Piacere, mi chiamo Neil
McRoberts e sono un mago.
Questo
l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a
punta e il
bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente;
non
indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
Dicevo,
mi
chiamo Neil McRoberts e sono un mago, laureato cum laude nella
città-stato di
Xiam, centro mondiale del sapere scientifico. O almeno lo sarei se
avessi
discusso la tesi e non fossi andato via per… diciamo questioni di forza
maggiore. Ma questa è un’altra storia.
Quella
di oggi era meno avventurosa, almeno in principio. Mi trovavo in un
piccolo bar
in uno sperduto paesino nell’entroterra sardo in compagnia di un’amica,
mentre
attendevo un collega. Mi dondolavo sulla sedia tenendo le spalle
appoggiate al
muro, Naturalmente ci trovavamo in un tavolo d’angolo. Nel nostro
mestiere è d’obbligo
non farsi sorprendere alle spalle: non voglio certo farmi servire una
Dead
Man’s Hand. Chiara era seduta alla mia destra e sorseggiava un
bicchiere
d’aranciata. Mi voltai a guardarla, perché, diamine, era proprio uno
spettacolo. Aveva due occhi neri incantevoli e un visetto con due gote
paffute
che mettevano in evidenza le fossette sulle guance quando sorrideva.
Teneva i
capelli castani legati in una coda di cavallo e la tuta da ginnastica
che
indossava non rendeva giustizia al suo fisico atletico. Si accorse che
la
guardavo e mi sorrise. Un sorriso lievemente divertito, come a dirmi
“Sogna
pure”. Che donna!
La
porta
del bar si aprì ed entrò un robusto uomo di colore. Robusto era
riduttivo: alto
quasi due metri e con cento chili di muscoli guizzanti, Jebediah
Spencer non
era passato nella NFL per un soffio. Aveva quindi deciso di dedicarsi
alla sua
seconda passione e si era avventurato nell’allegro mondo dei PMC
(Private
Military Contractor), o mercenari, come dicono nei film.
«Salve,
Neil.» disse, mentre si sedeva al tavolo. «Chiara, è sempre un piacere
vederti.» La donna ricambiò il saluto con un cenno della testa.
«Salve,
Big
J. fatto buon viaggio?» Jebediah è un nome troppo lungo per i miei
gusti e il
“Big” si spiega da solo.
«Tranquillo,
anche se le coordinate che mi hai dato per il Salto mi hanno fatto
quasi finire
dentro un porcile.»
Ridacchiai.
Da qualche anno era consuetudine che gli preparassi dei Salti in
posizioni
abbastanza strane. “Saltare” era un modo di dire che indicava
l’utilizzo di
portali magici per compiere lunghi spostamenti. Solitamente si
preparava un
luogo in cui si potesse aprire un Portale e il viaggiatore usava un
oggetto
incantato per utilizzarlo. Poi serviva un altro oggetto che “conteneva”
le
coordinate magiche del punto d’arrivo, con il quale il viaggiatore
poteva
attraversare con sicurezza il Portale e arrivare nel luogo voluto e
non, che
so, nella tana di un drago o in una dimensione popolata da demoni
birichini.
Poi vi erano anche altri tipi di Portali, per altre occasioni:
viaggiare in
gruppo, con destinazione fissa e
via
dicendo. Meglio che non mi dilunghi in questioni tecniche.
Avevo un Portale disponibile
vicino a tutte le
località importanti – Londra, Praga, Las Vegas per citarne alcune - ma
la
Sardegna non era fra queste. Io ero arrivato in aereo e ne avevo
preparato uno
apposta per l’occasione, con l’aiuto di Chiara.
Jebediah
non aveva nessun talento magico, ma la nostra professione richiedeva
l’apprendimento di qualche trucco per viaggiare comodi e non morire con
troppa
facilità. La stessa cosa valeva per Chiara. Anche lei non aveva nessun
addestramento nel campo della magia, ma aveva qualche asso nella
manica.
La
donna
posò il bicchiere e disse: «Ora che anche Big J è arrivato puoi sputare
il
rospo e dirci di cosa si tratta.»
Sempre
dritta al punto. «Un lavoro di routine. L’obiettivo si è rintanato da
qualche
parte nelle montagne e bisogna stanarlo.» dissi.
«Nelle
montagne? Non sulle?» chiesi Big J curioso.
«Sì,
dentro le montagne. È nascosto in una caverna.»
«Dobbiamo
prenderlo vivo o morto?»
«Indifferente.
Quindi, se il gioco diventa pericoloso, prendiamo la via sicura.»
Jebediah
annuì. «Meglio lui che noi.»
«Quanto
è protetto? Solo sgherri acqua e sapone o anche qualche simpaticone
sovrannaturale?
Non vorrei finisse come l’anno scorso a La Paz.» disse Chiara.
«Proprio
no.» concordò l’altro.
A
La Paz
erano successe un paio di cose non proprio piacevoli: demoni delle
Sfere
Esterne e bazzecole simili. «Secondo il mio cliente solo l’obiettivo
possiede addestramento
magico.» risposi. Chiamai la cameriera per ordinare dell’altra
aranciata. Avrei
preferito una bella birra ghiacciata, ma sul lavoro non si beve. Altra
regola
del grande gioco del piccolo mercenario.
«E
suppongo che tu sia in grado di tenergli testa.» disse Chiara.
