Angolino:
allora. Da
che parte posso
cominciare? Che mentre scrivo due fan fiction, ne penso altre cento e
ne butto altre dieci? Che il LaviRuki mi ispira tanto? -se avete letto
Dieci volte tanto, capite di cosa parlo- Che non avevo
altro da fare? No, in realtà ho una marea di cose da fare.
Ma sono
quelle cose che butti là e ti dici
“perché no?”. A dire il
vero, era da un sacco che avevo in mente di scrivere qualcosa sul
passato di Lavi. Precisiamo che tutto ciò che leggerete
circa il suo
passato è frutto delle mie fantasie, collegate a qualche
cosina
cercata su internet. Del passato di Lavi, nessuno sa niente -e dubito
che Hoshino ci farà mai sapere qualcosa, accidenti- e
allora, diamo
sfogo alla fantasia. Lavi mi ha sempre ispirato un posto caldo e
vicino al mare, o magari un'isola. Inoltre, essendo D.Gray-man
ambientato a fine ottocento, e dato che all'epoca non tutti, specie
gli uomini, portavano gli orecchini, ho pensato che gli anellini -ora
anelloni- che porta sempre Lavi risalissero a qualche cultura di un
popolo particolare, oltre al marchio distintivo dei Bookman. E il
LaviRuki ha fatto il resto. Spero che piaccia e che non annoi. Chiedo
scusa per la mia totale inadeguatezza nell'inventare filastrocche,
canzoni e ninna nanne di sorta, e ringrazio in anticipo tutti coloro
che leggeranno, apprezzeranno e vorranno lasciare un commento. Buona
lettura e grazie di tutto!
Come
un carillon
Buonanotte,
buonanotte, piccolo mio
Non
aver paura della notte
Anche
quando chiudi gli occhi è tutto nero
Ma
lì non hai paura, vero?
Buonanotte,
buonanotte, amore mio
Non
aver paura del buio
Cerca
di coprire la tua luce
Cerca
di proteggerti, come me
Si
svegliano insieme, ma Rukia si alza dal letto sempre dopo Lavi. Molto
più tardi.
Lavi
si alza sempre cercando di non scoprirla troppo. Fa freddo e lei
è
tutta nuda, meglio che si copra per bene.
Lui
sembra non soffrire il freddo. Ripesca semplicemente i boxer, poi i
pantaloni, non si prende la briga di abbottonarseli per bene, poi va
davanti allo specchio.
Tluk.
Ci
vuole molta fantasia per dare nomi ai suoni. Rukia ha sentito quel
cofanetto aprirsi tante volte e, dopo una lunga serie di
ripensamenti, ha deciso di chiamarlo così. È
lieve, effimero. Non
le piace molto.
Cling.
Questo
le piace di più, perché si distingue molto
meglio, anche se è
altrettanto breve. Inoltre, Lavi li fa tintinnare parecchio, i suoi
orecchini, prima di indossarli. Almeno quattro volte. La prima
è
quando li tira fuori dal cofanetto. La seconda quando li posa sul
tavolino. La terza quando ne prende uno e lo indossa. La quarta per
il restante orecchino. Tutto scandito a tempi regolari e precisi,
né
un secondo di più, né uno di meno. Sono gesti che
Rukia adora. Vede
come Lavi si prende cura di sé in quei semplici gesti. Si
tira i
capelli tutti indietro, li ferma con la bandana, afferra appena un
orecchino e, senza far rumore stavolta, si fa trapassare il lobo da
quel minuscolo ago. Non dice una parola, neanche un lamento. Rukia
non ha mai indossato degli orecchini. Inconsciamente ha paura di quel
piccolo ago che viola il suo corpo. Lavi dice sempre che non
è
niente, non fa male, non esce nemmeno il sangue se fatto come si
deve, ma lei non si convince. Preferisce guardare e basta.
