#08: Hit the ground
But just
tonight I won’t leave
I’ll lie and you’ll believe
-Just Tonight, The Pretty Reckless
Buio. Luce. Buio. Luce.
Essere morti era seccante, avrebbe voluto che
quell’alternanza
cessasse, a lungo andare gli provocava una sgradevole emicrania.
Ehi. Fece un passo indietro. Aveva
l’emicrania; per quel
poco che ne sapeva, in teoria con la morte non avrebbe più
dovuto
avere un corpo, che l’aldilà esistesse o meno.
Niente corpo,
niente cervello, niente emicranie. Che sta succedendo qui?
Non era necessario un genio per indovinare che, evidentemente, non
era morto.
In contemporanea con quella consapevolezza giunse anche il dolore,
un dolore atroce che gli fece riguadagnare la percezione del proprio
corpo, un ammasso di sofferenza e fiamme e fasci di nervi. Beh,
stavo molto meglio morto. Sarà per la prossima volta.
Con il tempo, riacquistò anche l’uso dei cinque
sensi.
Non riusciva a muoversi, ma era emerso dal silenzio e ora udiva un
vociare di sottofondo di cui non avrebbe saputo distinguere le
parole, però se non altro lo avvertiva,
non aveva più
l’impressione di essere rinchiuso nella campana di vetro del
Paradiso – o dell’Inferno. No,
c’è troppo casino per essere
l’Oltretomba.
Qualche volta arrivava a socchiudere le palpebre e a cogliere
delle immagini confuse, talora non più di una macchia di
colori
indistinti, in altre occasioni, invece, una scena più a
fuoco, tanto
che alla fine stabilì di trovarsi in un ospedale –
o qualcosa di
simile – considerato il bianco sulle pareti, delle lenzuola e
dello
scarso mobilio che aveva intravisto.
Quando non provava troppo dolore per pensare a qualcos’altro,
si
chiedeva dove fossero gli altri, se stessero bene, se avessero vinto
la guerra o meno, ma per la gran parte del tempo era preda di una
sofferenza così lacerante che non c’era spazio per
nient’altro.
Poi, un giorno, un cambiamento, il cambiamento.
Una sfumatura di verde in quella camera troppo bianca. Verde e
nero.
Prima di sprofondare in una nuova fase del delirio provocato dal
dolore, la sua mente, che talvolta sembrava quasi volersi sfilacciare
dal corpo e allora temeva che sarebbe morto per davvero, mise insieme
quattro lettere.
Loki.
Poi ci furono di nuovo buio e sofferenza.
Quando il tormento che lo logorava si placò di nuovo ed ebbe
occasione di rivedere la stanza, Loki era di nuovo lì. Forse
ancora
lì, non riusciva a capire quanto durassero le ricadute, se
un
giorno, un’ora o pochi secondi. Insieme a lui c’era
del rosso,
ora – Pepper.
Apparvero anche altri colori – oro, azzurro, viola, nero, di
nuovo rosso e marrone scuro – ma il verde non mancava mai in
mezzo
a loro. Persino al fianco dell’oro.
Era ormai divenuto una presenza abituale accanto al suo letto
–
doveva esserci una sedia, perché era molto più
basso di come lo
ricordava – quando, all’improvviso, un giorno non
c’era più.
C’erano il blu e il rosso, ma del verde nessuna traccia. Lo
cercò
invano per l’intero minuto in cui riuscì a
rimanere cosciente, poi
svenne.
«Si sta svegliando?»
«È già sveglio. Gli dia un altro minuto
per rendersene conto,
vedrà che aprirà gli occhi. Ormai è
guarito, il dottor Banner ha
reinserito il reattore ieri sera. È fuori pericolo e
perfettamente
funzionante. Oh, ecco: è di nuovo con noi. Ben svegliato,
signor
Stark».
La voce sconosciuta di una donna, quella più familiare di
Pepper,
la luce brillante che si rifletteva su ogni superficie candida e la
consapevolezza che non provava alcun dolore – a parte un
leggero
indolenzimento dei muscoli – lo colpirono senza soluzione di
continuità e per una manciata di minuti non fu in grado di
fare
altro che battere le palpebre e sforzarsi di abituarsi al forte
chiarore.