«Ovviamente!
Sono o non sono Neil McRoberts, laureato cum laude…»
«Sì,
sì»
m’interruppe «sappiamo
la storia.»
«Tu
che
ne pensi, Mic?» disse Jebediah.
Mic
è il
mio Spirito, il fuoco fatuo che mi ronza attorno di cui parlavo prima.
Si
manifestò durante la mia prima esercitazione, quando avevo otto anni e
quasi
distrussi il laboratorio della scuola. Da allora non ha più smesso di
rompermi
le scatole. Per dovere di cronaca - e non per il puro gusto di vantarmi
– è un
5k. Negli Orbitali sopra di lui ci sono Spiriti il cui potere non è
descrivibile con la nostra fisica. E il mentore di Merlino. Sì, avete
capito
bene, quel Merlino.
Mic
svolazzò intorno all’energumeno. «Non dovrebbero esserci problemi. La
Paz ha
insegnato a Neil che non si deve evocare ciò che poi non si è in grado
di
rispedire indietro.»
«O
ciò
che può a sua volta evocare qualcosa che non possiamo prendere a calci
nel
didietro. Sì, lo sappiamo. Abbiamo tutti letto Lovecraft.» replicai.
«Ora basta
parlare di La Paz.»
«Le
informazioni che ci ha passato il cliente ci dicono che ha un
addestramento
minimo. Un qualsiasi studente di primo livello potrebbe tenergli
testa.» disse
Mic. «Inoltre abbiamo fatto una ricognizione prima che arrivaste e non
abbiamo
individuato nessuna radiazione magica fuori dalla norma. Uno stregone
di un
certo livello non può nascondere l’aura magica che irradia.»
«Se
ci
fosse stato un vero mago ce ne saremmo accorti.»
«Allora
non dovrebbero esserci problemi di sorta.» disse Chiara, mentre si
alzava,
seguita subito da Jebediah. «Domani ci ritroviamo qua?»
Annuii
e
mi alzai anche io. «Dimenticavo. L’obiettivo è un vampiro.»
La
sorpresina paralizzò i due. Poi mi guardarono scocciati e Chiara scosse
la
testa. Alle donne faccio sempre quell’effetto.
«In
quale universo “eliminare un vampiro” è un lavoro di routine, Neil?» si
lamentò
Jebediah.
«Ecco
l’inghippo!» aggiunse Chiara. «Un vampiro! Mi sembrava strano che fosse
un
lavoro facile facile.»
«Un
vampiro!» ripeté , mentre usciva dal bar.
Se
vi è
mai capitato di partecipare a un’escursione in montagna sapete che non
è il
massimo del divertimento, almeno secondo il significato che do alla
parola.
Scarpinare lungo sentieri accidentati, mentre il sole mi martella sulla
schiena
non è fra i miei hobby. Preferisco di gran lunga sedere in un pub a
gustare un
buon whisky oppure in uno strip club a godermi una lap dance. Questione
di
gusti. Se poi aggiungete il fatto che il lavoro del mago è molto
sedentario –
ore e ore a leggere libroni e studiare vecchie pergamene, anche se
l’avvento
dei computer e d’Internet ha facilitato le cose – e che Chiara e
Jebediah erano
molto più in forma di me, potete immaginare come mi sentissi felice nel
vederli
qualche metro avanti a me che saltellavano sulle rocce come due dannati
stambecchi.
Entrambi
avevano sulle spalle uno zaino tattico che pesava almeno venti chili.
Il mio
equipaggiamento era molto più leggero e su quel fronte non potevo
lamentarmi.
Oltre all’immancabile zaino in cui tenevo acqua e cibo, portavo con me
solo il bastone
e una Glock che tenevo nei jeans, nascosta alla vista dalla larga felpa
che
indossavo. Se mi state immaginando vestito come Gandalf il Grigio, vi
state
sbagliando di grosso. Niente cappe, cappelli a punta, vesti lunghe con
cappucci
o lunghe barbe bianche. Come Jebediah e Chiara, portavo un paio di
jeans
scadenti e una felpa grigia, comprati il giorno precedente al
supermercato, scarpe
da tennis e un cappellino da baseball per riparami dal sole. In
effetti, il bastone
– superava la mia testa di almeno tre pollici - può ricordare Gandalf.
Attendo
con ansia l’occasione di gridare “Tu non puoi passare!” e far saltare
un ponte.
Arrivammo
sull’obiettivo nel tardo pomeriggio. L’imbocco della caverna in cui il
vampiro
si nascondeva si trovava vicino a un nuraghe. L’antica costruzione si
stagliava
imponente sull’ingresso della caverna, nonostante il tempo non gli
fosse stato
clemente. Vista la sua posizione in cima all’altura, in antichità
probabilmente
veniva usato come avamposto e punto di controllo. All’interno si
distinguevano
due uomini armati di Kalashnikov che discutevano fra loro, mentre
fuori, a
guardia della caverna, c’erano altri tre uomini, intenti a fumare e
giocare a carte.
«Vi
pare
il modo di fare il proprio lavoro? Ci manca solo che siano ubriachi!»
commentò
Chiara. «Rovinano l’immagine della categoria.»
«Chi
ti
dice che siano dei PMC? Magari sono solo dei cultisti che adorano il
vampiro.»
disse Jebediah.
Ridacchiai.
