We can be heroes.
The Masks
- We can be heroes -
We can beat them
For ever and ever.
Oh we can be Heroes.
Heroes, David Bowie.
“Non
c'è bisogno di giustizia, c'è bisogno di giusti”.
Lo sapeva, lo sapeva che
la giustizia non era relativa e che non era un reale problema in
South Park.
“Ordine e pulizia è tutto
quelle che serve a South Park che -ridicolamente- è la cittadina
dove si è accumulata più feccia che in ogni altro punto del globo”.
Un silenzio eloquente
riempito da pochi sorsi di whisky.
“Hai un piano, no? E' per
questo che mi hai cercato, che hai chiesto di incontrarmi e darti
tutte quelle informazioni sulla società dietro l'Adventure Club”.
Non poteva negarlo, ma
nonostante ormai fosse un adulto avendo diciotto anni suonati, dentro
di lui c'era ancora il cuore di un ragazzino, sentimentale,
nostalgico, che non aveva mai messo da parte i giorni più belli,
quelli della sua infanzia, quelli dove l'uomo seduto davanti a lui
era stato un maestro, un padre e soprattutto un amico.
Decisamente
non era solo una questione di interessi.
“Ho i miei interessi”
rispose pratico “ma quando hai passato la soglia di quella porta,
quasi non sono scoppiato a piangere” era diverso dall'uomo che
ricordava, adesso aveva qualche chilo in meno, ma anche parecchi
capelli grigi e qualche ruga, eppure dopo un abbraccio non aveva
mancato di puntare alla gnocca del locale, ricevendo in cambio
un'occhiata eloquente. L'avrebbe sempre ammirato, sempre sarebbe
stato il suo idolo.
“L'emozione c'è
stata anche per me. Cristo... ti ho lasciato che eri un bambino dagli
abiti sudici e adesso mi ritrovo un uomo firmato dalla testa ai
piedi”.
Rise il giovane uomo
all'ombra del suo passato di miseria, di genitori violenti che
puzzavano d'alcol e altre rogne, che invece di lavorare per regalare
un futuro ai loro figli erano stati questi ultimi a dare loro una
vecchiaia dignitosa.
“E' una lunga storia e non mancherò di
raccontartela” non c'era molto da dire in realtà, aveva avuto la
botta di culo più incredibile che si potesse avere e... adesso
vantava il titolo di uomo più ricco del Colorado.
Roba da
fumetti ma che era diventata realtà per lui.
“Su questo
non ho dubbi il tempo ci mancherà. Tuttavia non comprendo perché
hai cercato me, perché hai avuto bisogno di tutte quelle
informazioni e...”.
“Lavora per me.”Tagliò
corto buttando giù l'ultimo sorso di Campari.
"Ti pagherò
profumatamente e farò in modo di poter compiere la tua
giustizia".
Tuonarono delle risate, divertite
dall'impertinenza di quel ragazzo che per i gusti dell'altro, puzzava
ancora di latte.
"Vuoi faccia per te
palle di cioccolato o intoni qualche Blues per risollevarti
l'umore?".
"Ammetto che non mi
dispiacerebbe tu potessi fare entrambe le cose, ma anche se ho soldi
che mi escono dal culo, rimango uno del ghetto" sorrise
all'altro empaticamente, sapendo che nonostante i tempi e il
progresso, il colore della pelle era ancora discriminato insieme a
tante altre stronzate.
"Chef, tu sei stato l'eroe di questa
città per tanto tempo. Poi, quando te ne sei andato, South Park si è
riempita così di merda che è stata coperta dalla neve, legando le
mani delle autorità e diventando rifugio per feccia di Hollywood,
politica, sette e tanta altra bella compagnia" teneva la voce
bassa, nonostante fossero in una zona del locale riservata e isolata.
Chef temeva di sapere
dove volesse andare a parare il biondino vestito d'Armani, era stato
proprio quel vestito a parlargli, sapeva che chi aveva i soldi aveva
spesso strane idee per la testa e dopo quelle parole tutto gli
sembrava inequivocabile; l'aveva detto anche lui: non c'era
bisogno di giustizia ma di giusti. E gli unici ad apparire
davvero giusti in una società erano solo personaggi dei fumetti,
disegni con la maschera.
"Quello che ti sto
dicendo..."
"...ho paura di
averlo capito" rise nervoso mostrando i denti bianchissimi,
risaltati dal colore della sua pelle; "anzi, ho capito. Ma ciò
è assurdo, difficile, ti farai dei nemici, sarai in pericolo, perché
qui non si parla di mostri o alieni come nei fumetti, si parla di gente reale, di
gente potente, che ha in mano quello che è l'attuale ordine, quello
che è giustizia, e tu... tu sei un fottuto ragazzino che sogna,
sogna ad occhi aperti affascinato dal potere dei tuoi verdoni".
Forse aveva ragione. Forse.
"Io... ho un debito con
questa città" lo interrompé e con quella frase ad effetto si
guadagnò la sua curiosità, il suo ascolto. Doveva tenergli il culo
incollato alla sedia più che poteva.
"Da ragazzino giocavo a
lottare contro il crimine, è vero, nel mio piccolo facevo qualcosa,
qualcosa anche d'importante, è bastata solo la forza di volontà e
la mancanza di paura".
"Non aver paura non
è saggio, Kenny".
