Frames, framed di HappyCloud (/viewuser.php?uid=114634)
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Frames,
framed.
Non
lo ricorda.
Più
si sforza, più non riesce a ricordare il momento in cui si
è arreso, il giorno
in cui ha smesso di pensare che vivere in un hotel fosse un problema.
Doveva
essere solo una soluzione temporanea post-divorzio, e invece
è già passato un
anno. Quella camera d’albergo è diventata la sua
casa, o forse qualcosa in più;
è diventata la sua nuova vita, lontano dallo studio legale e
dalla professione
di avvocato, lontano da colleghi arrivisti e tribunali, lontano da lei. Alex l’ha lasciato. Gli
ha infranto
il cuore, le certezze, la spensieratezza della rigorosa logica di una
esistenza
trascorsa insieme. Erano sposati, ma Wes è sempre stato
troppo assente, troppo
concentrato sul lavoro, troppo poco compagno. E quando le ha comunicato
di
voler entrare in polizia, lei ha perso le staffe. Cosa non gli bastava
più? I
soldi, il lavoro, la gloria?
Alex
se n’è andata e ha lasciato dietro di
sé soltanto un cumulo di macerie e
ferite. Si è portata via la casa – quella vera,
con il calore umano che permea
le pareti e altre stronzate a cui lui, un detective della Omicidi, non
ha mai
creduto. Almeno fino al momento in cui si è ritrovato solo.
Wes
Mitchell non è come il suo collega Travis Marks. Non passa
di letto in letto
con la stessa leggerezza con cui Travis confonde, dimentica o storpia i
nomi
delle sue conquiste. Wes rimane sempre impigliato nei ricordi con Alex,
nella
carcassa del loro matrimonio, conscio di non averla ancora scordata, di
non
averne ancora avuto né la forza, né la voglia.
Una parte di sé non si arrende a
lasciarla andare come se nulla fosse.
Dover
badare a Hudson, il cane di Randi, una poliziotta ferita in uno scontro
a fuoco,
lo ha solo aiutato a dimostrare quanto ancora lui sia intrappolato in
quella
relazione finita. Quando l’impiegato dell’hotel
è venuto a lamentarsi per i
continui latrati, lui ha provato a spiegargli che era perché
qualcuno su quel
piano stava fumando marijuana, ma il tizio non ha sentito ragioni, ha
ordinato
di portarlo da un’altra parte. Travis, come al solito, ha
declinato ogni
responsabilità e allora l’unico posto che gli sia
venuto in mente è stata la
sua vecchia casa, dove vive Alex, che ha sempre voluto un cane, che lo
ha
implorato per averlo. Wes ogni volta replicava che non avevano tempo,
che erano
entrambi troppo impegnati col lavoro… e ora eccolo di nuovo
lì, da lei, a elemosinare
un po’ di affetto, a ringraziarla di permettergli di dormire
sul divano di un
salotto che porta con sé pensieri passati, immagini di
giornate felici
trascorse insieme, o di notti in cui ha lasciato Alex da sola per
cenare con il
capo o finire un’arringa.
La
sua ex moglie è salita nella camera da letto al piano di
sopra, la loro camera da letto,
quella che
dividevano prima che lui decidesse di stravolgere la propria vita e la
carriera, pretendendo che lei lo vedesse trasformarsi in silenzio.
Hudson
però non è tranquillo. Annusa un cesto di paglia
che contiene della legna da
ardere sul caminetto, lo rovescia, salta in braccio a Wes, che nemmeno
si rende
conto che Alex, disturbata dai rumori, sta scendendo in salotto per
accertarsi
che sia tutto a posto. Lei accarezza il cane, si siede sul divano
accanto a
lui, propone di rassicurarlo con lo stesso trucchetto con cui loro,
anni prima,
hanno calmato la piccola Annabelle.
Deejay
di smooth jazz.
Lo
dicono all’unisono, soffiando via lo strato di polvere sotto
cui giace la loro
complicità, riportandola a galla per qualche intimo istante,
quando Wes allunga
il braccio sullo schienale del divano, dietro le spalle di Alex, ed
entrambi
passano una mano sul pelo scuro del pastore tedesco.