«Sono i fanboy del vampiro.»
«Suvvia,
non scherziamo.» disse Chiara, dopo aver riso a sua volta. «Slavi
armati di
Kalashnikov, è ovvio
che siano colleghi.
Piuttosto maldestri, ma pur sempre colleghi.»
«Regole
d’ingaggio?» chiese Jebediah, mentre ci avvicinavamo all’obiettivo e le
guardie
si accorgevano della nostra presenza.
«Fingiamoci
dei simpatici escursionisti e appena capiscono che non lo siamo e
mettono mano
alle armi, cominciamo la sinfonia Parabellum.» dissi, anche se in
realtà non
ero sicuro dei violini che avrebbero suonato Jebediah e Chiara. Il
primo era un
aficionado della
Heckler&Koch e
solitamente usava un MP-5, mentre Chiara preferiva usare due Beretta
92.
«Roger,
capo.» dissero, quasi in contemporanea.
Misi
da
parte le pignolerie sulle mie baggianate e mi concentrai, attingendo
all’energia che si trovava nel mio corpo e tutt’intorno. Usare la magia
elementare non richiedeva un grande equipaggiamento, almeno al mio
livello.
Certo, un bambino che impara ad accendere una candela o formare un
cubetto di ghiaccio
in una bevanda in principio ha bisogno di qualcosa – oggetti, parole,
movimenti;
vettori, se vogliamo usare il termine tecnico – per incanalare
l’energia e
produrre il fenomeno che vuole produrre. Con l’esperienza si migliora
la
propria abilità nel concentrarsi e nel sentire l’energia, per cui si
può fare a
meno dei vettori. Naturalmente se
volessi fare qualcosa di
complicato – che so, deviare l’orbita di un satellite geostazionario –
anche io
avrei bisogno di vettori, e tanti, ammesso e non concesso che sia in
grado di
controllare l’energia richiesta senza ammazzarmi.
Questo
è
l’altro inghippo nell’utilizzo della magia: non si possono bypassare le
leggi
della termodinamica e della fisica in generale. Per cui, se volessi far
precipitare il suddetto satellite, dovrei fornire all’incantesimo
almeno
l’energia necessaria per il cambio di orbita. Dico almeno perché se il
Primo
Principio dice che non possiamo vincere, il Secondo dice che non
possiamo
nemmeno pareggiare; entropia e via dicendo, non voglio farvi una
lezione di
fisica.
In
parole povere, avrei potuto far esplodere – letteralmente far esplodere
- con
molta facilità, e tanta violenza, i tre mercenari che ci venivano
incontro, ma
dopo i miei amici avrebbero dovuto attaccarmi una flebo al braccio e
portarmi
con urgenza all’ospedale più vicino.
«Allontanatevi.»
gridò una delle guardie, in un italiano stentato.
«Siamo
solo dei poveri escursionisti che si sono persi.» gridai di rimando,
mentre caricavo
l’energia sul bastone. Prima mentivo, anche io uso un vettore.
Altrimenti
perché mi porterei dietro un bastone? Mica sono zoppo.
I
mercenari ormai erano a distanza di tiro e si leggeva chiaramente nei
loro
movimenti che non avevano intenzione di essere gentili con i poveri
escursionisti che si erano persi. «Musica, maestro.» dissi.
Mi
voltai a sinistra e vidi Jebediah che con un gesto della mano apriva un
Portale; come un piccolo strappo in una tenda, solo che la tenda era la
nostra
realtà e dall’altra parte c’era una differente dimensione.
Un’applicazione
rozza e grossolana degli incantesimi di trasporto, ma non mi soffermo a
spiegarvi
la teoria che c’è dietro, non vorrei tediarvi. E soprattutto non ne ho
voglia.
Jebediah
infilò la mano nello strappo e tirò fuori il suo SMG e
contemporaneamente mise
il colpo in canna. Era un MP-5, avevo indovinato. Dieci punti per Neil.
Alla
vista dell’arma, i tre mercenari sollevarono i loro mitra, ma a mia
volta
puntai il bastone su di loro e rilasciai un po’ dell’energia che vi
avevo
immagazzinato. Una potente folata di vento li fece sbilanciare e
persero
l’equilibrio.
«Fico!»
dissi. «Un Portale per non doversi portare appresso le armi pesanti.
Vorrei
tanto essere un mago e poterlo fare anche io! Nevvero, Chiara?» Mi
girai a
destra, ma Chiara era sparita. Un istante dopo, spari di piccolo
calibro
echeggiarono all’interno del nuraghe e subito furono accompagnati dalle
ritmate
raffiche dell’arma
di Jebediah, che
finiva gli uomini a terra. Chiara apparve subito dopo alla porta del
nuraghe,
con le pistole puntate sull’imbocco della caverna; due Beretta 92.
Altri dieci
punti per Neil McRoberts.
Jebediah
imitò Chiara e si spostò velocemente in un punto riparato per tenere
sotto tiro
la caverna. Invece, io, lo stregone pigro e fuori allenamento, presi
una barretta
di cioccolato dallo zaino e la divorai in un paio di bocconi. Come vi
dicevo,
usare la magia consuma tanta energia e il cioccolato aiuta a
ripristinare in
fretta un po’ di zuccheri. Soprattutto è decisamente più buono delle
maltodestrine. Sul serio. Un mio vecchio collega si portava appresso
solo borracce
d’acqua e di maltodestrine; sembrava un ciclista. Beveva come una
spugna, ma
devo ammettere che il metodo era molto efficiente. Lo uccise un lupo
mannaro
che lo sorprese mentre faceva pipì. La morale è che ogni tecnica ha i
suoi
punti deboli.
