RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI: Draco ed Hermione sono
riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton,
che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per
uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione,
ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno,
le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere
nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco.
Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di
recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza
sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è
parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha
convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che
le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi
sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco
ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora
fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i
ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio,
Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone,
Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da
Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la
cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la
prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i
suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata
da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una
sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa
di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si
riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di
perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro
situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua
cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene
individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua passata
relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo sappia
nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno, quando
dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione di
sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con cui
Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e decide di
prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non la ami
quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed
Hermione esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni,
Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio
Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco,
cinque anni prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di
Dimitri. Hermione, sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli
eventi degli anni passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata
l’ultima sera in cui ha visto Draco. Quella sera, infatti, Hermione venne
rapita da Dimitri Karkaroff che si era alleato con Astoria, Pucey e Montague,
proprio per separarla da Draco e farne la sua “regina”. La crudeltà e la determinazione
di Dimitri a fare sua Hermione, si spingono al punto di catturare anche Hayden,
l’amico babbano che Hermione frequentava precedentemente, ferendolo gravemente
e rendendolo incapace per sempre di camminare. Nella sua prigionia nel castello
di Dimitri, però, Hermione apprende di essere incinta di Draco, cosa che spinge
Astoria, sterile e desiderosa di fare suo l’ultimo erede dei Malfoy, cosa che
sicuramente le garantirebbe la possibilità di riavere Draco, a prendere tempo
con Dimitri e ad ingiungergli di non toccare Hermione nel tempo della
gravidanza. La ragazza, però, dopo dieci giorni, viene liberata dalla prigionia
da Helder, la sua amica Empatica, Harry e Ron, ma durante la fuga, batte
violentemente la testa, restando in coma per tre mesi. Al suo risveglio, si
trova in Italia, dove gli amici la tengono nascosta, fingendo persino un
matrimonio con Ron, fino a quando Hermione apprende della morte di Dimitri ed
Astoria, potendo tornare in Inghilterra con suo figlio per cercare Draco. Una
traccia per trovare Raissa risiede inaspettatamente in un incontro che Draco,
incalzato da Adamar durante la sua prova, aveva fatto nell’aldilà: una donna di
nome Tatia Krasova gli aveva chiesto di riferire ad Hermione il suo nome in
modo che si ricordasse di lei. Hermione, però, non la conosce. Cinque anni
dopo, tuttavia, Hermione, Dean, Pansy e Seth scoprono che Tatia Krasova era una
profetessa, il cui nome era stato celato e nascosto da Raissa, strappando la
pagina di un libro, testimoniando quindi un probabile contatto tra le due. Tatia
non voleva che Hermione si ricordasse di lei cinque anni prima, ma in quel
momento, alla scoperta del gesto di Raissa.
Capitolo 37 – Red string of fate
Ho sempre creduto nel potere dei libri di
unire le persone. Io, i libri li ho sempre idolatrati, questo si sa, sia che
fossero testi di scuola o che fossero romanzi. È come se per me contenessero
tutte le risposte del mondo ed ogni modo per evadere dalla vita: per quanto uno
si sforzi e magari rivoluzioni completamente sé stesso, comunque siamo nati con
una vita sola addosso.
Per quanto, per esempio, io faccia tutto
per cambiare, sarò sempre una donna inglese, nata babbana, che ha avuto un
figlio a ventiquattro anni e che ama un uomo di nome Draco Lucius Malfoy.
I libri, spesso, ti danno l’illusione che
tu possa essere un’altra persona, ti fanno vivere in un altro mondo e in
un’altra era. Puoi essere chi vuoi, leggendo.
E, in questi cinque anni, ho desiderato
tantissime volte essere un’altra, in modo egoista e colpevole me ne rendo
conto. Ma spesso capitava e non ci posso fare niente.
L’Italia non era diversa dalla cella
polverosa in cui ero rinchiusa quando ero prigioniera di Dimitri: era come
sempre una terra bellissima, dorata, luminosa, piena di gente affabile e cordiale.
Ma c’erano giorni in cui era semplicemente un’altra prigione, dal tetto azzurro
come il cielo e dai confini di mare trasparente. Ero persino su un’isola, come
se non potermi muovere liberamente non fosse già sufficiente… e questo acuiva
ancora di più quella sensazione claustrofobica.
I libri erano l’ora d’aria alla fine della
giornata.
A letto, con Ron accanto, ne divoravo
decine dei generi più diversi, spesso addormentandomi anche alle tre di notte
per finirne uno che mi aveva particolarmente catturato. Per qualche ora, mi
dimenticavo chi ero. E quando sollevavo gli occhi dalla pagina e scoprivo con
la vista che mi bruciava, che ero ancora lì, che ero ancora io, che Ron era
ancora lì e che Draco ancora non c’era... annegavo nei sensi di colpa, ma non
potevo impedirmi di iniziare un nuovo romanzo che mi portasse via da lì.
Via dal dolore, via dalla nostalgia, via
dall’amore che non provavo per Ron e da quello che non moriva mai per Draco,
via dal continuo terrore che accadesse qualcosa ad Alex.
Ron, vedendomi più presa del solito dai
libri, aveva cercato di avvicinarsi a me, iniziando anche lui a leggere qualche
libro prima di andare a dormire: tendenzialmente crollava dopo poche pagine,
addormentandosi a bocca aperta con il libro aperto sulla faccia. Però riuscì a
finirne qualcuno, anche se non con il ritmo forsennato con cui leggevo io.
I ricordi migliori che ho della nostra
vita da pseudo-sposati, sono i giorni in cui, sbuffando, veniva a dirmi che
aveva finito un libro che io gli avevo consigliato, ma che non gli era piaciuto.
E intavolavamo lunghissime discussioni sul perché la protagonista aveva fatto
questo e non quell’altro, spesso interrotte solo dall’arrivo di Alex che, come
sempre, aveva a sua volta finito qualche libro e voleva dire la sua. Mio figlio
ha quasi prima imparato a leggere che a parlare. E ha lo stesso amore maniacale
per la lettura che ho io, come con tantissime altre cose che condivide con me.
Non che sia una mia piccola copia al
maschile, intendiamoci… certe volte somiglia così tanto a Draco da suscitarmi
la stessa irritazione.
Ma almeno legge quanto leggevo io alla sua
età.
Quindi, quando ovviamente una settimana fa
è saltato fuori dal libro di Pansy il nome di Tatia Krasova ed ovviamente è
diventato necessario fare tutte le ricerche del caso su vecchi e nuovi tomi per
scoprire di chi si trattava, io ne sono stata quasi felice. Era come tornare ai
tempi di Hogwarts e dei compiti. Sentivo già l’odore della pergamena e
dell’inchiostro, il sapore della cioccolata alla cannella che mi piace bere
quando leggo, e, per forza di cose, avendo trascinato a suon di lagne e
minacce, i miei amici in questa storia, mi immaginavo lo stesso miracolo
accaduto con Ron.
Discussioni animate, interpretazioni sugli
autori, idee delle più varie, supposizioni da confutare: Tatia è stata a suo
modo famosa, ma ovviamente solo in Russia. E non essendo in grado di leggere
ancora il cirillico, mi dovevo accontentare delle poche e lacunose fonti
inglesi, di cui non era da tralasciare nulla, considerando che non è ancora
assolutamente inconfutabile che esista un legame tra Raissa e Tatia. Potrebbe
aver strappato quella pagina per i motivi più disparati… e potrebbe anche non
averlo fatto lei, a conti fatti.
Comunque il fatto che lei sia una
Profetessa e che abbia incontrato Draco nel regno dei morti, dicendogli
espressamente di far sì che io mi ricordassi di lei… è una circostanza più che
convincente nel farmi cercare ogni notizia su di lei. Io non la conoscevo
affatto, non so assolutamente chi sia. E ci fosse anche solo una speranza che
lei abbia visto qualcosa su me e Draco, sin da quel momento, e voglia adesso
aiutarmi in qualche confuso modo… bè, ripeto, giustifica ogni nottata sui libri
per sapere quanto più possibile su di lei.
Ma ovviamente non avevo fatto i conti con
la gentaglia da cui sono circondata, e che dopo una settimana di ricerche,
ormai sta perdendo il lume della ragione.
È una fresca mattina di metà luglio, siamo
tutti in biblioteca e siamo sommersi dai libri da spulciare e leggere. Ogni
tanto, un gufo entra dalla finestra portandone un altro, lo deposita sul tavolo
e vola via, dopo aver reclamato una ricompensa di cibo. All’ingresso di ogni
gufo, Seth, Pansy e Dean borbottano ed inveiscono all’indirizzo del povero
animale, mentre io cerco di concentrarmi. Alex e Charisma colorano dei libri
illustrati, non badando minimamente a noi.
All’ingresso del dodicesimo gufo di quella
mattina, mandatomi dal proprietario del Ghirigoro, Seth scoppia ed inveisce:
“Non studiavo così tanto dai tempi della maturità!”.
Roteo gli occhi nervosamente, ignorandolo
e continuo a leggere, gettando un’occhiata ad Alex per vedere se sta bene.
“Io non studiavo così tanto, tipo, da… mai!” commenta accorato Dean, scagliando
lontano il tomo che ha appena concluso di leggere.
“Non credo che ai MAGO non hai studiato
per nulla…” borbotto scocciata, voltando un’altra pagina “In fondo li hai
passati con voti soddisfacenti se non ricordo male…”.
“Oltre ogni previsione quasi ovunque, sì…”
ribatte lui casualmente, stiracchiandosi “Millicent Bulstrode aveva davvero
studiato bene…!”.
“Che diamine c’entra lei adesso?”
commento, senza davvero ascoltarlo, massaggiandomi il collo stanco.
“Ah bè, c’entra eccome… se non mi avesse
passato tutto lei, dubito che avrei superato gli esami…”.
“Che cosa?!” mi scandalizzo, guardandolo
storto. In tutto questo, ovviamente, Pansy è rimasta assolutamente inerme,
seduta a gambe accavallate sul divano mentre sfogliava velocemente un libro con
aria annoiata. Dubito che stia davvero leggendo, credo che guardi solamente le
immagini e passi oltre. Cosa che mi costringerà a rivedere anche i libri che
lei dovrebbe aver letto.
“Aveva un’enorme cotta per me, sin dal
primo anno…” mi risponde Dean, non scomponendosi per nulla, attirando
l’attenzione di Seth che ha tipo il fiuto di un cane da caccia quando si tratta
di pettegolezzi “E quindi quando ci furono i Mago, la adulai un po’ e le
promisi un appuntamento ad Hogsmeade… così mi fece copiare senza tante storie…”.
“E ci sei uscito poi con lei?” chiede Seth
curioso, sporgendosi oltre il tavolo con gli occhi luccicanti. Dean rotea gli
occhi e sospira: “Se conoscessi Millicent Bulstrode, non mi faresti questa
domanda…”. A bocca spalancata, biascico: “Mi era sembrato strano che avessi
effettivamente studiato… e che non mi avessi chiesto nemmeno il più piccolo dei
suggerimenti… sei… sei… scorretto! Ed
abbietto! Ecco che cosa sei! Hai
imbrogliato! Ed hai ingannato pure quella poveraccia della Bulstrode!”.
“Ma figuriamoci…” dice noncurante Dean,
agitando una mano “Dalla morte di Silente c’erano molti meno controlli… tu da
chi hai copiato Pans?”.
“Metà da Blaise… e credo l’altra metà
sempre da Millicent…” risponde lei, senza nemmeno alzare gli occhi, poi,
ispirata, dice senza cambiare tono di voce: “Adesso capisco perché l’invito al
nostro matrimonio che spedì a Millicent, mi ritornò indietro pieno di Tranello
del Diavolo…”.
Mentre sto quasi per cadere dalla sedia guardandoli,
Dean replica scioccato ed inorgoglito dallo scatto di gelosia della Bulstrode:
“Non me l’avevi mai detto!”.
“Non sei certo il mio biografo…” risponde
Pansy, guardandolo oltre la copertina del libro.
“E la cosa non ti è sembrata strana?!”.
“Ah no… credevo che ce l’avesse con me
perché mi ero sposata prima di lei… insomma ce l’aveva con tutte per quel
motivo, è ancora zitella per quello che ne so… le rimandai la partecipazione e
la imbottii di Pus di Bubotubero…” .
Questi sono pazzi, PAZZI! .
Dean scrolla le spalle e riprende
scocciato a leggere, mentre Seth che brama dalla voglia di partecipare, inizia
a trillare tutto contento: “Una volta, un ex di Kevin mi spedì un ciambellone
pieno zeppo di fragole! E io sono allergico…! Mi venne quasi uno shock
anafilattico! Ma poi Kevin mi portò all’ospedale e mi fecero un’iniezione o
qualcosa del genere… fu una scena bellissima! Lui aveva ancora l’uniforme della
polizia, sembrava una scena da ufficiale
e gentiluomo!”.
Mi scompiglio sconcertata i capelli
chiedendo con un filo di voce, vagamente stupita: “Certo, deve essere
bellissimo avere come ex degli assassini che bramano ucciderti con dei pacchi
avvelenati…”.
“Non è colpa nostra se hai due ex che
fanno pena…” soffia Pansy, guardandomi dall’alto in basso “Di quello che hai
mollato in Italia, meglio che non parlo… e l’altro… figuriamoci… uno che non si
toglie i calzini per fare l’amore, non è manco degno di considerazione…”.
“Non sapevo che Malfoy non si togliesse i
calzini…” commenta stupito Dean, mentre io spalanco la bocca, affrettandomi a
coprire le orecchie di Alex che, ovviamente, captato il suo cognome, dice: “Non
è vero! Io i calzini me li cambio ogni giorno… zio Dean è un bugiardo, mamma!”.
“Veramente io non parlavo di Draco… ma di
te…” continua Pansy come se nulla fosse “Che io ricordi e la Granger può confermare…
Draco non usava proprio il pigiama…”, e via alle occhiate maliziose. In tutto
questo, Alex non ha smesso un secondo di divincolarsi per togliersi le scarpe e
mostrare i suoi piccoli calzini perfettamente puliti, Dean ha continuato a
difendersi sostenendo che l’episodio dei calzini è accaduto solo una volta e
solo perché faceva freddo, e Seth alterna fasi da “credo di essermi innamorato
di Kevin per la divisa, insomma è il non plus ultra per un uomo, rendiamoci
conto!” a “che fortuna, tutte e due siete state con Danny! Herm non mi ha mai
dato particolari, è così possessiva, dai dimmi qualcosa Pansy! Non tenetevi il
meglio per voi!”.
Quando Pansy tra gli schiamazzi generali
inizia a raccontare della sua prima volta con Draco, sostenendo a viva voce che
quando lo fai con un Malfoy, te lo ricordi per tutta la vita, mentre Dean la
guarda agghiacciato e Seth pende dalle sue labbra, capisco che è decisamente il
momento di fare una pausa.
Sempre tenendogli le mani sulle orecchie,
prendo Alex ed esco fuori, non prima di aver urlato rossa in viso: “Se quando
rientro, sento ancora il nome di Draco in un discorso di tale tenore, giuro che
vi sminuzzo e vi metto a macerare nell’aceto bianco!”.
“Che vi dicevo, è troppo possessiva!”
sussurra complice Seth, sedendosi stile comare accanto a Pansy “Danny è un bene
dell’umanità! Deve essere portato alla conoscenza di più persone possibili! Ed
anche se ormai è di tua esclusiva proprietà, avremo anche il diritto di averne
una conoscenza indiretta!”.
Chiudo la porta con un piede, sbattendola,
lasciando che il sorriso che per un attimo mi ha curvato le labbra, scoppi solo
nel momento in cui arrivo nel corridoio, quando Alex, liberato dalla mia
stretta, ripete battendo il piede: “Mamma, voglio dei nuovi calzini!”.
Da quando ho trovato quel libro e il
riferimento a Tatia, è come se qualcosa si fosse improvvisamente acceso dentro
di me: qualcosa che, tanto per intenderci, era morto cinque anni fa nel momento
esatto in cui ero stata separata da Draco. E’ qualcosa che assomiglia
spaventosamente persino alla felicità. Certo, è ovvio, Draco è ancora disperso
chissà dove, forse è anche con Raissa, magari mi odia, forse si è persino
scordato chi sono, ma… qualcosa finalmente si sta muovendo. Ed uscire dall’impasse
in cui mi sono mossa in questi ultimi anni, è qualcosa di straordinario, al
punto da darmi le vertigini e l’ebbrezza. E ripeto, non è successo nulla di
che: del resto, non sono nemmeno certissima che trovare informazioni su Tatia
Krasova mi conduca da Raissa.
Ma se Tatia cinque anni fa ha detto a
Draco di farmi ricordare di lei e io sono più certa di non conoscerla… poteva
riferirsi solo a questo, solo al momento in cui ho trovato quel libro, visto
che era una Profetessa e magari vedeva nel futuro anche dall’aldilà. Ho pensato
anche ad un altro piccolo particolare: Tatia non era in pace, Draco me l’aveva fatto
capire chiaramente.