-
Siamo molto rilassati, ora. – comincia a dire lui, con la
voce ovattata – Come
quei deejays di Fog’s Smooth Jazz,
la
stazione proprio in fondo alla banda dell’FM.
-
E a seguire… il grande Kenny G, con Mellow
Elevator – continua lei, il tono addolcito da una
melodia soft che entrambi
stanno immaginando e che li fa immediatamente sentire a proprio agio.
Li fa
tornare indietro nel tempo, quando le cose erano diverse, quando loro erano diversi e Wes si sofferma un
secondo a pensare se davvero siano così distanti.
-
Credo si sia calmato. Ora, posso occuparmene io. – Per non
rimanere di nuovo
incastrato nei propri pensieri, si concentra su Hudson, adesso placido,
in
mezzo a loro due. Alex non risponde, Wes avverte solo il suo respiro
regolare e
così dolorosamente familiare – Puoi tornare a
letto.
È
quasi certo che si sia addormentata, ma dice quella frase per esserne
del tutto
sicuro, per darle l’ultima possibilità di scappare
da quella situazione e da
lui. Ma lei non lo sente e, un attimo dopo, la sua testa si appoggia
alla sua
spalla, togliendogli il respiro per qualche istante.
Wes
non sa che fare. O meglio, lo sa eccome, ma ha paura che se
forzerà le cose,
finirà per rovinare quell’unico momento di relax,
dopo mesi di tempesta e caos
emotivi. Le sistema la vestaglia, un pretesto per toccarla, e si sforza
di non
guardarle le gambe scoperte, rannicchiate sul divano. Le posa un bacio
delicato
sulla fronte e si ferma ad annusarle i capelli, che sanno ancora di
vaniglia.
Si ricorda tutto di lei, non crede potrebbe dimenticare neanche il
più misero
dettaglio che la riguarda. Non serve negare con se stesso: è
innamorato di lei,
forse anche di più di quando stavano insieme,
perché, ora che l’ha persa, sa
cosa voglia dire vivere senza di lei. E non gli piace.
Dormono
così fino alla mattina, anche se Wes ha un braccio
intorpidito e le gambe
indolenzite, poggiate sul tavolino da caffè davanti al
divano. Non ha osato
spostarsi di un millimetro, per la paura di svegliarla e di farla
spaventare di
fronte all’intimità di quella posizione; non sa se
teme di più l’imbarazzo o il
rifiuto di Alex.
La
mattina seguente, si svegliano entrambi quando Hudson si sfila
dall’incastro e
fa un balzo in avanti, sgranchendosi le zampe, dopo una notte di sonno.
Alex
scivola sul torso di Wes ed entrambi sobbalzano, a disagio, mentre
tentano di
ricomporsi. Accampano scuse banali, pur di allontanarsi l’uno
dall’altra; lei
gli offre un caffè, ma lui è così
turbato che preferisce raccogliere in fretta
i suoi vestiti e tornare all’hotel con Hudson.
Quando
rientra nella sua stanza, gli appare così fredda e
impersonale che si domanda
come abbia potuto viverci tanto a lungo. La sua passata carriera di
avvocato
gli ha permesso di guadagnare molti soldi, non sarebbe un problema
comprarsi un
appartamento nuovo… eppure non se la sente. Vivere in hotel
gli dà ancora
l’illusione di trovarsi in uno snodo delicato, ma momentaneo
della propria
vita, incagliato tra il desiderio di rivolere sua moglie accanto e la
necessità
di rispettare le sue scelte. È un uomo razionale Wes,
è rigido e disciplinato,
segue le regole con meticolosità, perché sa che
è l’unico modo che ha per
gestire lavoro e sentimenti. Non riesce a concepire il disordine,
né la
trasgressione, perché non sa come affrontarli, non sa come
controllarli. Ha già
permesso una volta al cambiamento di scombussolargli la vita ed il
risultato è
che alloggia in un hotel, da solo, da almeno dodici mesi.
Si
fa una doccia fredda per congelare la memoria una decina di minuti e
indossa
uno dei suoi impeccabili completi firmati. Deve andare alla stazione di
polizia
come ogni mattina, Travis lo starà aspettando per prendere
Hudson in consegna –
la dottoressa Ryan è stata fiscale nel definire le
condizioni della custodia
congiunta del cane; il giorno a Marks, la sera a Mitchell – e
per raccontargli
l’ennesima nottata passata in compagnia di una donna. Se non
erra, l’ultima è
Kelly, l’insegnante del seminario sul disinnesco delle bombe
che hanno
frequentato a Las Vegas tre mesi fa.