«Che
si
fa? Entriamo?» La voce di Chiara mi distolse da quei pensieri
importanti. O
meglio, mi riportò a terra a pensare al lavoro.
«Un
attimo.»
Mi avvicinai con cautela all’ingresso mentre studiavo con attenzione il
fluire
dell’energia magica intorno alla caverna. Volevo essere certo che il
caro
vampiro non avesse piazzato qualche trappola o qualche allarme.
Diamine, gli
spari erano stati un più che chiaro avvertimento e là sotto, chiunque
ci fosse,
si stava preparando a riceverci. Il miglior piano d’azione era quello
di
entrare in fretta e non dar loro il tempo di organizzarsi.
Non
vi
era nulla di strano intorno alla caverna. Nessun segnale di attività
magica,
escludendo quella radiazione di fondo che permea qualunque luogo in cui
sono
presenti esseri viventi. Era lievemente superiore alla norma, in
particolare
intorno al nuraghe. L’aveva notato anche Mic durante la ricognizione,
ma avevamo
deciso che dipendesse dalle condizioni della zona.
La magia non è statica, si diffonde lungo
grandi linee. È una sostanza in equilibrio dinamico, se vogliamo essere
tecnici. Basta anche una variazione delle condizioni climatiche per
modificarne
il comportamento.
Alzai
il
pollice per indicare il via libera e Jebediah entrò nella caverna. Io
lo seguii
subito dopo, mentre Chiara chiuse la formazione. In un ambiente stretto
come
quel tunnel, mandare avanti il nostro peso massimo era la soluzione
migliore: se
il combattimento fosse diventato ravvicinato o avessimo incontrato
qualcosa
armato di zanne e artigli, Big J aveva molte più possibilità di
sopravvivenza
rispetto a me e Chiara.
Il
tunnel era libero da qualsiasi ingombro e scendeva dritto come un fuso,
con una
lieve pendenza. Ci muovevano lentamente, quasi strisciando lungo le
pareti per
evitare di far da bersaglio a eventuali cattivoni appostati nell’ombra.
Stare
al centro del tunnel controluce era l’equivalente di appenderci al
collo un’insegna
al neon con scritto “Sparate qua, amici!”.
Dopo
una
decina di passi, la luce che arrivava da fuori divenne insufficiente e
la
visibilità calò rapidamente. Mi sarebbe piaciuto alzare il bastone e
dire
“Shirak!” per evocare magicamente una luce, ma vale la considerazione
precedente riguardo i facili bersagli. Invece, aprii una tasca dello
zaino,
tolsi fuori un paio di occhiali da sole e li indossai. Come per magia,
il
paesaggio si era colorato di quelle tinte verdi tipiche dei visori
notturni. In
effetti era proprio magia – ba-dum tish
- quegli occhiali erano incantati in maniera tale da fungere proprio da
visori
notturni. Inoltre erano meno ingombranti dei modelli usati dai militari
acqua e
sapone. Ed erano alla moda. Jebediah e Chiara mi aveva imitato e
avevamo ripreso
la discesa.
Camminare
attaccati al muro, senza poter guardare dove si mettono i piedi, è un
esercizio
lento e stressante. Non guardi a terra perché hai lo sguardo fisso
avanti per
non farti cogliere di sorpresa e a ogni passo muovi il piede lentamente
strisciando
il tallone sulla parete, per seguirne il profilo. Poi lo posi piano
cercando di
non fare troppo rumore. Ripeto: lento e stressante. Si percorrono
distanze
piccole in tempi enormi ed è faticoso.
Sono
accortezze fondamentali quando gli obiettivi sono umani, ma lasciano il
tempo
che trovano quando si tratta di attaccare un predatore sovrannaturale.
I
vampiri fondamentalmente sono degli esseri umani, ma possono affinare
con
facilità i propri sensi tramite la magia, per cui non era scontato che
non si
accorgesse di noi. Per il nostro metro di giudizio potevamo pure essere
silenziosi, ma magari il vampiro sentiva un fracasso stile concerto
rock. Magari
non aveva nemmeno bisogno di occhiali chic per vedere al buio.
Il
piano d’azione migliore sarebbe stato quello di svuotare un’autobotte
di napalm
dentro la caverna, poi lanciarci una dozzina di molotov e infine far
crollare
tutto. Così però non avremmo potuto confermare l’eliminazione del
bersaglio e
ci sarebbe toccato rinunciare la ricompensa, per
cui non ci rimaneva
che utilizzare la solita tattica e sperare di non diventare la cena
dell’obiettivo.
La
domanda da un milione d’euro era perché stavamo scendendo indisturbati.
Mi
sarei aspettato una dozzina di mercenari che ci davano il benvenuto
lanciandoci
un po’ di confetti di piombo, oppure direttamente Mr. Dracula che ci
correva
incontro per farci a pezzi.
Invece
nulla.
Proseguimmo
nel tunnel per una decina di metri, fino ad arrivare a una porta di
legno. Dalla
base filtrava della luce. Jebediah si era già piazzato su un lato,
pronto a
fare irruzione. Con un gesto della mano indicai a Chiara di
posizionarsi dalla
parte opposta e mi preparai ad aprire la porta.