Non era come Helena, trasfigurata di luce
e rifulgente come un angelo. Era tra le anime che Adamar aveva mandato per
punire Draco stesso, tra gli spiriti probabilmente morti violentemente e
sicuramente ancora incattiviti verso la vita. Tatia, peraltro, quando era
apparsa a Draco, aveva ancora una ferita all’addome, forse la stessa che
l’aveva uccisa.
Eppure sono convinta che non sia una
specie di spirito vendicatore, che vuole colpire me o Draco, o peggio ancora
mio figlio. Sono certa che, in qualche confuso modo, mi voglia aiutare e sono
anche certa che Raissa c’entri qualcosa. Quindi, anche se di lei al momento so
ancora molto poco dato che il materiale scarseggia, certamente sono nella
migliore direzione per trovare Draco da cinque anni a questa parte. La
sensazione di calore agli arti che mi ha liberato dal torpore autoimpostomi in
questi anni, si è tradotta anche nella considerazione di un particolare che,
fino ad ora, non avevo ancora considerato ed apprezzato appieno: sono libera. Posso finalmente muovermi
come voglio, uscire per un gelato, fare una passeggiata, andare in un parco,
persino andare fino al mare se mi va, anche se questo non credo che mi andrà
mai.
Da quello stramaledetto volo nel lago di
Hogwarts, quando io e Draco fuggimmo da Astoria e stavo per morire annegata, ho
un terrore sacrosanto dell’acqua.
Ma intanto tutto il resto lo posso fare e
quindi, approfittando del fatto di aver perso quei tre perversi dietro
chiacchiere scabrose, sono finalmente uscita in città con Alex, che non aveva
mai visto Londra. Di primo acchito, tutto lo ha spaventato, mi ha stretto la
mano guardandosi attorno con gli occhi grigi socchiusi e sospettosi, abituato
com’è alla nostra casa nella piccola isola siciliana dove vivevamo fino a dieci
giorni fa. Ma è bastato entrare ad Harrods e si è ovviamente trasformato,
mentre correva in giro tra gli espositori di giocattoli come un pazzo,
indicandomi ogni tanto qualcosa.
Ma il bello di Alex è che non è un bambino
assolutamente comune: sarà che sono io che lo vedo così, essendo sua madre. Ma
mi sorprende sempre, come faceva Draco.
Spesso, nei momenti peggiori della mia
vita, ho davvero creduto che Dio me l’abbia mandato per sopportare meglio
l’assenza di suo padre.
Con le braccia ingombre di macchinine,
robottini ed altri giocattoli di plastica, mi ha guardato con gli occhi brillanti:
“Posso averne uno?!”.
“Puoi prendere solo una cosa, Alex… ci
manca soltanto dover fare un’altra valigia per tutta quella roba…” ho
borbottato, incrociando le braccia.
E lui, immediatamente, senza nemmeno
pensarci un secondo, ha lasciato tutto su uno scaffale, trattenendo per sé solo
un piccolo involto azzurro.
“Che cos’è?” ho chiesto, chinandomi alla
sua altezza. E lui, sollevando il mento come sono solita fare sempre io e
mettendo il broncio come faceva solo Draco, ha berciato categorico: “I miei
nuovi calzini… così lo zio Dean non dirà più che un Malfoy non si toglie i
calzini! Gliela farò vedere io!”. Ho trattenuto le risate alla sua faccia seria
mentre gonfiava le guance, e ho annuito dandogli ragione.
A parte questa fissazione insana, adesso,
per i pedalini che è tutta colpa di Pansy e della sua lingua lunga, ovviamente
mi ha ricordato Draco come nulla al mondo, al punto da farmi stringere la gola
in un nodo che mi ha ispirato a piangere. Alex sa poco quanto niente della
stirpe dei Malfoy e di tutto quello che ne consegue, ho sempre pensato che
fosse dovere di Draco, quando lo avessimo trovato, dirgli tutto del prezioso
retaggio che ha. Certo, erano doppiogiochisti razzisti e tutto il resto, ma
sono sempre una delle famiglie più antiche di Maghi della Gran Bretagna, anche
se probabilmente l’illustre albero genealogico si sta rotolando nella tomba
dato che l’ultimo erede non è null’altro che un Mezzosangue. Però, appunto,
Alex dei Malfoy non sa nulla.
Questo orgoglio è tutto suo, tutto di
Draco: mio figlio ce l’ha nel sangue. E credo che lo usi spesso perché,
inconsciamente, è la sola cosa che lo rende unito a suo padre. Gli piace dire
che è un Malfoy perché è la sola cosa che concretamente sa di suo padre: il
nome. Si è sempre fatto bastare solo quello, aiutato anche dal fatto che io non
ho nemmeno una fotografia di Draco. E, come se non bastasse, ho di lui una
memoria che è pelle, sangue e cuore, poco adatta ad essere condivisa con un
bambino. I miei ricordi di Draco, specie di quando era piccolo, non sarebbero
molto adatti a darne un quadro esaustivo e soprattutto vero ed onesto. Che gli
dovrei dire? Che era un aspirante assassino? Che lo è stato in guerra? Che era
figlio di uno dei peggiori Mangiamorte in circolazione? Quindi sono sempre
stata contenta che Alex non mi facesse eccessive domande su Draco. Di lui,
appunto, aveva solo il nome e quello lo sfoggiava sempre orgogliosamente in
decine di circostanze. Poi, con il tempo, mentre mio figlio cresceva, mi sono
resa conto che era strano, che non poteva essere imputato solo al candore di un
bambino che, innocentemente, accetta una realtà che gli era stata messa sotto
gli occhi fin dalla nascita. Era sempre vissuto con l’idea di un padre lontano,
ci si era abituato, ma non faceva domande su di lui, non chiedeva come fosse o
perché non fosse con noi, anche se ha sempre frequentato altri bambini che
avevano sempre la mamma e il papà. Me ne sono preoccupata, ovviamente, ma non
volevo chiedergli direttamente qualcosa, in fondo era felice, lo è sempre
stato. Era sereno, e comunque nominava “il suo papà” in molti discorsi. Ma non
era curioso a riguardo.
Un giorno, senza che nemmeno lo chiedessi,
mentre guardavamo Alex che giocava in giardino con Ron, Helder rispose alla mia
domanda muta: “E’ un bambino felice, sereno ed amato… devi stare tranquilla… ti
vuole bene come nulla al mondo. E vuole bene anche a Ron… e persino a suo
padre, anche se non lo conosce… ma nella sua mente… Alex scinde Draco e suo
padre, come se fossero due persone diverse. Del secondo, sa che è il suo papà e
tanto gli basta. Del primo, non chiede nulla… perché sente che ti fa soffrire e
fa arrabbiare Ron… per quello sta zitto…”.
Avevo incassato le parole di Helder con un
sospiro, chiudendo gli occhi ed accontentandomi di sapere che almeno era sereno
al riguardo.
Per questo, quando finiamo le compere e ci
sediamo in un parco a mangiare un gelato, la domanda di Alex che mi giunge
improvvisa, come un lampo in cielo, non mi sorprende poi del tutto. In dieci
giorni, è tutto cambiato: mi vede più serena, Ron non c’è e sente nominare
Draco decine di volte da Pansy e da Seth. Improvvisamente tutta la curiosità di
mio figlio risorge come un fiore d’estate.
“Mamma, posso farti una domanda?” mi dice
cauto, guardandosi le scarpette da ginnastica rossa, mentre agita i piedi
avanti ed indietro sull’altalena.
“Certo tesoro che puoi…” sorrido
incoraggiante, improvvisamente persino pronta per quelle domande che so già che
arriveranno.
“Mi prometti che non ti arrabbi?” bercia
lui, a testa bassa, continuando a guardarsi i piedi. Sorrido nuovamente, mi
chino sui talloni e poggio le mani sulle sue ginocchia, esortandolo a
continuare.
Lui, illuminandosi, dice con un filo di
voce, dopo aver sollevato gli occhi verso di me: “Ma perché papà non è con me e
con te? Non ci voleva bene?”.
Qualcosa nell’aspetto di Alex mi fa
bruciare gli occhi e pizzicare la gola, ma trattengo con tutte le mie forze il
pianto, sospirando. Alex ha le spalle contratte, il labbro inferiore che trema,
gli occhi grigi lucidi e stringe forte le corde dell’altalena tra i pugnetti.
Questa domanda doveva tenersela dentro da chissà quanto tempo.
“Tu che cosa pensi, tesoro?” chiedo,
cercando di incoraggiarlo e simulando una calma che non possiedo “Pensi che
papà non ci voglia bene?”.
Lui sembra spiazzato dalla mia domanda e
fa una smorfia strana, mettendo una specie di broncio buffo, mentre riflette
pensosamente. Dopo qualche secondo, fa incerto: “La maestra, una volta, mi ha
detto che siamo nati perché la mamma e il papà si volevano tanto bene…”, poi,
acquistando colore sulle guance, asserisce con il tono di chi sta
tranquillizzando un fratello minore: “… quindi doveva volerti bene tanto,
mamma!”. Sorrido e gli accarezzo piano la guancia, il nodo in gola che non ne
vuole sapersi di sciogliersi. Respirando ancora, sussurro convinta: “Visto? La
sapevi già da solo la risposta… la maestra aveva ragione… papà voleva molto
bene alla mamma… e per questo, sei nato tu…”.
“Ma perché allora non sta mai con noi?”
chiede ancora, animandosi e spingendosi con l’altalena “Il papà di Marco non
c’è mai a casa… ma la sua mamma dice sempre a Marco che loro sono dimezzati e
quindi non stanno più assieme! Pure voi siete dimezzati?!”.
“Dimezzati…? Ah vuoi dire, divorziati…”
capisco, lasciandomi sfuggire un altro sorriso e rendendomi conto di quanto mio
figlio abbia captato in questi anni, senza però fare il benché minimo accenno.
Siccome il discorso si preannuncia lungo e siccome questa spiegazione gliela
devo da troppo tempo per liquidarla in due minuti, lo sollevo dall’altalena,
per poi sedermi con lui in braccio che, ormai, non mollerà l’osso se non del
tutto convinto. Infatti, si volta di mezzobusto verso di me, continuando ad
interrogarmi con gli occhi grigi spalancati.
“Allora, tesoro…” inizio con un filo di
voce, poi mi do coraggio e respiro profondamente, stringendolo “La mamma e il
papà si volevano molto bene… e proprio perché erano tanto felici, un giorno,
decisero di farti nascere… perché volevano tanto che tu nascessi e stessi con
loro. Per me e papà sei sempre tu la cosa più importante del mondo…”, sospiro
ancora, tecnicamente io e Draco non abbiamo deciso proprio niente su Alex, ma
ovviamente non mi pare il caso che mio figlio sappia di non essere stato né
programmato, né tantomeno gradito in un primo momento. Alex annuisce
vigorosamente con il capo, come tutte le volte che ha capito qualcosa e ne è
profondamente soddisfatto. Incoraggiata, proseguo, dondolandomi avanti ed
indietro: “Solo che, un giorno, arrivarono delle persone molto cattive… un mago
ed una strega…”.
“Come te e Ron, mamma?” chiede lui,
incuriosito, agitandosi sulle mie gambe. Conosce la magia da quando era
piccolo, si divertiva vedendo gli occhi di Helder cambiare colore, ha persino
spostato diversi oggetti quando era in fasce, specie quando si innervosiva. Da
un paio di anni, da quando ha avuto l’età per capire, gli ho parlato della
differenza tra babbani e maghi e sa quindi di dover evitare di far vedere i
suoi poteri. Ciò, quindi, si è tradotto in un’ossessione verso la magia che lo
porta a chiedermi ad ogni compleanno il numero di anni che mancano per andare
ad Hogwarts.
“Sì, Alex… come me, Ron… ed anche come
papà, zia Pansy e zio Dean…”.
“Zio Seth, invece, non è un mago? Lui dice
sempre che fa magie contro il crispo…”.
Mi gratto la guancia, l’ho sentito io
stessa Seth cianciare in quel modo questa mattina: ha dato uno sguardo ai miei
capelli, che non ho avuto modo di lisciare, e mi ha dato tutta una sfilza di
boccette che secondo lui, “fanno magie contro il crespo”. Inutile dire la fine
che hanno fatto quelle boccette. Accidenti a lui e alle orecchie di Alex che
sente sempre tutto!
Per semplicità, replico ad Alex che lo zio
è un tipo di mago particolare che fa delle magie senza bacchetta. Poi riprendo:
“Il mago e la strega, però, non erano buoni come me e papà o come gli zii…
erano molto cattivi… e non volevano che mamma e papà stessero assieme, e
potessero stare con te. E quindi raccontarono tante bugie a papà, dicendogli
che la mamma non gli voleva più bene…”. Alex sgrana gli occhi grigi, come se
gli stessi raccontando una fiaba, e mi guarda rapito: “Erano proprio tanto
cattivi, allora!”.
“Già, tesoro…” sorrido tristemente,
guardando oltre il mio bambino e concentrando per un attimo lo sguardo sul
cielo tra i palazzi di Londra “E quindi papà divenne molto triste e decise di andare
via con la tua sorellina e non tornò più… quindi la mamma rimase da sola e,
siccome tu eri piccolo piccolo, andò lontano così da
poterti far nascere… perché il mago e la strega cattivi volevano fare del male
anche alla mamma…”.
“E Ron? A lui non volevano fare male?”.
“No, Alex… Ron stava con noi perché è un vecchio
e caro amico della mamma, e la voleva aiutare…” ribatto velocemente,
arrampicandomi nelle spiegazioni che posso e non posso dare a mio figlio su me
e Ron “Lui è come zio Harry… te lo ricordi? E voleva aiutare me e te… quindi è
rimasto con noi…”.
“Ho capito…” dice serio Alex, grattandosi
la testa, poi, dopo qualche secondo di silenzio, mi chiede ancora: “E la strega
cattiva e il mago cattivo, adesso, non ci sono più?”.
“No, tesoro… per questo siamo tornati a
casa… adesso gli zii ci stanno aiutando a cercare papà… così…”.
“… così gli diciamo che tu gli vuoi bene,
e che anche io gli voglio bene, e lui torna sempre a casa con noi! Vero mamma?”
mi interrompe Alex, battendo le mani contento. Annuisco, sorridendo, e lo
abbraccio forte, baciandolo sulla fronte. Lui si divincola quasi subito,
saltando dall’altalena, e si mette di fronte a me, dondolandosi con le gambe.
Contento mi chiede: “Mamma, ma com’è papà?
Zia Pansy, quando mi ha visto, ha detto che sono uguale a papà! Ha detto
identico spiaccicato!”.
“Spiccicato, Alex…” lo correggo
meccanicamente, poi sorrido ispirata: “La zia aveva ragione… era uguale a te…
forse possiamo chiederle se ha una foto di papà di quando era piccolo… lo
vorresti vedere?”. Alex annuisce contento e continua con le sue domande, mentre
va avanti ed indietro. Sembra un professore che interroga una studentessa.
“Quindi a papà non piacevano le carote
così come non piacciono a me?” dice fiero, guardandomi con gli occhi socchiusi.
“No, a papà le carote piacevano…” dico
convinta, smorzando la sua espressione sorniona. Ovviamente non ricordo se a
Draco piacessero le carote, ma Alex lo sta chiedendo solo perché sa che, se
dico di no, la prossima volta dirà che non le mangia perché “nemmeno a papà
piacciono”.
“Ma papà era furbetto proprio come te…”
esclamo allegramente, prima di saltare dall’altalena ed acchiapparlo al volo,
facendogli il solletico. Lui inizia a muoversi convulsamente, ridendo come un
pazzo, mentre cerca di sfuggirmi. Alla fine, il trillo del mio cellulare mi fa desistere
e lo lascio andare, e lui, con espressione da uomo maturo rassegnato, si
sistema i vestiti disordinati dal mio impeto.
Trattenendomi dal ridere mentre lo guardo, rispondo al telefono:
“Pronto?”.
“Herm, sono Seth, dove sei? Abbiamo una
pista!” la voce di Seth mi trapana l’orecchio da parte a parte, facendomi
allontanare il cellulare con una mano. Alex, seguendo la mia manovra
salva-timpano, scoppia a ridere ed inizia a giocherellare con una lattina che
c’è per terra. Mentre gli ingiungo severamente di non toccarla, cerco di
prestare attenzione a Seth: “Una pista? Guarda che non siamo in un poliziesco,
Seth… spiegati!”.
“Uno di quei libri che sono arrivati
stamattina era una traduzione di un testo dal russo…” mi spiega velocemente
Seth, la voce squillante “E c’erano molte informazioni su questa Tatia… molto
più che in tutti gli altri libri messi assieme che dicevano solo quando era
nata e quando era morta… vieni a casa che ti spiego!”.
