L’ultima
testimonianza
Ogni uomo ha una storia ed ogni
storia, per quanto misera, merita di essere ascoltata.
(Saigon oppio)
“21 giugno 2009
Siedo allo scrittoio, dopo quelle che mi sembrano state ore
interminabili. Non ricordo una giornata più strana di questa
in tutta la mia vita, dacché ho memoria. E dire che sono un
archeologo, o per lo meno, a breve lo dovrei diventare a tutti gli
effetti. Dovrei essere abituato alle “situazioni
strane”.
Non che la vita di un archeologo, per giunta neolaureato, sia poi tanto
diversa da quella di chiunque altro, semmai più soggetta
alla precarietà –economica soprattutto- rispetto
alla vita d’un comune impiegato. Quantomeno, tuttavia, ci si
diverte. Io non lavoro, dico sempre: gioco.
Non lo si scambi, però, per pura sottovalutazione della
professione di archeologo. è un lavoro serio e difficile,
che necessita d’anni di conoscenza, di studio e, in alcuni
casi, di lotte spietate. Tuttavia, chi intraprende questa strada lo fa
per passione, amore per la storia e la ricerca, quindi come ogni cosa
guidata dal sentimento, anche questo lavoro diviene un gioco, per
l’appunto.
Ma tralascio queste divagazioni –in cui spesso per natura
tendo a cadere- e procedo alla spiegazione dei fatti avvenuti e che
tanto mi hanno stranito.
Verso le dieci di questa mattina mi trovavo, come tutta la settimana
precedente, presso la KV64 lavorando assieme al resto
dell’equipe del professor Hoxha. Un lavoro abbastanza
minuzioso, a tratti noioso.
Io e Genevieve dovevamo scattare delle foto, quanto più
precise possibile, dell’intera stanza e ricopiare i testi
incisi sulla porta… o per lo meno i frammenti confusi
iscritti qui e lì all’interno della tomba.
Ritengo opportuno descrivere, a questo punto, quell’insolita
sepoltura.
La datazione al C14 della mummia rinvenuta al suo interno fa risalire
tutto ad un periodo che va dal 1300 al 1200 a.C. sul finire del Medio
Regno, e le pochissime iscrizioni la confermano.
Fu realizzata per un sacerdote d’alto rango, il cui nome e
origini rimasero per parecchio tempo avvolte nel mistero.
L’analisi forense ha costatato un’origine
presumibilmente mista, in parte egiziana in parte africana. Ma poco,
oltre al sesso, l’età e la razza, è
stato dedotto. Lo stato di deperimento è assai avanzato,
come se gli imbalsamatori non avessero posto molta cura nel trattamento
della salma. Non godeva di favori da parte del clero e del faraone.
Quando, cinque anni fa aprirono la tomba, quel che videro
provocò lo sconcerto di tutti. La mummia giaceva in terra,
avvolta strettamente nelle bende rituali e nel sudario. Non
v’era traccia di sarcofago n’è
d’iscrizioni sacre, tipiche delle sepolture egizie e tanto
importanti affinché il defunto potesse superare la
pesatura dell’anima e resuscitare dalla morte. Fu chiaro a
tutti cos’era accaduto. Il sacerdote era stato condannato alla damnatio memoriae,
la più crudele fra le maledizioni egizie. Ma il motivo resta
ancora inspiegato.
Una secondo ispezione, più minuziosa, ha rivelato la
presenza di iscrizioni sull’architrave e gli stipiti del
varco d’accesso. Qualcuno aveva tentato di cancellarli ma,
per qualche misteriosa ragione, s’era fermato, lasciando
l’opera d’insabbiamento a metà. Dalle
diciture sull’epistilio, riuscimmo tentoni a scoprire il nome
dell’occupante e poche altre cose. Restavano ancora quelle
sugli stipiti.
Io e la mia collega stavamo giusto lavorando su queste.
Stavo passando il pennello sopra le incisioni, delicatamente,
così da rimuovere sabbie e polveri rendendo più
leggibile il testo, quando accade l’inaspettato.
