Capitolo 8: l’oracolo
L’ascesa al monte degli Efori si rivelò davvero un’impresa. A
notte inoltrata si trovavano appena a metà del cammino, ed erano entrambi
affaticati. Avevano incontrato molti ostacoli, sia bestie sia passaggi
accidentati, ed il loro ottimismo diminuiva sempre più. Di certo Gorgo non era
triste, ma sarebbe stata più felice se il loro cammino fosse più facile e
accessibile.
- Non solo sono dei mostri, ma pretendono anche che rischiamo la
vita per raggiungerli! – borbottò irritato Leonida, quando si fermarono su una
piccola e pericolosa sporgenza, per riposare.
Mangiarono velocemente qualcosa, si riposarono in silenzio e
ripresero la via poco dopo. Gorgo intanto pensava a cosa avrebbe dovuto
aspettarsi da quelle bestie che vivevano sulla cima del monte. Quale benvenuto
avrebbero ricevuto? E come erano davvero d’aspetto, questi Efori?.
- La bellezza è la loro maledizione. La cercano perché non la possiedono.
Orribilmente sfigurati, il loro corpo sembra fatto di spine e pietra. Corrotti,
perversi, bestie immonde che inventano leggi per
ottenere ricchezza. Si alleerebbero anche con il nemico, pur di guadagnare oro
e piacere. Piacere che ottengono dai corpi degli oracoli, anche semplicemente
osservandole. Le sfruttano, risucchiano la loro vita, poi le gettano dalla
montagna, come fiori secchi, appassiti – spiegò l’uomo quando Gorgo glielo
chiese.
La ragazza rimase inorridita e sconvolta da quella spiegazione. Le
mani sudate scivolarono sul masso a cui lei si reggeva.
I piedi scivolarono e il sostegno cadde sotto di essi. Non disse nulla, ma un
lieve sussulto uscì dalle sue labbra. Per un attimo il panico la sopraffece, ma
subito riacquistò lucidità e tentò di poggiare i piedi su qualche pietra o in
qualche crepa. Leonida si accorse poco dopo della sua assenza e si volse di
sotto, vedendola penzolare e cercare un sostegno su cui poggiarsi. Osservò la
parete sui cui Gorgo si trovava o notò una sporgenza alla sua destra.
- Girati alla tua destra, c’è una sporgenza! Aiutati con essa,
poggia il piede! – le urlò indicandole con gli occhi il rialzo. Gorgo si volse
alla sua destra, notò la sporgenza e subito vi posò il piede. Si assicurò che
fosse stabile, quindi riprese la scalata, prima con un po’ d' incertezza, poi
sempre più spedita e tranquilla.
- Tutto bene? – le chiese Leonida una volta che la vide salire al
suo fianco. Gorgo non lo guardò in viso e rispose appena:
- Forse dovrei ringraziarvi…ma state certo che non lo farò,
nemmeno questa volta - .
- Donne…- borbottò scuotendo il capo Leonida, poi riprese
anch’egli l’ascesa.
Quando la luna era sopra le loro teste, bianca e
splendente come una giovane nel giorno delle sue nozze, Leonida e Gorgo
terminarono la prima tappa del loro viaggio, giungendo in una piccola piazzola
che terminava nel vuoto. Davanti a loro, l’ascesa ripida attendeva. Gorgo
osservò la parete verticale e sospirò, quindi si sedette a terra, attenta a non
farsi male con qualche sassolino appuntito.
- Riposeremo solo qualche minuto – annunciò Leonida sedendosi a
sua volta e avvolgendosi nel mantello scuro. Gorgo non rispose e posò il capo
contro la roccia, socchiudendo gli occhi. La luna sopra di lei era lucente ed
illuminava tutto il montuoso paesaggio, penetrando nella fragile nebbiolina,
riflettendosi su i suoi ricci neri come gli abissi. Leonida osservò quei
riflessi, come se i capelli della spartana fossero davvero neri e argentati.
Era un colore che si addiceva alla sua pelle chiara, perlacea quasi. Scuotendo
appena il capo, volse lo sguardo davanti a sé e notò davanti a sé, lontano
nell’orizzonte, i fuochi di Sparta. Una profonda malinconia afferrò il suo
cuore, desideroso di ritrovarsi presto nella sua sacra e cara città, disteso
sul suo letto o affacciato a guardare la luna. Si volse di nuovo verso Gorgo
che aveva lo sguardo perso nel vuoto, lo spirito assente, il corpo abbandonato
a se stesso. La vide e pensò che quella ragazza non avrebbe mai più visto
Sparta, né avrebbe più potuto dormire, mangiare o semplicemente vivere…solo
sopravvivere. Ma che poteva fare? Nemmeno il Re, nemmeno il figlio del leone
poteva fare qualcosa per lei. Aveva affrontato grandi battaglie, ucciso molti
nemici e custodito la libertà e la gloria di Sparta…e non poteva salvare una sua figlia da un destino così nefasto e avverso.