Riagganciando, dopo essermi massaggiata
l’orecchio vigorosamente ed aver agguantato Alex che ha lasciato perdere la
lattina per dedicarsi completamente ad un piccione malaticcio, afferro la
bacchetta e, guardandomi attorno, mi smaterializzo a casa di Pansy.
Quando arrivo a casa di Pansy, devo
trattenere tipo per la collottola Seth che, come un cucciolo scodinzolante, mi
viene incontro nell’ingresso e smania dalla voglia di raccontarmi quello che ha
scoperto. Pansy e Dean sono seduti in cucina con Charisma ed entrambi sospirano
fragorosamente al mio arrivo, evidentemente sollevati dal fatto che finalmente
posso sorbirmi Seth al posto loro.
Prima che Seth inizi a cianciare a tutto
spiano, chiedo a Pansy se Lyria, la loro elfa, può occuparsi di Alex. Dopo
stamattina, mi sono resa conto di quanto sia assolutamente vitale e necessario
per me proteggere mio figlio anche da questa ricerca spasmodica di suo padre.
Deve saperne quanto meno possibile, non deve illudersi, non deve sperare
inutilmente. Il peso di questa cosa deve essere solo sulle mie spalle, dato che
sono sua madre. E, sebbene ingenuamente avessi sempre pensato che Alex non
avesse una vera e propria visione delle cose tra me e Draco, mi sono oggi resa
conto che ne aveva invece una tutta sua, ricavata da mozziconi di discorsi e
frasi nemmeno del tutto corrette.
Fino a quando io stessa non sarò certa di
come stanno le cose tra me e Draco e tra lui e noi, io devo proteggere Alex
dalla possibilità che io stessa o Draco gli possiamo fare del male.
Prima era solo il mio cuore ad essere a
rischio. Adesso, c’è anche mio figlio di mezzo. E non posso permettere a
nessuno, tantomeno a suo padre, di ferirlo in nessun modo. Ho rinunciato a
tutto per la serenità e la sicurezza del mio bambino, ho represso lacrime e
rabbia, ho ucciso il mio amore, sono rimasta per cinque anni in Italia. E se
adesso trovare Draco è la cosa migliore per Alex, il giorno in cui non lo sarà
più, dovrò rassegnarmi a smettere di farlo e a rinunciare per sempre e davvero
a lui.
Quando Alex finalmente è uscito con Lyria,
a cui Dean affida anche Charisma, ci sediamo tutti e quattro in salotto dove
Pansy fa comparire del tè freddo sul tavolino basso di cristallo. Seth
ingurgita in tre sorsi il contenuto del suo bicchiere, non so se per prepararsi
al suo immenso discorso esplicativo, o per riprendersi dalla serie di gorgheggi
lamentosi da cane in cerca d’attenzione che ha prodotto fino ad ora. Fatto sta
che in qualche minuto, si degna di dirmi tutto quello che hanno scoperto.
Nei libri inglesi, di Tatia Krasova si
diceva semplicemente che era una chiaroveggente, dotata di un forte potere di
previsione del futuro e che era morta in giovane età, probabilmente uccisa dai
Mangiamorte. Insomma informazioni abbastanza intuitive, che non mi avevano
detto niente di che su di lei, anzi avevano persino confermato la tesi che
Tatia poteva essersi rivolta a Draco solo per ottenere vendetta per la sua
morte, qualora mi avesse creduto ancora il capo degli Auror. Questo era quello
che avevo supposto in un primo momento con Draco stesso, non dandoci quindi
nemmeno peso eccessivo… ed implicitamente la cosa mi era stata confermata anche
da Raissa, quando glielo avevamo chiesto.
Nel testo, invece, che Seth ha letto ne
viene dato un quadro molto più preciso.
Tatia era nata a San Pietroburgo circa
ventotto anni fa, quindi oggi avrebbe avuto la mia stessa età: i suoi genitori
si erano separati appena la bimba era nata, a seguito della scoperta da parte
della madre di Tatia che il padre era un Mangiamorte dei più terribili. Tatia,
quindi, piccolissima, si trasferì con la madre in un piccolo paesino al confine
con la Finlandia. L’autore, come nota di colore, aveva aggiunto che nel
suddetto paesino, vivevano molte donne che, sposate con Mangiamorte, si erano
rifugiate lì con i figli piccoli per sfuggire al destino loro riservato dai genitori.
E ne aveva fatto qualche nome.
Nel piccolo paesino, ai piedi della
montagna, avevano abitato anche Dimitri e Raissa Karkaroff con la loro madre.
La prova, quindi, del legame tra Raissa e
Tatia è ormai evidente. Raissa, quindi, molto probabilmente strappò volutamente
la pagina del libro che consultava quella mattina di cinque anni fa,
evidentemente messa in allarme dalla domanda che io avevo fatto su Tatia solo
la sera prima. Tre indizi, in fondo, fanno una prova… e Raissa, quando le
chiesi di Tatia, non disse nemmeno nulla di eccezionale, non accennò
minimamente al fatto che fosse cresciuta nel suo paesino, cosa anch’essa
abbastanza strana se non aveva nulla da nascondere.
Seth continua dicendomi che, al termine
della prima guerra magica, il padre di Tatia non tornò a casa: la piccola
iniziò a manifestare i suoi poteri proprio in quell’occasione, quando,
nonostante avesse appena imparato a parlare, previde che il padre era stato
ucciso. Da allora fu praticamente idolatrata nel paese, molta gente veniva da
lontano per conoscerla e parlarle, spesso per sapere il destino dei propri cari
in guerra. Ma Tatia, spesso, non riusciva ad essere chiara nelle sue
previsioni, oppure molte volte semplicemente non ne aveva; essendo il suo
potere così instabile ed incontrollabile, ben presto la gente perse interesse
per lei e il pellegrinaggio presso la sua abitazione si esaurì. In ogni caso,
era molto conosciuta in zona: anche se non riusciva a controllare le sue
previsioni, esse continuavano ad esistere. In molti casi aveva infatti predetto
la morte di alcune persone, o ne aveva salvate delle altre, anche quando era
solo una bambina.
Ed ancora, torna il nome Karkaroff: Tatia
aveva quattordici anni quando, tornato il Signore Oscuro, predisse ad Igor
Karkaroff che sarebbe morto per mano dei Mangiamorte, spingendolo alla fuga.
Anche questa circostanza depone in favore
di un legame tra Raissa e Tatia. Probabilmente se Tatia fece quella previsione
e si premurò anche di riferirla, doveva sussistere una specie di legame con il
padre di Raissa stessa. Forse erano persino amiche, oltre che compaesane.
Alla morte della madre, poco prima della
fine della seconda guerra magica, Tatia si trasferì a Tampere, in Finlandia. Ma
non da sola… aveva solo diciotto anni, ma si era sposata. Con un tale Ilai
Radcenko. I due, però, furono felici solo per un anno scarso: Tatia fu
ritrovata morta il giorno del suo diciannovesimo compleanno, nella casa che
divideva con Ilai. Si fecero molte teorie a riguardo, ma prevalse la tesi per
la quale Tatia fosse stata uccisa da Mangiamorte, desiderosi di vendetta, anche
se erano passati tantissimi anni dalla morte del padre. In mancanza di prove
che potessero individuare i responsabili, tutti dettero per buona questa
teoria, specie considerando il periodo nero dopo la guerra. Di gente morta, ne
veniva trovata ogni giorno. E spesso spiegazioni non c’erano. Vendette
trasversali, regolamenti di conti, rapine finite male di Mangiamorte
incattiviti dalla fuga e dagli stenti: ricordo ancora tantissimi episodi,
accaduti quando ero il Capo degli Auror. Io stessa, in molti casi, avevo dovuto
concludere delle indagini con un nulla di fatto. Ovvio che la cosa fosse
accaduta anche a Tatia.
La sola cosa che risulta meno ovvia in
questa storia, è il collegamento che ho io con Tatia: Raissa ok, potrebbe
averla conosciuta, ma che cosa c’entro io? Perché ci ha tenuto che Draco si
ricordasse di lei in modo da riferirmi la cosa? Certo, se Tatia non è
propriamente uno spirito pacifico al momento, magari vuole ancora che io
vendichi la sua morte… e magari Raissa ha una qualche responsabilità nel suo
omicidio. La cosa mi agghiaccia, specie se Raissa dovesse essere ancora con
Draco e Serenity… ma loro dovrebbero essere vivi, Helder li ha sempre sentiti
tali. Ma potrebbero essere in pericolo… e magari Tatia vuole aiutarmi in
questo, vuole aiutarmi a trovare Draco. Ma come? È morta, come potrei entrare
in contatto con lei? Adamar fece sì che Draco la incontrasse ma per punirlo,
non so nemmeno se esiste un altro modo che non implichi magia nera e la
possibilità concreta di lasciarci le penne.
Prima, avrei rischiato tutto, ovviamente.
Ma adesso Alex fa sì che la mia scarsa attenzione per la mia incolumità, sia
decisamente salita.
La sola strada che concretamente mi resta,
è trovare qualcuno che la conosca. Parlarci, cercare di capire chi fosse.
Potrei persino capire effettivamente se ha avuto dei contatti con Raissa.
L’unica persona che sembra ancora in grado
di darmi queste informazioni, è Ilai Radcenko, suo marito.
Dopo aver finito di parlare con Seth ed
aver comunicato la mia intenzione di parlare con Ilai Radcenko di Tatia, Dean e
Pansy riescono a farmi sapere qualcosa di lui grazie ai contatti che hanno all’ambasciata
dove lavoravano a Parigi: una loro conoscente riesce in un paio di ore a farci
sapere l’indirizzo attuale del marito di Tatia. A quanto pare, vive ancora a
Tampere, in Finlandia.
Ergo, non mi resta che andare lì. Seth
ovviamente decide di accompagnarmi e si scaraventa in camera sua per prenotarci
dei posti sul primo volo disponibile. La sua gioia trillante mi impedisce di
dirgli che io potrei viaggiare benissimo per mezzi magici, impiegandoci la metà
del tempo e non affrontando il mio secolare terrore per gli aerei. Ma questo
significherebbe lasciarlo qui e, al momento, dirglielo potrebbe costare la
salute già precaria del mio sistema nervoso, oltre che del mio apparato
uditivo. Quindi, lascio correre.
“Vengo anche io con voi…” mi dice sicura Pansy,
guardando oltre di me Dean che culla Charisma che non ne vuole saperne di
prendere sonno.
Inarco un sopracciglio: “E Dean?”.
“Lui se ne sta qui con la bambina…”
sciorina lei con nonchalance, stiracchiandosi come un gatto al sole “Potreste
aver bisogno di aiuto… insomma che sappiamo di questo Radcenko? Seth non è
certamente un mastino e non c’entra nulla il fatto che sia un babbano… anche da
mago, terrorizzerebbe al massimo un Avvincino…”.
“Come mai tutta questa disponibilità?”
borbotto scettica guardandola, non del tutto convinta.
“Mi offendi Granger… non potrei essere
sinceramente preoccupata per te e per Seth, oltre che per Alex?”.
“E?” la incalzo, incrociando
meccanicamente le braccia.
Pansy si gira su sé stessa, dando volutamente
le spalle a Dean che continua a canticchiare ninna nanna a Charisma che hanno
solo l’effetto di farla ridere a crepapelle. Dean sospira, gettando occhiate in
tralice a Pansy che, invece, mi sussurra con voce innocente: “… per puro caso,
questo weekend verranno qui sia mia madre che mia cognata… strega purosangue la
prima, babbana la seconda… non mi ero accorta di aver detto di sì a tutte e due
per lo stesso giorno…”.
Le spalle mi si afflosciano, mentre lancio
un’occhiata di solidarietà al povero Dean che, ignaro del suo destino, continua
ad agitare sonaglini per calmare Charisma.
“La Finlandia mi pare sufficientemente
lontana per una Fattura Orcovolante da parte del mio
caro maritino…” bisbiglia melensa Pansy, prima di allontanarsi e prendere la piccola
dalle braccia del padre. Mi gratto la guancia a disagio, sotto lo sguardo
indagatore di Seth.
Lui, senza fare una piega, sospira ed
intuisce i miei pensieri, anche se da babbano di queste cose non ne capisce
ancora nulla.
Con una mano sotto al mento e
l’espressione saputa, dice solo una parola, omnicomprensiva di tutto quello che
sto pensando.
“Serpeverde…”.
In questi cinque anni io non sono stata
nulla di diverso dalla mamma di Alex.
Non credo che c’entri solo l’istinto e la
spinta primordiale a difendere il proprio piccolo, mettendo in quint’ordine
ogni propria esigenza o desiderio. Credo che io abbia fatto di necessità,
virtù. Sono sempre stata una persona sinceramente preoccupata degli altri, ma
il legame che si instaura con un bambino, con il proprio figlio, è una cosa che
non si può descrivere e spiegare a nessuno. Alex mi ha semplicemente annullato
il pensiero di me stessa. E questo è avvenuto in un momento in cui avevo
disperatamente bisogno di non pensare a me stessa.
Nel momento in cui l’avessi fatto, avrei
avvertito solo la lacerante distanza da Draco che mi avrebbe obnubilato ogni
volizione.
Quindi, insomma, essere mamma ha
contribuito a non farmi perdere la sanità mentale, mentre ero “prigioniera” in
Italia. In fondo, era come se non fossi mai uscita dal castello di Dimitri:
dovevo pensare a me stessa, nella sola funzione che ciò portasse alla salvezza
prima, e alle felicità poi, del mio bambino.
Per questo, quando Pansy e Dean mi
convincono a lasciare Alex a casa con Dean dato che non sappiamo concretamente
che ci aspetti in Finlandia, per un attimo mi sento monca.
Al momento, per la prima volta da cinque
anni, io non sono la mamma di Alex. Il mio bambino è al sicuro, è protetto, sicuramente
ha preferito restare a giocare con Charisma piuttosto che seguirmi in questo
viaggio astruso, so che è felice. Io, invece, sento migliaia di piccole
sensazioni indimenticate che mi punteggiano la schiena, come se esse fossero ombre
solo tenute a bada dalla luce dell’amore per mio figlio. Certo, è ovvio ed è
scontato che io non abbia smesso all’improvviso di essere quella che sono stata
in cinque anni, e comunque sono sempre la mamma di Alex.
Ma quello che sto facendo adesso, in un
certo senso, senza Alex che mi ricordi sempre che è anche il figlio di Draco,
mi sembra di farlo solo ed esclusivamente per me stessa.
Il tempo, senza che Alex con la sua
presenza mi ricordi quanto concretamente ne è passato, si annulla e si eclissa.
E mi sento di nuovo la ragazza che uscì in giardino la sera del compleanno di
Pansy, dopo aver rifiutato una proposta di matrimonio dall’uomo che amava.
Stranamente, non ho più pensato ad Helena in questi anni. Sono ancora a mio
modo convinta che quella sera, per come andarono le cose, feci la cosa giusta,
specie sapendo che cosa accadde la mattina dopo, quando Draco promise ad
un’Astoria con le mie sembianze di lasciar andare Helena. Se tutto questo non
fosse accaduto, io e Draco saremmo marito e moglie, lo so, lo sento.
E questo mi riempie di un tale senso di
nostalgia, rimpianto e rimorso che adesso mi stringe la gola e mi spinge a
piangere ancora come se tutto questo fosse accaduto solo ieri.
Soffoco le lacrime in gola, guardando
ancora nella borsetta, da cui esco il distintivo da Auror che mi sono portata
dietro. Cercando di distrarmi, riporto alla mente la strategia che ho elaborato
con Seth e Pansy per poter parlare liberamente con Ilai Radcenko. La cosa
ovviamente più semplice, era fingere ancora di essere il Capo degli Auror e di
essere venuta a fare un’indagine in merito alla morte di Tatia. Cercherò di non
nominare direttamente Raissa, non so fino a che punto il marito di Tatia
potrebbe essere coinvolto con lei e con Dimitri, ma in ogni caso dalle sue
risposte potrò capire come stavano le cose e se posso fidarmi di lui; da lì,
ovviamente, si apriranno i giochi.
Mi stiracchio distrattamente, cercando di
tenere a bada la risorta malinconia e la neonata insicurezza, e getto
un’occhiata in tralice a Seth e Pansy seduti nella fila contigua alla mia.
Sospiro a lungo, li sto ignorando dall’inizio del viaggio per la loro solita
attitudine a fare discorsi strambi, che tendenzialmente mi trascinano in un
vortice di folla suicida ed omicida. Al momento, Pansy sta infatti
rianalizzando tutto l’albero genealogico della famiglia di Seth, che cerca di
risponderle come meglio può, agitando le mani nella foga della conversazione.