“Aprire”
era un eufemismo.
Alzai
la
mano sinistra e concentrai dell’energia sul palmo fino a quando non
apparve una
sfera di fiamme azzurre. Mormorai una parola e il proiettile magico
schizzò
contro la porta, facendola saltare dai cardini e spingendola
violentemente
all’interno, accompagnata da una forte esplosione. Jebediah lanciò una
flashbang
dentro la stanza e ci coprimmo gli occhi. Dopo la detonazione, Big J
entrò con
l’arma in posizione di tiro. Fece in tempo a sparare una raffica e poi
lo vidi
volare verso destra, spinto da un attacco invisibile. Lo seguii dentro
e mi
preparai a lanciare una seconda sfera esplosiva contro la figura che si
distingueva fra la nube di… polvere? Nebbia? Qualcosa d’indefinibile...
che
riempiva la stanza.
Nell’istante
che lanciai il mio attacco capii che qualcosa non andava. La palla
azzurra
sembrò rimbalzare su un muro e ritornò verso il mittente. Feci appena
in tempo
ad alzare il bastone ed evocare uno scudo magico per proteggermi. La
sfera
esplose sul muro invisibile, a pochi centimetri dalla mia faccia, e
l’esplosione mi fece volare contro la parete. La
vista mi si riempii di puntini colorati,
mentre scivolavo sul muro fino ad accasciarmi a terra.
«Stai
sveglio, Neil» mi dissi, nonostante tutto il mio corpo gridasse il
contrario.
Avevo preso una bella botta, ma lo scudo aveva assorbito gran parte
dell’energia
cinetica dell’esplosione e i danni erano minimi: solo qualche livido al
posto
di ustioni di terzo grado.
Nella
nebbia – o qualsiasi cosa fosse – vedevo due figure muoversi molto
velocemente.
E non intendo “Usain Bolt-velocemente”, ma “Superman-velocemente”.
Chiara stava
dando del filo da torcere a Mr. Dracula. Le silhouette sembravano
danzare,
mentre si scambiavano colpi con delle armi. Chiara – non potevo non
riconoscere
la sua figurina da ginnasta con le tette - stava usando il suo solito
pugnale
da combattimento, mentre il vampiro aveva un’arma più lunga,
probabilmente una
spada.
Cercai
di studiare la nebbia, perché era chiaramente un incantesimo che il
vampiro
stava usando per complicarci la vita. Mi concentrai per annullarlo,
mentre
Chiara lo teneva occupato. Non era nulla di astruso – una banale
condensazione
del vapore acqueo presente nell’aria - e mi bastò tagliare il contatto
fra
l’incantesimo e la mente dell’evocatore. Nel caso d’incantesimi
semplici, una
volta rimossa la fonte di energia, il fenomeno decade quasi
istantaneamente.
Quando
la nebbia svanì mi si presentò una scena che sembrava tratta da un film
di
Tarantino.
«E
vai con
lo stallo alla messicana!» esclamai, mentre mi rialzavo aiutandomi col
bastone.
Il
vampiro era in piedi e puntava la spada – una striscia o, come dicevano
i
francesi, rapière – alla gola di
Chiara, che stava in ginocchio e a sua volta teneva la pistola puntata
sul
cuore del vampiro. Il braccio sinistro le pendeva molle sul fianco e
del sangue
colava formando, una pozzanghera accanto al suo ginocchio. Jebediah si
era
rialzato e teneva l’MP-5 puntato su Mr. Dracula, che lo teneva sotto
tiro con
una pistola. Il pugnale della donna si trovava qualche passo più in là,
probabilmente scaraventato via da un colpo di spada.
I tre erano pronti a farsi fuori a vicenda,
in caso l’altro facesse una mossa sbagliata. Come al solito, io ero
stato
tagliato fuori dal divertimento.
Immagino
che ora vi starete chiedendo perché il vampiro si trovava in pericolo:
non bisogna
usare un paletto di frassino per ucciderne uno? Forse era vero in
passato,
quando non esistevano fucili di precisione che permettevano di
abbatterli
comodamente da un chilometro di distanza. In realtà, il manuale del
perfetto
killer spiega come traggano il proprio potere dal sangue, quindi
l’importante è
dissanguarli; e colpire il cuore è un ottimo metodo. Oppure farli
deprimere
affinché si taglino le vene nella vasca da bagno, ma questo sarebbe più
complicato. Nonostante la loro reputazione letteraria li renda
abbastanza
spaventosi, nella realtà i vampiri non sono così pericolosi. Almeno questi, perché ne
esistono di un tipo
ben più spaventoso, ma così rari che incontrarne uno è così improbabile
che
l’ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione.
Per
cui
bastava che Chiara premesse il grilletto e Mr. Dracula era storia
passata.
Magari non sarebbe morto all’istante, ma ci avremmo pensato Big J e io
a farlo
a pezzettini.
La
donna
sembrava brillare di luce propria. Era più radiosa. No, non sono
innamorato di
lei, cioè sì, ma non era quello il motivo. Il suo braccio continuava a
sanguinare, ma non ero preoccupato. Lei era speciale, era una…
«Una
jana.» disse Mr. Dracula,
compiaciuto. «Non
sapevo che fossero in grado di combattere.»