Gwen alle mie spalle scattava foto a ripetizione, da selezionare nel
pomeriggio. Tutt’a un tratto la terra e le pareti
cominciarono a tremare.
La collega ed io ci guardammo, visibilmente allarmati. Ricordo
d’aver pensato: “cazzo, sono qui da nemmeno tre
mesi e già sto per morire. Sfiga persecutrice!”
Abbandonammo immediatamente le nostre occupazioni e fuggimmo via, in
tempo per evitare che una parte del soffitto ci crollasse addosso.
Facemmo in tempo. Una parete, quella destra, era venuta giù
d’improvviso, sbriciolandosi come biscotto.
Il fragore prodotto, ha presto richiamato l’attenzione degli
altri membri della equipe. Hoxha in testa al gruppo, è
accorso in nostro soccorso. Fortunatamente eravamo intatti…
lo restammo per poco.
Non so quale dio del cielo abbia protetto me e Gwen dalla collera del
professore. Dio mio, non l’avevo mai visto tanto arrabbiato e
preoccupato al tempo.
Volle sapere immediatamente cosa era accaduto e per quale motivazione.
Io e la mia collega, ovviamente, non potemmo spiegargli nulla: non
sapevamo noi perché era avvenuta quella frana!
Lasciati passare alcuni minuti così da far depositare il
polverone e render l’aria quantomeno respirabile, siamo
rientrati nel vano. Era necessario fare una constatazione dei danni
subiti alla tomba. Ma quel che abbiamo visto ci ha lasciati di
stucco…”
Adam Talib Rayan, specializzando 26enne in egittologia ad El Cairo,
smise d’aggiornare il proprio diario elettronico, ancora
sconvolto dal ricordo di quanto accaduto in giornata. Di rado potevano
verificarsi simili situazioni. Anzi, mai accadevano se non nei libri di
avventura. Prima una tomba anomala priva d’iscrizioni e
dall’occupante sconosciuto, poi un crollo improvviso della
parete ed in fine la scoperta sensazionale d’una stanza
segreta e del suo contenuto. E la cosa assurda era che in ben dodici
anni di duro, incessante e costoso lavoro, non avevano mai notato
l’esistenza di quella stanza o quanto meno capito che la parete
fosse finta. Nemmeno il georadar e le varie tecniche di prospezione
geofisiche ne avevano indicata la presenza. Come diavolo era sfuggita
una cosa del genere? In sole ventiquattro ore avevano ottenuto
più dati che in una dodecade! Dopo tutto questo, Adam poteva tranquillamente
scriverci su un romanzo che nemmeno Dan Brown ne sarebbe stato capace, ne
era certo.
Fuori dalla tenda-laboratorio era calata la notte già da
parecchio tempo. La luna brillava in una falce argentea nel cielo
terso, levandosi in gran pompa alle spalle del Nilo. Il ventiseienne
amava il vento notturno del suo paese, l’aria frizzantina
dopo la canicola diurna lo aiutava a distendersi durante il lavoro,
cullandolo e quasi ispirandolo con i suoi refoli pregni di aromi
orientali. Nulla del genere si poteva trovare in Europa,
dov’era cresciuto.
Braccia dietro la nuca, si schiacciò sbuffando contro lo
schienale della sedia pieghevole che, vecchia e malandata,
scricchiolò un po’. Fissava lo schermo nel
notebook sul tavolino avanti a se, lasciando scorrere di quando in
quando lo sguardo sul “tesoro” appena recuperato.
Lo avevano ribattezzato “l’ultima
testimonianza”, un nomignolo altisonante, da vero best
seller, quasi inappropriato per un pugno di frammenti papiracei come
quello. Cinque pezzi in tutto, rimanente parte d’un rotolo
ben più lungo, ove stava narrata, probabilmente, la storia
di Ati il sacerdote, legittimo proprietario della KV64, la cui mummia
adesso riposava quieta in un magazzino del museo, non accessibile ai
visitatori. Un cadavere sconosciuto aveva acquistato un nome,
un’identità. Adesso Ati era tornato alla storia. E
della sua storia, scritta di pugno dsi suo pugno, non restavano che
vaghe tracce. Il resto, come tutto il suo mondo, era ormai polvere
dimenticata.