Uno adesso si può chiedere che diamine
cerchi Pansy Parkinson, Purosangue decaduta, snob impenitente, nella genealogia
del babbano Seth Green… si dà il caso che Seth sia omonimo di un indesiderabile
passeggero delle liste in mano alle compagnie aeree, forse qualche terrorista o
un semplice disturbatore della quiete pubblica che, da allora, è diffidato dal
viaggiare in aereo. Io non escludo che, invece, l’omonimia non esista e che si
parli della stessa persona, specie perché una volta Seth mi raccontò di essersi
preso una cotta per un, parole sue, “tipo da infarto” che faceva lo steward per
la British Airlines. Quindi non voglio nemmeno immaginare che cosa abbia fatto
per il suddetto amore della sua vita, che poi è durato circa due mesi scarsi…
comunque Seth nega di essere lui stesso sgradito sui voli di linea e diciamo
che gliela faccio passare. Ogni volta che prende un aereo, quindi, deve
chiarire che non è il Seth Green, invece, terrorista, omicida o chissà che
altro, e per sbrigarsi, spinge i controllori a verificare il nome da nubile di
sua madre, Esperanza Mendes, cubana. E lì, la cosa si risolve. Fino ad oggi.
Perché Pansy ha sentito il nome di sua madre, e ha dato di matto. A quanto
pare, i Mendes a Cuba sono come i Malfoy in Gran Bretagna.
Una famiglia magica, di Purosangue,
ricchissimi e persino collegati a Fidel Castro in persona.
Io ovviamente ho liquidato il tutto,
dicendo che probabilmente era anche in questo caso un’omonimia, considerando
che Seth non ha una goccia di sangue magico nelle vene e nemmeno conosceva qualcuno
con dei poteri prima di venire in contatto con me e con Draco. Pansy, invece,
che non ha mai abbandonato del tutto le sue reticenze sui babbani e sui
mezzosangue, sta scandagliando da ore la sua stirpe: va abbastanza sul regime
dell’eccezione, lei. I babbani sono tutti idioti, tranne Dean perché me lo sono
sposato. Tranne la Granger, perché Draco qualcosa in lei ci doveva trovare.
Ed adesso deve anche spiegarsi la sua
strana simpatia per Seth, trovando un’origine purosangue della sua
piacevolezza.
Seth, peraltro, si è fatto abbastanza
suggestionare da tutta la storia ed intervalla la ricostruzione della sua
famiglia con aneddoti assurdi sulla sua infanzia, dove secondo lui sono
evidenti i segni della sua latente magia: effettivamente perdere la maglietta
arancione che gli aveva regalato sua zia e che lui odiava, oppure imparare a
memoria la canzone di Natale in dieci minuti, sono tutti segni evidenti di magia, come negarlo. Quindi
ciò credo che spieghi abbondantemente perché li ignoro per tutto il viaggio,
per tutto l’atterraggio, per tutta la ricerca dei nostri bagagli e per quella
di un mezzo di trasporto, che ci conduca in centro dal piccolissimo aeroporto
di Tampere. È una giornata bellissima, colma di luce e sole, con il cielo da
cartolina. La strada è costeggiata da alberi di pino ed abete che diffondono un
quieto odore di bosco, muschio, rugiada. La gente stessa sembra vacanziera ospite
di una natura ancora incontaminata: ogni tanto, vediamo spuntare un laghetto
dalle acque verdi e trasparenti. È una bellissima terra, le persone sono
cordiali ed educate, parlano quasi sottovoce come se avessero sempre paura di
disturbare. Tampere è un’allegra piccola metropoli, attraversata da un fiume: il
dislivello di una cascata è stato sfruttato per creare energia idroelettrica,
una grande centrale di mattoni rossi torreggia vicino al nostro albergo. I
viali sono ampi, con delle fioriere in cima ai lampioni, e c’è un aria
rilassata e pacata. Mi piace molto questa città, sarebbe piaciuta anche ad Alex.
Mentre camminiamo, cercando di raccapezzarci
con i nomi gutturali delle strade, Seth non la smette di fare foto con il
telefonino, orientandosi prevalentemente sulla “fauna locale”, ossia su ogni
individuo di sesso maschile che trova minimamente interessante. Appena obietto
che lui è fidanzato, mi risponde che le guarderà con Kevin senza problemi,
“siamo una coppia dal comune senso estetico”. Roteo gli occhi, armeggiando con
la cartina, mentre Pansy procede indolente accanto a me, guardando le vetrine
con aria annoiata e indifferente. Ma ogni tanto i suoi occhi vengono catturati
da qualcosa e deduco che, in realtà, è molto interessata a tutto, ma ovviamente
non vuole darlo a vedere.
Finalmente, dopo circa un’ora di
tentativi, riesco a decifrare la cartina e le strade e, con un po’ di
informazioni della gente del posto, riusciamo a trovare la strada dove vive
Ilai Radcenko, il marito di Tatia. È una strada seminascosta, apparentemente
deserta, in periferia. Piccole casette bianche ad un piano, circondati da
fazzoletti di terra, spuntano da entrambi i lati della strada. Anche la casa di
Ilai e Tatia non differisce di molto da quell’assieme asettico e sempre
identico a sé stesso. La cosa che stranamente mi colpisce in tutto quel nitore
accecante, è una siepe di fiori rossi che distingue la casa di Ilai da tutte le
altre: mi chino a sfiorarli con la punta delle dita, sono fiori di ibisco e
forse nemmeno dovrebbero crescere in Finlandia.
Toccando un petalo, sento un lieve
pizzicore sul polpastrello: magia, sicuramente.
Almeno abbiamo la certezza che qui ci
abitano dei maghi.
Ripasso con Pansy e Seth la versione che
dobbiamo dare, ingiungendo a loro due di stare entrambi zitti: entrambi
sbuffano, Pansy perché non crede alle mie capacità di Ex Capo degli Auror e
Seth perché è costituzionalmente incapace di stare zitto per quarantacinque
secondi di fila. Ma il mio celebre sguardo raggelante li fa tacere all’istante.
O meglio fa tacere Seth, figuriamoci… Pansy continua a borbottare, ma almeno lo
fa sottovoce.
Con un lungo sospiro, busso alla porta di
acero bianco, su cui è appesa una ghirlanda di frutti piccoli e rossi. Dopo
qualche minuto, trafelata, viene ad aprire una donna. Ha i capelli lunghi e
castani legati in una crocchia scomposta sul capo, è un po’ in carne e dimostra
circa una quarantina d’anni. Su una guancia rossa e sudata, ha un buffo sbuffo
di farina.
Una donna… la guardo sovrappensiero. Forse
ho sbagliato casa… magari Ilai non vive più qui… oppure… si è risposato.
In ogni caso, con voce ferma, chiedo:
“Buongiorno signora… mi scusi per il disturbo… avrei bisogno di parlare con
Ilai Radcenko… vive qui?”.
La donna si asciuga velocemente le mani su
un canovaccio umido, sono anch’esse sporche di farina e pasta aggrumata. Getta
uno sguardo confuso a me, Seth e Pansy e sussurra: “Chi lo cerca?”. Parla
perfettamente inglese, per fortuna, non mi ero premunita di accertarmi che
capissero la mia lingua. Ha solo un accento più duro e gutturale del mio,
perfettamente acclimatato al suo aspetto.
“Sono Hermione Jane Granger… e loro sono
due miei colleghi…” dico ferma, con un sorriso deciso “Sono il Capo degli Auror
dell’Inghilterra… avrei da fargli qualche domanda in merito alla morte di sua
moglie… Tatia Krasova…”. Al nome di Tatia, l’espressione della donna si
rasserena e diventa più distesa, aprendosi ad un timido sorriso.
“Capisco… prego accomodatevi…”. Ci fa
cenno di seguirla all’interno, in un piccolo salottino bianco con un divano
rosso anch’esso. Nell’aria, c’è un odore invitante di cannella e mele. Seth lo
fiuta come un cane da caccia, lo guardo con sguardo severo prima che dica
qualche sciocchezza.
La donna si siede di fronte a noi, su una
poltrona che sembra a malapena contenerla, e poggia lo straccio su un tavolino
basso. Distrattamente noto una cornice, rossa anch’essa. Una foto di un
matrimonio: riconosco subito Tatia perché Draco me l’aveva mostrata quando mi
aveva riferito il suo messaggio dall’oltretomba. Ma nella foto sembra più
giovane, più bella, straordinariamente felice. Ha un vestito semplicissimo
bianco, stretto in vita, con una gonna a ruota lunga fino al ginocchio. Stringe
il braccio di un ragazzo più alto di lei, abbronzato in viso, con capelli
castani spettinati e un sorriso contagioso riflesso negli occhi scuri. Non
sembra russo, né tantomeno finlandese. La foto della felicità di Tatia ed Ilai
mi stringe il cuore, mi fa seriamente dubitare del fatto di essere venuta qui a
disturbare quest’uomo dopo dieci anni dalla morte della moglie, e solo per i
miei fini personali. Poi mi dico che comunque cercherò di scoprire davvero qualcosa
sulla morte di Tatia, anche solo per mandare poi le informazioni a Beckwith, il vero Capo degli Auror inglese, così la sua
morte non resterà impunita.
Inoltre, è strano da spiegare… ma da
quando sono entrata in questa casa, ho la sensazione tiepida che Tatia voglia
che io stia qui. La sento respirare sulla mia nuca, mi avvolge di un calore
placido sulle spalle come una coperta di lana. Non è la sensazione sgradevole
che sentivo quando Helena si metteva tra me e Draco, perlomeno nei miei
pensieri e nelle mie percezioni. È una sensazione estremamente piacevole,
invece. Mi scioglie la gola e mi fa sentire al sicuro.
“Ilai non è in casa al momento…” esordisce
la donna, estraendo una bacchetta dalla tasca del grembiule a scacchi e facendo
comparire del tè con dei pasticcini. Seth ci si fionda su come un assatanato,
sotto lo sguardo pietrificato mio e di Pansy.
“Io sono sua sorella… Anya…” sorride la
donna, mentre guarda Seth mangiare a tutto spiano, seminando briciole
dappertutto “Da quando Tatia è morta… vivo qui con Ilai… non volevo lasciarlo
solo… figuriamoci lui non avrebbe mai voluto che stessi qui, crede di potercela
fare da solo… e sicuramente è così. Ma Tatia… è stata l’unica donna che abbia
mai amato. Ed è morta in quella maniera orribile…”. Anya si asciuga
silenziosamente un angolo dell’occhio destro con il grembiule, trattenendo un
singhiozzo prima di chiederci: “Che cosa c’entra il Ministero inglese con la
sua morte? Qui ormai le indagini sono chiuse da anni…”.
Mi ero preparata un’elaborata storiella,
avrei alluso ad una pista di omicidi simili a quelli di Tatia che erano
avvenuti in Inghilterra che ci avevano fatto pensare allo stesso omicida. Ma
improvvisamente, la stessa mano che mi si è poggiata sulla schiena da quando
sono entrata qui, mi suggerisce che sarebbe sbagliato mentire a questa donna,
darle speranze inutili. Non posso raccontare la verità, tutta la storia… ma non
è nemmeno giusto che dica una bugia. La mia bocca si apre senza controllo, e sussurro:
“So che le sembra assurdo… ma qualcuno ha visto Tatia… nell’aldilà… lei ha
chiesto a questa persona di farmi il suo nome e di ricordarmi di lei… io però
non la conosco, non la conoscevo… forse Tatia vuole giustizia… dato che non è
riuscita ad averla…”.
Anya resta sconvolta dal mio racconto,
esattamente come Seth e Pansy che erano rimasti ad un’altra versione e che mi
guardano esterrefatti. Ma sono sempre più convinta di aver fatto la cosa
giusta: la cognata di Tatia ovviamente chiede numi e spiegazioni, e gliene
fornisco sommariamente qualcuna, non alludendo però né a Draco, né a Raissa e
Dimitri. Dico solo i particolari che ricordo dell’aspetto di Tatia e di quello
che aveva detto. Anya rimane qualche secondo in silenzio, le mani tra i
capelli, lo sguardo basso.
“Non voglio arrecare a lei o a suo
fratello altro dolore… ma comprende che non potevo ignorare una cosa del
genere…” sussurro timidamente, le mani che si torcono in grembo.
“Certo… e la ringrazio di essere venuta
fin qui, per una persona che nemmeno conosce…” bisbiglia Anya, sollevando il
viso “Non so che cosa potrebbe volere Tatia da lei… non so perché non abbia
fatto avere a me o ad Ilai stesso questo messaggio, in dieci anni, se davvero
ne aveva la possibilità… eravamo la sua famiglia… lei non aveva fratelli o
genitori… eravamo la sola casa che aveva…”.
“Crede che vorrebbe vendicarsi?” chiedo
esitante, sporgendomi nervosamente verso il tavolino ed afferrando un biscotto
al burro che però non porto alle labbra. Anya esita un pochino, incassa le
spalle e riflette qualche secondo. Poi, sospirando, chiosa sicura: “No, non lo
credo… Tatia era una ragazza buona, gentile, generosa. Bastava guardarla per
sentirsi a casa, al sicuro, felici… specie da quando aveva conosciuto Ilai.
Erano una cosa sola. Davvero. Mio fratello l’amava così tanto… e lei lo amava nello
stesso modo. Non credo che siano mai esistite due persone più innamorate di
loro…”. Annuisco con il capo, già dalla foto mi era sembrato lampante il legame
tra loro. Ne ho viste decine di foto di matrimoni nella mia vita, eppure
qualcosa della loro mi spinge sempre a guardarla ancora, come se ci fosse
qualcosa sotteso tra Tatia ed Ilai che l’occhio della fotocamera ha percepito,
ma non è riuscito a fissare su pellicola. Penso a me e a Draco, al dolore che
ci siamo portati dentro in questi anni… a come mi è sempre sembrato immenso
come un’onda nera che avanzava implacabile in una landa deserta.
E poi penso ad Ilai… trovare morta la
donna che ami. Trovare morto Draco, senza
possibilità di salvarlo, di morire al suo posto, di morire con lui.
Credo che sarei davvero andata a pezzi.
Stavolta, sul serio. Negli anni la mia forza è stata anche saperlo vivo. Che
avrei fatto se un giorno Helder mi avesse detto che non lo sentiva più?
Deglutisco pesantemente, tornando al tempo
presente. Chiedo cauta, con un filo di voce ad Anya: “Che mi dice del giorno
della sua morte?”.
“Non le posso dire molto, signorina
Granger…” bisbiglia Anya, guardandosi il grembiule e lisciandolo con le dita
“Io vivevo a San Pietroburgo allora, con nostra madre. Seppi tutto quando le
cose erano già accadute. Ilai la trovò morta in casa rientrando di sera… era il
giorno del suo compleanno. Di Tatia, intendo. Compiva diciannove anni. Non
c’erano segni d’infrazione, in casa non mancava nulla, non era stata derubata…
né tantomeno…”, la voce di Anya esita un attimo, riprende forza con un lungo
sospiro: “Non l’avevano toccata. Non
era nemmeno ferita. L’autopsia rivelò solo un ematoma celebrale e delle
profonde lesioni sempre a livello del cervello… come se l’avessero forzata a
fare qualcosa che non voleva con la sua mente… con i suoi poteri… pensammo
subito a qualcuno interessato alla sua dote di chiaroveggente…”.
“Era quindi abbastanza conosciuta per il
suo dono, vero? Ed aveva ancora delle visioni quando morì?”.
“Certo che sì… facevano sempre parte di
lei…” asserisce convinta Anya “Non era mai riuscita a controllarle, nonostante
avesse sempre voluto fermarle. La facevano soffrire, la dilaniavano spesso. Quando
Ilai l’aveva conosciuta, era spesso autenticamente devastata da queste
premonizioni… ma poi con lui accanto, le aveva accettate. Ilai l’aveva convinta
a pensare che facessero parte di lei e che, provenendo dalla sua mente, poteva
fermarle. Ci era anche riuscita qualche volta, le viveva molto più serenamente
adesso. Ma forse, così facendo, fermò anche la visione del giorno della sua
morte e non riuscì ad evitarla…”.
“Aveva dei nemici? Persone che volevano
farle del male?”.
“No, non si poteva fare a meno di volerle
bene. Era piccola, dolce, sempre allegra. Ci hanno detto che forse sono state
persone che ce l’avevano con suo padre… era un Mangiamorte, ma penso che lo
sappiate… ma era morto da vent’anni… che diamine potevano volere ancora da
Tatia? E poi viveva qui, in Finlandia… era felice…” Anya si interrompe per un
attimo, ricacciando indietro le lacrime. Continua dopo qualche attimo di
esitazione, la voce più tremula: “Inoltre anche le modalità della morte erano
state strane, non erano da Mangiamorte. Niente Marchio Nero, niente rivendicazioni,
niente minacce pregresse, niente di niente. Ma non si venne mai a capo di
nulla. Ci dissero che forse volevano che si unisse ai Mangiamorte, volevano il
suo potere di previsione del futuro per sapere se Colui che non deve essere
nominato sarebbe tornato, dopo che era stato ucciso da Harry Potter… ma io non
ci ho mai creduto. E nemmeno Ilai. Abbiamo fatto anche qualche indagine per
conto nostro. Ma non siamo mai arrivati a nulla… non capisco perché Tatia stia
cercando giustizia da lei, signorina Granger… non lo so davvero… se
c’entrassero i Mangiamorte, lo stesso Capo degli Auror finlandese avrebbe
trovato qualcosa… Tatia non vi ha dato alcun indizio che potrebbe fare luce
sulla cosa?”.