- Andiamo, dobbiamo andare - . Questa
volta fu Gorgo a parlare, alzandosi. Leonida se ne stupì ma
non lo diede a vedere mentre gli alzava e la precedeva, come sempre, nell’ardua
scalata.
Un’ora dopo la posizione verticale della luna, Gorgo e Leonida giunsero
finalmente ai piedi della gradinata. Sopra le loro teste
dominava il tempio degli Efori, illuminato dalle fiaccole. S'issarono ai piedi
dei gradini e davanti a loro trovarono una figura, incappucciata e vestita di
una tunica bianco-sporco.
Gorgo fece un lieve passo indietro, inorridita nel vedere quella
figura sospirare gutturalmente alla sua vista.
- Una fanciulla davvero splendida, mi hai portato Leonida…Certo
non può di certo essere paragonata a quella attuale, ma è davvero splendida –
sussurrò l’Efore, mostrando un ghigno sotto quel cappuccio che nascondeva
chissà quale abominevole viso. Si avvicinò a Gorgo e le strinse un braccio,
tirandola a sé, ma la ragazza si liberò facilmente dalla debole presa del
vecchio. L’Efore stava per ribattere, ma Leonida sollevò una mano, scuotendo il
capo:
– Non è ancora il tempo che io vada, Efore. Le Glancizie… -
rispose autorevole l’uomo. Per la prima volta, Gorgo si sentì debitrice verso
il sovrano: le sembrava che avesse ritardato la sua morte. Voleva piangere,
come non aveva mai fatto in vita sua, eppure il suo orgoglio da Spartana non
glielo permise. Sii forte, Gorgo, non
cedere alle debolezze umane!, ripeteva una voce dentro di sé.
Salirono lentamente la grande scalinata che abbracciava tutta la
montagna, fino a giungere ai piedi del tempio.
Era una piccola struttura, tenuta in piedi da un cerchio di ventotto
colonne tra il primo ed il secondo cerchio; fra una colonna e l’altra v’era una
fiaccola accesa ad illuminare altre quattro figure incappucciate, simili alla
prima.
Gorgo posò la sua attenzione ad una figura oltre la struttura,
sdraiata sulla pietra, vicina ad un fuoco d’incenso e spezie magiche:
l’oracolo. Rimase colpita, affascinata e impietosita da quella fanciulla che
dormiva apparentemente in modo sereno.
- Benvenuto, Re Leonida…e benvenuta anche tu, Gorgo, figlia di
Ebdacle. Tu hai ricevuto il gran privilegio di essere stata scelta come nostro
oracolo. Sarai trattata con il massimo rispetto e riverenza, come una creatura
divina, in quanto tu sei la voce degli dèi…- disse uno degli Efori, portando
sulle spalle il cappuccio e mostrando il suo orribile viso. Gorgo arretrò
appena, di nuovo, ma Leonida le posò una mano sulla spalla, invitandola a
rimanere ferma, per non generare l’ira degli uomini.
- Leonida, sei giunto fin qui per
consultare l’oracolo sulle Glancizie, giusto? Bene, seguiteci – proferì con
voce pacata e quasi gracchiante uno degli Efori. Dunque si diressero oltre il
tempio, fermandosi a pochi passi dall’oracolo. A Gorgo si gelò il sangue:
quella spartana era più giovane e più bella di lei, indubbiamente. Aveva i capelli neri con alcuni riflessi rosso-scuro, occhi scuri
e la pelle diafana come la luna che si rifletteva sul suo corpo seminudo. Uno
degli Efori scoperchiò la ciotola degli incensi. L’oracolo si sollevò, come
trasportata da lingue di vento. Le sue membra erano molli,
senza vita; i suoi occhi chiusi; i suoi scuri capelli si muovevano nell’aere,
come padroni di loro stessi. Compì come una danza dell’aria, mentre
Gorgo aveva gli occhi incollati a quella ragazza…come potevano gli dèi essere così crudeli?
Quando l’oracolo si accosciò al suolo, ansante, un Efore le si avvicinò e tradusse ciò che lei pronunciava
nell’antico e sacro greco.
- “Gare atletiche per la Vergine dei Boschi…gare
atletiche e feste in mio onore. Una grande festa vi sarà...per la vostra
signora” - :
queste le parole dell’oracolo.
Quando l’Efore tacque, Gorgo seppe che era giunta la sua fine. Gli
Efori si avvicinarono a loro due: - Vieni, Gorgo…! – sussurrò mollemente uno di
quelle luride bestie, annuendo alle sue stesse parole e porgendole una mano
piena di protuberanze.