Quel che però lasciava Adam sconcertato era il racconto.
Sì perché, il testo sembrava terminare con una
sorta di dichiarazione, o meglio, di testimonianza per nulla dissimile
da un racconto di fantasia. Ati affermava d’essere custode
d’un millenario ed importante segreto, legato al dio cui
porgeva servizio: Osiride.
Adam aveva letto e riletto i geroglifici un centinaio di volte
dacché aveva assunto il compito (impostogli dal professore,
ovviamente e non certo preso di propria volontà) di
tradurli. Non aveva alcun beneamato senso logico. Non ci capiva una
mazza di quanto scritto. Aveva tradotto, e senza errori. Era persino
riuscito a mettere i frammenti nell’ordine corretto. Ma
ciò nonostante, quanto leggeva era assurdo.
Non che fosse sgrammaticato, ma appariva più il discorso di
un pazzo o, forse è più corretto dire,
d’un credulone.
Il giovane archeologo diede un’occhiata alla trascrizione
computerizzata dei geroglifici, soffermandosi ancora una volta sulla
parte finale, quella interessante
e nonsense (come la definiva lui).
Rilesse ad alta voce la traduzione che ne aveva dato.
-“Ascoltate le
parole di Ati, servo di Osiride. Egli dice: Io, sacerdote di
Osiride… seimila anni… gli dei scesero sulla
terra… i figli attraversarono il Grande Verde e crearono
l’Egitto intero… isola sotto la Terra
Rossa… celato per
l’eternità… Io ho visto. Io sono nella
verità… questo è segreto…
tomba di Osiride-.
Sbuffò spazientito passando una mano fra i corti capelli
scuri. Il tutto sembrava filar a dovere, il senso logico lo aveva. Ma
non centrava nulla con i miti ancestrali di quelle terre. Mai aveva
udito una cosa simile… ma forse, si disse, il professor
Hoxha avrebbe saputo comprenderlo meglio di lui. Magari era solo una
burla del povero Ati… sebbene non comprendesse cosa potesse
averlo spinto a scrivere simili storie in procinto di morte.
-Diavolo Ati, vuoi prendermi per il culo?- si ritrovò ad
inveire frustrato.
Stanco, decise di ritirarsi nella propria tenda. Avrebbe ripreso
l’indomani sera, magari assieme al suo mentore.
Spense il pc, salvando tutti i dati in pendriver, conservò
accuratamente i resti del papiro all’interno della
tenda-laboratorio e si allontanò barcollante, deciso a
gettarsi sulla propria branda il prima possibile.
Poco distante dalla tenda-laboratorio, una figura di nero ammantata
osservava il giovane egittologo allontanarsi.
Bene, penso, non avrebbe avuto rogne quella notte e il lavoro sarebbe
filato liscio. Cinque minuti, e il gioco era fatto. Alle sue spalle una
guardia giaceva al suolo priva di conoscenza.
Note:
-La damnatio memoriae,
per chi non lo sapesse era un tentativo all'antica di cancellare dalla
storia l'esistenza d'una qualche persona. Questo atto, in uso presso
egizi, romani fino anche al medioevo, era da considerarsi come una vera
e propria maledizione, soprattutto se concerne l'Egitto dove, per poter
vivere nell'aldilà e raggiungere la Duat, era
necessario che il nome del defunto fosse scritto e di conseguenza
ricordato (le parole, scritte ed orali, per gli egizi possedevamo
potere magico). Questo in breve.
-Osiride (Wsir) credo non sia
necessario descriverlo, è abbastanza noto. Dirò
che, mitologicamente fu il primo sovrano d'egitto (secondo Manetone,
che lo classifica come semidio), appartiene alla razza divina di cui
è uno degli ultimi nati, sposo di Iside (Aset), padre di
Horus (Herwr)
e fratello di Seth (Set).
Dio della resurrezione e dell'oltretomba.
-Il Grande Verde
(Uadj-Wr)
è il mare, precisamente il Mediterraneo.
-La Terra Rossa
(Desheret)
è il nome del deserto.
|