Io
avrei
detto fata, ma il succo era quello. Le janas
sono un’antica razza di fate di origine sarda. Piccole fatine luminose
che tessono
con un telaio d’oro e vanno per le case a chiedere lievito per il pane.
Mi
piaceva chiamarle fate domestiche. Nomignolo che mi aveva fatto
guadagnare uno
schiaffo da parte di Chiara. Il folklore però aveva dimenticato le
parti più
interessanti, come velocità e resistenza sovrannaturali, talento innato
per la
magia e altri trucchetti utili nel nostro campo. E non dimentichiamo le
tette spettacolari,
anche se forse è solo una caratteristica di Chiara, visto che non
conosco altre
janas.
«Il
lavoro parla di vivo o morto.» dissi. «Quale opzione preferisci?»
L’uomo
si mise a ridere. «Potrei scegliere una terza opzione.»
«Cioè?»
Ora che la situazione era diventata meno frenetica mi presi due secondi
per
studiarlo. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età ed era vestito come
un
pastore: pantaloni e giacca di velluto, stivali alti e berrìtta
in testa. Portava diversi coltelli a serramanico appesi alla
cintura. A prima vista non sembrava un tipo pericoloso.
«Vi
uccido tutti.» Si passò la lingua sulle labbra, come a gustare il
momento in
cui l’avrebbe fatto.
Deglutii
rumorosamente. Avevo abbastanza esperienza da distinguere una minaccia
a vuoto da
un dato di fatto e quella non era una minaccia. Il solito problema di
quando il
datore di lavoro ti forniva informazioni completamente sballate. Ci
aspettavamo
una barca a vela e invece eravamo andati a sbattere contro una
corazzata, se mi
passate la metafora nautica. Quel tizio maneggiava la magia molto bene,
fisicamente teneva testa a Chiara e sembrava in grado di tirare di
scherma e
sparare contemporaneamente.
«Stai
bluffando.» dissi, cercando di mettere in mostra la mia espressione più
sprezzante. «Oppure hai una terza mano con la quale mi stai tenendo
sotto
tiro.» Sentii Big J farsi sfuggire una risata.
«Posso
tranquillamente uccidere questi due e avere abbastanza tempo per
sgozzarti,
prima che tu possa pensare a quale incantesimo usare.» rispose.
«E
io
dico che posso farti esplodere il cuore prima che tu possa dire bah.»
disse
Chiara. La luce che emanava il suo corpo sta aumentando d’intensità e
cominciava a superare le lampade a fluorescenza che illuminavano la
stanza.
«Io
le
darei ascolto, Dracula. L’ultimo folle che ha sfidato Chiara in una
gara di
velocità ora sdraiato comodamente dentro una bara.»
Il
vampiro sorrise nuovamente. «Anche se mi arrendessi non so proprio come
possiate consegnarmi al vostro capo. Probabilmente mi uccidereste non
appena
abbasserei le armi.»
«Probabilmente.»
ripetei.
«Dunque
siamo in una situazione di stallo.» disse Dracula. Era proprio un tipo
sveglio.
«Complimenti,
Capitan Ovvio.» disse Big J.
C'era
solo un modo per sbloccare la situazione: fare qualcosa di stupido e
folle che
lasciasse di stucco il pastore vampiro.
«Piano
C.» dissi, per avvertire i miei compagni. Voleva dire: sto per fare una
cretinata, state pronti.
Battei
a
terra il bastone e scaricai al suolo tutta l’energia che avevo a
disposizione. La
terra intorno a noi cominciò a tremare violentemente.
Perdemmo
tutti l’equilibrio.
Dracula
sparò un paio di colpi, ma rimbalzarono sulla parete senza colpire
nessuno.
Chiara si era già allontanata e la spada la ferì solamente di striscio.
Jebediah fece fuoco e una raffica colpì il vampiro a una gamba. Fra
quello e il
mini terremoto, Dracula cadde a terra. Fu una sfortuna, visto che così
schivò i
colpi sparati da Chiara. La caverna continuava a tremare e piccole
rocce
cominciavano a staccarsi dalla volta. Bisognava accelerare i tempi.
Lanciai una
folata di vento per costringere il vampiro a stare a terra e
contemporaneamente
Chiara e Jebediah scaricarono le loro armi su di lui. Un grido lacerò
l’aria,
poi più nulla.
«Mission
accomplished!» dissi, imitando l’accento texano. «Ora leviamoci dalle
scatole
prima di rimanere intrappolati!»
«Forse
è
meglio che venga un secondo a guardare il cadavere.» mi disse Jebediah.
Mi
avvicinai, aspettandomi di trovare il pastore vampiro in formato
groviera,
sopra un lago di sangue.
Mi
sbagliavo. Il cadavere si stava sgretolando come se fosse stato una
statua
d’argilla.
«Questo
lavoro è stata una completa presa in giro.» borbottai. «Che diavolo
abbiamo
ucciso? Un vampiro? Un golem? Un “che diavolo abbiamo appena
affrontato”?»
«Sappi
che voglio essere pagata ugualmente.» brontolò Chiara, mentre correva
verso
l’uscita, seguita a ruota da Big J.
«Può
bastare.» disse una vocina squillante. La caverna smise di tremare.
Subito
ci fermammo per cercare l’origine di quella voce. Spazzammo tutta la
caverna
con le armi alzate, ma non c’era nessuno.