«Pep».
Parlare era stata una reazione istintiva e non riconobbe
immediatamente la propria voce: flebile e roca, era quella di
qualcuno che non pronunciasse una parola da giorni – una
condizione
che Tony Stark non aveva mai sperimentato in vita propria.
«Sì, Tony». C’erano lacrime e
commozione nel tono gentile di
Pepper e una mano prese la sua con delicatezza. Lunghe dita
affusolate, indubbiamente femminili. Dita che l’avevano
accarezzato
e amato tante volte, dita che conosceva meglio delle proprie, le dita
di lei. «Sono io. Pepper. Sono qui.
Tranquillo. Non devi
parlare per forza…»
«Miss Potts ha ragione, signor Stark» aggiunse la
dottoressa,
intervenendo con molto tatto nella loro intimità.
«Parli solo
quando se la sente».
«Figuriamoci». Tony si sforzò di
sollevarsi a sedere, ma il suo
corpo non rispondeva bene agli stimoli inviati dal cervello: le
braccia tremarono nel tentativo di sorreggerlo, poi ricaddero inerti
lungo i fianchi. «Non so nemmeno… da quanto tempo
non lo faccio…
e pretendete che non parli…?»
Mise a fuoco un sorriso spezzato sul volto di Pepper, che stava
piangendo davvero. Piangere, in realtà,
non era l’espressione
giusta: le lacrime le solcavano le guance leggermente paffute, ma le
sue spalle erano ferme e non un solo singhiozzo lasciava le sue
labbra.
«Un mese, Tony». Quella che per chiunque altro
sarebbe stata una
battuta, per lei era una domanda. Come avrebbe fatto senza di lei?
«Dopo che sei svenuto, Thor ti ha portato d’urgenza
in ospedale.
Il dottor Banner ha aggiustato il reattore. Saresti morto, senza il
suo aiuto. Sei stato privo di conoscenza per un mese».
La dottoressa se n’era andata, discreta e silenziosa.
Pepper gli accarezzava con insistenza il dorso della mano,
tracciava figure invisibili con il pollice, come se volesse
sincerarsi che quella mano esisteva ancora, che era ancora calda,
viva. Come avrebbe fatto senza di lui?
«Ricordami che… gli devo un drink». Con
sua soddisfazione,
stava recuperando in fretta la facoltà di conversare.
Quella, se non
altro. «La guerra…?» Aggrottò
la fronte, mentre i ricordi
emergevano sulla superficie confusa dei suoi pensieri. Troppo lenti,
troppo indistinti. «Come è andata? Come
stanno… gli altri?»
Avrebbe voluto porre altre domande, ma la raffica di parole che
gorgogliavano nel suo stomaco, impazienti di risalire la gola,
provocò un eccesso di tosse che lo fece piegare in due per
il dolore
– metaforicamente, dal momento che era disteso. Stupide
costole.
Pepper scosse il capo, ma era un gesto di sollievo.
«È finita.
Quei mostri sono stati distrutti e i criminali – Osborn, Doom
–
sono stati catturati. Va tutto bene ora. Puoi smettere di fare
l’eroe».
Sul finire della frase una nota di collera e risentimento
trovò
spazio nella voce della donna, sebbene gli angoli della sua bocca
fossero ancora piegati all’insù.
Tony conosceva bene quell’espressione: significava che Pepper
era in dubbio tra il prenderlo a pugni e il gettarsi fra le sue
braccia, che per una volta era lei ad avere bisogno di lui e non il
contrario – ti prego, smetti di fare
l’eroe, smetti di
rischiare di morire. Smetti.
Per un attimo, Tony pensò a come sarebbe stato lasciare gli
Avengers, appendere l’armatura al chiodo e ritirarsi a vita
privata. Magari sposare Pepper, avere dei bambini.
La paura, il terrore di provare dei sentimenti, di poter correre
il rischio di perderli, era in agguato, così come la
consapevolezza
che, se non si fosse fatto coraggio, allora avrebbe perso Pepper,
forse avrebbe perso anche se stesso, perché lei era una
parte di
lui. Bianco o nero, era costretto a scegliere.
Poi pensò a Loki.