Si
tocca con la stessa gentilezza che riserva per lei. Resta per qualche
minuto davanti allo specchio per controllare che gli orecchini siano
a posto, e sorride davanti al proprio riflesso, Rukia lo vede bene.
Quando si rimette gli orecchini, ogni mattina, si piace molto. Fa
sempre in modo che siano ben visibili.
Sono
dei semplici piercing ad anello da applicare ai lobi, non sono fatti
d'oro o d'argento. Niente di prezioso, dunque. Ma Rukia ha notato
come siano più grandi rispetto ad una volta. Ha una svariata
collezione di quegli oggetti così semplici, quel cofanetto
ne è
pieno. Racchiude i suoi tesori più autentici e non sono
fatti d'oro.
Ci sono collane, bracciali e anelli, tra le altre cose. Lavi non ha
bisogno di particolare sfarzo. Trova che riesca a spiccare
semplicemente con quegli anelli intorno alle orecchie, o quel filino
di cotone con pendenti, sempre ad anello, che ogni tanto annoda
intorno al collo. A Lavi piacciono molto i gioielli. Mentre
lei preferisce non avere quelle cose addosso. Trova molto
più
piacevole vedere Lavi prendersi cura di sé, farsi bello
davanti a
lei.
Anche
quando si pettina, resta lì a fissarlo. Si spazzola con cura
e cerca
di non toccare gli orecchini, si illuminano al riflesso della luce
solare, che bell'effetto. Anche il riflesso rosso acceso dei suoi
capelli, comunque, sono uno spettacolo più che godibile.
Lavi ha i
capelli lisci per natura, solitamente non ha problemi con nodi tra i
capelli o doppie punte dal momento che sono piuttosto corti. E invece
ci perde tempo volentieri, seppur in maniera diversa da quella delle
altre persone. Kanda, ad esempio, non lascia toccare i propri capelli
a nessuno e non tollera che si facciano tagli d'alcun tipo, nemmeno
di due centimetri. Li lava usando solamente il sapone e pettina
ciocca per ciocca, poi, per il resto, sembra nutrirne totale
indifferenza, purché restino lunghi. Li lega sempre in
un'anonima
coda alta per tenerli ordinati. Non si concede pettinature da
capogiro e per lui un elastico vale l'altro. Ma ne resta comunque
molto geloso, tanto da incenerire con lo sguardo chiunque li tocchi
anche solo per sbaglio.
In
questo Lavi e Kanda sono molto diversi. Il primo, per tenerli in
ordine, spesso li racchiude nella bandana. Una pettinatura che non
gli sta male, ma Rukia lo preferisce di gran lunga coi capelli
sciolti. Come incorniciano il volto i capelli di Lavi non lo fa
nessuno. Le piace da morire il suo ciuffo asimmetrico, non si capisce
con esattezza la sua lunghezza perché sulla fronte sono
così, poi
sulle tempie in quest'altro modo, a volte arriva alle guance, a volte
al mento, eppure Lavi non se li scosta continuamente dalla fronte. Fa
solo una parziale riga di lato in modo che cadano sulla parte destra,
coperta dalla benda, così l'occhio sinistro può
vedere senza
problemi. Poi ripone il pettine nel cassetto da cui lo ha pescato,
senza preoccuparsi di eventuali capelli sfibrati e persi, tanto lui
non ha questo problema. Ha un bel colore di capelli.
A
Rukia piace molto il rosso. Anche Renji li ha dello stesso colore.
Durante la sua infanzia passata con lui, nei quartieri malfamati di
Rukongai, si concedeva spesso il lusso di pettinarglieli. I capelli
di Renji andavano addomesticati, aveva parecchi ciuffi ribelli, ma le
piaceva tenerli a bada. Si divertiva a fargli trecce, codini, frange,
e Renji la lasciava fare. In un quartiere povero come Inuzuri, la
cura dei capelli era un lusso, l'unico che potevano concedersi. Che
fatica trovare dell'acqua pulita per poterli lavare, e una pezza
altrettanto pulita su cui strofinarli senza farsi invadere dai
pidocchi. Fortuna che fra i capelli di Renji, Rukia non ha mai
trovato una cosa così orripilante. Come invidiava, ed
invidia
tuttora, i capelli del suo amico d'infanzia, probabilmente il suo
migliore amico, compagno di così tanti avvenimenti
spiacevoli e non.