«È
stato
un bello spettacolo, ma ora basta.» continuò la voce misteriosa. «Siete
molto
efficienti e mi avete anche fatto divertire. Oppure hai una terza
mano…» Una
risata argentina risuonò nella caverna. Era un suono piacevole,
alleggeriva le
preoccupazioni. Non sentivo più la tensione del combattimento e del
rischio di
rimanere sepolto vivo. E questo era un male: mai abbassare la guardia
in
situazioni di potenziale pericolo. Per quel che ne sapevo poteva essere
l’incantesimo di un folletto per distrarmi e farmi fuori con facilità.
All’improvviso,
un bambino comparve dal nulla nel centro della caverna. Era vestito con
il
tipico costume sardo, rosso, nero e bianco, ma la prima cosa che mi
colpì del
suo aspetto furono gli occhi castani. Si spostavano velocemente,
osservandoci
con attenzione. Distolsi lo sguardo perché ero certo che se li avessi
fissati
troppo a lungo, quell’essere mi avrebbe sopraffatto.
Il
tizio
– ovviamente non era un vero bambino, chi mai poteva pensare che fosse
un
bambino? – era uno stregone. O un mago. O fattucchiere. Non so, non
ricordo mai
la terminologia corretta per differenziare gli usufruitori di magia. Il
bimbo,
al di là del termine, era forte. Potevo vedere l’aria intorno a lui
vibrare,
tale era l’aura di potere che emanava. Probabilmente avrebbe potuto
ucciderci
tutti e tre in un batter d’occhio, senza nemmeno troppo sforzo. Per
fare un
paragone calcistico, se io ero un centrocampista che militava in una
modesta squadra
di Serie A, lui era il cugino bravo di Messi. Mi chiesi come fosse
stato
possibile che Mic e io non ne avessimo individuato la presenza.
Se
lui
era il vero obiettivo e il vampiro d’argilla era un’esca, eravamo in
guai seri.
Eravamo sprofondati nella merda fino al collo, se vogliamo usare un
francesismo. Anzi, fino al collo è riduttivo; fino al naso rende meglio
l’idea.
Il
bambino si mise ad applaudire. «Bravi, bravi. Ho fatto bene a scegliere
voi.
Sapete il fatto vostro.»
Tirai
un
sospiro di sollievo, lui era solo il committente del lavoro.
Grazie
al cielo.
Quel
giorno non avevo voglia di morire.
Chiara
fu la prima ad abbassare l’arma.
«E
poi
non mi aspettavo una jana!»
continuò
il bimbo. «Le tue simili solitamente non sono interessate alla guerra.
Preferiscono tessere e fare il pane.» Sorrise. «Ti serve del lievito?»
Le
guance di Chiara si tinsero di rosso, ma si trattenne dal rispondere a
tono e
chinò il capo in segno di rispetto. «Maskinganna.» disse semplicemente.
«Maskinganna?»
esclamammo Big J e io praticamente all’unisono.
Il
bambino si lanciò nell’esecuzione di un’elaborata riverenza. «Al vostro
servizio.» Fissò Chiara per un lungo istante, studiandone le fattezze.
Poi
sorrise, come se si fosse ricordato di qualcosa.
«Mic.»
chiamai. Lo spirito apparve nella sua solita forma di fuoco fatuo.
Svolazzò
intorno alla caverna, poi si fermò all’improvviso di fronte al bambino. Ci girò attorno un paio di
volte e tornò
indietro, posandosi sulla visiera del mio cappellino.
«Perché
diavolo stiamo nella stessa stanza di un Lord delle fate?» disse, teso.
«Un
Lord
delle fate?» ripetei. «È il nostro committente, Mic.»
«È
un
Lord della corte fatata sarda, un Lord.» Mic scandì la parola lettera
per
lettera. «Noi abbiamo i Seelie e
gli Unseelie, gli irlandesi hanno
gli Aes Sidhe, c’è la Tylwyth Teg in Galles e anche in Sardegna
hanno la propria corte,
l’Areu Afadau.»
Il
bambino non sembrava molto preoccupato che si stesse parlando di lui
come se
non fosse presente. Guardò con curiosità Mic e disse: «Un Spirito della
Conoscenza che proviene dalle Sfere Esterne. Sei fortunato ad avere un
simile
mentore, Neil McRoberts.»
«Glielo
dico sempre.» aggiunse Mic. Si rese conto che l’atmosfera era molto
rilassata e
si calmò. «Quindi non siamo nei guai? Non hai offeso Lord Maskinganna?»
Mi
tolsi
il cappellino e lo agitai per far allontanare Mic. «No, non ho offeso
nessuno.
Per ora.»
«Neil!»
Chiara mi lanciò uno sguardo adirato.
«Deve
spiegarmi il perché di questa messinscena. E tu, Mic, devi dirmi perché
non
abbiamo individuato la sua presenza.»
«Il
nuraghe.» disse Maskinganna, indicando verso l’alto con un dito.
Rimasi
a
bocca aperta. E altrettanto avrebbe fatto Mic, se avesse avuto una
bocca.
Era
ovvio. Come dicevo prima, la magia non è qualcosa di statico, è in
equilibrio
dinamico. L’energia si diffonde lungo grandi linee, dai punti in cui è
maggior
concentrata verso le zone in cui è più rara. Al mondo esistono luoghi
di potere
da cui la magia “nasce”, se mi passate il termine non proprio tecnico.