"Mai detto di essere un
saggio, ma sono una persona con la testa sulle spalle" per
questo non fece il bis con il Martini. Aveva imparato il senso della
misura, aveva compreso cos'era l'equilibrio e con insospettabile
razionalità aveva steso un progetto che aveva promesso a se stesso
di realizzare una volta raggiunta la maggiore età.
Ma aveva
bisogno di muscoli, di allenamento, di avere le palle ancor più
grosse e soprattutto avere il giusto supporto.
"Chef, dico
sul serio, questa città ha bisogno di eroi, anche se nell'ombra, al
di fuori della legge, io voglio agire. Se il me stesso di dieci anni
poteva portare ordine con i suoi giochi, il ragazzo che sono adesso,
l'uomo che sarò domani, con te, può ripulire questo posto, scavare
sotto la neve e farlo non solo per il bene di South Park; visto
quello che mi hai detto, qui c'è gente pericolosa per tanti, gente
pericolosa per l'America e io... intendo rompergli il culo".
Kenny sembrava per lo più
un ragazzino che stava per debuttare a Hollywood, aveva la faccia
adatta per Disney Channel o il porno, eppure dietro quel sorriso
sghembo e il Rolex in bella mostra sopra la camicia, parlava con
determinazione, con la serietà di un adulto e lo sguardo di chi
d'ingiustizia non ne poteva più. Parlava come qualcuno che da anni
teneva sotto chiave la rabbia da vomitare e che una volta uscita
avrebbe cambiato qualcosa.
Chef conosceva quell'amarezza,
conosceva la sofferenza, la discriminazione, i giochi dei potenti e
le loro perversioni e proprio per questo, perché aveva toccato le
loro mani luride e visto lo sporco nei loro occhi, che aveva fatto
credere al mondo di esser morto.
Era meglio essere fuori da ogni
cosa per poter esser dentro al giusto.
Non sempre poteva esser
così però, non sempre correr via era giusto, lo specchio prima o
poi riflette le ombre nelle rughe e quello non si può lavar via, non
esiste nulla che lo corregga o lo cancelli.
Ogni tanto bisognava
esser vivi e attivi. Ogni tanto bisognava esser ridicoli e portare delle maschere.
“Chef,
noi possiamo essere eroi”.
Ogni tanto i morti dalle tombe
possono esser riesumati per portare tra i vivi quello che hanno
dimenticato, al prezzo di esser ridicoli, ma era equo.
“Dio
mio Kenny, ma non era meglio alla tua età pensare a scopare e
basta?”.
“Beh questo fa parte del pacchetto. Non sia mai
esista a South Park e dintorni una ragazza triste e insoddisfatta,
Chef”.
Kenny era un filantropo devoto alla causa con anima
e corpo.
E Chef non poteva che simpatizzare in lui e vedere il
figlio che mai aveva avuto e che gli era mancato, come Kyle, Stan e
Eric. Non vedeva l'ora di riabbracciarli.
“Credo però che
se continuerai a chiamarmi così non potrò che cucinare per te”.
Si
alzarono entrambi dal tavolo, ormai l'intesa era conclusa e non c'era
altro da fare che tendersi la mano, stringerla forte e sorridere
complici.
“Chiamami semplicemente Jerome, Kenny. Sono
dentro, ma ti avverto: non ho la minima intenzione di chiamarti Capo
o Signore o in qualsiasi altro modo che mi porti a dover
prender a calci il tuo culo bianco”.
“Ma te l'ho detto,
sono un Ghetto-Boy, che per altro tiene al suo
culo”.
Un'occhiata d'intesa disse quello che era difficile
per due uomini adulti esternare.
Ci fu un timido abbraccio,
l'abbraccio di un padre fiero del suo ometto e di un giovane che
riaccoglie nel suo mondo colui di cui più aveva bisogno.
In quel
gesto si completò un disegno che Kenny aveva fatto diversi anni
prima e che aveva sempre cestinato in un mondo utopico. Il destino
però non è sempre bastardo, non esistono solo ingiustizie,
dispiaceri e sogni infranti.
Dal letame nascono i fiori, ma
nessun fiore può vivere a luongo se non lo si cura e protegge e
Kenny avrebbe fatto di tutto per essere al di sopra delle chiacchiere
e di ogni sospetto per poter indossare nell'ombra la maschera di cui
aveva bisogno.
“Jerome, credo sia il momento di presentarti
Mysterion”.
Dovevo prima o poi dedicare qualcosa ai super-eroi southparkiani, ma non avventure surreali, non con loro bambini, bensì una storia ambientata in un possibile futuro di South Park.
E' un
esperimento, un esperimento non lungo ma che spero di portare a termine
senza rovinarmi la faccia, visto che voglio comunque continuare
l'intento di Matt&Trey di parodizzare gli eroi dei fumetti, in
particolare quelli DC, quindi mantenendo la commedia ma in un clima
comunque serio.
Questo prologo
mette le basi per una storia che sarà ambientata diversi
anni dopo, per questo ho voluto distaccarlo e che fosse abbastanza
breve, presenta Kenny, il Kenny adulto e riaccoglie Chef ( Dio, quanto
ho voluto metterlo nelle mie ff ma mai mi è stato possibile ) e
mette in chiaro le loro ragioni, i loro ideali, preannunciando la
nascita di un nuovo Mysterion, che comunque non sarà il solo
protagonista di questa storia.
Supportate
questa storia e avanzate critiche e consigli, soprattutto se volete un
aggiornamento al più presto il vostro supporto mi è
fondamentale. Grazie in anticipo.
|