Hanno un colore simile al sangue e brillano di luce propria al sole.
Per questo da bambina gli disse di non farseli tagliare e lui
continua a mantenere la parola. Così Rukia può
acconciarglieli
quando vuole, quando sono in vena di pazzie, quando vuole fargli una
pettinatura imbarazzante e ridere alla faccia sua.
I
capelli di Lavi non li ha mai toccati. Anche se sono così
belli,
anche se hanno lo stesso colore. Rosso sangue. È raro, al
giorno
d'oggi, vedere una persona dai capelli di un tale rosso. Anche Lavi
dice che stanno lentamente scomparendo del tutto le persone con tale
colore. Questione di genetica, dice.
Più
volte è stata tentata di chiedere di pettinarlo. Di chiedere
di
farseli crescere, perché sarebbero ancora più
stupendi se fossero
lunghi. In effetti, una volta ci aveva provato, tanto per cambiare.
Era arrivato a farsi un codino. Ma così non si piaceva ed
era più
faticoso curare dei capelli più lunghi, così Lavi
li ha tagliati di
nuovo. Rukia non ha mai osato chiedere di riprovarci. Non vuole
violare la sua intimità, le basta vederlo curarsi e basta.
Perché
si cura molto, lui. Anche gli uomini tengono alla propria immagine e
la sua espressione dice chiaramente che gli piace perdere qualche
minuto davanti allo specchio. Inoltre, da quando Rukia si ferma a
dormire da lui, molto spesso, dal momento che il vecchio ha preso
l'abitudine di non tornare a dormire, ci si sofferma più
spesso
perché sa che lo sta guardando, vede il suo riflesso. Si
sente
ammirato. Guardarmi, Ruki, mi sto facendo bello per te. Ti
piaccio?
Distoglie
lo sguardo dallo specchio, guarda lei, le sorride. È ancora
tutta
nuda, stesa sul suo letto, ormai impregnato costantemente dall'odore
del loro sesso, di lei. La bacia, si siede accanto a lei e se la
stringe contro il petto. Anche in quel momento, Rukia non osa
sfiorargli i capelli, li ha appena pettinati, sarebbe un peccato.
Sono sì piacevoli alla vista ma non sono quella la parte
più
importante. Sono gli orecchini, quegli anellini intorno alle orecchie
che brillano, anche ora che sono lontani dal riflesso del sole, a
colpirla. Le piace toccarli. Tutti hanno un rito quotidiano non
appena si alzano. C'è chi sbadiglia. C'è chi si
stiracchia. C'è
chi si rigira tra le coperte sperando di avere cinque minuti in
più.
C'è chi prima mangia e poi si lava i denti e chi fa il
contrario.
C'è chi si lava subito la faccia. C'è chi si
pettina subito. C'è
chi si mette subito gli orecchini. Il rito mattutino di Rukia
è
quello di toccare gli orecchini di Lavi, farli tintinnare contro le
unghie. Cling, cling, cling. Come se mettesse in
funzione un
carillon.
In
effetti ce n'è uno in camera. Le ha spiegato più
volte come
funziona e adesso sa farlo partire anche da sola. Basta girare la
chiave tante volte quanto vuoi sentire la canzone. Poi dal coperchio
spunta la miniatura di un gruppo di musicisti, tutto decorato a mano.
È un susseguirsi di tintinnii che accompagnano
splendidamente il
rumore, dolce ed effimero, degli orecchini di Lavi contro le sue
dita.