Nego pensosamente con il capo, Tatia disse
solo poche parole a Draco. Voleva solo che mi ricordassi di lei. Ma perché,
maledizione? Per un attimo, inizio seriamente a dubitare della fiducia che ho
riposto in questa strada. Mentre inseguo i miei pensieri, concedo però
involontariamente a Pansy di aprire bocca, deve essersi scocciata del mio
cambio di programmi e si deve essere convinta di essere giustificata a parlare
anche lei.
“Tatia conosceva per caso una tale Raissa
Karkaroff?!” la voce di Pansy mi fa trasalire e la guardo innervosita,
aggrottando le sopracciglia e rimproverandola. Avevo deciso di attendere che
tornasse Ilai per parlare direttamente di Raissa, e comunque l’avrei presa
molto alla larga. Accidenti a lei! Pansy, senza scomporsi, bisbiglia velenosa:
“Granger che tu finga di essere ancora il capo degli Auror, non ti rende tale…
e soprattutto non ti rende il mio di Capo…”. Seth guarda entrambe come un
bambino guarderebbe la mamma e il papà quando litigano, e ci bisbiglia di stare
calme. Sospiro profondamente, tornando a guardare Anya che non ha seguito il
nostro silenzioso scambio di opinioni.
“Ricordo una Raissa…” medita Anya con
calma, grattandosi la nuca “Era un’amica di Tatia ed Ilai… ma non si vedevano
da anni, dall’inizio della Seconda Guerra Magica… lei era partita per un lungo
viaggio… infatti mancò anche al matrimonio di Ilai… tornò con suo fratello solo
per il funerale di Tatia… erano entrambi sconvolti dalla fine della loro
amica…”.
Il legame quindi c’è, constato
superficialmente. Non che avessi qualche dubbio: quindi Raissa aveva
volutamente negato quel giorno di conoscere Tatia. E doveva anche aver
strappato la pagina del libro di Pansy, prima che collegassimo lei e Tatia.
Questo, ovviamente, mi puzza. Aveva evidentemente qualcosa da nascondere. Il
lungo viaggio di cui Anya ha parlato, facendo un po’ di calcoli, dovrebbe
essere quello che lei e Dimitri avevano fatto per trovare Adamar, da cui
avevano ottenuto la Conoscenza Assoluta. Sicuramente, se non si erano fatti
vivi al matrimonio di Tatia che a quanto pare è avvenuto in piena guerra, deve
essere stato perché erano nascosti: Draco mi aveva raccontato che aveva salvato
loro la vita, proteggendoli dal pericolo che Voldemort li reclutasse nelle sue
schiere di Mangiamorte a causa dei loro poteri. Eppure, continua ad esserci
qualcosa che mi sfugge. Se era solo una sua amica, perché non dirci subito chi
era? Mi ricordo perfettamente l’espressione di Raissa, quando le chiesi di lei,
anche se non allusi assolutamente al messaggio che aveva dato a Draco
nell’aldilà. Raissa rimase assolutamente indifferente. Né un ricordo, né un
segno di cedimento. Poteva anche non avere voglia di condividere la cosa con
noi, ok, ma quella freddezza… come faceva ad essere devastata per la sua morte
e poi a ricordarla come un pezzo di ghiaccio cinque anni dopo? C’è decisamente
qualcosa che non torna.
Comunque a quanto pare anche Ilai la
conosce. Anya ha detto che era un’amica di entrambi. Quindi forse lui sa
qualcosa: Tatia deve avermi guidato qui perché Ilai sa qualcosa.
“Credi che Ilai sappia dove sia Raissa
adesso?” chiedo, senza giri di parole, suscitando la reazione soddisfatta di
Pansy, dato che sembra che abbia appreso al meglio la sua lezione di
interrogatorio.
Anya nega energicamente con il capo: “No,
non credo proprio… Ilai ha tagliato i ponti con tutto il suo passato in Russia…
troppi ricordi… non credo che la senta ancora…”. Le mie spalle si afflosciano
alla risposta di Anya e il cuore mi rotola fino alle scarpe, e credo che anche
Pansy e Seth provino qualcosa di molto simile. Eppure, la stretta calda alla
nuca non mi abbandona, non mi lascia in pace. C’è qualcosa, ancora qualcosa che
devo capire. Non è possibile che essere venuti qui sia stato inutile. Non lo
credo, non può essere. Devo aspettare che torni Ilai. Magari Anya non lo sa, ma
si sentono ancora. Comunque lui è il solo a potermi dire davvero come stavano
le cose tra Tatia e Raissa. Anya deve saperne poco quanto niente.
“Potrei dare un’occhiata alle cose di
Tatia per favore?” chiedo improvvisamente ispirata, aggrappandomi
disperatamente all’ultima cosa che mi è venuta in mente. La tensione di Pansy,
accanto a me, suggerisce che, se fosse per lei, Crucerebbe Anya per farle
ammettere quello che, secondo lei, sa e non dice. Ma io, invece, non credo che
ci stia omettendo volutamente qualcosa.
E’ evidente che non sa davvero nulla di
Raissa.
“Certo…” annuisce con un sorriso,
guidandomi in una stanza laterale che deve essere la camera da letto di Ilai e
Tatia. Anche qui, il colore dominante è il rosso che risalta sanguigno contro
il bianco delle pareti. Rosso il copriletto, rosse le tende, rossa una piccola
poltrona. E rossa è la scatola di cartone che Anya esce dall’armadio e mi porge
delicatamente.
Una scatola
rossa. Un’improvvisa scossa mi scuote i nervi,
facendomi rabbrividire: Draco. La scatola di Helena. L’odore di ciliegia. Anche
Draco aveva una scatola rossa per il ricordo della donna che amava. Ilai ne ha
una uguale. Più vado avanti e più mi convinco che non è una coincidenza che
sono qui, che non è un caso che sono arrivata in questa casa.
Tatia vuole che io sia qui, vuole che
scopra qualcosa proprio qui.
Apro la scatola con deferenza, accanto
allo sguardo commosso di Anya e a quelli curiosi di Seth e Pansy che non
riescono ovviamente a capire il mio interesse. Cosa che peraltro, da una prima
occhiata sfugge anche a me. Sono ricordi di una vita spezzata, ricordi di sogni
interrotti, ricordi di illusioni bruciacchiate: tutto commovente, tutto
straziante, tutto doloroso.
Ma anche tutto al contempo normale ed
eccezionale come una qualsiasi delle miliardi di vite che affollano il mondo. Fotografie,
un’agenda, una cartolina, una bambola di pezza, un fiore secco, un paio di
scarpette da neonato sempre rosse. Le guardo superficialmente, intenerita sì,
ma non interessata.
Poi, improvvisamente qualcosa attira la
mia attenzione: un libro. Comune. Un libro qualsiasi. Vecchio, polveroso, dalla
copertina strappata.
Lo esco delicatamente come una reliquia,
ne leggo il titolo a rilievo ed il mio cuore perde un colpo.
Profetesse
Europee. Storia della Divinazione femminile attraverso i secoli.
Il libro di Pansy. Il libro a cui Raissa
strappò la pagina che parlava di Tatia: un’altra copia dello stesso libro.
Ancora non può essere una coincidenza. Non può. Lo sfoglio velocemente, qui la
pagina mancante su Tatia ovviamente c’è, per il resto sembra uguale al libro
che ho già visto da Pansy. Però, mentre lo finisco di sfogliare sconfitta,
pregustando già il sapore amaro dell’ennesima coincidenza senza senso alcuno, i
capelli mi si drizzano sulla nuca. La stretta calda ha quasi le fattezze di una
mano rovente poggiata sul mio capo. Deglutisco con forza, cercando di far
scivolare giù un peso sulla gola che mi ha quasi chiuso la respirazione. È qui che mi voleva portare.
Tra l’ultima pagina e la copertina, c’è
una busta rettangolare di carta rossa: una lettera. Con poche lettere scritte
in cirillico. È chiusa, sigillata, da uno stemma bianco di ceralacca. La
estraggo con cura, reggendola tra due dita come se scottasse. Seth e Pansy la
guardano senza capire, mentre Anya invece resta inerme, come se l’avesse già
vista.
“E’ l’ultima cosa che ha lasciato Tatia.
Una lettera. Scritta chissà quando…” aggiunge con un filo di voce, chiudendosi
nelle spalle “Ilai l’ha trovata un mese dopo la sua morte, in quel libro. Ma
non si può aprire… non sappiamo che cosa c’è scritto…”.
“Non si può aprire?!” chiede Seth
sconcertato, mentre un’ondata di brividi mi travolge. Anya annuisce ancora,
indicandomi la scritta sulla busta: “E’ protetta da un incantesimo forte, che
non siamo mai riusciti a rompere. Potevamo forzarlo, ma avremmo distrutto la
lettera stessa. È stato il tormento di Ilai per anni… specie per
quell’iscrizione…”.
“Che cosa d-dice?” chiedo, tremando a
disagio, guardando Anya e reggendo la busta tra le mani.
“Tre parole…” soggiunge Anya, guardando le
lettere nere sulla carta rossa “Tre parole senza senso… dice: il tuo nome.”.
Rabbrividisco, annaspo e stringo la
lettera tra le mani. Improvvisamente tutto mi appare chiaro. Nitido, definito,
incontestabile. La stretta sulla nuca diventa dolce, quieta, tranquilla,
ispirandomi curiosamente a piangere. Dille
che ricordi il mio nome. Il messaggio dato a Draco, quel giorno. Il tuo nome.
La lettera è per me. E’ sempre stata per
me.
Solo una cosa può provarlo adesso.
Senza esitare, il respiro affannato, gli
occhi allucinati, giro la busta di carta in modo da avere il sigillo di
ceralacca davanti agli occhi. Lo avvicino alle labbra e sussurro con un filo di
voce, sotto lo sguardo attonito dei presenti: “Sono Hermione Jane Granger”. Il
sigillo si spezza nel mezzo, emettendo un piccolo bagliore perlaceo. La busta
si apre tranquillamente, come se nulla fosse.
All’interno, un paio di fogli scritti con
una grafia precisa e tondeggiante. La lettera
era per me.
Anya mi guarda sconvolta, mi stringe forte
per un braccio ed osserva avida la lettera, biascicando: “Si è aperta… era… è
sempre stata… per te, Hermione Granger…”. Sconvolta, annuisco con un sospiro
spezzato mentre Seth e Pansy osservano le mie manovre, ormai del tutto
atterriti e silenti. Una lettera di una donna che non ho mai conosciuto… mi
aspettava qui, da dieci anni.
Ha sempre voluto che venissi qui. Le
parole dette a Draco, erano la chiave per capire.
Che cosa mi avrà scritto in questa lettera
dieci anni fa? Dieci anni fa… avevo diciotto anni, avevo appena sconfitto
Voldemort, stavo con Ron.
E se… da allora… lei avesse sempre saputo
tutto?
Estraggo i fogli velocemente,
improvvisamente arsa dalla voglia di sapere. Dalla busta cade una strana
pietra, rossa, lucida, come un pezzo di ambra, ma rossa, appunto. Stringendola
tra le dita, avverto del potere magico intenso, forte. Ma mentre mi sto
chiedendo di che cosa si tratta, la lettera di Tatia mi vola via dalle mani in
un soffio, atterrando poco lontano. Mi volto in direzione della porta, irata,
furibonda, sentendomi defraudata. Ma poi mi arresto così, sgonfiandomi
progressivamente.
Fermo sulla soglia, con una spalla
appoggiata allo stipite ed una bacchetta sguainata rivolta verso di noi, Ilai
fa improvvisamente la sua comparsa. Stringe nella mano destra i fogli della
lettera che mi ha sottratto pochi istanti fa, mentre mi guarda severamente, uno
sguardo duro e roccioso negli occhi scuri. Non appare molto diverso dalla foto
che ho visto poco fa, sebbene siano passati dieci anni. Ha capelli ispidi e
scuri sul capo ed occhi dello stesso colore, sembrano due immense pozze di
petrolio. I lineamenti sono marcati, scolpiti nella pietra di un’espressione
perennemente accigliata. È molto alto, più di me sicuramente, ma anche più di
Draco o di Dimitri, e sembra schiacciare tutti con la sua altezza, il soffitto
della stanza sembra a malapena contenerlo. Qualcosa nel suo viso mi ricorda
Draco, quando lo rividi al Petite Peste: i gesti mozzicati, gli occhi tristi e
stanchi, le labbra serrate. Il viso di uno uomo che ha perso la donna che
amava. Hanno qualcosa di così straordinariamente comune lui e Draco, da darmi
quasi le vertigini. E vedendo l’espressione di Seth e Pansy, capisco che anche
loro hanno avvertito la stessa acuta sensazione. Ilai, per un po’, si limita a
fissarci facendoci sentire sgraditi ospiti nella sua casa e nella sua vita,
mentre continua a stringere i fogli della lettera di Tatia. Quando parla, la
voce è greve, pesante, ma a suo modo melodiosa.
“E’ una lettera di mia moglie… e si dà il
caso che sarò io a leggerla… fosse anche che è stata lei, signorina Granger, ad
aprirla…” ingiunge severamente al mio indirizzo, facendomi intuire che
evidentemente deve aver seguito tutta la scena senza che ce ne accorgessimo.
Sembra completamente disinteressato a me o a Seth e Pansy, e sembra anche
completamente indifferente al motivo per cui siamo qui e stavamo frugando tra
le sue cose. Tutto il suo essere è catalizzato dalla lettera, l’ultima cosa che
Tatia ha lasciato di sé. Come ha preannunciato Anya, deve esserne stato
effettivamente ossessionato per anni. Lo capisco, ci mancherebbe. Anzi, se sono
stata il modo per fargli avere le ultime memorie della donna che amava, ben
venga. Mi fa sentire un po’ meno in colpa per essere venuta qui a sconvolgergli
la vita. Quindi annuisco immediatamente, abbassando vergognosamente lo sguardo.
Certo, brucio ancora dalla voglia di sapere qualcosa, anche perché tecnicamente
la lettera è per me, non per Ilai. Ma non conoscevo questa donna in fondo. Suo
marito ha ogni diritto di leggerla prima di me.
Qualcosa, però, succede prima che lui
possa iniziare a leggere. Ilai, infatti, abbandona le braccia lungo i fianchi,
dopo che, con un altro gesto lieve della bacchetta, ha sospinto di nuovo i
fogli verso di me. Li prendo di nuovo in mano senza capire, guardandolo
dall’altra parte della stanza con espressione interrogativa.
“L’inchiostro sparisce, se la tocco io…”
asserisce freddamente “Tatia deve averla destinata a lei personalmente… mi
farebbe la cortesia di leggerla ad alta voce, signorina Granger?”. Ha un tono
sofferto e stanco, eppure sempre resettato su una galanteria naturale e su una
nobiltà incontestabile, specie evidentemente quando si rivolge ad una donna. Gli
occhi, però, sono cupi, bigi, spenti. Si chiede perché la lettera sia per me,
per una sconosciuta. E non per lui. Imbarazzata, me lo chiedo anche io. In
Ilai, però, scorgo i germi di una rassegnata consuetudine. Deve essere stato
abituato negli anni alle stranezze della sua consorte. Forse questa è solo una
fra le tante, forse persino in una cosa del genere c’è chi ritrova un affetto
perduto e sorride di dolorosa nostalgia.
I fogli non appena li riprendo in mano, ritornano
pieni di parole scritte da una mano frettolosa. Tatia deve aver stregato la
carta per far sì che la leggessi solo io. Chissà se posso davvero leggerli ad
alta voce, a tutti. Dubbiosa, li soppeso fra le mani con esitazione. Poi,
rompendo gli indugi e respirando forte, inizio a leggere ciò che Tatia mi ha
scritto dieci anni fa.
E’ strano scriverti, Hermione Granger.
Non è strano perché io non ti conosco,
tu non mi conosci e non ci conosceremo mai.
A queste cose ti abitui quando sei una
profetessa: entri continuamente nelle vite e nei destini intimi degli altri
senza che questo, alla fine, ti sconvolga. È un’abitudine lacerante, ma ci si
abitua a tutto, anche alle cose più strane e senza spiegazione. E sebbene per
tutta la mia vita io mi sia sentita una
pettegola che spia la polvere in casa degli altri, ormai questo conta
davvero poco. Specie adesso.
È strano scriverti, Hermione
Granger, perché, tra quindici minuti
esatti, mi uccideranno.