Loki con l’armatura verde, che progettava di distruggere New
York. Loki con la pelle blu e gli ornamenti dorati di Jotunheim, che
salvava la vita a tutti. Che tentava.
Grigio.
«Per ora posso prendermi una vacanza» ammise con
lentezza, gli
occhi bassi, la voce ridotta a un mormorio.
«Finché al mondo non
servirà di nuovo Iron Man».
Alla fine alzò lo sguardo e incrociò quello di
Pepper, la guardò
e seppe che, anche se non poteva decidere tra bianco e nero, lei
sarebbe rimasta, sarebbe rimasta sempre. Anche se non poteva renderla
felice, lei l’avrebbe amato sempre. Anche se lui aveva paura
di
offrirle il suo amore in cambio, lei sarebbe stata lì.
Dopotutto gliel’aveva già domandato, un altro
giorno, in
un’altra vita. “Sei stata al mio fianco
per tutti questi anni.
Vuoi andartene adesso?”
Pepper abbozzò una risatina. «Naturalmente. Dovrai
accontentarti
di essere Tony per un po’. Non Tony Stark, soltanto Tony: ti
proibisco di mettere mano a un qualsiasi attrezzo per almeno
un’altra
settimana. Devi riprenderti, sei quasi morto, santo cielo».
Tony levò gli occhi al soffitto e Pepper gli tirò
un pugno
scherzoso sul braccio, salvo poi ricordarsi che era ancora in
convalescenza e affrettarsi a scusarsi. Cadde un silenzio che avrebbe
dovuto essere quieto, ma Tony non riusciva a rilassarsi; trepidante,
voleva fugare altri dubbi, ma temeva che lei non fosse la persona
giusta con cui farlo.
Alla fine fu proprio Pepper a introdurre l’argomento,
cogliendolo di sorpresa. «Pensavo mi avresti chiesto anche di
Loki».
Spiazzato, Tony cercò l’accusa o il rancore nei
suoi occhi, ma
non ne trovò; allora si schiarì la voce e si
sforzò di far suonare
convincente la replica stiracchiata: «Cosa, uhm, cosa te lo
fa
pensare, di preciso?»
«Il fatto che se lo meriti, per esempio»
enumerò lei, seria in
volto. Tony le scoccò un’occhiata incredula, la
donna si spiegò
in tono mesto: «Quando ti ho detto che speravo meritasse la
tua
preoccupazione, ero sincera. Lo speravo per davvero. Non
mentirò:
non posso affermare che mi faccia piacere che tu abbia scelto proprio
Loki».
C’era un sospiro tra le righe, un sospiro cui però
lei non
diede voce, come invece avrebbe fatto solo due mesi prima. Forse era
prematuro sostenere che stesse imparando ad apprezzare il semidio, ma
era senza dubbio passata oltre la fase di puro e semplice rifiuto.
«Però non sono così sciocca da fingere
di non vedere la realtà.
Si rifiutava di uscire da questa stanza. All’inizio il
direttore
Fury non sapeva come comportarsi con l’uomo che aveva tentato
di
conquistare il mondo e poi l’aveva salvato; quando ha provato
a
discutere la sua permanenza qui e Loki gli ha dato fuoco, ha lasciato
perdere. Era sempre qui, seduto su quella sedia».
Ammiccò alla
sponda opposta del letto rispetto a dove si trovava lei.
«Sospetto
non abbia mai dormito. Per questo mi stupisce che tu non avessi
ancora domandato di lui».
Tony aspettò che proseguisse, ma lei non lo fece.
«Però…?»
la incoraggiò in tono calmo.
«Quando hanno arrestato i membri della Cabala, la maga
asgardiana
– se non sbaglio, Thor l’ha chiamata Amora
– è riuscita a
fuggire. Loki si è offerto di rintracciarla e farla
prigioniera»
riprese Pepper, chiaramente di malavoglia. «Ha scoperto dove
si
trovava la settimana scorsa ed è partito per catturarla. Da
allora
nessuno ne ha più avuto notizie».
Tony annuì.
Si limitò a incassare il colpo senza altro gesto che quel
lieve
cenno d’assenso, in parte perché non
c’era molto altro che
potesse fare, nella sua posizione, in parte perché lui
stesso era
incerto sulla reazione che quelle parole avevano provocato.
