Capitolo 9: l’alba
La discesa del sovrano e della spartana fu molto più ardua
dell’ascesa.
Quando giunsero ai piedi della montagna, ansanti e graffiati, il
sole stava per nascere. Il cielo, come durante il tramonto, era tinto di rosso,
arancio e giallo, mentre le dita rosee di Aurora sollevava il mantello della
notte, illuminando con Apollo tutto il paesaggio. La neve si colorò si nuovo di rosa e arancio, i cinguettii degli uccelli
risuonavano ovunque ed una leggera brezza scherzosa cominciò a scompigliare le
verdi chiome degli alberi, la superficie dei fiumi, i lunghi capelli neri di
Gorgo.
Era un paesaggio magnifico, magico, uno dei tramonti più belli che la ragazza abbia mai visto, soprattutto dopo giorni
pieni di angosce e dolori.
– Se dovrò pensare a siano fatti i Campi
Elisi…so che sono così…- pensò, con gli occhi pieni di luce. Si accorse troppo
tardi che aveva pensato ad alta voce e si volse intorno, sperando che il Re non
fosse vicino a lei. Al contrario, l’uomo era al suo fianco e osservava anche
lui quella splendida alba.
- Solo a Sparta si ammira un’alba così bella. La neve delle
montagne si tinge di rosso, così come gli steli di grano, appena fuori dalla città. La bianca pietra degli edifici si colora,
come coperta da un magnifico mantello di porpora e oro. Il tempo si ferma per un
attimo e gli anziani sospirano, pensando a quanti affanni porti un giorno,
mentre i giovani ardono dalla voglia di allenarsi in questo nuovo giorno. Che
si pensi alla morte o alla vita, alla gioia o alla
sofferenza, questo è un giorno di vita per Sparta…la nostra Sparta…- sussurrò
l’uomo, facendo quasi piangere di commozione Gorgo per quelle splendide parole
che descrivevano in breve la bellissima e gloriosa città. Vi fu un attimo di
silenzio, poi Leonida si volse verso la strada che conduceva a Sparta. Osservò
il terreno ed alcune impronte nella terra secca.
– I miei uomini sono tornati a Sparta già da tre ore, almeno. Andiamo
– annunciò portando lo scudo dietro la schiena. Gorgo annuì e in silenzio lo
seguì, non più a capo chino ma ammirando ancora i pochi resti dell’alba. Per
questo non vide un sasso davanti il suo cammino, per questo inciampò. Per non
cadere a terra, afferrò il mantello rosso di Leonida che, colto di sorpresa,
scivolò. Entrambi caddero goffamente in una grossa pozzanghera, sporcandosi.
Gorgo rimase immobile nell’acqua sporca, terrorizzata dalla
reazione prossima del Re. Questi si volse verso di lei, infangato in viso. Si
osservarono per qualche istante, poi all’unisono scoppiarono a ridere, osservando
i loro ridicoli visi. Cercarono di rimettersi in piedi
ma la cosa risultò assai ardua, sia perché il terreno era scivoloso, sia perché
non riuscivano a smettere di ridere, cancellando per un attimo il loro decoro Spartano.
- Scusami, mio signore, stavo per cadere e senza pensarci ho
afferrato il tuo mantello! – esclamò ridendo Gorgo, mentre afferrava la
scivolosa mano di Leonida.
- Per fortuna che non mi hai strozzato! – ribatté l’uomo, ridendo
anch’egli. Stava per riuscire a far alzare da terra Gorgo, ma alla fine i piedi
si posarono di nuovo sul fango e scivolò per l’ennesima volta, cadendo come un
sacco di patate a terra. Le loro risate aumentarono e Gorgo cominciava a
sentire i muscoli del ventre indolenzirsi per il troppo ridere. Rimasero
entrambi sul loro letto di fango, cercando di placarsi e di darsi un contegno,
ma invano.
- Chissà se mio padre vorrà abbracciarmi! – esclamò ridendo Gorgo,
osservando il cielo con i capelli affogati nel fango.
