Uhnm... Sincerità, forse. Sicurezza.
Appartenenza."
"Appartenenza."
questa volta sono io a sorridere. "Che bella parola. Difficile quando
emetti fiammelle grigiazzurre dalle dita trovare una famiglia in cui sviluppare
un senso d'appartenenza. Lasciamo pur stare la Somiglianza."
In realtà ho scoperto il giochetto delle fiammelle solo ieri sera, ma questo
Nick Fury non può saperlo. E d'altronde, la mia è una mezza verità: ho sempre
chiesto di cambiare la famiglia affidataria non perché avessi dei problemi (a
parte con una, se devo essere sincera), ma perché non riuscivo a trovare nulla
da condividere con loro.
Ho imparato
tanto da tutte quante. Ho avuto genitori affidatari hippies, artisti,
professori universitari di letteratura, sportivi, esteti. Ho preso da loro le
nozioni principali delle loro passioni, quelle che ci tenevano tanto a
tramandare ai figli, e le ho sviluppate per mio conto. Sono molto veloce
nell'apprendere.
"Miss
Borgo…"
"Mi chiami
Addison"
"Addison,
allora. Perché non mi racconta come è andato l'incidente in cui sono morti i
suoi genitori?" Deglutisco e faccio per aprire la bocca per raccontare
quello che hanno cercato di mettermi in testa tutti quanti, in questi anni, e
cioè che ricordo solo uno schianto fortissimo e nulla più, ma lui mi precede di
nuovo: "Realmente"
"Realmente?"
Mi sfugge una risata: "Non credo sia possibile quello che ho visto, per
tanto le darò la spiegazione più plausibile se non le spiace.”
"Plausibile
come delle fiammelle grigiazzurre?"
Touché. Ok, se vuole la versione splatter
dell'evento, l'accontenterò. Cerco di apparire distaccata anche se dentro sono
un tumulto: "Ricordo di aver avvertito che stava per capitare qualcosa e
subito dopo uno schianto su un lato dell'auto. Non so chi o cosa fosse: era
buio e fuori pioveva a dirotto. L'auto ha iniziato a rotolare di lato e io ho
perso i sensi. Quando li ho riacquistati, la prima cosa che ho visto è stato il
corpo di mia madre steso sulla strada, decapitato: non hanno mai ritrovato la
testa. E poi c'era...” Questa parte mi è sempre stata molto difficile da
descrivere. L’ho disegnata, un paio di volte e per un paio di psicoanalisti,
che ovviamente hanno convento all’unisono che tale ‘cosa’ era talmente
irreale da dover per forza essere un frutto della mia mente traumatizzata. “Lei
ha visto Il Signore degli Anelli? Ha presente il Balrog?" Nick Fury
annuisce non molto convinto. "Ecco, era una cosa molto simile. Teneva mio
padre alzato per un braccio e... e l’ha… squartato” Deglutisco e prendo
un bel respiro; per quanto ci provi, rimanere distaccata dal racconto è
pressoché impossibile: “Ricordo di aver urlato. Di aver gridato con tutta la
forza che avevo in corpo, e che cercavo di scappare. Ma ero incastrata tra le
lamiere dell'auto. Il...coso ha gettato via i resti di mio padre e mi
ha... guardato." Deglutisco di nuovo: sento la gola riarsa e non so
cosa darei per avere un bicchiere d'acqua. Tutto d'un tratto l'odore di sangue,
fumo e carne bruciata mi torna tutto nelle narici. L'odore della morte. L'odore
della mia paura. Lo sguardo di Fury mi incalza a continuare. "Si stava
avvicinando per prendermi, quando dal nulla è stato colpito e scaraventato a
terra. Era... un demone, si. Con le ali e il resto, e una spada lunga e dorata.
Hanno iniziato a combattere, e mentre lo faceva una donna mi ha liberato dalle
lamiere."
"Una donna normale?"
Scuoto la testa:
“Ha piegato le lamiere come fossero di cartone. Aveva dei capelli dorati
lunghissimi, mi ricadevano tutti addosso. Mi ha tenuto al sicuro finché il
demone ha ucciso quel coso che assomigliava al Balrog. Poi lui è venuto da me e
mi ha accarezzato. E poi lì sono svenuta, davvero."
"Sai chi
era?"
Resto un attimo
in silenzio, indecisa se mentire o meno. Poi penso che tanto valeva, prendermi
per pazza prima o dopo ormai non aveva più nessuna importanza. "Il suo nome è Amon, ed è il Re del
Sottomondo, l'Anticamera degli Inferi. La donna è sua moglie, si chiama
Erzsebet”
"Il
Sottomondo?"
"Si, il
Limbo. E' che Re del Limbo suona ridicolo, non trova?"
Nick Fury
sogghigna.
"Ed ora, se
non le spiace, signor Fury... vorrei sapere a chi ho avuto il piacere di
raccontare la mia storia."