Non trovi assurdo che, adesso, io stia
scrivendo a te, ad una perfetta sconosciuta, a pochi minuti dalla mia morte? Io
lascio il mio testamento ad una donna che non conosco, e lascio all’oblio della
mia morte tutto il resto della mia vita. E’ assurdo, vero? Ho diciannove anni,
sto per essere barbaramente assassinata, mi sono appena sposata, non sarò mai
madre. Dovrei correre, scappare, cercare una via di fuga. Inseguire vendetta o
giustizia. O perlomeno, dovrei dire adesso a mio marito che lo amo, che mi
dispiace. Dirgli che quest’anno assieme è stato il più bello della mia vita. Ma
lui questo lo sa. Lo deve sapere, sennò vuol dire che non ci siamo mai amati
abbastanza. E questo non lo credo.
Scappare non serve, ti abitui anche
all’impotenza quando sei una profetessa. La vendetta e la giustizia, in un
contorto modo, sono legati a te, tra poco lo capirai. Ma in realtà più che la condanna per chi mi
farà questo, a te io chiedo l’assoluzione per me stessa.
Perché
se stai leggendo questa lettera, vuol dire che tutto quello che mi è
stato mostrato stamattina, è successo davvero. Vuol dire che il futuro che mi
si è dipanato davanti agli occhi, i tuoi prossimi dieci anni sono davvero
accaduti.
Ed allora, se sei qui, la colpa è solo
mia ed è giusto che tu lo sappia.
Quando sei una profetessa, impari una
cosa importante. La Vista ti concede di spiare solo un destino, quello più
probabile. Ma è solo uno, uno soltanto:
dalle decisioni più piccole, nascono conseguenze impensabili. E milioni
di destini, tutti diversi. Il libero arbitrio esiste, non dubitarne mai. Per
questo, una parte di me spera che tu non arrivi mai a leggere questa lettera,
spera che la tua strada sia diversa, spera che adesso per miracolo io abbia
persino sbagliato. Potrei impedire tutto anche adesso, spedendoti questa lettera,
ma forse peggiorerei il tuo futuro, forse ti cambierei la vita in peggio. Lascerò
a te il modo di decidere chi amare e che cosa fare. In un confuso quanto
assurdo modo, mi fido di te. E forse, se davvero sei arrivata a questa lettera,
non cambieresti una virgola di quello che hai scelto.
Perché se sei qui, adesso, tu ami di un
amore impossibile ed incomparabile Draco Malfoy ed hai un meraviglioso bambino
di nome Alex. E sono certa che, nonostante il dolore che hai provato, non
cambieresti nulla di questo. Sceglieresti sempre Draco, daresti sempre la vita
ad Alex.
Ma, mentre adesso ti scrivo, sei
un’eroina del Mondo Magico, hai appena sconfitto Voldemort, hai un fidanzato
che ami da anni, stai per diventare Auror, Draco Malfoy a stento lo sopporti.
Nella migliore delle ipotesi, se avessi questa lettera, la getteresti prima
ancora di finirla. Nella peggiore, faresti di tutto per non realizzare questo
futuro.
Quindi, adesso, io ripongo la mia
fiducia in te e nelle tue scelte.
Nasconderò questa lettera appena la
finirò, così, solo tu stessa, da sola, sceglierai di amare Draco Malfoy. A me
stessa, lascerò solo la possibilità di aiutarti se verrà il momento. Tra
qualche anno, esattamente cinque, non so bene come, incontrerò Draco Malfoy
nell’aldilà: gli chiederò come si chiama la sua donna. Se mi dirà il tuo nome,
sarà il segnale che tutto quello che ho visto, è successo. Ed allora sarà il
mio dovere aiutarti: donerò a Draco il mio di nome, così tu verrai a cercarmi.
Indirettamente: perché sei a casa mia per cercare Raissa Karkaroff.
La mia assassina.
Il destino che ho cercato di cambiare,
Hermione Granger, è stato questo: so dall’età di dieci anni che Raissa
Karkaroff mi avrebbe ucciso non appena ne avessi compiuti diciannove. E lei è
mia sorella, in tutti i modi in cui due persone possono essere sorelle senza
mettere di mezzo il sangue.
Siamo cresciute nello stesso paesino e
lei e Dimitri sono sempre stati per me i miei fratelli maggiori. La mia era una vita solitaria, lo è sempre
stata: mia madre era sola, vedova, disperata, spesso beveva e si assentava da
casa per mesi. Io, poi, avevo questo dono maledetto, vedevo il futuro,
profetizzavo tragedie e morti di cui già il mondo era saturo. Avevo un anno e
mezzo, quando ho visto la morte di mio padre. Credo che mia madre da quel
momento, mi abbia sempre odiato. Per quello, mi lasciava spesso da sola. Ero
piccola, molto, quando i nostri vicini di casa si resero conto delle sue
continue assenze. Erano in tre, Dasha e i figli Raissa e Dimitri, poco più
grandi di me. Raissa e Dimitri sono sempre stati per me due fratelli.
Premurosi, accondiscendenti. Mi hanno sempre viziato ed amato come se fossi
davvero la loro sorella minore. Per me, che ero sola, senza amici ed evitata da
tutti, erano la salvezza. Sono sempre
stati affascinati ed incuriositi dal mio dono. Mi facevano domande, prendevano
appunti, collegavano eventi a me, mi sfidavano a prevedere il futuro, ed anche
se le visioni non arrivavano mai a comando, per me e per loro era un gioco
divertente. Mi faceva sentire potente ed ammirata, mentre loro erano sempre più
curiosi di capire “come funzionassi”. All’inizio, credo che la loro fosse solo
curiosità, poi divenne il desiderio altruista di fermare un potere che spesso
mi faceva soffrire, dopo divenne solo un’insana ossessione che ebbi la sciagura
di capire troppo tardi. Facevo tutto quello che Raissa mi diceva, le riferivo
le profezie prima che ai diretti destinatari, accettavo che mi facesse degli
incantesimi per vedere quello che vedevo io nella sua testa, o che mi
somministrasse il Veritaserum per sapere se mentivo. Dimitri non era meno ossessionato
di sua sorella, ma era tenero e gentile con me, mi trattava come una
principessa, mi faceva regali. Io ero tutto per lui, me lo diceva sempre. Credo
di aver sempre inconsciamente pensato che, un giorno, ci saremmo sposati. Non
mi ha mai detto che mi amava e non so se io, nel mio infantile modo, lo abbia
davvero amato. Ma era qualcosa di così naturale pensarmi un giorno come sua
moglie, che non sapevo nemmeno concepire per me un futuro diverso da quello che
mi avrebbe legato per sempre a lui.
Poi arrivò quel giorno di settembre di
nove anni fa.
E la mia vita cambiò per sempre.
Era la sera prima del mio primo giorno
di scuola a Durmstrang, e correvo in giardino sotto la luna piena. Dimitri e
Raissa mi ingiunsero di stare attenta, ma mi sentivo felice, contenta, serena,
amata. Caddi e mi sbucciai un ginocchio, Raissa e Dimitri vennero
immediatamente ad aiutarmi.
Il sangue della mia ferita… sulle loro
mani.
Mi si annebbiò la vista, persi i sensi.
Ed ebbi la mia prima visione di me, a diciannove anni, che venivo assassinata
da Raissa. Il mio mondo, tutto quello
che credevo, tutto quello che sapevo, si rovesciò come un castello di sabbia
nel vento. Ebbi la febbre per giorni, nella mente solo il dolore della ferita
che lei mi avrebbe inferto e che non era nulla in confronto al terribile
laceramento di sentirmi odiata da quella che, per me, era una sorella. Avevo
sentito il suo odio, la sua rabbia, la sua violenza. E questo, faceva più male
di tutto il resto. Dimitri ci sarebbe stato, ma non mi avrebbe salvato, mi
avrebbe pianto, ma non avrebbe fatto nulla per impedire a Raissa di uccidermi.
Per settimane, evitai Raissa e pensai
al modo in cui potevo impedire quel futuro.
Non era facile cambiare le visioni, non
lo è mai stato, occorreva desiderare con tutte le proprie forze, richiamare le
forze positive sul futuro. Ero poco più di una bambina e, come se non bastasse,
non capivo perché Raissa potesse desiderare di uccidermi, fosse anche in un
solo futuro possibile. Poi capii che era la sua ossessione per me che l’avrebbe
portata a questo. Il desiderio malato di capire come funzionasse la mia mente,
da dove venissero le mie visioni, il mio potere. Dovevo cercare per lei un
desiderio che fosse più grande di questo. Non sapevo quale potesse essere,
pensai scioccamente al fatto che lei fosse felice, serena, appagata e
realizzata. Era mia sorella, volevo il suo bene prima ancora che il mio. Non
volevo rinunciare a lei e a Dimitri, concretamente e scioccamente ero
aggrappata a loro. Per anni mi avevano convinto che fossi una specie di
creatura divina, a cui tutto era concesso e nulla poteva essere negato. Ero
sicura che avrei potuto trovare un modo in cui impedire quel futuro. Mi affidai
totalmente al mio potere, cercando di canalizzare tutta la positività che potevo
sul futuro. Qualcuno esaudì il mio desiderio.
Mandò l’amore a Raissa.
Il giorno in cui lei mi rivelò con lo
sguardo colmo di lucciole che era innamorata, la visione sparì. Il mio futuro
appariva denso e dubbioso, ma una cosa era certa: né lei, né Dimitri avrebbero
attentato alla mia vita. Fu il giorno più bello della mia vita fino a quel
momento. Il mio destino, incerto come quello di tutti gli uomini, mi sembrava
comunque risplendere di vita e luce propria. Tutto grazie a questo ragazzo
arrivato nel mio paese in un giorno di inizio estate. Era coetaneo di Dimitri,
quindi aveva un anno in più di Raissa e quattro più di me, e lei se ne era
innamorata perdutamente, a quanto pare anche abbastanza ricambiata. Uscivano
assieme e lei parlava sempre di lui, me lo descriveva con meravigliosi
aggettivi, diceva che voleva sposarlo una volta diventata maggiorenne. Io mi
sentivo la fata buona di una fiaba: me lo avrebbe presentato la sera del
solstizio d’estate. Nel nostro paese, si teneva sempre una festa in quell’occasione,
ballavamo, cantavamo, giocavamo attorno al fuoco, le montagne che stormivano
all’orizzonte, la luce sospesa delle notti chiare della Russia. Raissa voleva
sapere che ne pensavo di lui, ero la sua sorellina, bramava la mia approvazione
più di qualsiasi cosa al mondo. Accettai, ovviamente, ero felicissima, quella
sera Raissa mi regalò un suo bellissimo vestito blu notte con la gonna a ruota,
ballavo davanti al fuoco e mi divertiva vedere le pieghe della gonna ruotare.
Vidi arrivare da lontano Raissa con Dimitri, mi fermai e li corsi incontro.
Sorrisi ad entrambi, mi indicarono il ragazzo accanto a Raissa e me lo
presentarono.
Hermione, pensa al momento in cui hai
capito di amare Draco.
Pensa al momento immediatamente
successivo a quella consapevolezza.
Pensa a quando l’hai guardato.
Tutto contemporaneamente esplode e
trova posto.
Prima senti il vuoto deflagrante della
desolazione, il cupo silenzio del tuo petto, l’eco dei frammenti sparsi. Poi,
immediatamente dopo, è ruscello, alluvione, maremoto. Ovunque. Anneghi,
soffochi, annaspi. Improvvisamente colma, al punto che trabocchi. Di lui.
Non sapevo nemmeno che significava,
fino a quella sera, fino a quando quel ragazzo mi tese la mano e mi disse
sorridendo il suo nome.
Ilai.
Dimitri non era amore: era affetto,
cura, dedizione, pazienza, dolcezza.
Non era Ilai.
Non sarebbe mai stato Ilai.
Il destino mi aveva fatto pagare il
prezzo del desiderio: volevo la vita? Volevo Raissa e Dimitri nella mia vita?
Il prezzo era innamorarmi follemente del ragazzo di Raissa.
Ovviamente l’avrei accettato, andava
bene.
Ilai era bello da spezzare il fiato,
era forte, generoso, divertente. Stare con lui mi faceva dimenticare chi ero.
Non ero il fenomeno da baraccone con le visioni e i destini da intrecciare: ero
una ragazzina felice, allegra, che voleva tutto dalla vita e se lo sarebbe
preso. Non mi sentivo onnipotente, mi sentivo debole, fragile, pronta ad andare
sempre in pezzi. Lui soltanto riusciva a tenermi assieme. Diventammo amici,
uscivamo spesso con Raissa e Dimitri… lentamente, tra Ilai e Raissa le cose
iniziarono ad andare peggio, lui non aveva occhi che per me.
Il vero prezzo del destino che avevo
scelto, non era che io mi innamorassi di Ilai.
Era che lui si innamorasse di me.
Ci baciammo il giorno del mio
sedicesimo compleanno. Non appena mi baciò, toccai contemporaneamente l’inferno
e il paradiso: la visione tornò.
Raissa mi avrebbe ucciso il giorno del
mio diciannovesimo compleanno.
Dimitri e Raissa non ci misero molto a
scoprire di me e di Ilai, andarono su tutte le furie, mi chiamarono puttana e
traditrice. Sentii il loro odio e pensai che forse non sarei nemmeno arrivata
al mio diciannovesimo compleanno, mi avrebbero ammazzato prima. Scoprire cosa
era l’amore ebbe l’effetto di rendermi coraggiosa al punto tale da capire che
dovevo sciogliere i legacci, che mi tenevano avvinta ai Karkaroff. Quello per
loro, era un sentimento malsano, non meno di quanto non fosse il loro
attaccamento a me. Dovevo tagliare i ponti, tutto. Pensai di fuggire, ma sapevo
che probabilmente non sarebbe servito. Cercai quindi un nuovo desiderio dentro
di me, stavolta disinteressandomi completamente se esso li avrebbe portati
lontano da me. Se l’amore non li aveva salvati, dovevano allora diventare più
potenti, perdere interesse in me, capire che in fondo il mio potere era
qualcosa di scontato, stupido, irrilevante.
Stranamente anche questa volta fui
ascoltata.
La visione sparì più o meno nello
stesso momento in cui vennero a sapere dell’esistenza di Adamar, il demone delle
fragilità umane. Decisero di partire per ottenere la Conoscenza Assoluta, forse
anche per allontanarsi da me e da Ilai, convinti che sarebbero ritornati così
potenti da far ritornare le cose a posto.
Dimitri mi chiese di aspettarlo.
Non lo feci.
Mi fidanzai ufficialmente con Ilai, lo
sposai.
Non sapevo quanto tempo avevo, la
visione era sparita, certo, ma poteva tornare. E poi era ricominciata la
guerra, io ed Ilai potevamo anche morire in un modo assolutamente imprevisto
alle mie visioni. Volevo disperatamente
stare con Ilai.
Ci trasferimmo a Tampere e credetti di
aver trovato la gioia.
La guerra finì, vinse Harry Potter. Io
ed Ilai stavamo bene. Dimitri e Raissa non erano tornati, forse erano morti in
guerra o non avevano superato le prove di Adamar.
Una mattina, vidi nei miei pensieri una
bambina. Pensai che fosse mia figlia: era bionda, aveva due grandi occhi
nocciola-verdi, si chiamava Charlotte, il nome che avrei sempre voluto dare ad
una mia bambina. Mi salutava e mi ringraziava, dicendomi che era andato tutto
bene. Le credetti. Sbagliai.
Dimitri e Raissa sono tornati qualche
mese fa.
Non sono più le persone che conoscevo,
specie Dimitri. Sono diventati potenti, implacabili, hanno perso l’amore per il
padre che tanto avevano amato. Si sono incattiviti a causa della guerra che hanno
passato nascosti per evitare che il Signore Oscuro ne facesse dei loro seguaci.
Li ha salvati un tale Draco Malfoy.
L’ho odiato, ma adesso non conta più
niente, si odierà lui stesso per quello che ha fatto.
Sapevo che era questione di tempo prima
che la visione tornasse.
Stamattina, ho espresso un altro
desiderio: il mio ultimo desiderio, da egoista. Avevo Ilai negli occhi che
rideva, indicandomi i fiori rossi del giardino. Ed avevo ancora l’immagine di
Charlotte nella testa. Senza pensare, senza rendermene conto, piangendo tra me
e me, ho pregato che qualcuno prendesse il mio posto, che trovassero un’altra
da tormentare, che finalmente mi lasciassero in pace. E sono stata
accontentata.
Mi sarà data la pace con la morte. E
troveranno un’altra.
Sarai tu, Hermione Granger.
Per questo sei qui, oggi: perché
imprudentemente io ho espresso questo desiderio. Senza peraltro avere nessuna
garanzia di salvarmi, anzi accelerando solo la mia fine. Ma a questo punto,
davvero, mi va anche bene morire oggi. Sono stata felice, ho rischiato tutto
per stare con Ilai e ho perso. Mi hanno promesso la pace con la morte. Ma non
posso perdonarmi di aver coinvolto te, un’innocente, e Draco Malfoy. Non posso
perdonarmi. Quindi ti dirò tutto quello che so per aiutarti a trovare Raissa.