- Oh, ne dubito! – rispose Leonida sospirando. Si volsero l’un
verso l’altra, sorridendosi. Leonida le pulì vanamente il viso con una mano
sporca di fango, ridacchiando. Le sfiorò appena le labbra, la fissò negli occhi
e senza pensarci la baciò, socchiudendo gli occhi.
Una brezza gelida scivolò sui loro corpi, facendoli rabbrividire. Il
sole sorrise felice nel vedere i loro baci, mentre le candide nuvole si
affollavano per vedere i due amanti, tendendo le orecchie
quando Leonida le chiese la mano e quando lei accettò.
Quando varcarono la soglia della città, sporchi e infangati, gli
Spartani che li osservavano arretrarono perplessi e confusi. Uscì dalla propria
dimora Ebdacle, correndo verso la figlia. Si fermò di colpo, vedendola così
imbrattata. – Figlia mia…torni da una battaglia o
cos’altro?? – chiese perplesso, mentre dietro di lui gli uomini di Leonida
trattenevano a stento le loro risate. La ragazza rimase per qualche istante ad
osservare le facciate degli edifici, il pavimento di pietra, ogni singolo viso familiare ma scosso dei suoi concittadini, poi rispose: -
Sì, padre, qualcosa di simile…- inchinandosi al padre.
- Bene…ehm…mio signore, anche tu…? – chiese Ebdacle, osservando il
fango sul corpo del sovrano.
- Eh si, mio buon Ebdacle…i nemici hanno resistito a lungo, ma
alla fine li abbiamo sconfitti…In quanto a tua figlia, avrei qualcosa da dirti
– rispose in tono serio Leonida.
- Ti ha forse offeso in qualche modo, mio signore?- chiese subito
Ebdacle, allarmato. Leonida non rispose ma fece
intendere che ne avrebbe voluto parlare in privato.
- Prego, mio buon signore…parleremo nella mia dimora…forse prima è
meglio che vi laviate…entrambi…-
rispose infine Ebdacle, lanciando un’occhiata alla figlia. Quest’ultima,
insieme al Re e alla famiglia, varcò con un sospiro di sollievo la soglia della
dimora.
Uscirono dalla casa di Ebdacle quando il
mattino era nel pieno delle sue forze. Tutti gli Spartani, uomini e donne,
erano rimasti inchiodati davanti la dimora del consigliere, riempiendo tutta
l’agorà…in attesa. Di cosa? Non lo sapevano, ma
sapevano che era qualcosa di importante.
Quando Gorgo si fermò sulla soglia della dimora, lavata e con una
lunga tunica splendente, osservò con immensa dolcezza la sua città. Al suo
fianco sentiva il lento respiro del sovrano, così come quello agitato della
madre dietro di lei e quello regolare del padre. Il silenzio mattutino fu
interrotto dal leggero muovere delle vesti, delle spade, delle ceste, delle
sacche, mentre tutta Sparta si inchinava davanti a lei, a capo chino, il pugno
sul petto. Gorgo spalancò appena gli occhi neri, stupita: mai avrebbe pensato
di poter vedere una cosa simile. Tra la folla riconobbe
Filorome e alcune lacrime posarsi sulla pietra; vide la piccola Edoné era in
ginocchio, come in adorazione, ma a volte sollevava il viso per incrociare gli
occhi di sua sorella; vide Bias con un braccio fasciato ed un pugno sul petto,
in rispettoso silenzio.
Gorgo si volse verso Leonida, meravigliata. L’uomo le accennò un
sorriso e annuì appena, incoraggiandola. Gorgo sospirò e tornò ad osservare la
sua città…
Sapeva cosa doveva fare per prima cosa: doveva salvarla.
Tadan! Ci
troviamo quasi alla fine, non temete! Spero vi sia piaciuto questo capitolo
“romantico”. Laura, ti è piaciuto il modo in cui ho fatto avvicinare i due
spartani? =P Spero di sì! Spero sia piaciuto anche a tutti i lettori: volevo
che vi fosse meno romanticismo possibile e che si baciassero in una
circostanza…anormale!
Al prossima capitolo! :*