Non che si illudesse che Loki sarebbe rimasto per sempre, che
sarebbero diventati migliori amici e sarebbero piovuti arcobaleni e
pony rosa, però era strano, dopo quello che avevano passato
insieme
– loro malgrado – e ciò che aveva visto
e che Pepper gli aveva
raccontato, svegliarsi e non trovarlo accanto al letto, se non altro
per rendergli quel pugno di cui aveva preso nota Jarvis.
Non trovarlo e non poter neppure ipotizzare se sarebbe mai
tornato.
Dopotutto, non gli era più di alcuna utilità:
Thanos era stato
esiliato, la guerra scongiurata e il semidio era anche diventato re,
non aveva più alcuna ragione per abbassarsi ad avere a che
fare con
un banale umano.
A parte il fatto che si erano baciati, naturalmente.
Pepper era sul punto di riprendere la parola, forse per
confortarlo, forse per cambiare argomento nel tentativo di metterlo a
suo agio, quando fu lui a spezzare quel nuovo silenzio, molto meno
accogliente del precedente: «Beh, fantastico,
l’unico che poteva
provare che il mio coinvolgimento con il Dio dell’Inganno
aveva uno
scopo onesto ha deciso di sparire. Fury mi trascinerà in
tribunale e
mi sbatterà in cella solo perché finalmente ero
morto e poi sono
resuscitato per indispettirlo».
La donna batté le palpebre, colta alla sprovvista da
quell’uscita
improvvisa, poi scelse di assecondarlo e scosse il capo. «Il
direttore ha acconsentito a proscioglierti da qualsiasi accusa, dal
momento che Loki si è rivelato un alleato». Sulle
sue labbra si
disegnò un sorriso maligno che fece scorrere un brivido
lungo la
schiena di Tony – un sorriso molto alla Loki
che Pepper
sfoggiava solo quando voleva incutergli terrore. E funzionava bene.
«Anche se io sospetto l’abbia fatto
perché Loki gli ha dato fuoco
e perché non poteva rischiare di perdere la faccia facendoti
causa
dopo che hai salvato la Terra».
Tony non aveva mancato di notare che era già la seconda
volta che
menzionava il fatto che Loki aveva dato fuoco al direttore e di colpo
realizzò che la divertiva.
Pepper e Loki avevano gli stessi gusti in materia di scherzi
–
inquietante.
«Ah, beh, buono a sapersi» mugugnò
mentre tentava con scarso
successo di ignorare la consapevolezza che aveva appena maturato.
«Wow, mi sono appena svegliato e ho già ricevuto
più buone che
cattive notizie. Se mi dici che domani non vado al lavoro, il mio
compleanno dev’essere arrivato in anticipo. Insieme a Natale.
E a
tutte le feste».
Sebbene, una volta ripresosi dal coma, le sue condizioni fossero
abbastanza stabili, al punto che i medici gli proposero di venire
dimesso prima del previsto, Pepper mantenne la propria promessa e
impose che non tornasse alla Stark Tower prima di una settimana.
Un’intera settimana senza nient’altro da fare che
parlare o
ascoltare gli altri. Per fortuna era quasi sempre in compagnia di
qualcuno, che fossero gli Avengers, Pepper, gli agenti dello
S.H.I.E.L.D. o Fury, che lo aggiornavano quotidianamente e gli
raccontavano gli sviluppi avvenuti durante la sua convalescenza,
perché non si annoiasse troppo.
Ciononostante, fu sollevato quando finalmente poté lasciare
l’ospedale. Steve si offrì di accompagnarlo a
casa, nemmeno fosse
suo padre, ma a parte quello il suo ritorno fu perfetto.
Niente più bianco, niente più obbligo di stare a
letto, niente
più ordini di non toccare l’alcool.
Dopo che aveva rifiutato la proposta di Steve, gli altri Avengers
avevano acconsentito a rispettare il suo bisogno di trascorrere del
tempo da solo con se stesso, nel suo dominio, Pepper si era trovata
da fare al lavoro e persino Fury gli aveva fatto la concessione di
non presentarsi a infastidirlo circa il Progetto Winx e quanti altri
dati aveva accumulato sulla magia di Loki e blablabla.