Ed esistono
altri luoghi in cui essa tende ad accumularsi. Luoghi antichi
d’importanza
storica, luoghi di culto, campi di battaglia. Luoghi in cui una grande
quantità
di persone hanno provato le stesse emozioni, eseguito gli stessi
rituali,
trovato la morte. Stonehenge, Ichen Itza, Waterloo, il Colosseo, la
Basilica di
San Pietro a Roma, Bannockburn, Gettysburg, la Valle dei Re,
Westminster Abbey,
per fare qualche esempio. L’energia magica tende ad accumularsi in
questi
luoghi e poi lentamente si diffonde tutto intorno. Quando Mic e io
avevano
notato come la radiazione di fondo presente vicino al nuraghe fosse
superiore
alla media non avevamo tenuto conto di questo. Evidentemente anche esso
era un
luogo di potere, dunque qualsiasi segno di energia esterno veniva
coperto dalla
sua aura.
«Il
nuraghe.» ripeté Mic.
«Ovviamente.»
dissi. «Mic come hai fatto a non pensarci. Ti dimezzo la paga.»
«Quale
paga? Lavoro gratis!»
Feci
per
rispondere, ma Maskinganna levò una mano e mi fermai.
«Il
motivo di questa messinscena è semplice. Ho bisogno di un gruppo di
uomini,
esterno alla corte, per un lavoretto.»
«Potevi
reclutarci subito per il lavoretto.» replicai, enfatizzando la parola
come lui
aveva enfatizzato “messinscena”.
«Volevo
vedervi in azione e assicurarmi che foste in grado di svolgere il
compito che
sto per assegnarvi.»
«Cosa
sarebbe successo se avessimo fallito?» chiese Jebediah.
«Avrei
fatto sparire i cadaveri e contattato un altro gruppo.» rispose il
folletto.
«Ma basta con le domande, è ora che vi prepariate per il nuovo lavoro.»
«E
se
non accettassimo?»
«Sono
certo che accetterete. Oppure non tenete all’amicizia dell’Areu Afadau?» disse Maskinganna, col
sorriso sulle labbra. Era
molto sicuro di sé e ne aveva tutti i motivi, dato che era
l’equivalente magico
di una portaerei.
Ripeto,
ho abbastanza esperienza per riconoscere le minacce a vuoto.
Maskinganna magari
non ci avrebbe uccisi subito, ma ci avrebbe sguinzagliato contro tutta
la corte.
Non mi andava di vivere il resto dei miei giorni braccato da fate e
folletti.
Guardai
Big J e Chiara e fecero un cenno col capo. Anche loro avevano capito la
situazione.
«Qual
è
il lavoro? E qual è la paga?»
Il
bambino ridacchiò. «Sei saggio, Neil McRoberts.»
«Allora?»
continuai, ignorando il suo commento. «Lavoro? Paga?»
«Lo
sapete già. Dovete uccidere un vampiro.»
«Ovviamente!»
esclamò Jebediah, alzando le braccia al cielo.
Nella
mano del folletto comparve una cartella di plastica. L’aprì per
guardare i
fogli e poi me la consegnò. «Qua ci sono tutte le istruzioni e le
informazioni
necessarie.»
«Spero
siano più precise rispetto a quelle che ci hai dato per questo prova.»
disse
Jebediah.
«Sono
precise, Mr. Spencer. Vi avevo dato informazioni sballate per vedere
come
avreste reagito in una situazione non programmata. Avete superato quel
test e
ora non è certo mia intenzione ostacolare il vostro successo.» rispose
Maskinganna. Fissò per un attimo Chiara e aggiunse: «Ti attendiamo a
casa, jana. Il mio invito è sempre
valido.»
Chiara
annuì e mi poggiò la mano sul braccio, fermando sul nascere la mia
domanda.
Invece mi rivolsi al Lord folletto. «Non hai ancora parlato della
ricompensa.»
Allargò
le mani in un gesto di benevolenza. «Cosa ha più valore della
riconoscenza dell’Areu Afadau?»
Evidentemente si accorse
della mia espressione dubbiosa e aggiunse: «E Oltre a questo riceverete
dell’oro.»
«Oro
vero? Non come quelle truffe che voi folletti siete soliti rifilare?»
Maskinganna
inarcò un sopracciglio. Bastò quello per farmi capire che non era
salutare
scherzare troppo. «Stai dubitando della mia parola, uomo? Riceverete
del vero
oro della migliore qualità e nella forma che preferirete. Monete,
gioielli,
lingotti, qualunque cosa vi possa venire in mente.»
Sorrisi.
L’oro è l’unica cosa che adoro quanto le donne. Beh, quasi quanto le
donne.
«Vi
contatterò quando avrete terminato il lavoro.» disse.
«E
se
qualcosa dovesse andare storto?» domandai.
«Se
fallirete, sarete morti.» Un ghigno sinistro si disegnò sulle sue
labbra. «Per
mano del vampiro o per mano mia.» L’istante successivo era scomparso.
«Dalla
padella alla brace. Ogni volta che lavoro con voi capita sempre
qualcosa di
assurdo.» commentò Big J, mentre si allontanava verso l’uscita.
Chiara
e
io ci scambiammo un sorriso divertito e lo seguimmo.
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