Autore: Ss904 (Sophrosouneh)
Fandom: Originale/Epico
Personaggio: Inarwe
Set: Tempo
Prompt: Neve
Storia partecipante
alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91
Inarwe
“della Desolazione”
Inarwe era sempre stata la più piccola ed indifesa.
Aveva ideali fin
troppo nobili se considerato che il suo lavoro era sterminare peccatori
nel mondo più terribile possibile.
Era una sorta di
avanguardia dell’Inferno: carpiva i mortali facendoli dannare
ancor prima che potessero venir sottoposti al giudizio di Minosse. Solo
i più terribili e marci di loro passavano sotto la sua
giurisdizione. Solo coloro per cui non c’erano
possibilità di redenzione e per cui il Dio Creatore aveva
disposto una pena ancor più grave del semplice confinamento
nel regno Sotterraneo: dovevano assaporare lentamente e anticipatamente
ciò che avrebbero patito fino alla notte dei tempi.
E questo era il ruolo
suo e delle sue sorelle.
Trascendeva
l’amore.
Malediceva le misere
promesse di gloria.
Questa era la
terribile natura delle Erinni: le matrone del dolore.
Le era spesso capitato
di venir messa in secondo piano e sottovalutata.
E a lei andava bene
così: se avesse potuto si sarebbe volentieri nascosta in un
angolo buio e non sarebbe più venuta fuori, per paura di
fare qualcosa di sbagliato.
Era
pressoché da quando era stata creata dal mantello stesso di
Madre Morte che Vhes tentava di rafforzarla e renderla più
sicura di se stessa.
E in parte il suo
allenamento aveva funzionato: adesso riusciva ad esprimersi con
disinvoltura in compagnia delle sorelle. I primi tempi aveva paura
anche della propria ombra.
Con il tempo aveva
acquisito sempre più sicurezza –per quanto il suo
introvertissimo carattere le permettesse.
Ma, man mano che il
tempo passava, si accatastavano nella sua mente ricordi
agghiaccianti delle morti che procurava.
Era una Erinni e
sapeva che uccidere e torturare sarebbe sempre stato suo preciso
compito, ma, alle volte, questo le sembrava tremendamente difficile ed
ingiusto.
Era stata sempre Vhes
–in uno dei momenti in cui amava dare sfoggio della propria
intelligenza- che le aveva insegnato a dosare i sentimenti: contrastare
la timidezza ed accantonare il rimorso.
Perché
nella loro vita avrebbe potuto dimostrarsi nocivo provare determinate
emozioni.
Ed Inarwe questo lo
aveva capito, ma ogni tanto non poteva evitare di lasciarsi sopraffare.
Come quella mattina,
quando si era affacciata all’imboccatura della grotta in cui
avevano deciso di fermarsi per la notte.
In pochi secondi gli
occhi malva della piccola Furia si spalancarono increduli, e le labbra
sottili si stesero in un sorriso raggiante.
Quasi senza riflettere
si alzò sulle proprie gambe, ancora un po’
intorpidite per il sonno, e passò quel sottile confine che
la divideva dal mondo esterno.
Quel mondo adesso
tanto bianco e splendente.
“Sta
nevicando!” urlò a squarcia gola prima di gettarsi
a capo fitto nel candore che la circondava.
E mentre piroettava
sospesa in aria, poteva avvertire una leggera scossa non appena uno di
quegli sfuggenti fiocchi la attraversava.
E mai le era parso di
essere più viva
che in quel momento, provare quelle emozioni tutte assieme
la stava sconvolgendo, causandole una sorta di isteria
(così l’avrebbe definita –molto
pragmaticamente- Vhes).
E le piaceva, le
piaceva moltissimo, e, se avesse saputo cosa volesse dire vivere,
era certa di poter asserire che provare quello scombussolio certamente
ne avrebbe fatto parte.
Sembrava una
contraddizione in termini, ma sentirsi viva, anche solo
per un momento, era sempre stato il più intimo desiderio
della “Furia della desolazione”.
Rideva, Inarwe.
Rideva
perché il mondo tutto bianco le era sempre piaciuto.
Sotto tutta quella
neve non c’era spazio per il dolore e l’odio.
Dalla neve nascevano
solo le primule.
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