Se tutto quello che ho visto è accaduto, li hai conosciuti per liberarti di un
maleficio. Hanno detto a Draco di Adamar, magari Dimitri sperava persino di
liberarsi di lui. Dimitri ti ha rapito e condotto al suo castello, hanno
ingannato Draco per fargli credere che non lo vuoi più, ti sei scoperta
incinta, hai avuto un figlio. Sei stata in una sorta di esilio per tutti questi
anni, sei tornata adesso e sei alla ricerca di Draco. Ti hanno detto che Raissa
potrebbe essere ancora con lui.
Quello che non sai, è la parte che ha
Raissa in questa storia. L’hai creduta innocente per anni, ma adesso hai
iniziato a sospettare di lei, forse da quando hai collegato me e lei. Ed
ovviamente adesso, sai di aver avuto ragione. Lei non mi ucciderà volutamente,
lo farà per spaventarmi e darmi una lezione, quando tra poco verranno. Ma non
saprà controllare i suoi poteri e mi ucciderà. Dimitri sarà distrutto dalla
cosa, la odierà, vorrà ucciderla. Raissa stessa vorrà uccidersi, non tanto per
il senso di colpa per quello che mi ha fatto, ma per Ilai, per il fatto che lui
la odierà per quello che ha fatto. Lo ama ancora, lo amerà sempre. Ed è questa
la parte peggiore di tutto. Io non posso permetterle che abbia Ilai, in nessun
modo posso lasciarle l’uomo che amo.
Dimitri e Raissa saranno complici come
sempre.
Nasconderanno le tracce del loro
passaggio in casa mia, si procureranno un alibi, piangeranno al mio funerale. E
stringeranno un Voto Infrangibile: Dimitri prometterà a Raissa di non dire
nulla ad Ilai di lei e della parte che ha avuto nel mio omicidio, purché lei lo
aiuti qualora un giorno trovassero una donna che susciti in Dimitri lo stesso
amore ed interesse malsano che gli ho suscitato io.
Ed un giorno Dimitri la troverà.
Sarai tu.
E chiederà a Raissa di aiutarlo a
portarti via da Draco Malfoy. Lei sarà esitante ed incerta, ma avrà ripreso a
frequentare Ilai anche se solo come amica, e quindi terrorizzata che il
fratello gli riveli tutto della mia morte, accetterà di aiutarlo. Sarà lei a
suggerire l’incantesimo per far assumere ad Astoria il tuo aspetto e i tuoi
pensieri, sarà lei a far cadere le barriere di Villa Parkinson e sarà lei a
scegliere di seguire Draco Malfoy, per controllarlo. Dapprima lo farà per impedire
che lui ritorni da te, ma quando tu sparirai, lo farà per riportarti da Dimitri
qualora tu torni da Draco stesso. Non vedo oltre, non so dove sono, non so che
cosa stiano facendo, non vedo nemmeno che fine abbia fatto Dimitri adesso nel
momento in cui tu vivi e leggi questa lettera. Forse non lo vedo perché è
morto. Una cosa, però, la so per certo. Raissa non lascerà mai andare Ilai.
Continuerà a sentirlo, a scrivergli lunghe lettere, mentre sarà con Draco. Ilai
sa perfettamente dove è. Non te lo dirà, ovviamente, fino a quando non gli
leggerai questa lettera, credo che Raissa nel corso degli anni gli racconterà
una serie di fandonie per cui non può tornare in Russia, forse mettendo anche di
mezzo il Ministero inglese, dicendo che ha delle grane con loro da risolvere.
Ma appena gli leggerai questa lettera, Ilai capirà tutto, ti aiuterà, ti dirà
dove Raissa si trova. Digli che deve perdonarmi per non avergli detto nulla,
per non aver lasciato che trovasse questa lettera, per non avergli detto che
era stata Raissa ad uccidermi. Mi odierà probabilmente, mi odia già adesso
mentre leggi questa lettera che è l’ultima cosa che ho lasciato e che non era
per lui. Ma io dovevo proteggerlo, Hermione Granger: l’altra cosa che ho visto
del futuro è che, se Ilai avesse affrontato da solo Raissa o Dimitri, sarebbe
morto. Stando con te, sarà al sicuro. Ti affido la sola cosa che mi è rimasta,
Hermione Granger: ti prego, proteggilo come proteggeresti Draco o come
proteggeresti tuo figlio. È la sola cosa che ti chiedo, e so che non ne ho
diritto, ma non ho bisogno di vedere il futuro per sapere che ora, verrà con
te, a cercare Raissa. Proteggilo, Hermione, ti prego. E spero che come Draco,
un giorno, ha dimenticato Helena e si è innamorato di te, Ilai trovi un’altra
donna da amare. Si merita ogni felicità del mondo. Spero che con tutto questo
io sia riuscita perlomeno in parte a riparare le mie colpe. Non sarà mai
sufficiente a compensare quello che hai già passato, e che forse ancora
passerai. Ma mi illudo che mi perdonerai, che avrai pace un giorno e che la
darai anche a me. L’ultima cosa che ti lascio è il ciondolo che hai trovato in
questa lettera: è una magia antica, bianca, che nella mia famiglia viene
trasmessa di generazione in generazione, dalle madri alle figlie femmine. È una
goccia di sangue di Unicorno solidificata, persa durante il parto: è rarissima.
E produce un incanto potente, solo per le madri. Un solo singolo incantesimo
per il desiderio più grande di una madre per suo figlio: saprai tu quando
usarlo, è il mio ultimo dono per te, Draco ed Alex. Io non l’ho potuto usare
mai. E a mia madre non è mai saltato in mente di usarlo per liberarmi del mio
potere. Ma tu sei una brava madre, lo so, lo sento. E sicuramente saprai quando
e come usarlo, se sarà necessario.
Arrivano Hermione Granger. Arrivano.
Per favore, dì ad Ilai di ricordarsi
della cannella bruciata. Digli che è la sola cosa a cui riesco a pensare
adesso. E digli che lo amo, sempre, per sempre, da sempre.
Sii felice, Hermione Granger… per me.
Quando finisco di leggere, ho la bocca impastata e la gola secca.
Imputo a quello la mia incapacità assoluta di aprire bocca e di dire una cosa
qualsiasi. Ma anche il mio sguardo non riesce a sollevarsi dalle pagine che
Tatia ha scritto poco prima di morire. Resta basso, incollato a quelle lettere
panciute, da ragazzina appena sposata che si era disperatamente innamorata ed
aveva solamente osato essere felice. Nel silenzio, sento distintamente Seth
iniziare a piangere, lui è sempre stato quello più forte di tutti noi. Ci vuole
forza e coraggio a piangere, sì, perché quando scopri una cosa del genere,
quando leggi una cosa del genere, le lacrime sono sfogo e ristoro. E sebbene i
miei occhi si siano fatti umidi, sebbene mi pizzichi la gola, sebbene la
stretta sulla nuca ormai è una vertigine rovente, io non riesco a piangere.
Milioni di sensazioni si affannano nella mia mente e nel mio cuore: la
gratitudine per questa donna che no, non potrei mai odiare, per aver dato una
spinta al mio destino. Il dolore incredibile per quello che le è accaduto. La
rabbia per Dimitri e Raissa, il desiderio di farli pagare anche questa. La
paura per quello che ho rischiato in mano a quell’uomo. Il terrore cieco e
sordo per Draco e Serenity, che forse sono ancora con quell’assassina. Tutto
esplode in me con lo scoppio di un’esplosione, ma restando contenuto al mio
corpo, tanto che si traduce soltanto in una piccola lacrima che mi sfiora la
guancia e in una feroce stretta allo stomaco. Mi stringo nelle spalle, sentendo
improvvisamente freddo ed imponendomi di alzare lo sguardo. Pansy ha stretto
timidamente un braccio di Seth, lui si è piegato su di lei e continua a
singhiozzare nell’incavo del suo collo. Anya ha una mano sulla bocca, trema, è
fredda e bianca in viso.
Ed Ilai… è scivolato a terra, poggiandosi sui talloni. Borbotta
qualcosa, non si riesce ad intendere che stia dicendo, ha un pugno infilato in
bocca. Cola del sangue.
Le lacrime finalmente sgorgano senza controllo, senza rendermene conto
faccio qualche passo malfermo e sorpasso Seth, Pansy ed Anya, la goccia di
sangue di Unicorno ancora tra le dita. La lettera mi è caduta poco fa dalle mani,
planando leggera ed inconsistente come una nuvola di pioggia marzolina.
Esitante, mi fermo davanti ad Ilai e mi chino alla sua altezza, ha lo sguardo
completamente allucinato, i denti che mordono senza sosta la pelle della mano.
Delicatamente prendo il pugno che serra in bocca, lo stacco dalle labbra e lo
trattengo tra le mie mani, impedendogli di farsi male ancora. Ilai sbatte le
palpebre, mi vede davanti a sé, sembra riconoscermi a fatica. Gli occhi sono
lucidi, ma non piange. Resta immobile, guardandomi, mentre adesso sono le
labbra che prende a mordere. Stringo il suo pugno serrato tra le mani, cercando
di dargli coraggio, anche se non so nemmeno io come fare. Le lacrime non me lo
fanno mettere nemmeno del tutto a fuoco. Uno scatto nervoso delle dita, e lo
sento dire con angoscia: “L’ha uccisa… è stata Raissa ad ucciderla… e Tatia…
l’ha sempre saputo… non me l’ha mai detto… io… l’avrei protetta, io avrei…”.
“Lo so… “ sussurro a mezza bocca, reprimendo un singhiozzo, mentre
Ilai si aggrappa a me con tutte le sue forze. Si piega, finalmente piange di
rabbia e dolore sulla mia spalla, Tatia ci unisce e ci divide allo stesso
tempo. Piango anche io la morte di una donna che non conosco, che è la mia
salvezza e la mia speranza, ma di cui non so nemmeno il colore della voce. Non
so cosa faceva nei giorni di pioggia, non so se amasse il tè con lo zucchero o
senza, non so se aveva l’abitudine di dormire con la luce accesa, non so se le
piacesse leggere o magari dipingere.
Non so niente di lei, e non lo saprò mai. Eppure la piango come
un’amica, una sorella, una compagna.
Stringo Ilai come se fosse lui stesso un amico, un fratello, un
compagno, come se non l’avessi conosciuto solamente adesso.
Tutti e due siamo due reduci, due sopravvissuti ai Karkaroff. Questo
ci unisce come non può unire nessun altro al mondo: sappiamo entrambi cosa
abbiamo rischiato personalmente, sappiamo entrambi chi abbiamo messo in mano
loro. Tatia non è tornata. Draco potrebbe non tornare nemmeno lui. Il dolore
sepolto in cinque anni, quello a cui mio figlio ha messo sempre freno, esplode
come un cancro ormai all’ultimo stadio. Piango le lacrime che non ho mai
pianto, urlo la pena che non ho mai urlato, maledico la rabbia che non ho mai
maledetto, mastico l’amarezza che non ho mai masticato. Ilai fa a suo modo lo
stesso, ci aggrappiamo l’uno all’altra, siamo fratello e sorella. Non credo che
ci sarà qualcuno che mi capirà più di lui. E’ un legame istantaneo, fatale, che
Tatia ha plasmato per noi. E ci arrendiamo ad esso. Lo proteggerò come lei mi
ha chiesto. Lui mi proteggerà come lei gli avrebbe chiesto. Saremo noi stessi a
rendere vero l’ultimo desiderio di Tatia.
Così quando, cercando di calmarmi, apro bocca di nuovo, so già che
cosa Ilai mi risponderà. Lo so perfettamente, non avevo bisogno nemmeno di
chiederglielo.
“Raissa ha l’uomo che amo… ha Draco…”.
“Ti porterò da lei…”.
In Finlandia, contrariamente ai piani, ci sono rimasta per quindici
giorni.
Non so perché, ma l’atmosfera di qui mi calma molto, mi rasserena, mi
dà l’impressione di non crollare a pezzi. Cammino molto, passeggio, trascorro
le ore sulle rive del fiume di Tampere, lo sguardo fisso sui fiori rossi che lo
costeggiano e il libro sempre chiuso sulle mie ginocchia. Non riesco a lasciare
la Finlandia, questa è la verità.
E non c’entra nulla che sia una terra bellissima, magica, incantata. Non
c’entra nulla il calore educato della gente che mi circonda, non c’entra nulla
il desiderio comprensibile ed umano di prendermi una pausa da me stessa e dal
mio essere una super-mamma, fosse anche per un paio di giorni.
Fosse così, l’avrei accettato. Avrei persino giustificato ed assolto
me stessa per non aver immediatamente preso un aereo per tornare da mio figlio,
non appena la faccenda di Tatia si era chiarita.
Una crepa, una singola crepa corre dentro di
me come se fossi vetro scheggiato. Se mi muovo, se faccio un passo…
probabilmente mi frantumerò.
Non appena ho letto la lettera di Tatia, la crepa era già lì, piccola,
invisibile, rassomigliante a migliaia di altri segni che la vita mi ha lasciato
addosso. Di primo acchito non me ne sono accorta, come non mi accorgo mai di
niente che abbia troppo a che fare con me stessa, da quando ho perso Draco. Pensare
a me stessa, ai miei sentimenti, ai miei pensieri, è diventato qualcosa di
scomodamente rinviabile ed evitabile nel corso degli anni. Per sopravvivenza,
ovvio.
Appena l’atroce strappo che avevo sentito dentro, al ricordo della
fine di Tatia, si era un po’ placato, mi sono resa conto in modo compiuto che
avevo Draco più vicino di quanto non fosse stato in cinque anni. Certo, Ilai
sapeva dove era Raissa, non dov’era Draco dato che lei nelle sue lettere non
gli aveva mai detto nulla a riguardo. Ma avevo un indirizzo, cosa nemmeno
lontanamente immaginabile fino a poco tempo fa. Ed avevo Raissa, che era stata
sicuramente l’ultima persona a vederlo.
L’ansia spasmodica di trovare Draco si era confusa in un calderone
bollente di emozioni al desiderio di vendicare Tatia, di scovare Raissa e di
fargliela pagare. Tutto in me sembrava ribollire per la voglia di muovermi e di
raggiungere il paesino in riva al mare, a pochi chilometri da Londra, dove a
quanto pare si trovava Raissa e dove aveva detto ad Ilai di avere degli affari
suoi da sistemare, che l’avevano trattenuta lì. Chiacchiere, ovviamente, anche
Tatia me l’aveva confermato. Se era rimasta in Inghilterra, era stato prima di
tutto per Draco, per controllarlo a nome di Dimitri, qualora io lo avessi
raggiunto o lui avesse cercato me. Dopo la morte di Dimitri stesso, ovviamente,
tutto diventava più nebuloso. Potevano anche non essere più assieme. Raissa
poteva aver perso utilità nel sorvegliarlo, come era ovvio, non essendo più
vincolata dal Voto Infrangibile con Dimitri. E lui, da quanto aveva detto Harry
al ritrovamento del suo cadavere, era morto da circa dieci giorni.
Dieci giorni, più il tempo che era passato da quando la notizia mi era
stata comunicata ed ero partita, faceva un tempo più che ragionevole perché
Raissa avesse abbandonato Draco al suo destino. Peraltro, Ilai mi aveva
spiegato che lei non gli scriveva da circa due settimane e mezzo, più o meno da
quando Dimitri era morto. Quindi, tutto faceva pensare che lei potesse essere
sparita di nuovo. E ciò mi rendeva ancora più angosciata di quanto già non
fossi, colmandomi di sudore freddo per tutta la notte e non facendomi addormentare,
presa com’ero dalla smania di ripartire per inseguire Raissa e per non darle
ulteriore vantaggio. Ma non ero sola, non potevo agire egoisticamente come se
lo fossi.
C’erano Pansy e Seth, d’accordo, ma loro mi avrebbero seguito
immediatamente, fino in capo al mondo per trovare Draco.
Ma adesso, in un confuso modo che ha tutto della predestinazione, io
sono legata anche ad Ilai. Non potevo semplicemente andarmene, quando lui aveva
ricevuto un colpo simile e non era nemmeno in grado di muoversi o parlare. Per
sette giorni, era rimasto chiuso nella sua camera, al buio, senza mangiare e
senza dormire. Mi muovevo spasmodicamente fuori dalla porta, cercando di
trattenermi dalla tentazione di pressarlo o di chiedergli direttamente che cosa
avesse intenzione di fare, oppure di salutarlo e partire da sola. Ogni volta
che, però, innervosita e fiaccata dal nervosismo, rifacevo la valigia e cercavo
di andarmene, puntualmente rimanevo con la mano bloccata a mezz’aria mentre
stavo per bussare alla sua porta. Mi paralizzavo, la stretta calda sulla nuca
che mi faceva formicolare il cuoio capelluto, e tornavo indietro, disfacendo la
valigia. Tatia voleva che lo proteggessi. Dovevo restare accanto a lui, ed
aspettarlo. Lo dovevo a lui e a Tatia stessa. E se lei mi aveva protetto al
punto di farmi avere quella traccia, lo avrebbe fatto anche successivamente.
