Dawn Of A New War

di _yulen_
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Ero a Praga quel giorno, dovevo cercare gli ultimi sopravvissuti e portarli via e alla vista dello scenario che mi si parava davanti, sentii una specie di rabbia pervadermi.
Come può l’essere umano uccidere i suoi simili? Dopotutto, non siamo tutti uguali? Non capirò mai questa necessità di distruggere e ridurre in cenere qualsiasi cosa.
Mi avvicinai con cautela al cadavere, poteva essere una trappola.
Cercai le medagliette di riconoscimento: Capitano John “Soap” MacTavish, Task Force 141.
Avevo sentito di quella squadra e sapevo anche che i suoi ultimi due componenti erano ricercati per tradimento e terrorismo, probabilmente un’idea di Sheperd quella di farli uccidere. Mi sono sempre fidata di quell’uomo e poi era venuta fuori la verità, ma pochi la sapevano.
La pace sembrava essere tornata tra la popolazione mondiale con il trattato di pace tra Russia e America, ma solo con la morte di Makarov si era concluso tutto, era stato sconfitto, da chi non si sapeva ancora, quando le autorità trovarono il cadavere penzolante da un tetto, non c’era traccia di nessun’altra persona ma solo un mozzicone di un sigaro.
Guardai attentamente il cadavere e notai del sudore. I cadaveri non sudano. Era ancora vivo e io ero sola, e mi maledii per aver preso questa scelta, non avevo nessuno che potesse aiutarmi e avevo finito anche la morfina che portavo dietro.
Sospirai, dovevo inventarmi qualcosa, non poteva morire, aveva resistito fino a quel momento nonostante le gravissime condizioni, doveva resistere ancora, almeno fino a quando non l’avrei salvato.
Legai un laccio al di sopra della ferita sul petto per impedire che perdesse altro sangue e poi cercai di caricarlo sulle mie spalle. Fu un totale disastro, facevo fatica a reggermi in piedi visto che erano giorni che non dormivo e non mangiavo e portare altro peso era una cosa stupida.
Mi serviva un piano B, mi guardai attorno ma non c’era nulla che potesse aiutarmi, c’erano solo macerie, cadaveri e sangue.
Osservai il tavolo sopra il quale era disteso e poi mi venne un’idea: ruppi le gambe del tavolo per ridurlo a una semplice lastra di legno e poi presi alcune sbarre per farla scorrere. Fu un’impresa che bruciò quelle poche energie che mi erano rimaste, le sbarre erano poche e piccole, dovetti spingere per portarlo fuori e caricarlo nel furgone con il quale ero venuta per portarlo nel mio rifugio a Prace, speravo solo che reggesse ancora quindici minuti. Il tempo di arrivare.




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