Questa è una storia scritta da me l’anno scorso,
che mandai ad un concorso di scrittura della Zanichelli.
Naturalmente non vinse, ma è una storia carina,
così sono andata a ripescarla e ve la voglio proporre.
Ditemi cosa ne pensate.
Il sole non era ancora alto nel cielo, quando una dolce bambina
iniziò a correre e saltare in un prato, intenta a
raccogliere fiori da donare alla madre. Il suo nome era Elena, i suoi
capelli biondi erano raccolti in due graziose trecce e il suo volto era
illuminato da un grandissimo sorriso.
Elena voleva portare a sua madre i fiori più belli del prato
per farle una sorpresa e, avendone raccolti ancora pochi, camminava,
guardava e sceglieva quelli che le piacevano di più. Ad un
tratto scorse tra gli altri il fiore più strano che ella
avesse mai visto: era grande quanto le sue mani e aveva solo tre petali
di tre colori diversi.
Avrebbe voluto metterlo insieme agli altri, ma fu più forte
di lei staccare dal fiore reciso: quello rosso.
Appena lo ebbe staccato, un vortice d’aria
l’avvolse. Elena si mise le mani davanti agli occhi,
lasciando cadere i fiori. Ebbe il coraggio di guardare solo quando si
rese conto di avere i piedi nuovamente per terra.
Davanti a lei comparve una grande città, dove non
comprendeva le scritte sui cartelli e dove i palazzi erano diversi da
quelli che vedeva di solito. Inoltre, scoprì di avere caldo.
Ma, la cosa che più la stupì, furono delle mucche
ferme al centro di una strada e le macchine che aspettavano
pazientemente che gli animali si togliessero. Capì di non
essere più in Italia anche dal colore scuro della pelle
della gente.
Cominciò a camminare, guardandosi intorno.
All’improvviso vide un bambino e gli si avvicinò,
chiedendogli:
- Scusa, perché quelle mucche sono ferme in mezzo alla
strada?-
Il bambino si voltò verso di lei, con
un’espressione stupita in volto.
- Sei straniera?- le chiese
- Sì. Vengo dall’Italia!-
- Dall’Italia? È così lontana!-
- Perché, dove siamo?-
- Siamo in India- rispose disorientato – a Nuova Delhi. E
quelle mucche stanno indisturbate in mezzo alla strada
perché per la nostra religione sono sacre. Loro nella
prossima vita saranno la perfezione!-
- Tu vivi qui? E ti piace ?- chiese Elena guardandosi intorno
- Oh! No, io non vivo qui. Vivo in una baraccopoli poco lontana da qui.
Sai, vivo in una stanza costruita da mio padre, che condivido con i
miei cinque fratelli.
- Cinque fratelli! – ripeté sorpresa Elena
– io sono figlia unica! Mi fai vedere casa tua? Sono
così curiosa!
Pian piano il paesaggio cambiò, diventando sempre meno
rassicurante, fino a quando arrivarono in un posto che lasciava
trasparire tutta la povertà di quella gente. A lato di una
grande strada si estendevano, proprio come in una città
metallica, vere e proprie baracche costruite con alluminio, cartone,
tende e tanti altri materiali reperiti in un posto non diverso da una
discarica.
Quando il bambino disse che finalmente erano arrivati a casa sua, Elena
non riuscì a dire niente, ma semplicemente annuì.
Entrarono in una di quelle baracche e la bambina si disgustò
vedendo quel monovano senza bagno, lavastoviglie e televisione.
Decise di scappare.
E così, dicendo a quel povero bambino felice che i suoi
genitori l’aspettavano, corse via, vergognandosi di provare
tanto disgusto.
Elena si nascose dietro un vicolo, prese il fiore e, pensando che
quella fosse l’unica via per tornare a casa,
staccò il petalo blu. Al contrario di come la bambina
sperava, non tornò a casa, ma si ritrovò in un
posto dove il sole picchiava forte e case basse e chiare erano le
uniche nel giro di chilometri. C’era una gran folla di
persone che camminava su e giù per la strada.
Notò che la carnagione era più chiara di quella
delle persone che abitavano a Nuova Delhi e che tutte le donne
portavano un velo sulla testa.
Sussultò sentendo una voce femminile chiamarla dalle spalle:
- Ehi, piccola! Che ci fai qui?-
Era una giovane donna, molto bella, che portava uno scialle bianco
sulla testa, coprendo i capelli e il collo.
