A Mendori, senza un motivo particolare, solo perché mi ci
sto affezionando. Sul serio.
E poi sono millecinquecento parole contate da Word; Mecchan, se ci
pensi bene, tu sai
perché. Sì, sono malvagia, un po'
stronza, tipo Ikol ma più bella (?) e senza ali.
Il titolo si rifà a una frase di Mephisto all'inizio di JiM
#627, la parte in corsivo è la prima pagina di JiM #627
rivisitata (con l'aggiunta di Hela), tradotta interamente da me,
è per questo che fa schifo, sì ♥
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About
Time I Took The Center Stage
C’è una storia che i baristi raccontano
sul Diavolo e la Dea
della Morte.
Ogni notte all’ora di chiusura scelgono un bar e ne
varcano
la soglia, con tutte le sofferenze del mondo sulle spalle. Un bar. Un
pub. O un saloon. Dovunque le persone si intontiscano dolcemente. Non
sono schizzinosi.
(Anche se è vero che i baristi hanno una storia
simile che si
svolge nella confusione della mattina presto, concernente il Diavolo
e la Dea con i postumi della sbornia.)
Poi il Diavolo e la Dea varcano quella porta, e vogliono
parlare. Se ascolti e sopravvivi, ti daranno un consiglio. E non
dovrai lavorare mai più. Che è il tipo di finale
che un narratore
può cambiare in bene o in male, dipende dalla sua
inclinazione.
La storia non è vera.
Ma, all’occasione, il Diavolo e la Dea si divertono
a stare
al gioco.
***
Manca una quindicina di minuti all’ora di chiusura, il locale
è
vuoto e Bob sta accarezzando l’idea di andarsene una decina
di
minuti prima del previsto. Se proprio il titolare lo volesse
lì fino
alla fine, lo controllerebbe, giusto? Giusto.
Copre la bocca con una mano per mascherare uno sbadiglio,
l’altra
spolvera pigramente il bancone con uno straccio. In realtà
non sta
pulendo nulla, ma tanto vale fingere di rendersi utile.
È ormai giunto alla conclusione d’aver aspettato
abbastanza,
nessuno si fa vedere e di conseguenza può chiudere, quando
la porta
si spalanca e due figure del tutto fuori dal comune fanno il loro
ingresso accompagnate da una folata di vento – che Bob
è quasi
certo non spirasse, quando s’è affacciato alla
finestra quindici
minuti fa.
Non ha il tempo di soffermarsi sul vento, però,
perché quei due
fanno passare un brutto quarto di secondo alla sua mascella, che
corre il serio rischio di cozzare sonoramente contro il pavimento.
Una è una donna che potrebbe anche apparire abbastanza
normale,
persino bella, non fosse per il lato sinistro del corpo, grigiastro e
tumefatto, sulla cui pelle in decomposizione luccica il candido
lucore delle larve di mosca, che spiccano sul nero del sangue secco.
Dev’essere la prima volta che Bob non fa alcuna fatica a
distogliere lo sguardo da una donna poco vestita.
L’altro non è meno inquietante: non potrebbe
apparire comune
nemmeno a prima vista, non con quella pelle dalla sfumatura
rossiccia, gli occhi fiammeggianti, le basette e il pizzetto
appuntito. Nel creativo immaginario di Bob, sarebbe l’ottimo
prototipo dell’avvocato. Mancano le corna.
I due si accomodano al bancone con grande disinvoltura, ignari
dello sguardo incredulo di Bob e della sua mascella prossima al
crollo.
«Allora, come ti trovi all’Inferno?»
esordisce amabilmente
l’uomo – o quello che è –
appoggiando un gomito sul bancone e
la guancia sulle nocche. Perché, sì, è
normale menzionare
l’Inferno come fosse un qualsiasi
quartiere di New York.
La donna si irrigidisce, pare non cogliere il lato divertente
della domanda, Bob prova un moto di solidarietà nei suoi
confronti.
Poi però lei scrolla le spalle e replica: «Ho
accettato il tuo
invito, ma ciò non significa che sia disposta ad accettare
anche le
tue prese in giro. Se è questo che ti aspetti, allora mi
congedo…»
E non sembra affatto turbata dall’evidente pazzia del suo
compagno.
Fa per alzarsi, ma lui si affretta a blandirla: «Suvvia, mia
cara, stavo solo scherzando. Resta, vuoi?»
A metà dell’atto di abbandonare la sedia, lei si
accomoda di
nuovo con un sospiro velato, picchietta le unghie verdi sul bancone,
lancia un’occhiata nella sua direzione. L’uomo
dà l’impressione
di accorgersi di Bob solo in questo momento e sbraita: «Ehi,
barista, due whiskey da questa parte!»
Non ha il coraggio di commentare che in realtà lui starebbe
per
chiudere, incassa la testa fra le spalle, annuisce e versa tre dita
di Jack Daniel’s in due bicchieri. Li fa scorrere sulla
superficie
lignea fino agli ospiti, l’uomo li afferra e ne porge uno
alla
donna con galanteria, nel tentativo di fare ammenda per la gaffe
precedente.
«Dimmi,» domanda, cordiale e interessato quanto
viscido,
sorseggiando con calma il proprio liquore «come vanno le cose
con
Loki?»
«Si sta rendendo utile» è la flemmatica
risposta.
