Il
riflesso è figlio unico
“Simon!!!!! Dannazione!!!”
“John
aspetta è la chitarra che- “
“Aaah
sei sempre il solito! Non ti presto più niente! ROGER!
Ricordami di non
prestargli più niente!”
E
Roger, dalla bocca piena della brioche alla crema che stava
mangiando, guardò il bassista come un ladro che è
stato colto in flagrante, per
poi guardare il povero Simon con occhi pieni di comprensione.
“Ma
nooooo John ti sbagli, tutte le chitarre hanno cinque
corde, eh!”
“Che???
Tu vuoi dire a me che le chitarre hanno cinque
corde??!!”
“Ma
certo! Pure il tuo basso ne ha cinque!”
“Quattro!”
“E
vedi? Una corda in meno, che male c’è. Non gliene
frega a
nessuno”
Roger
si coprì gli occhi con una mano.
Fu
proprio in quel momento che nella sala da colazione
dell’hotel fece capolino Nick, con i capelli tutti arruffati
e due palpebre
pesanti che dolcemente reclamavano altro riposo. Percorse la sala
facendo
attutire i suoi passi su una morbida e costosissima moquette rossa, e
la sua
attenzione era tutta rivolta verso quell’invitante profumo di
caffelatte e
brioches calde che riempiva l’aria della mattina. In fondo
alla stanza sentì
due persone gridare come matte: “Trovati”
pensò con un sorrisetto.
“E
Nick?” chiese Roger giusto per tentare di troncare la
discussione e fermare John che tirava abbondanti manciate di cereali a
un Simon
che urlava e strizzava gli occhi come un bambino di cinque anni.
“Nick
è qui” rispose egli stesso spuntando da dietro il
batterista, rallegrato di vederlo. Sbadigliò sonoramente
stiracchiandosi le
ossa, infine prese lo schienale della comoda sedia e lo tirò
verso di sé per
sedersi proprio di fronte al cantante che implorava pietà.
“
’Giorno a tutti… mi avete lasciato
qualcosa?” disse con
voce impastata dal sonno.
“Qui
c’è roba per un armamento” rispose Roger
passandogli un
piattino con delle fette biscottate ricoperte da marmellata di tutti i
tipi e colori.
Il tastierista ne prese una e ne azzannò un angolino
combattendo, morso dopo
morso, la voglia di crollare dal sonno lì sul tavolo, fino a
quando i suoi
occhioni verdi e stanchi non si posarono su Simon davanti a lui. Rimase
a
fissarlo perplesso.
“Lo
sai che hai dei cereali tra i capelli…vero?”
esclamò a
bocca piena e con ancora la fetta biscottata in mano
“… che li mangi tutti?”
Simon
fece una smorfia che fece crepare Roger dal ridere,
mentre Nick, scrupolosamente, cominciava a prendergli i cereali dai
capelli e a
mangiarseli uno a uno.
“Come
le scimmie!” esordì John a braccia conserte,
ancora
ricolmo di rabbia per la sua chitarra.
“Ma
dai John, sono anche i miei preferiti” rispose il
tastierista indaffarato nella sua esplorazione “prova le
stelline alla
vaniglia”
Il
bassista lo fissò con occhi ridotti a fessure, per poi
osservare con lieve
curiosità Simon, una povera vittima che stava per tirare
qualcosa dietro a Nick.
Allungò una mano verso di lui, prese una stellina dalla sua
chioma e se la
mangiò.
“E’
buonissima!” disse cambiando totalmente umore.
“Te
l’avevo detto” continuò Nick tutto
rivolto verso Simon,
che questa volta aveva non una, ma ben due persone che gli mangiavano
dai
capelli, ed apprezzavano pure.
“Aspetta
ci metto un po’ di latte”
“PIANTATELA
ADESSO!!!”
esplose fermando John che già era pronto a versargli il
latte in testa.
Roger
dal canto suo non la smetteva più di ridere a vedere
quei tre pazzoidi farsi la guerra l’un l’altro.
Rideva talmente di gusto che
aveva smesso persino di fare colazione.
“Pagliacci!!!”
“Ma
solo un po’ di latte!”
“Ho
detto basta!!!”
“Mettigli
anche il cacao!”
“Buono
quello!”
“E
la panna! La panna!!”
Simon
minacciò ad alta voce di lasciare il gruppo, per poi
alzarsi e scrollarsi gli ultimi cereali rimasti dai capelli.
Dopo
altri cinque minuti buoni di battibecchi e risate che
avevano infastidito un paio di clienti snob seduti accanto al loro
tavolo, i
quattro decisero di ritornare ognuno alle proprie stanze per fare una
doccia e
sistemarsi come si deve. Simon, giunto da poco al secondo piano ed
intento a
girare la chiave nella toppa della sua porta dipinta di bianco, vide
Nick
salire le scale stropicciandosi gli occhi e percorrere il corridoio per
raggiungere la stanza a lui destinata, che stava proprio tre porte
più in là
rispetto a quella del cantante. Per quelli che furono pochi secondi gli
occhi
color oceano si posarono fulminei su quelli color bosco
dell’altro, credendo
fermamente che quest’ultimo non lo avesse nemmeno notato. Ma
una cosa che Simon
doveva tenere a mente era che ai fotografi non sfuggiva mai nulla.
Così il
tastierista gli passò davanti facendo finta di niente, ma
intascando in realtà
quel piccolo attimo di libertà che avevano appena vissuto
insieme.
Rinchiusi
nei rispettivi bagni, entrambi si lasciarono coccolare
dal getto della doccia, lavando via il sonno, per poi darsi
un’accurata
sistemata allo specchio che campeggiava sulla parete di fronte alla
cabina.