A
volte quando è talmente rilassato canta. A voce bassa, non
ha
bisogno di dilettarsi in cori lirici. Canticchia le note di quella
che pare una ninna nanna, Rukia non l'ha mai sentita ma ha ricordato
in poco tempo i testi. Non lo obbliga mai a farlo, ma spera che
gliela canti tutti i giorni. Immagina spesso una scena in cui lei
suona coi suoi orecchini, lui canta e insieme ballano,
finché i
piedi non cominciano a far male. Ci spera sempre. Se Lavi non lo fa,
pazienza, ci saranno altre occasioni. Ma tra le tante cose le piace
anche la sua voce e lui è un noto chiacchierone. Per certe
cose, lo
è. Quando si tratta della sua vita e della sua persona tende
ad
eludere le domande e cambiare argomento. Ma con lei non ce
n'è più
bisogno.
«
Non ti fanno male? » dice, alludendo agli orecchini. A forza
di
toccarli rischia di consumarli, ma non ne può fare a meno.
«
No, per niente. In fondo ce li ho da quando sono nato. »
«
Ti hanno traforato il corpo da bambino... con queste? »
«
Non fare quella faccia, come se mi avessero violentato. Nel mio paese
è una cosa normale. »
«
Che posto è il tuo paese? »
«
Sono nato e cresciuto su un'isola, in una cittadina che aveva i
boschi da una parte e città molto più grandi
dall'altra, poco
distante dal mare, fino ai miei sei anni. Lì le estati sono
tra le
più calde, gli inverni sono sopportabili, nevica solo
durante i
primi giorni di gennaio. Io sono nato nel periodo più afoso
dell'anno, con un caldo infernale. Per questo mi è sempre
piaciuto
il freddo, vedere la nave che cade sul mare. Però,
nonostante il
caldo, si riusciva a vivere bene. La gran parte degli abitanti erano
pescatori, ma si faceva un po' di tutto. I miei genitori
confezionavano vestiti. »
Lavi
non parla mai di sé. Nessuno ha idea da dove venga e come
abbia
trascorso i primi anni della sua vita. Si confida solo con Rukia, e
c'è da dire che non ha deciso di farlo subito. Volendo
sfruttare la
sua memoria di Bookman, abile a registrare ogni cosa, anche la
più
piccola, come se scattasse una fotografia, direbbe che ha aspettato
otto mesi e settantadue giorni prima di rivelarle qualcosa di
sé in
totale tranquillità. Non sembra, ma è diffidente
di natura, Lavi. E
poi lo impone la regola dei Bookman. Non confidarti. Devi
custodire i segreti, non spiattellarli. Abbandona il tuo nome e la
tua vita precedente. Alla storia non serve.
Ma
a Rukia sì. È importante per lei capirlo e
conoscerlo. Lui sa
meglio di chiunque altro quanto brutta sia l'ignoranza. E come lei le
ha confidato ogni cosa della sua vita, è giusto che ricambi
il
favore. È giusto che lo conosca a fondo, così da
poter accettare
tutto, tutto di lui. Condividere. Un lusso che Rukia ha deciso di
concedergli grazie al suo tocco gentile. Cling, cling, cling.
È
una meravigliosa sensazione sentirsi sfiorare con quel concerto
improvvisato. Continua a suonare per me, Ruki.
«
Anche i tuoi genitori portavano gli orecchini? »
«
Li portavano tutti. Nel mio paese è un diritto ed un dovere
portare
gli orecchini ad anello. Rappresenta la nostra crescita. Me li hanno
fatti fare quando avevo tre anni, per indicare che ero un singolo
individuo che doveva crescere. Più la persona acquisisce
maturità e
più grandi diventano gli orecchini, anche se questo varia a
seconda
delle persone. Mia madre ad esempio ha sempre preferito i pendenti.