Bob segue lo scambio con la coda dell’occhio: non ci vuole un
laureato ad Harvard per capire che quel tale ci sta provando
spudoratamente, così come non ci vuole Stephen Hawking per
arrivare
al concetto che lei non è affatto affascinata.
Sono i due individui più pazzeschi che abbia mai visto,
è
spaventato a morte e non se la fa addosso solo perché poi
qualcuno
lo scriverebbe su Twitter (lì non c’è
nessuno a parte loro tre,
ma non importa), però allo stesso tempo è curioso
e comincia a
chiedersi se per caso la storia sul Diavolo e la Dea della Morte non
abbia un qualche fondamento.
«Tu, invece?» L’uomo inarca le folte
sopracciglia, palesemente
stupito che sia stata lei a fargli una domanda, dimostrandogli per la
prima volta qualcosa di diverso dal disprezzo. Bob stesso è
talmente
meravigliato che quasi dimentica di dover trattenere la propria
vescica. La donna inclina il capo di lato e aggiunge: «Ho
sentito
dire che hai instaurato una relazione con una dei mutanti. Come
procede?»
Lui corruga la fronte in un’espressione infastidita.
«Ah,
quello. Non bene come vorrei. Immagino dovrei affermare che non
procede affatto. Mi ha scaricato dopo quello scherzo delle
Dísir».
A giudicare dall’ombra di sorriso sulle labbra turgide di
lei,
l’ha fatto apposta. «Un vero peccato».
Non finge neppure di suonare dispiaciuta. È una donna con le
palle e Bob ci proverebbe, se non fosse anche per metà
cadavere e
una potenziale dea della morte.
Lancia un’occhiata sofferente all’orologio, ormai
l’orario
di chiusura è passato da un minuto.
«Però ora sono disponibile» si tira su
l’altro, aprendosi in
un sorriso che rivela una dentatura affilata che chiamare
terrificante è dire poco.
«Dovremmo uscire insieme molto più
spesso, non trovi?»
Lei non batte ciglio, nel vero senso della frase. Non ha nemmeno
toccato il Jack Daniel’s. «Ti ricordo che non sono
venuta qui per
te» osserva freddamente, punta un lungo indice ossuto. Verso
di lui,
Bob. «Ma per lui».
L’uomo gli scocca un’occhiataccia, Bob ha
l’impressione di
strangolarsi con la lingua, ma alla fine riesce a parlare e a non far
tremare troppo la voce: «Uhm, allora è…
è vero? Cioè, la
storia? Che se sopravvivo mi darete il consiglio per non
lavorare?»
La donna appare divertita, la prima emozione che faccia breccia
nella sua maschera di marmo e pelle morta. Non è un vero e
proprio
sorriso, ma quasi. Lui invece non ha remore, il suo sogghigno
mefistofelico si allarga mentre lo guarda negli occhi, pare scavargli
dentro e Bob ha l’impressione che gli abbia appena letto nel
pensiero e che quel mefistofelico non gli sia
sfuggito, perché
commenta: «Oh, Bob, non sai quanto hai ragione».
«La parola chiave» aggiunge lei, poco
più che un mormorio «è
se, caro».
All’improvviso Bob si dimentica del pericolo di finire su
Twitter, perché l’assenza di sorriso sul viso di
lei e la presenza
ingombrante del ghigno su quello di lui sono troppo, troppo
per un qualsiasi essere umano. E lui è solo un barista che
vorrebbe
non dover lavorare mai più e magari anche vivere per
l’eternità,
se possibile.
La parola chiave è se.
***
«Riguardo al mio invito a uscire insieme più
spesso,» osserva
Mephisto, instancabile «è sempre valido, solo
perché tu lo sappia.
Non puoi dire che non pensi che formiamo una bella coppia».
Ha lasciato il mortale a lei, per fare il galante: un po’ gli
dispiace di aver perso del buon inchiostro, ma non se ne
pentirà, se
riuscirà a ottenere un altro appuntamento con Hela. Per
metterla in
termini umani, è una vera bomba. Nulla a
che spartire con
l’insipida biondina mutante – o con chiunque altra.
Ciò che più lo attrae è che Hela lo
respinge sempre e al tempo
stesso gli dà sempre corda; come questa sera, in cui ha
accettato di
uscire con lui, nonostante di norma lo tratti come si tratta una
macchia di sporco sul vestito preferito, che non si riesce a grattare
via e si è costretti a sopportare.
Lei si osserva le mani con un sopracciglio inarcato, il pallore
immacolato della destra è sfregiato da una insignificante
goccia
scarlatta, vicino alla nocca del mignolo. Non si degna neppure di
ascoltare le sue parole, ma Mephisto non si scompone, abituato
com’è
a essere la macchia indesiderata. Tanto all’Inferno
c’è solo lui
a tenerle compagnia, anime agonizzanti a parte – prima o dopo
cederà.
«Ti prego, consentimi» soffia in tono suadente e,
senza
attendere replica, prende con delicatezza la mano di Hela fra le sue
e preme la bocca sulla sua pelle in un cavalleresco baciamano,
leccando via il sangue.
Lei storce le labbra, arriccia il naso e affigge lo sguardo da
tutt’altra parte, ma non ritira il braccio. Mephisto sorride
sul
dorso della sua mano.
Hela lo precede di qualche passo, sbuffa in tono magnanimo:
«Domani, a mezzanotte. Non tardare».
Lui ghigna.
Lo respinge e gli dà corda. Ah, che donna.
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