Spesso
in momenti come quelli Simon si concedeva qualche
minuto per viaggiare con la mente verso le cose più
disparate, anche verso
tutto ciò che riguardava sé stesso.
Si
pettinò con le dita i capelli
all’indietro e si perse a guardare
il proprio riflesso in quella lastra di vetro appannato dal vapore; ci
passò
sopra una mano in modo da vedersi più chiaramente, e rimase
lì, a contemplare
la sua figura avvolta per metà da un asciugamano da
chissà quanti soldi.
Osservò le goccioline d’acqua raccogliersi sulla
sua pelle fresca, fece
scorrere l’indice sulla guancia punteggiata dalla barba
accorgendosi che gli
era appena saltata in mente un’immagine di Elvis.
Cosa
rifletteva quello specchio? Questo si chiese senza
distogliere gli occhi da se stesso.
Ruotò
leggermente il polso arrivando a sfiorarsi le labbra
morbide e sensuali per alcuni, appena screpolate al centro, per poi
accarezzarsi pensoso il mento bagnato.
Aprì
lievemente la bocca accorgendosi degli occhi di
quell’immagine riflessa, emisferi blu chiaro che sembravano
così ridenti e così
malinconici allo stesso tempo. C’era chi ci vedeva le onde
del mare dentro, un
mare salato e cristallino, limpido come un cielo in estate ed innocuo
come la
luce della Luna. Abbassò le palpebre con quella sua tipica
espressione di
quando era serio e concentrato, con quello sguardo che lo rendeva
dannatamente enigmatico,
impenetrabile in tutta la sua figura, e che ti sconvolgeva totalmente i
pensieri.
Che
ci trovava, in fin dei conti, la gente in lui?
Dipinse
coi pensieri immagini di colorati concerti fino a
tardi e case discografiche pronte ad ingoiare i loro album nuovi di
zecca.
Sarebbe
durato?
E
quelle palpebre che lo rendevano un ingenuo bambino
racchiusero improvvisamente un mare in tempesta, una spiaggia presa a
frustate
da onde d’inchiostro cariche di pioggia ed arricciate dalla
schiuma, un cielo
blu notte che minacciava di fare a pezzi i satelliti.
La
sua mano esperta scese fino alla gola, e terminò il suo
cammino. Eccola lì, l’unica cosa che gli rimaneva.
Tolta quella, era uno,
nessuno, centomila. Era dimenticato. Era l’ormai superato
Simon Le Bon, era
quel cantante carino e dalla faccia paffuta che campeggiava nei poster
delle
ragazzine negli anni 80, e che ora aveva passato il testimone ad altri
gruppi,
ad altri frontman bellocci e dallo sguardo languido. Il mondo cambiava
là
fuori, lui invecchiava lì dentro, e chissà, forse
nemmeno più la voce avrebbe
potuto salvarlo. Lui, i Duran Duran, il New Romantic che cercava un tv
sound,
erano roba passata, spazzatura che probabilmente interessava solo i
più
nostalgici. Ciò in realtà non lo deprimeva
più di tanto, ma lo metteva quasi in
guardia, suonava come un campanello d’allarme che gli
ricordava che quando si
raggiunge l’apice del successo, dopo non si può
far altro che scendere, un poco
alla volta. Forse i pionieri dei lontani anni 80 dovevano rimanersene
là,
perché nei tempi odierni, sebbene saltellassero ancora da un
capo all’altro del
palco e cantassero con tutta la loro potenza, mascheravano un senso di
disadattamento in un mondo che non era loro, in un’epoca a
loro quasi sconosciuta.
Erano tante piccole trottole che giravano e non sapevano più
dove andare, tanti
vecchi giocattoli che le nuove generazioni nemmeno conoscevano.
Pensò questo,
immaginandosi di guardare allo specchio i Duran Duran.
Pensò questo, iniziando a canticchiare una magica canzone di
quegli anni d'oro.
"All around me are
familiar faces, worn out faces, worn out places..."
Restò
a scrutare il riflesso di quell’uomo che forse non
capiva appieno, bisbigliando con voce velata che Nick non era
l’unico, non era
l’unico a sentirsi ormai uno dei tanti, sebbene ben sapesse
che da
alcuni fosse
considerato attraente e ancora pieno di carisma.
Qualcuno
d’improvviso bussò alla porta, e fu costretto a
precipitare nella realtà per rivestirsi di tutta fretta ed
andare ad aprire.
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Sjnjkvsndjvnjwnjknbjnsjrgunjsguh,
che volete, amo gli anni 80 ç-ç *fissa il suo
taglio di capelli
PERCHE'
NON POSSO VIVERE QUEGLI ANNI???????
Anywaaaay,
spero che la storia vi piaccia, ho aggiunto un nuovo capitolo ma ancora
non so se continuerò -w-
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R:
"Detesto quando litigate tu e John"
S:
"Tranquillo Roger, non sarà mai peggio di quella volta alla
conferenza anni 80"
*alla
conferenza dei gruppi anni 80*
J:
" D:< Non mi incanti sai, tu ti sbaciucchi con tutti quelli che
ti capitano, Snoffy, Al, Lio"
S:
"DDD:"
J:
"Little Moe, sì proprio lui lo zoppo, Cif, Mony Bob, NICK"
N:
"oAo"
*tutti
gli anni 80 si girano verso di lui
N:
"No! non è vero!!! OAO"
*Roland
tossicchia
*Nick
piange
Solo
quelli che hanno visto il mitologico Mamma ho riperso l'aereo possono
capirlo X°°°D
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