Gli orecchini nel mio paese servono a raccontare qualcosa di una
persona. Quelli ad anello sono i più diffusi
perché rappresentano
il cerchio della vita. Fa parte della mia cultura, per questo non
riesco a toglierli. Inoltre, anche nella storia di Bookman sono
importanti. Il vecchio porta degli orecchini diversi, hai notato?
Quando prenderò il suo posto, erediterò anche i
suoi orecchini.
Servono a distinguerci perché non tutti i popoli hanno
questa
usanza. Come i pirati che mettono solo l'orecchino sinistro per
sottolineare la loro libertà sui mari. Nel mio paese erano
un po'
anche così, amanti della libertà. Erano
così contenti, i
naviganti, quando partivano. »
«
Sembra un bel posto. »
«
Ti ci porterò un giorno. Quando questa guerra
sarà finita, anzi,
appena avremo un momento libero. Il mare è bellissimo, per
niente
contaminato. Le persone sanno farsi i fatti propri ma sono cordiali.
Anche chi ti sembra tanto burbero, ti offre sempre qualcosa da bere.
»
«
E cantano? »
Il
ragazzo inarca un sopracciglio, senza trascurare di sorridere, a
quella domanda. Gli viene naturale, senza sapersi spiegare il
perché,
di stringerla più forte a sé, di coprirle la
pelle nuda con la
coperta color crema e di inspirare il profumo fresco dei suoi
capelli, poggiando la testa sulla sua. Qualunque secondo, qualsiasi
parola, con Rukia ha un sapore diverso e svelarsi così lo fa
sentire
immensamente bene.
«
Ti riferisci alla ninna nanna che canticchio a volte? »
«
Forse non dovevo chiedertelo? »
«
No, figurati. Anzi, mi fa felice. Sai, credevo di averla dimenticata.
Me la cantava mia madre tutte le notti. »
«
Allora è impossibile che tu la dimentichi. In fondo, era tua
madre.
»
«
Già... era mia madre. Ma lo sai, Ruki... io ho rinunciato al
mio
nome, e di conseguenza alla vita collegata ad esso. Eppure mi ricordo
tutto. Il mio paese, la gente che ci abitava, i miei genitori, la
canzone. Se il vecchio lo sapesse... »
«
Ma lo so soltanto io. Di me ti puoi fidare. » torna a giocare
col
suo orecchino, che anche senza il riflesso diretto del Sole, brilla,
come animato da volontà propria, quasi voglia ribadire la
sua
posizione. « Voglio far parte del tuo cerchio
della vita. »
Lui
l'abbraccia, il bacio è spontaneo, il sorriso che gli vede
in volto
è il più malinconico ma anche riconoscente che
gli abbia mai visto.
Le accarezza la guancia, le coperte scivolano sul suo corpo, con un
rumore simile al frush, frush.
A Rukia non piace per niente, quel rumore. Non è sicura che
faccia
proprio così, ci vuole molta fantasia per dare nomi ai suoni
ma, tra
quelli che ha vagamente riconosciuto, il suo preferito è, e
resterà
sempre, quello degli orecchini di Lavi, della sua vita di cui ora fa
parte. Cling, cling, cling.
Come il carillon che Lavi ha in camera e che ogni tanto fa suonare,
facendo spuntar fuori quegli omini che suonano e li spinge a ballare
o suonare con loro, cling, cling, cling. Ora
che le è stato detto qualcosa di così importante
circa la sua vita
passata, quella che non ha potuto continuare, intuisce che quel
carillon rappresenti, insieme agli orecchini, ai capelli rossi che
cura ogni mattina, al suo modo di essere, non quello di Bookman
Junior, ma dell'uomo, semplicemente un uomo, che ora e per lei si
chiamerà sempre Lavi, la sua vita, la sua essenza,
ciò che non gli
farà perdere completamente la propria identità e
che dunque non lo
farà impazzire del tutto, nonostante l'abbondare di
conoscenza che
possiede. E Lavi, per quel suo notare tali piccoli dettagli, le
è
infinitamente grato.