Soltanto lui e Jarvis.
«Bentornato a casa, signore».
Lui, Jarvis e un semidio comodamente seduto sul sofà con le
gambe
accavallate, come se farsi sorprendere in un’altrui dimora
con gli
abiti intrisi di macchie scarlatte – eppure in perfetto
ordine,
segno che quel sangue non gli apparteneva – fosse la cosa
più
normale dell’universo.
Trascorsi i primi secondi di smarrimento, Tony proruppe in
un’esclamazione soffocata: «Jarvis, traditore,
l’hai lasciato
entr-!»
«Nessun tradimento, Stark». Loki si
osservò la mano, assorto,
prima di ravviarsi con disinvoltura i capelli. «Mi sono
semplicemente teleportato. Jarvis non è programmato per
prendere
delle contromisure contro un trucco del genere».
Che il semidio conoscesse il verbo programmare era
ancora
peggio – non avrebbe dovuto permettergli di leggere tutti
quei
libri, durante il suo breve soggiorno alla Stark Tower. Se la
conoscenza di Loki si fosse estesa anche alla tecnologia, non voleva
immaginare che cosa sarebbe accaduto.
«A ogni modo, mi offendi,» aggiunse il semidio,
scoccandogli
un’occhiata pungente «credevo saresti stato
più contento di
vedermi».
«Scusa se sono un tantino disturbato dal
vederti apparire
in casa mia grondante sangue!»
Loki aggrottò la fronte, abbassò gli occhi sulle
vesti,
risollevò pigramente il capo e ribatté:
«Oh, questo? Ti ringrazio
per la premura, ma non è il mio». Sulle iridi
verde chiaro calò un
velo nero che lo fece apparire più antico, più
pericoloso. «È
dell’Incantatrice. Non so se te l’abbiano detto, ma
ho pensato di
ricordarle qual è il prezzo da pagare quando mi si
tradisce».
Tony era curioso per natura, ma quella volta non volle sapere
altro, non era necessario e non era sicuro che, dopo tutta la morte
che aveva visto, sarebbe stato in grado di tollerarlo, anche se si
trattava di un nemico, anche se quella donna non avrebbe esitato un
secondo prima di ucciderlo.
Il semidio si riscosse, la ferinità della sua espressione
venne
meno. «Tu sei turbato, Stark. Forse disapprovi che io abbia
ottenuto
vendetta per i tuoi morti?»
Per una volta, Tony rifletté con cura sulle proprie parole
prima
di pronunciarle: «Abbiamo metodi diversi, Loki. Mi dispiace,
davvero, di non essere nato mostro assetato di sangue. La prossima
volta mi impegnerò di più, parola di
scout». Non che il risultato
fosse meno fatale, anche quando tentava di concentrarsi.
Sfortunatamente il suo organismo non riusciva ad accettare di fare
a meno del sarcasmo, in particolar modo in compagnia di Loki.
Peccato che molto spesso il semidio non cogliesse il suo senso
dell’umorismo.
Questi dovette prendere la sofferta decisione di concedergli
ancora qualche anno di vita, perché si limitò a
studiarlo per un
lungo istante, in silenzio, prima di mormorare: «Quando ti
sei
svegliato?»
Il cambio di argomento fu talmente repentino che Tony
boccheggiò,
smarrito. E poi Pepper si lamentava che pensava troppo in fretta,
parlava troppo in fretta e che lasciava fuori tutti gli altri dalla
sua mente e così facendo non si sarebbe mai fatto degli
amici, ma –
quasi dimenticava – in effetti Loki non aveva amici, forse il
motivo era lo stesso per cui Pepper lo rimproverava, e non
era
importante perché non aveva ancora risposto e le
sopracciglia
del semidio si stavano sollevando a un’angolazione poco
rassicurante.
E si diceva che gli dei fossero pazienti.
«Una settimana fa» replicò, Loki
annuì, assorto, Tony si
domandò che cosa stesse meditando, si stancò di
chiacchierare con
il proprio cervello e buttò lì un argomento
qualsiasi. «Tu sei
tornato da molto?»
«No».