Non
lo ammetterà mai, ma c’è una cosa che
Wes invidia al collega; no, non
frivolezza con cui passa da una donna all’altra, ma
l’amicizia che ancora lo
lega ad Alex. Ha come l’impressione che mantenga i rapporti
con lei per
indispettirlo, per dargli fastidio. Ah, se lo avesse sotto mano, lo
strozzerebbe! In fondo, capisce perché il capitano insista
tanto per mandarli
in terapia di coppia, ma oltre ad una serie infinita di risolini su una
loro
presunta relazione omosessuale e qualche sogno sconcio sulla
dottoressa, non
sembra averne ricavato molto beneficio. Oppure sì? Beh,
è parecchio che non
punta più la pistola alla tempia di Travis, è
comunque un risultato.
La
mattinata alla centrale è impegnativa, ma quando si arresta
un poliziotto
corrotto, che per di più ha cercato di far fuori Hudson, si
può dire che è
stata una bella giornata.
Wes
comincia a sentirsi stranamente inquieto, mentre si lascia cadere sul
divano
della sua bella stanza d’hotel. Sa che Randi presto
uscirà dall’ospedale e che
riprenderà il cane con sé e la cosa lo
destabilizza. Dopotutto, è grazie a lui
se ha avuto una scusa per andare da Alex e passare la notte con lei.
Inganna
il tempo con del lavoro arretrato: sul tavolo del salotto
c’è ancora aperto il
fascicolo di un caso e dei fogli ordinati in pile che presto verranno
stipati
nello scatolone e archiviati.
All’improvviso,
qualcuno bussa alla porta della camera numero 619. Non appena Wes nota
che è
proprio la sua ex moglie, l’unica frase intelligente che
riesce a dire è:
-
Ehi. Che succede?
Alex
gli mostra il pupazzo preferito di Hudson, Mister
Coccolino. Ricorda il momento in cui Travis
gliel’ha dato, la sera in cui voleva
concludere con Kelly e l’aveva chiamato per passare a
prendere Hud, che
abbaiava in continuazione. Gliel’avrebbe tirato in testa,
quel maledetto
peluche, ma ora è incredibilmente grato di non averlo fatto.
Alex
fa per andarsene, poi cambia idea.
-
Domanda strana: hai mai considerato l’idea di prendere un
cane?
Wesley
vorrebbe dire subito di no, ma il suo cuore si chiede insistente se
anche lei è
contenta che Hudson sia piombato, almeno per una sera, nelle loro vite.
Spera
tanto di sì.
-
Prendere un cane? A dire il vero, no – dice, sorridendo.
-
Potrebbe farti bene. – continua lei – Potrebbe
farti tornare nel mondo reale,
costringerti ad acquistare un appartamento…
Sai perché i cani fanno bene? Fanno evadere dai
propri pensieri.
E
allora Wes pensa che un cane non è proprio quello che gli ci
vuole. Perché lui
non vuole evadere dal pensiero di lei, sta bene imprigionato
dov’è, a spiarle
le gambe nude mentre dorme accoccolata contro di lui, ad annusarle i
capelli mossi
che sanno di vaniglia, ad aggiustarle la vestaglia dopo aver finto di
essere
due speaker radiofonici di una trasmissione jazz notturna per
tranquillizzare
un pastore tedesco. Ma se avere un cane è l’unico
modo per avere tutto questo,
beh… Wes ha intenzione di adottare un canile intero.
Perché, se davvero un
giorno deciderà di uscire dalla gabbia di ricordi di Alex in
cui si trova,
vuole farlo con lei al suo fianco.
Non
molti conoscono questo telefilm,
però è carino e ho trovato questo episodio (1x08)
pieno di spunti e di idee.
Ho
mantenuto i dialoghi originali e ho
aggiunto qualche scena che l’episodio non ha mostrato.
Il
titolo fa riferimento alle immagini
del passato e al fatto che Wes non sia ancora riuscito ad andare
avanti.
Incastrato, appunto.
S.
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