[Cursed by beauty]
Ha smesso di sentire il freddo. Non sente più nemmeno
l’aria di tenebra che la circonda eternamente. Non sa riconoscere il giorno, la
notte. Non ricorda nemmeno più il sole, i campi di grano, ha dimenticato anche
il suo nome.
Ma ricorda ancora qualcosa.
Ricorda di avere un corpo, e che questo corpo è
incatenato.
Il resto, svanisce sempre nel fumo e nella
cenere.
L’oro si infrange per terra. Il suo suono sembra quasi liquido, come di
sangue. È come un gorgogliare di vita strappata ad eroi, il sangue non ha più nome,
un possessore. Le ombre si insinuano tra le scaglie auree.
Gli occhi malati e le mani impure indicano un fagotto oltre le colonne del
tempio.
Gli occhi del guerriero notano qualcosa che sembra quasi
luminoso.
Appena un niente, che non ricorda.
Ha detto addio alla sua anima quando si è sentita violentata. Le ha detto
addio mentre il dio la invasava. Otototoi otototoi Apollo ohi moi! I suo gemiti
diventavano profezie. Non lo sanno loro che lei è morta, che è solo un
contenitore. Il corpo è come la scogliera, la divinità è come la marea. Porta a
prende, dà e toglie. Lei è solo un accidente, solo un mezzo. Cosa diceva la
mamma? Sei bella, Sei così bella.
Il coperchio d’argento viene alzato dal braciere. La brace si anima, il fumo
non è nero. È grigio. Come la spuma, come la morte, come il dio che entra in lei
e la scuote come fosse l’erba di una valle dimenticata. Le palpebre scattano, le
pupille si dilatano.
C’è luce. C’è così tanta luce. Poi ancora il buio, prima
dell’alba. Le bocche delle ombre ghignano, vive una morte che non è sua. Vive
migliaia di morti, soffre migliaia di ferite nel suo corpo infinito. Sei così
bella, diceva la mamma. E mentre la guardava piangeva. Le Carnee, dice uno di
loro. Non ucciderci, distoglilo. Ti prego, sei così bella.
Il corpo si alza e si fonde con la veste, la veste con il fumo, i miasmi
diventano velo, la stoffa diventa carne, i capelli sono come fiamme dal
movimento di acqua. La sua pelle è così bianca da far impallidire la luce delle
stelle, la sua danza è una danza divina che Leonida fa fatica a sopportare. È
bella, pensa, troppo bella. È come una maledizione. Chissà se lo sa.
Lei non lo sa. Lei è quello che il dio le concede di essere. Vede e sente
quello che lui vuole e se parla è solo perché lui ha deciso così. Le piaceva la
libertà da piccola. Io farò l’aria da grande, mamma. Guardami. Voglio essere la
luce del sole che corre tra i campi di grano. Voglio essere libera mamma. Sei
così bella, lei le rispondeva. E mentre lo faceva, piangeva. Sta correndo tra
armi insanguinate, una testa le ha sbarrato il cammino. Rispetta le Carnee, ti
prego. Moriremo tutti. Il nostro sangue scriverà pagine di gloria. Canta
Calliope, ricordaci. La testa la guarda e parla, il dio la accompagna. Non lo
vede, ma lui è sempre lì, con lei e in lei. La sua non è compagnia. Sei così
bella, le sussurra. Ti voglio, ti voglio. Spingi il tuo sguardo più lontano.
Oltre le montagne, oltre le Termopili.
L’oracolo muove il corpo, nell’estasi divina, con movimenti frenetici che
ricordano il piacere. Leonida deglutisce. Pensa a sua moglie e ringrazia gli dei
di non averla fatta poi così bella. Ricorda il calore del suo corpo e
l’indomabilità dei suoi fianchi. La sua pelle è ambrata, non è bianca come
quella di lei. Sia benedetto il cielo che lei è nel suo letto, e sta
dormendo.
Il dio le ha preso la mano, la fa inginocchiare. Il suo corpo fluttua e
tocca terra, la testa ritorna a parlare. Sorride, urla, geme di dolore. La mano
del dio è sui suoi seni, sulla sua gola, le sussurra profezie all’orecchio
mentre le accarezza i capelli di fiamma. Una lacrima. Una sola lacrima è il suo
regalo per lei. Sei ancora viva, e sei sempre molto bella. È una maledizione. È
come l’ultimo giorno, quando la portarono via dai suoi campi di grano. La mamma
piangeva e lei non capiva. Il monte è freddo.
Ma un giorno, dimenticherà anche questo.