E fu così che
venni a sapere dello S.H.I.E.L.D . Ovviamente Fury me lo spiegò
in modo diretto e molto esaustivo. Non è di certo uno che spreca qualche
parola in più del necessario.
Mi
lasciò un cellulare minuscolo, dicendomi che quello non mi avrebbe
intercettata nessuno che aveva un'unica linea diretta con lui, e che
mi dava comunque la libertà di scelta sull'entrare a fare parte dello
S.H.I.E.L.D. o meno, una volta raggiunta la maggiore età.
Non credo che ce
l'avessi davvero, tuttavia. Una volta scoperta mi avrebbero tenuta sott'occhio
comunque: le mie capacità potevano essere un’arma pericolosa che non potevano
lasciare andare tanto facilmente. Tanto valeva collaborare, ricavarci un lavoro
e prendere quanto più di positivo si potesse.
Magari una borsa
di studio per l’Università, per esempio.
Al mio
diciottesimo compleanno mancavano solo tre settimane. Quattro, al Prom di fine
anno.
Ecco, appunto.
Il Prom. Croce e delizia di ogni fine carriera scolastica. Quello a cui avevo
partecipato, in ghingheri e contesa tra più ragazzi, aveva preso una piega del
tutto imprevista. Appena dopo l'incoronazione di Valerie e del suo ragazzo a
regina e re del ballo, il mio amico ultrareligioso (che, a differenza della
coppia Nerd-Goth non avevo più frequentato dalla famosa sera) era salito sul
palco per fare un annuncio.
Davanti a tutta
la scuola, aveva confessato il suo peccato carnale con la sottoscritta e mi
aveva chiesto di sposarlo, con tanto di anello.
"Fury,
Fury? Ehm... a proposito della tua proposta... pensavo di accettare. ORA."
"Ottimo.
Qual'è la tua situazione?"
"...di
merda, al momento."
"Una
macchina sarà davanti alla tua posizione tra tredici minuti."
Sette anni dopo,
durante l'annuale brindisi per gli auguri di Natale dello S.H.I.E.L.D., un Phil
Coulson al terzo bicchiere di spumante raccontò di come avesse inchiodato
l'auto, dodici minuti e quarantotto secondi dopo la chiamata di Fury,
davanti alla Kenneth High School in tempo per vedere l'uscita di scena più
bella che mai si potesse vedere in un Prom:
Inseguita da
tutti i partecipanti del ballo, professori inclusi, uscivo correndo dalla
scuola sollevandomi la gonna del vestito viola sopra le ginocchia, mi tuffavo
nella macchina senza controllare chi fosse davvero per poi sporgermi dal
finestrino aperto ed infine puntualizzare, mentre la macchina partiva
sgommando, che la verginità l'avevo davvero persa a cavallo - si, ma di
uno dei compagni di squadra del mio disperato pretendente.
Tutto questo
prima di sprofondare in uno stato di agitazione tale da mettermi a sproloquiare
ad alta voce su tutta quella situazione ed essere talmente fastidiosa da
indurre Romanoff, che in quel momento era sdraiata nel sedile posteriore con
ancora in corpo i postumi di una dose da cavallo di sedativo, a riprendere
di colpo coscienza di sé e tentare di strangolarmi con una cintura di
sicurezza.
Solo un cinque
minuti e sei sbandate dopo riuscimmo ad arrivare ad una tregua: io le offrii le
mie sigarette, lei un sorso di vodka da una fiaschetta che teneva chissà
dove.
Il nostro arrivo
alla base non passò inosservato: Un agente in giacca, cravatta ed aria sfatta,
una rossa assassina russa vestita in una attillata tuta nera ed occhiali da
sole ancora più scuri e una neodiciottenne in abito da ballo scolastico,
claudicante su un paio di scarpe con un tacco rotto.
Clint ammise che
avrebbe dato un rene per essere presente su quell'auto, Maria Hill soffocò una
risata dentro al suo bicchiere di spumante e Fury si prodigò in un sorriso meno
inquietante del solito.
Fu
l'ultimo brindisi di auguri di Natale a cui Coulson partecipò.
Premetto che
non solo è la prima fiction sui Vendicatori, ma anche che li conosco solo
tramite il film e che è la primerrima ficiton che scrivo con un OC come
protagonista.
Con questo
non voglio giustificare oscenità, amenità e pallosamenti vari. Se riuscirete ad
andare oltre ai primi capitoli, probabilmente riuscirete a leggere qualcosa di
originale. Probabilmente, neh.
E’ solo per
mettere le mani avanti.
Giuro che poi
migliora. (...uhnmph.) Vabbè, ci proverò.
Scusate anche
per la lungagghine e per la vaga mignottaggine della protagonista. (Poi
migliora anche questo. Forse)
Mo’ fate
vobis.
EC
PS: la
frase all'inizio la citazione di Sympathy for the Devil dei Rolling
Stones.