Castagna matta

di Mendori
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I.

Quando non senti l'eco dei suoi passi alle tue spalle ti volti, Loki.
Leah è inginocchiata sul mosaico appuntito delle foglie d'un ippocastano, al lato del marciapiede.
Sotto il riflettore d'un sole timido, il cemento e l'erba sono scintillanti d'acqua. Il suo vestito si sta bagnando.
«Leah» chiami, interrogativo. Thori tira forte il suo guinzaglio, brontolando oscenità, ma non gli presti attenzione.
L'ancella, che adesso stringe tra le dita magre il nocciolo d'una castagna matta, alza lo sguardo verso di te con lentezza disarmante (e i suoi occhi sono verdi e intelligenti e senza vergogna).
Dice, spaventosamente seria:
«È bella».



II.

Nella sua caverna ritrovi la castagna gentilmente adagiata su una sporgenza, probabilmente per sottrarla alle violente attenzioni di Thori.
È bella, convieni: lucida e scura e pesante.
Ti fa venire in mente la macchia di fango sul vestito di Leah, all'altezza del ginocchio, il giorno in cui la raccolse, ed è un'immagine commovente in un modo strano, che non sai spiegarti.
Lei ti sorprende con la castagna in mano e tace, però osserva, vigile come la cagna che si vede rubare un cucciolo.
Tu le sorridi, e quando ti viene restituito uno sguardo severo sorridi ancora di più, per entrambi.




III.

Poi passano i giorni, succedono cose, e la castagna diventa vecchia.
Disidratata dal secco calore del deserto, quando la rivedi è piccola e spigolosa.
Non ti riempie più il palmo con un peso rassicurante: adesso è come il legno mangiato dal mare, innaturalmente leggera. Cos'è rimasto dentro quel seme?
Il rumore dei passi non ti segue più, e non hai bisogno di voltarti per sapere dove si è fermata Leah.
Nessuno abita la caverna. Nessuno leviga più la castagna con i polpastrelli.
Cerchi la bellezza dentro quell'orribile avanzo di vita, e con gli occhi che pizzicano, nel ricordo...
la ritrovi.












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