EVEN THOUGH WE CAN’T AFFORD THE SKY
IS OVER
Behind closed eyes lie
The mind’s ready to awaken you,
Are you at war with land
And all of its creatures,
Your not-so-gentle persuasion
Has been known to wreck economies
Of countries, of empires, the sky is over
[the sky is over - Serj Tankian]
Avrebbe voluto
strappargli i petali uno
ad uno. Quel maledetto fiore non aveva fatto altro che riempirlo di
menzogne.
“Sono l’unico al mondo di qua, sono
l’unico al mondo di là”, e cosa si era
trovato di fronte? Un campo sterminato di fiori tali e quali al suo,
così
uguali da nausearlo. Lo avrebbe affogato nell’acido, se solo
gli fosse stato
concesso di tornare al suo asteroide. Ma era stato allontanato con
disonore, costretto
per molto tempo all’esilio.
No, anche
tornando non avrebbe potuto farlo,
perché ciò che lo legava a quella sua corolla
spinosa glielo impediva. Avrebbe
continuato a farsi riempire le dita di graffi, pur di accarezzare i
suoi petali
di sangue, avrebbe continuato a correre avanti e indietro come una
bestiolina
colpita da un incantesimo della strega cattiva. Era per quello che il
suo Remington700
spuntava a malapena oltre il grano arso dal sole e una lacrima di
rabbia gli
scintillava sul viso. Se solo avesse potuto, ogni petalo di quel
bocciolo
bugiardo sarebbe stato crivellato dal suo caricatore impietoso. Si
sarebbe
riempito le mani di quei coriandoli color del sangue e se li sarebbe
ingoiati
uno ad uno, “maledetto il fiore e
tutto
l’asteroide che ci cresce intorno”. Devo
tornare, devo incontrare qualche Uomo
e farmi dire come tornare – il coinvolgimento del suo fucile
in quella faccenda
non era cosa da rendere loro nota.
Incontrare
chi,
pensò poi il Piccolo Principe, sono
solo
in mezzo all’ignoto e il mio unico legame è con un
fiore bugiardo e infame lontano anni
luce e che sarò costretto ad uccidere.
Era talmente arrabbiato che desiderava,
in quel momento, solo una preda da poter stanare. Acquattato
nell’erba alta
come un felino affamato, con i muscoli tesi e i nervi pronti a captare
il più
piccolo movimento – quello era ciò che amava,
ciò che avrebbe fatto, se solo
non si fosse trovato in quell’angolo di pianeta sferico.
Appena questa
considerazione gli traversò la mente, intuì la
presenza di qualcosa di
sbagliato nell’aria. Non era esattamente solo.
Lo avvertì ancor prima di vederlo. Bianco,
lineamenti caucasici, di media statura, occhi che brillavano a dieci
metri di
distanza. Accoccolato sulla cima frondosa di un cinnamomo, dondolava
placidamente le gambe e si spolverava l’abito dalla polvere
con fare indifferente.
La prima reazione fu quella di
acquattarsi a terra, ma sarebbe stata una mossa inutile, dannosa
persino. Il
Principe si limitò quindi a tendere i nervi, pronto
all’azione, scattante in
ogni cellula, con i sensi ferini in allerta. L’istinto della
caccia, in placido
riposo nei momenti di banale esistenza, si era risvegliato con uno
sbadiglio
affamato – si allungava ora furtivamente verso il fucile, in
un gesto così
fluido che sembrava quasi inesistente.
Quasi.
«Pessima scelta, quel Remington»
Il Piccolo Principe lo imbracciò con un
gesto fulmineo, puntandolo istantaneamente verso quella strana figura
– un
rapace che attende di artigliare la sua cena.
«Chi sei?»
«Non che sia una cattiva marca, ma ti
vedrei meglio con un M24. Certo, è meno maneggevole, ma
delle mani come le tue
devono toccare solo il meglio… »
La tranquillità con cui quell’essere
continuava a spolverarsi il vestito e sistemarsi le unghie lo irritava.
Al
cospetto del suo fucile, tutte le tigri e i baobab e i tramonti del suo
asteroide tremavano come foglie al vento – tutti tranne quel
paio d’occhi scuri
con carne ed ossa intorno, lì sulla Terra.
«… cioè me, principino.
Avvicinati»
«Chi sei?»
«Che noia. Chi sei, cosa vuoi, tutti
uguali voi altri! Sono una Volpe. E tu sei molto carino!»