Gorgo chinò gli occhi a terra, sospirò appena, poi si avvicinò. La
mano tremante indugiava in aria, a poca distanza da quella dell’Efore. Il suo
spirito gridava, piangeva, si dibatteva, voleva fuggire…ma nessuna emozione
apparve sul volto bello ma triste della ragazza. Moderazione…equilibrio…ubbidienza alle leggi spartane…ripeteva tra
sé Gorgo, in continuazione, disperatamente. Sentiva i passi di Leonida volgerle
le spalle, sentiva che la sua unica speranza, il suo unico contatto con il
mondo, il suo mondo, scompariva pian piano. Stava per afferrare, con
riluttanza, la mano del sacerdote, ma una voce raggiunse i presenti. Leonida si
fermò sull’orlo del tempio, agghiacciato. I sacerdoti sussultarono e si volsero
tutti su uno stesso punto, tutti sulla ragazza adagiata sul terreno. Gorgo vide
le labbra rosse della ragazza muoversi e da esse
uscire una voce né maschile né femminile.
– Gli dèi…non vogliono ciò – udirono
tutti. L’oracolo sollevò il busto, in ginocchio, come sorretta da braccia
invisibili. Reclinò in avanti il capo, poi lo portò in avanti, osservando con
occhi vuoti gli Efori, poi Gorgo.
– Tu…hai un destino
diverso…attendi l’alba…questa non è la tua via…il figlio del leone…e la figlia
del lupo…attendi l’alba…questa non è la tua via…mia signora… - sussurrò poi,
con più vigore, alzando il tono della voce. Alla fine cadde a terra, immobile,
il viso rivolto verso di loro.
Gorgo corse verso di lei, con la necessità di soccorrere quella
giovane che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere bellissima. Il suo
cammino fu bloccato da un braccio di un Efore che la strinse a sé, impedendole
di fuggire.
– Hai venticinque anni, vero? Ma non fa nulla, sei ancora giovane
e bella! Sei comunque una donna, una creatura debole e fragile! Avrai bisogno
di protezione! Resterai con noi, come tributo della città agli Efori! – esclamò
ridendo, tastandole il viso, il seno, i capelli. Gorgo, prima ancora che
Leonida potesse intervenire, lanciò una testata all’Efore che indietreggiò
dolorante. Gorgo tornò libera e guardò con disprezzo l’Efore:
- E’ ovvio che non conosci le donne Spartane! – rispose pacata,
portando indietro la lunga chioma nera. Leonida l’osservò e sorrise tra sè.
L’oracolo aveva ragione: sembrava proprio un lupo, con quel suo sguardo fiero e
crudele, la lunga chioma scura, il viso tagliente, il corpo flessuoso ma forte.
- No, tu rimarrai con noi! – gridò furioso un secondo Efore che si
avvicinò velocemente a Gorgo, le mani protese e gli occhi desiderosi di
piacere, di lussuria, di libidine. Ma prima ancora che qualcuno potesse fare qualcosa, l’oracolo parlò di nuovo, rimanendo
sul terreno, mentre i suoi capelli era scossi da un potente zefiro divino.
- Taci, Efore!- , urlò l’oracolo, - Non
osare opporti al volere degli dèi! Avrete un altro oracolo, ma non sarà lei, né
quella che avete ora! - . Poi, volgendosi ad occhi chiusi verso Gorgo, le
sorrise dolcemente e le sussurrò nella sua mente: - Ricordati di me, Gorgo…- quindi
non proferì più nulla, svenuta.
Vi fu un attimo di silenzio, in cui gli Efori rimasero
pietrificati dal terrore e Gorgo gioiva in cuor suo. Era libera, sarebbe
tornata a Sparta! Ma che cosa voleva dire l’oracolo con “il figlio del leone…la
figlia del lupo…attendi l’alba…”? Che cosa sarebbe successo all’alba? Era
rimasta affascinata da quella fanciulla, da quella povera ragazza schiava degli
Efori. Si sarebbe ricordata di lei, anche di più.
Per quanto riguardava Leonida, era anch’egli rimasto colpito dalle
parole dell’oracolo. Aveva la sensazione che l’oracolo avesse
profetizzato loro qualcosa di importante, ma che sfuggiva ad
entrambi. Fu proprio lui che riprese
parola:
- Miei rispettosi Efori, è tempo per noi di andare. I preparativi
attendono, così come l’amore della madre di questa spartana -
. Gorgo si volse verso Leonida e sorrise, per la prima volta. Quindi si avvicinò
alla scalinata, senza degnare di uno sguardo gli Efori, turbati e scossi. Si
volse un’ultima volta verso l’oracolo, dormiente. Mi ricorderò di te, spartana…