Non aggiunse altro, si limitava a guardarlo, come se avesse in
mente qualcosa, oppure stesse aspettando che qualcosa accadesse, Tony
non riusciva a stabilirlo e cominciava a provare un certo disagio
sotto l’esame di quegli occhi penetranti. Di conseguenza
provò a
ravvivare la conversazione: «E da quanto di
preciso…?»
«No, Stark» lo interruppe di colpo il semidio, un
istante prima
seduto mollemente sul divano, l’istante dopo di fronte a lui,
vicino, vicino. «Non ti
interessa».
Poi Loki lo stava baciando e non erano più in piedi, ma in
qualche modo era finito seduto e il semidio sulle sue gambe, a
cavalcioni, le dita strette sulla sua camicia e la lingua contro le
sue labbra, in bocca, avvinghiata alla sua, e – era vero
– non
gli interessava.
«Jarvis,» mugugnò in una pausa tra un
bacio e l’altro «non
ci sono per nessuno. Fino a domani».
Loki arricciò le labbra tumide in un sogghigno famelico e
Tony
avrebbe voluto avere il tempo di correggere il tiro – domani
non
bastava, aveva bisogno almeno di una settimana – ma
il semidio
insinuò una mano nello spazio tra i boxer e la sua pelle, le
dita
lunghe e sinuose che avvolgevano la carne bollente, le gambe che lo
serravano in una morsa estremamente piacevole, il bacino che si
muoveva con una lentezza esasperante contro il suo, e
nient’altro
aveva davvero importanza.
Al proprio risveglio, Tony non riuscì a stupirsi nel
trovarsi nel
proprio letto anziché sul sofà o dovunque si
trovassero lui e Loki
l’ultima volta che il suo cervello aveva provato un guizzo di
curiosità nei confronti dell’ambiente circostante.
A spingerlo seduto, ancora per metà immerso nel sonno e
sbadigliante, fu la sconcertante consapevolezza di essere solo.
Fu abbastanza per costringerlo a scrollarsi e guardarsi attorno
con attenzione per individuare il semidio in piedi accanto a una
delle vetrate che rivestivano le pareti, di spalle, immobile e nudo
come una statua di marmo.
«Devo andare, Stark».
Non si era voltato, non sembrava neppure che stesse respirando,
eppure sapeva che lui era sveglio e lo stava fissando. Ancora non del
tutto strappatosi al torpore, Tony impiegò diversi secondi a
comprendere quell’affermazione. Non una domanda, non
un’incertezza,
non devo andare? o forse dovrei andare.
Solo me ne
vado.
Eh?
Cercò di uscirsene con qualcosa di meglio di quello che la
sua
mente gli propinò. Non ottenne risultati soddisfacenti.
«Eh?»
«Sono stato lontano dal mio regno troppo a lungo. Il mio
popolo
ha riportato una vittoria, ma ci sono state delle perdite anche tra
gli jotun». Loki si volse con lentezza, Tony si prese tutto
il tempo
per ammirare il suo corpo statuario alla luce della luna.
«Hanno
capito quando ho detto loro che dovevo vendicare delle morti; ora,
tuttavia, è giunto il momento che dedichi loro la mia
attenzione.
D’altra parte, non c’è posto per me, su
Midgard: non vorrei
creare uno spiacevole incidente diplomatico. Io sono di Jotunheim,
adesso».
«Beh, a Jarvis sei sempre piaciuto» gli
sfuggì e, Dio, non
aveva proprio nient’altro con cui rendersi ridicolo? Si
schiarì la
gola per darsi un tono e aggiunse: «Voglio dire, puoi
tornare».
«Lo farò, Stark». Un sorriso aleggiava
sulle labbra del semidio
mentre gli si avvicinava a lunghe falcate che lo facevano apparire
senza peso, intangibile, eloquenti dimostrazioni della sua grazia
millenaria. «Anche se non posso prometterti quando.
Però lo farò».
Tra loro, me ne vado bruciava.
«Rimani stanotte» propose Tony prima che il filtro
tra il
cervello e la bocca potesse fermarlo – sempre che ne avesse
uno.
Considerando nella penombra l’espressione dipintasi sul volto
di
Loki, ebbe la duplice quanto contraddittoria impressione che stesse
aspettandosi quell’offerta e ne fosse compiaciuto, oppure che
fosse
indeciso sulla risposta da dare.