«Qualsiasi cosa sia una Volpe, ha l’aria
di essere irritante» ribatté il Principe caricando
il fucile con un colpo
secco.
«Oh, bravo, giochiamo! Mi annoio, nessuno
arriva mai a me… si arrendono sempre prima»
«Dove si trovano gli uomini?»
«Gli uomini sono noiosi e banali. Resta
con me» sembrò miagolare la Volpe, scendendo con
tranquillità dal ramo ed
avvicinandosi al Principe, che ne seguì ogni gesto con il
fucile.
«Stai lontano»
«Ops! Sei ferito…»
«Allontanati»
«Io lo vedo, proprio qui – si toccò il
petto – ti hanno addomesticato senza che tu sapessi»
«Addomesticato?»
«Non sei di queste parti, tu»
«Cosa vuol dire
“addomesticato”?»
«Significa “creare dei legami”,
è una
cosa in disuso ormai. Gli uomini credono che significhi solamente
“rendere
docile qualcuno di selvatico”, sempre detto che sono banali e
stupidi. Vedono
ma non osservano»
«E come capisci di essere
addomesticato?» disse il Principe, abbassando
impercettibilmente la canna del
Remington. Pensava al suo fiore, al legame indissolubile che lo legava
a lui.
Era forse stato addomesticato dalla sua rosa color sangue senza
saperlo? Si
sentì mancare la terra da sotto i piedi. Nessuno lo aveva
mai manipolato così!
Nessuno poteva farlo! Era lui l’unico padrone di se stesso.
«Oh, succede quando lui cessa di essere
uguale a centomila, e diventa indispensabile, l’unico al
mondo. Ti hanno
addomesticato?»
«Fatti gli affari tuoi»
«Lasciati addomesticare da me»
«Ripetilo e ti faccio saltare in aria»
«Io diventerò per te l’unico al mondo, e
tu per me l’unico al mondo»
In
questo modo, forse, potrei dimenticare il fiore.
La sola idea lo faceva sanguinare. No.
«Ma per favore»
«Non sei addomesticato come credi, sei
solo stato plagiato. Chi è lui?»
«Dove sono gli Uomini?»
«Torna al crepuscolo. Potrei aiutarti»
Il giorno seguente, una pioggia di ali
nere e becchi appena dischiusi moriva al suolo con tonfi sordi,
oscurando
l’agonia del sole. Il Piccolo Principe cercava di ripararsi
da quella raffica
di corvi correndo con il fucile in mano, sparando agli animali per far
sì che
la loro traiettoria d’impatto cambiasse, non terminando
così contro di lui. La Volpe
lo accolse con un ghigno a metà, appoggiato ad occhi chiusi
contro la pelle
nuda dell’albero, decorticato dai fulmini e dagli artigli
delle bestie che lì
si facevano le unghie. Ferite di linfa sanguinavano ancora dal tronco.
«Sei in ritardo, principino»
Il Principe sparò un colpo verso di lui,
sfiorandone l’avambraccio e aprendo uno squarcio nella
camicia chiara.
«Ma ammetto che sei adorabile quando ti
arrabbi»
«Di solito si ritrovano con un buco in
fronte prima che possano dirmelo»
«Devo ritenermi speciale?»
«Se contribuisce a nutrire il tuo ego…»
La Volpe aprì gli occhi di scatto, incatenandoli
a quelli del Principe.
«Mi ripagherai la camicia»
«Non penso che rimarrai vivo abbastanza
a lungo da averne bisogno»
«Bambino cattivo, non avrai i tuoi
Uomini»
«Non ho certo bisogno di te per trovarli»
«Ma io sì – la Volpe rise brevemente
–
tu sei le fondamenta su cui costruirò il mio
impero»
Il Piccolo Principe non abbassò la
guardia neppure un istante. Si avvicinò, finalmente protetto
dalla pioggia
grazie alla chioma del cinnamomo, e girò lentamente intorno
al tronco come un
predatore affamato, preceduto sempre dalla canna del suo fucile. Quella
Volpe
non gli piaceva, nelle sue pupille brillava l’essenza di
qualcosa che andava
oltre la scaltrezza, che non sapeva davvero identificare.
«Avvicinati, mio Piccolo Principe,
l’alba è ancora lontana ed io ho bisogno di
te»
«Tuo?» sbuffò l’altro,
sforzandosi di
mantenere le pallottole nel fucile.