«
Lo so, Ruki... lo so. » le dice, semplicemente, con dei
sorrisi e
delle carezze. Rispondere con “ti amo” o
“grazie” di sorta
non renderebbe la gratitudine che prova nei suoi confronti. In alcuni
casi, le parole sono inutili, chi meglio di lui può saperlo.
A volte
è meglio restare in silenzio, lasciare che aleggi il suono
del
silenzio o qualcos'altro. Come un carillon. Ecco, è questa
l'idea
che viene a Lavi mentre scende nuovamente dal letto, cammina a piedi
nudi con passo deciso sul pavimento coperto quasi interamente da
fogli con appunti e registrazioni varie, ma comunque freddo, allunga
la mano sul carillon posato accanto allo specchio, gira la manopola
una decina di volte. Lo lascia lì, lo riposa al proprio
posto con
delicatezza, cercando di mare meno rumore possibile. Rukia non perde
nemmeno un attimo di quei gesti e dei conseguenti rumore. Tup,
tup, tup. Crick, crick, crick, crick, crick, crick, crick, crick,
crick, crick. Tluk. Cling cling cling cling cling cling. E
quei suoni che ribattezza così, coprono i restanti passi di
Lavi, il
fruscio delle coperte risistemate sul suo corpo, lo sfregarsi della
pelle nell'abbraccio. Quasi coprono anche la sua voce, e quella di
Rukia, che cantano insieme. Lavi pare sorpreso. Non immaginava che
Rukia riuscisse a imparare una cosa a lui così intima. Si
rende
conto solo ora che forse gliel'ha cantata troppe volte, ma si rende
altrettanto conto che la voce di Rukia, quando canta qualcosa di
così
personale per lui, raggiunge livelli di bellezza fino a quel momento
inimmaginabili. E le è grato, per questo. Gli fa venire
voglia di dire che
la ama più di ogni altra cosa al mondo, che quel suo modo di
fare e
di amare gli provoca nel cuore un battito frenetico, coperti anche
quelli dal suono del carillon. Tu-tum, tu-tum,
tu-tum,
tu-tum. Un
altro suono che a lei
piace molto e di cui si accorge benissimo, mentre appoggia l'orecchio
contro il suo petto. Un suono che accompagna terribilmente bene la
melodia dolce del carillon e le loro voci. Il miglior concerto a cui
Rukia abbia mai partecipato.
«
Buonanotte, buonanotte, piccolo mio. Non
aver paura della notte. Anche quando chiudi gli occhi è
tutto nero,
ma lì non hai paura, vero? Buonanotte, buonanotte, amore
mio. Non
aver paura del buio. Cerca di coprire la tua luce. Cerca
di proteggerti, come me. »
E
Rukia si riaddormenta così, insieme a Lavi. Chiudono gli
occhi,
rendendosi conto di essere ancora troppo stanchi per poter ingranare.
Lavi si è pettinato con cura, è un peccato, ma
non fa niente in
fondo. A lui non dispiace farsi continuamente bello davanti ai suoi
occhi e a lei non dispiace guardarlo. Magari, per farsi perdonare di
averlo scomodato di prima mattina, sarà lei a pettinarlo.
Si
riaddormentano così, chiudono gli occhi tranquillamente
senza paura,
sicuri nei loro abbracci, protettivi e caldi. Tranquilli in quel
concerto improvvisato, sicuri del fatto che anche chiudendo gli
occhi, anche vedendo tutto buio, loro resteranno insieme, si
proteggeranno a vicenda, un giorno andranno su quell'isola che Lavi,
purtroppo o per fortuna, ricorda ancora benissimo, e balleranno di
fronte a veri musicisti quella stessa canzone che rappresenta il loro
cerchio della vita. Che fa cling, cling, cling.
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