Dopo un secondo che parve cristallizzarsi in dieci anni, il
semidio appoggiò un ginocchio sul bordo del materasso, lo
afferrò
per la spalla e lo attirò a sé. Soffiò
sulla sua bocca, il fiato
caldo e impalpabile contro la sua pelle.
«Solo stanotte».
Fu allora che a Tony sovvenne un dubbio, fino a quel momento
relegato in un angolo della memoria, e sapeva che Loki era sul punto
di baciarlo, ma quella domanda lo stava tormentando da giorni.
Spezzato tra il desiderio di tacere e assecondarlo e quello di porgli
il quesito, finì con il farfugliarlo senza particolare
coerenza e
baciarlo al tempo stesso.
Il semidio sospese il bacio con uno sbuffo irritato e su Tony si
aprirono due pozzi di fastidio. «Cosa
c’è ora, Stark?»
Quella fu probabilmente l’unica volta in cui Tony Stark
maledisse la propria parlantina, di cui altrimenti andava molto fiero
– come d’altra parte andava fiero di qualsiasi
parte di se
stesso. «Mi ero dimenticato di chiederti perché
non mi hai ucciso.
Quel giorno, intendo, quando tu eri nella cella
dell’Elivelivolo e
volevi conquistare il mondo e- sì, insomma, hai
capito».
Loki lo fissò, forse non del tutto convinto che fosse uno
scherzo
o meno, poi, colta l’ingenua spontaneità nel tono
e nello sguardo
del midgardiano, non riuscì a trattenere un sogghigno.
«Oh, quel
giorno. Credi davvero che sarei stato così imprudente da
rivelare
che potevo lasciare liberamente quell’inutile
prigione?»
Non gli lasciò il tempo di elaborare
l’informazione, ma Tony
non aveva alcuna intenzione di risentirsi.
Il fruscio delle vesti che scorrono sulla pelle nuda, assordante
nel silenzio.
«Thor si prenderà cura di te durante la mia
assenza».
Poco più di un sussurro nella stanza intrisa di sonnolenta
oscurità.
«Thor… Thor?!»
Lo sfolgorare di un sorriso, il baluginio verde della magia che
appariva e spariva, e portava via con sé tutto, meno che un
ultimo
saluto.
«Thor sa
tutto, Stark».
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Questo momento, il
momento di concludere Save
your enemy, è arrivato prima di quanto
pensassi. Ammetto che avevo cominciato questa fanfiction con
l'intenzione di finire da tutt'altra parte: all'inizio era una storia
su cui dovevo sfogare tutti i miei p0rnfeels, poi è finita
col diventare una storia piena d'azione (rispetto ai miei standard,
almeno), in cui per certi versi l'IronFrost principale è
passato in secondo piano, anche se (come avrete senza dubbio notato XD)
non ha mai smesso di essere parte integrante della trama. Quest'ultimo
capitolo, notevolmente più breve degli altri, vuole
ricollegarsi al prologo, vuol essere un capitolo per tirare le fila di
tutto ciò che è successo (il titolo, tra
parentesi, si rifà a quello del prologo, Prelude of the fall,
per sottolineare che la caduta è terminata) e, beh, volevo
anche un momento da infarcire di FrostIron e, almeno in parte, di
p0rnfeels. Con una mancata scena di sesso, lo so, ma che volete farci?
Ogni volta che mi propongo di scrivere p0rn (beh, quasi ogni volta)
alla fine prende tutto una strada strana.
Ciò detto, passo ai ringraziamenti. Mi sembra inutile fare
copiaincolla delle liste di chi ha inserito la storia tra i
preferiti/seguite/whatever, ma ci tengo se non altro a dire grazie a tutti quelli che hanno
letto e commentato questa storia. I vostri pareri sono
stati molto importanti per me e mi hanno spronata a portare a termine Save your enemy
(ritengo doveroso anche citare Shi_Tsu_Geass
per aver fatto richiesta d'inserire Save your enemy tra
le Storie Scelte. Grazie!). Grazie per esservi sorbiti novanta pagine
di Word, grazie.
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