«Oh, te ne accorgerai prima di quanto
creda»
La Volpe aveva incrociato il cammino del
Principe come una tempesta imprevista. E della tempesta aveva tutte le
caratteristiche meno una: non era seguita dalla quiete. Il Principe non
sapeva
se fosse colpa del processo di domesticazione che invariabilmente stava
avendo
luogo, dell’influenza di quello strano pianeta o della Volpe,
ma qualcosa gli
stava succedendo. Poteva sentirlo, a tratti avrebbe giurato di non
avere più le
ossa allo stesso posto. Sopra ogni cosa, aveva però
l’impressione che la Volpe
lo stesse prendendo in giro. Viaggiavano insieme da quasi una settimana
e ancora
non avevano visto l’ombra di un uomo. Avevano attraversato
campi spaccati in zolle
arse dal sale, calpestato gli scalpi dilaniati di una mandria di strane
bestie
mai viste prima, si erano ricoperti di fango fin sopra ai capelli
strisciando
in paludi che sembravano pentoloni di pozioni mefitiche. Ad ogni passo
che
metteva davanti al precedente cresceva nel Principe la sensazione che
tutto ciò
fosse una grande prova a cui era stato sottoposto dalla Volpe, che
studiava le
sue reazioni per una misteriosa ragione. Il suo fastidio montava ogni
giorno di
più, fino al punto in cui – sudato e con la pelle
appiccicata di polvere rossa
– il Principe bloccò la Volpe contro un tronco,
pretendendo una spiegazione.
Iniziò la frase con un «Adesso mi
dic–» e la finì con un fiotto di sangue
a
macchiargli le labbra, quando la pelle e la carne della sua guancia si
lacerarono sotto gli artigli gentili di una Volpe. Questa subito trasse
il
Principe a sé e – prima che egli potesse anche
solo pensare di agire – portò la
sua lingua alla ferita appena inflittagli, leccando via il sangue. Era
stata
veloce, così dannatamente veloce che nemmeno gli occhi
allenati di un Principe
cecchino riuscirono ad intercettarlo prima dell’azione.
«Avrò la tua fiducia» disse,
interrompendo un istante la lingua carezzevole …
«e il tuo corpo. Il mio impero
poggerà sulla canna del tuo fucile» …
che si sospese poi ancora su una stilla
di sangue… «e la tua mano servirà la
mia mente» … scivolata come una lacrima
lungo la guancia benedetta. Benedetta, perché quella che la
Volpe aveva
regalato al Piccolo Principe non era solo una futura cicatrice
– cielo, era
molto di più! Il sangue versato era il prezzo da pagare per
il dono che la
Volpe gli stava facendo: se stessa. A voler essere precisi, il regalo
era
persino più grande. Il Piccolo Principe non lo sapeva
ancora, ma da quel
momento in poi il mondo sarebbe stato ai suoi piedi – fanculo
il fiore,
l’asteroide, le pecore, fanculo tutto. Il
Principe rimase inerme sotto i colpi morbidi della lingua della Volpe,
immobilizzato – ma quando una tigre resta placidamente
indifferente di fronte al
suo domatore non è perché essa ha cambiato
natura. Passarono la giornata con l’odore
del sangue nelle narici e l’arsura della terra sotto i piedi,
studiandosi pelle
a pelle come due bestie selvatiche guidate da istinti e
necessità diversi che,
dopotutto, possono forse convivere. Come un ragno e la tela su cui esso
si
muove.
Il
Piccolo Principe avrebbe indossato
quella cicatrice per tutto il tempo a venire, anche quando sarebbe
giunto il
momento di adottare un nome e imbracciare il primo M24.
Quando non
impegnate con un fucile, le sue mani stringevano Jim, che aveva messo
da parte
la sua coda per potersi nascondere in piena vista e ammazzare
il tempo nel modo migliore. Quel mondo di uomini e noia era spesso
tedioso, ma valeva
la pena. Il principino impallinava i suoi bersagli con una precisione
quasi clinica, un
medico che applicava la cura più meticolosa e duratura di
tutte. Con gli uomini
era più eccitante e giusto che con gli animali
sull’asteroide, gli uomini si
comportavano in maniera così stupida che la maggior parte
delle volte sembravano meritarlo.
E
comunque, Jim diceva sempre che morire
per mano di Sebastian Moran doveva essere una benedizione.
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