La bambina non rispose, non sapendo cosa dire.
- Qui fa caldo, vieni dentro – e la donna la guidò
in una casa modesta, ma fresca e offrì alla bambina un
bicchiere d’acqua.
- Grazie – disse Elena, e poi bevve con piacere.
La giovane donna osservava con curiosità la bambina,
così chiara e bionda, vestita con abiti così
strani.
- Vengo dall’Italia – disse la bambina, quasi
proteggendosi da quello sguardo indagatore.
- Dall’Italia? E dimmi, è bella? –
chiese la donna col sorriso sulle labbra
- Sì, sì. È molto bella, e soprattutto
non è così calda!
Seguì un secondo di silenzio, poi la bambina chiese:
- Quel velo lo porti per proteggerti dal sole? Non ti fa caldo?-
A quella domanda comparve sulle labbra di quella giovane donna un
sorriso triste e malinconico.
- Questo è un segno della mia fede -
- E’ obbligatorio, quindi?-
La giovane annuì, camminò avanti e indietro per
la stanza. Poi si fermò e mormorò alla bambina:
- Non sai quanto t’invidio -
La bambina rispose con uno sguardo interrogativo.
- Quando sarai grande, sposerai un uomo che ti amerà.
La bambina rimase zitta, in attesa che la giovane donna continuasse.
- Tra qualche settimana sposerò un uomo che ha
già altre tre donne, capisci?
La bambina annuì, pensando alle situazioni che accadevano
nelle fiction, che appassionavano tanto sua madre.
La giovane donna si sedette su una sedia e si prese il viso tra le mani.
- Ho sempre sognato di sposare un uomo che mi avrebbe amata, e non
vista come un oggetto per produrre bambini –
sospirò – Un uomo che si inebriasse del mio
profumo, del mio volto. Non un uomo che non mi amerà mai.
Si alzò dalla sedia e fissò un punto imprecisato
del paesaggio.
- Cos’è la vita, senza amore? -
- Scappa – disse Elena, sempre pensando alle fiction di cui
la madre non perdeva una puntata e nelle quali le protagoniste avevano
una spiccata tendenza alla fuga.
La giovane donna guardò la bambina incredula.
- Cosa?- chiese
- Scappa! Prendi il tuo vero amore per mano e vai lontano! -
La giovane donna sorrise tra le lacrime, si inginocchiò e
abbracciò teneramente la bambina.
- Non credo sia possibile. Se poi mi trovassero, mi ucciderebbero -
La bambina si divincolò dall’abbraccio di quella
giovane donna, che somigliava tanto a quello materno. Guardò
la sua ansia, il suo dolore, e volle di nuovo scappare.
Borbottò anche questa volta qualcosa riguardo ai suoi
genitori che l’aspettavano e si diresse all’uscita.
Sentendo singhiozzare dalle sue spalle, si voltò dicendo:
- Sarai un’ottima mamma -
E uscì, lasciandosi circondare dal sole cocente.
Quando Elena staccò l’ultimo petalo dal fiore,
quello giallo, venne trasportata in un luogo molto più
caldo. Si trovava in un villaggettò di qualche decina di
capanne.
Vide uomini, donne e bambini lavorare e si stupì alla vista
delle donne che indossavano solo un gonnellino. Notò la
pelle scurissima di quella gente e la loro incredibile magrezza. Si
rese conto che quelle persone avevano fame, proprio come quelle in
alcune pubblicità, dove chiedevano soldi per dare da
mangiare alla povera gente e per far andare a scuola i bambini.
Stavolta non parlò con nessuno. Le bastò guardare
quei volti scarni, desiderosi d’acqua, per commuoversi.
Scappò subito da quello spettacolo, stringendosi al petto il
fiore ormai privo di petali, e pianse desiderando di tornare in quel
prato dove prima era tanto felice. Inciampò e cadde a terra.
Quando riaprì gli occhi, il clima si era fatto mite e sotto
di lei era comparsa dell’erba.
Sentì la voce di una persona che le correva incontro.
- Elena! Elena! Ti sei fatta male? -
Era suo padre! Arrivò vicino a lei e guardò la
figlia negli occhi gonfi dalle lacrime.
La sollevò e l’abbracciò.
- Ti sei fatta male? – chiese nuovamente
- Sì, papà. Mi sono fatta molto male -
E si abbandonò nelle forti braccia del padre.
FINE.
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