Dovevo fidarmi di lei e di Ilai. Sapere che si sarebbe ripreso, confidare che
avrebbe superato lo shock di sapere che quella che era ormai diventata per lui
la sua migliore amica, era stata anche l’omicida di sua moglie.
Intanto la crepa era lì, uno spacco piccolo ed invisibile da cui
ancora non sgorgava nessuna goccia di sangue. Pizzicava un po’, ma di quel
fastidio sommesso su cui ti ergi noncurante, dicendoti che non è nulla. Poi
arriva il momento che la pelle davvero si lacera, ed il sangue ti macchia le
dita, ed il pizzicore diventa d’improvviso dolore acuto di fiamma.
Devi correre allora, tamponare la ferita, disinfettare e restare
immobile. Restare immobile.
La crepa, in me, si è definitivamente aperta cinque giorni fa.
Una lettera l’aveva creata ed una lettera l’ha aperta ancora di più,
trattenendomi sulla soglia dell’immobilismo per paura di rompermi del tutto.
Una lettera di Raissa, per Ilai, scritta solo tre giorni fa. Aveva
scritto sciocchezze, inezie, racconti di aneddoti estivi e di curiosità
stupide, nulla di che. Eppure, adesso, ogni parola per Ilai era una coltellata.
L’affetto che lei ci aveva messo in quelle poche righe, era macchiato dal
sangue di Tatia. Io avevo cercato segni, tracce, indizi di Draco nelle sue
scarne parole.
Alla fine, li avevo trovati. Erano come sempre equivoci, ombrosi, foschi,
come tutto da quasi cinque anni, ma c’erano.
L’indirizzo di Raissa era lo stesso: lo stesso di cinque anni prima,
quando aveva iniziato a scrivere ad Ilai, dicendo che per un po’ non poteva
venirlo a trovare personalmente. Lo stesso di quei lunghissimi anni che avevo
trascorso in Italia. Lo stesso di prima e dopo la morte di Dimitri. Raissa è rimasta
nello stesso posto, dove aveva accompagnato Draco cinque anni fa. Adesso è
ancora lì.
E Draco dovrebbe essere ancora lì, con lei.
A meno che non abbia deciso di trasferirsi da solo lontano da lì e
Raissa, dopo la morte di Dimitri, non abbia fatto nulla per impedirglielo,
ormai non più interessata a lui.
Il disinfettante sulla mia piaga, allora, ho scoperto essere solo una
cascata iridescente di granelli di sale.
Oramai la risposta a tutte le domande sbocciate, maturate ed
imputridite in questi anni, è ad un passo. E io, adesso, sto sperando in quello
in cui non ho mai sperato prima.
Se Raissa fosse ancora in quel paesino per i suoi motivi personali e
Draco non fosse più lì… perderei il bandolo della matassa che mi ha guidato
fino ad ora, quello che Tatia ha seminato paziente e che mi sfuggirebbe dalle
dita. Tutto si riaprirebbe in modo confuso e nebbioso. Draco potrebbe essere
ovunque, Raissa potrebbe non saperlo o potrebbe anche non dirmelo.
Potrei davvero essere vicina a perderlo sul serio, stavolta.
Evaporerebbe come se non fosse mai esistito, lasciando Alex orfano del suo
ricordo e della sua conoscenza. E lasciando me vedova del matrimonio che mi
sono negata cinque anni fa.
Prospettiva allarmante, tragica, da infarto. Ma non è la peggiore. No,
non lo è.
Se le cose fossero andate così, se non fossero più assieme… lo
cercherei, ovviamente. Non mi arrenderei, mai. Forse troverei persino nuova
forza e nuovo coraggio.
Ma se fosse ancora con lei… se lui e Serenity fossero ancora con
Raissa… non mi concederei nemmeno l’attimo fugace e ristoratore del sollievo e
della gioia. Essi sparirebbero subito, veloci, fulminei, come meteore nel nero
cupo della notte. Annegherei nella preoccupazione che lei abbia fatto loro
qualcosa, che abbia mentito, che li abbia fatto del male. E se scoprissi che
non fosse così, se scoprissi che Raissa è rimasta con loro perché Draco lo
voleva, perché lui l’ha voluta lì accanto a lui, indipendentemente dagli scopi
di Raissa…
Io non riuscirei ad accettarlo. Non ce la farei. Non lo vorrei nemmeno
vedere. Probabilmente impedirei anche ad Alex di conoscere finalmente suo
padre.
Potrebbe avere una moglie, adesso. O una fidanzata, o una compagna, o
un’amante, persino un’amica. Non sono così ingenua da crederlo vergine di una
donna, in tutti questi cinque anni. Perdonerei le scappatelle, giustificherei
le notti di sesso, dimenticherei baci e carezze ad una che non fossi io.
Riuscirei anche ad accettare una donna che porta un anello al dito,
con dentro il nome Malfoy.
Sorriderei con il cuore spezzato a chi lo chiama “amore”, a chi gli
passa il sale a tavola, a chi dorme con lui.
Giuro che lo farei. Probabilmente maledicendola, maledicendomi,
maledicendolo. Ma lo farei. Perché lo amo. Ed amo mio figlio.
Li lascerei conoscere, restando sul proscenio. E cercherei di
dimenticare tutto quello che è accaduto tra noi, non permetterei a Draco né il
rimorso, né il rimpianto né tantomeno il ricordo.
Nulla che lo separi dalla donna che amasse adesso.
Ma se quella donna fosse Raissa… se anche lui ci fosse andato a letto,
una sola singola volta… io non lo vorrei sapere. Non lo vorrei vedere mai più.
Non vorrei accostarli assieme nemmeno nella più lasciva e sporca delle
fantasie. Mi farebbe schifo, la vendetta mi esploderebbe nel ventre, Tatia armerebbe
le mie mani. Forse vorrei uccidere lei e ferire mortalmente lui. Non ce la
farei, ecco.
Semplicemente, tutto andrebbe in pezzi, io andrei in pezzi.
Il demone che lo Zahir creò dalla mia anima, non sarebbe nulla a
confronto.
Ecco perché resto immobile, ecco perché non voglio sapere.
Ecco perché resto in Finlandia: fin quando non devo sapere, posso
ancora sperare. Non so in cosa esattamente… ma posso ancora farlo.
Il fiume davanti a me, mentre resto seduta sull’argine, brilla di luce
riflessa come una scia di stelle. D’un tratto la luce si oscura lievemente,
sobbalzo alla vista di un’ombra che si siede accanto a me.
So chi è, senza nemmeno guardare.
Ed è strano che sia così, ma lo so e basta.
Lo so dalla sensazione che provo in fondo allo stomaco: calore
tiepido, sicurezza inconsapevole, fiducia istantanea. Conoscendomi, uno si
immaginerebbe che tale trasporto io lo senta per Harry, o per Ron, o per Seth,
o comunque per una persona che conosco da anni. Non da giorni.
Ed invece io, tutto questo lo sento per Ilai Radcenko.
Ci conosciamo da quindici giorni, abbiamo parlato tre volte in tutto,
ci siamo guardati a malapena. Eppure, sento di potermi fidare ciecamente di
lui.
Tatia è la responsabile, tira dall’alto dei Cieli i fili rossi che ci
uniscono come se fossimo due marionette alla sua mercé. Non mi dà fastidio,
però. Mi rilassa profondamente. Mi sento sempre protetta.
Ilai guarda a sua volta il fiume, gli occhi scuri concentrati,
circondati dalle ciglia nerissime che vibrano ad ogni respiro. I capelli sono
spettinati e i vestiti sono sgualciti, ma ha le palpebre meno pesanti ed
un’aria quasi riposata. Anya mi ha detto che è un medico, un pediatra per la
precisione. In questo riconosco distintamente i suoi movimenti educati e lenti,
la voce pacata, le mani delicate. Persino l’espressione, seppure sofferente, è
sempre dolce e quieta. Ha un qualcosa di estremamente tranquillizzante, che mi
spinge sempre a sentirmi calma, avendolo vicino.
Senza una parola, mi porge un bicchiere di carta dalla forma
allungata, ancora caldo. Lo guardo senza capire, togliendo piano il coperchio.
L’odore me lo fa riconoscere subito, sorrido tenendo il bicchiere tra le mani
che si riscaldano piano. Cappuccino
aromatizzato al caramello. Lo sorseggio piano, grata, in silenzio.
“E’ il mio preferito…” esordisce Ilai dopo un po’, guardando con un
sorriso lieve il fiume.
“Anche il mio…” ribadisco, pulendomi la schiuma dalle labbra, poi dico
calma: “Non la trovi una cosa strana? Cioè… non hai l’impressione che…”.
“… ci conosciamo da sempre?” sorride Ilai, guardandomi di lato per un
momento, prima di tornare a guardare l’acqua che scorre “Sì… ce l’ho anche io
questa sensazione. Ti spaventa?”.
“No… oserei dire persino che mi calma…”.
“Anche a me…” sospira profondamente Ilai, distendendosi sull’erba
accanto a me, le braccia incrociate sotto il capo e gli occhi ritagli di nuvola
“Credo che sia stata Tatia… credo che sia lei a farci sentire così uniti… come
se ci conoscessimo da anni. Con lei è sempre stato così. Sapeva le cose prima
che accadessero… e non c’entra la chiaroveggenza, o il futuro. Conosceva
proprio il cuore delle persone… era strana, a volte faceva persino paura… e
sono convinta che sapesse anche questo. Per questo ha fatto sì che venissi qui,
per questo non ha nascosto la lettera altrove… voleva che ci conoscessimo… e ci
aiutassimo… voleva che io avessi te vicina quando fosse giunto il momento di
sapere la verità… e voleva che tu avessi me vicino quando ne avessi avuto
bisogno…”.
Assimilo le sue parole con consapevolezza, senza eccessiva sorpresa: è
quello che ho sempre pensato anche io. Ogni coincidenza di questo percorso, di
questi ultimi anni mi sembrano disseminate da Tatia stessa dieci anni fa. Ed in
questo rientra anche questa strana familiarità tra me ed Ilai. Si alza un alito
di vento fresco, chiudo gli occhi respirando la luce del sole.
“Credi che adesso io ne abbia bisogno?” chiedo più a me stessa che ad
Ilai, riaprendo gli occhi “Credi che adesso… io abbia bisogno di te?”.
“Difficile non accorgersene…” commenta lui laconico, sollevandosi a
sedere “Questa storia… non è una tragedia solo per me, che ho perso mia moglie.
Tu hai perso a tua volta delle persone che amavi… o meglio, non hai ancora
finito di perderle… e non avere la certezza che ciò sia successo, non sapere se
ciò sia successo davvero… non volerlo nemmeno sapere… credo che sia la parte
peggiore…”. Ancora, ha capito tutto da solo. Non che fosse difficile,
intendiamoci… Seth ed io ne abbiamo già parlato. Ma con lui, con tutti… io devo
spiegare prima, e dopo capiscono.
Con Ilai non ce n’è bisogno, capisce da solo prima ancora che parli.
“Prima o poi dovrò saperlo, però, no?” sorrido tristemente,
guardandomi le scarpe e gettando poi distrattamente un sasso nel fiume. La pietra
descrive una linea semicircolare che si conclude con un tonfo sordo d’acqua,
sollevando schizzi argentei. Il silenzio di Ilai dura fino a quando l’acqua si
calma, tornando una linea piatta.
La sua voce è grave, sembra risuonare dal suo petto come se
echeggiasse da una caverna: “E prima o poi io dovrò affrontare Raissa… e da
quello non so che potrà uscirne… ora come ora, vorrei solo…”.
“Ucciderla?” suggerisco, abbracciandomi le ginocchia, rifiutandomi di
guardarlo in volto. La mia voce non ha tracce della patina polverosa dei miei
soliti giudizi morali, ma solo la profonda consapevolezza che aver odiato Dimitri
Karkaroff per tutti questi anni, mi ha fatto scendere maggiormente a patti con
la parte più violenta ed irrazionale di me stessa. I pensieri spesso non si
possono fermare, così come i desideri o i sentimenti. Sono le azioni che ci
qualificano.
Se pensi di uccidere, non sei un assassino. Sei solo umano. Se poi
uccidi, allora diventi un omicida. E smetti di essere umano.
Io non ucciderei mai, per quanto possa averlo pensato. Ed Ilai non lo
farebbe a sua volta, lo so. Lo sento.
Ilai annuisce con un breve cenno del capo, me ne accorgo con la coda
dell’occhio. Il suo sguardo per un attimo si eclissa di fiducia spezzata e
dolore spento. È come se tenesse a freno dentro di lui un uragano che lo
spazzerebbe via, se solo gli desse il potere di farlo. Lui ha parlato del mio
di dolore e della mia di perdita, ma Draco c’è ancora, io so che è vivo. Ilai,
per quanto possa anche ottenere vendetta o giustizia, non riavrà mai indietro Tatia.
A questo non c’è paragone in niente al mondo.
“La scelta sarà di entrambi…” dice Ilai infine con un filo di voce,
guardandomi dritto negli occhi “Saremo entrambi a decidere che fare di lei… non
sarà solo una tua o una mia responsabilità… lei pagherà… non le permetterò di
farla franca. La morte ci ha tolto Dimitri dalle mani… ma non sarà lo stesso
con Raissa…”.
Annuisco convinta con il capo, su questo non ci piove. Ma c’è altro
che lui deve sapere. C’è altro che Ilai dovrà sapere, prima che definitivamente
questa cosa ci leghi del tutto, prima di intraprendere questo viaggio assieme. A
suo modo, come tutto il resto, sento che lui già lo sa. Ma ho bisogno di dirlo
ad alta voce, anche a me stessa.
Andare a cercare Raissa e forse Draco potrebbe costarmi tutto: la
speranza, la fiducia, l’amore. Persino la mia stessa anima.
Potrei tornare un involucro vuoto, molto peggio di quello che mi rese
lo Zahir. Potrei trascinare me stessa ed Ilai, senza contare Pansy, Seth e il
mio stesso figlio, in un vortice di annientamento da cui non riuscirei a
salvare nessuno. Potrei far rischiare loro la vita, per quanto io ne possa
sapere. Per questo, per tutto quello che comporta questo viaggio, ho bisogno di
pormi dei limiti, delle linee guida, per sapere esattamente quando tornare
indietro prima che sia troppo tardi.
La mia voce è chiara, mentre scandisco: “Dovremo essere pronti entrambi
a partire, allora… solo allora lo faremo… non importa quanto tempo ci vorrà… ma
dobbiamo essere uniti in questo. Altrimenti saremo spazzati via…”, respiro a
fondo mentre Ilai mi guarda, dandomi silenziosamente il suo assenso: “Io ho un
figlio e devo pensare ad Alex prima di tutto. Se capirò che qualcosa può
metterlo in pericolo, non esiterò a mettermi anche contro di te se dovesse
necessario… nessuno deve toccare in nessun modo mio figlio…”.
“Non permetterò che facciano del male al tuo bambino…” ripete deciso
Ilai, stringendo inconsciamente la mia mano ancora abbandonata sull’erba. Mi aggrappo
ad essa, fissandolo dritto negli occhi scuri: “Io ho bisogno di sapere, di
capire… Raissa pagherà… ma devi promettermi che… aspetterai che io capisca cosa
c’è tra lei e Draco, qualora siano ancora assieme…”. Ho paura di fargli troppo
male per come stringo forte la sua mano, ma Ilai non fa una piega, non dice
nulla, continua solo a stringermi forte lasciandomi intendere che abbia capito
perfettamente quello che chiedo.
“… e se… capirò che…”, la mia voce si rompe lasciando sfuggire una
nebbia confusa di pianto che tento a fatica di nascondere. Un singhiozzo
deforma le mie parole, ma Ilai continua a tenere stretta la mia mano e riesco
quindi a fatica a terminare: “… se dovessi rendermi conto che stanno… assieme… devi farmi una promessa…”.
“Ti porterò via da lì… porterò via da lì sia te che Alex, te lo giuro…”
bisbiglia Ilai, guardandomi in viso e prevenendo ogni mia altra parola. Sgrano gli
occhi lucidi di pianto, ancora una volta ha capito tutto da solo. Rendo ancora
grazie silenziosamente a Tatia, per questo dono che mi ha fatto. Ha voluto che
affrontassimo questa cosa nella maniera migliore possibile. E ci ha creato a
nostra immagine e somiglianza un’ eco dell’anima, che rende tutto un pochino
più semplice. Non di tanto, ma perlomeno posso sperare di avere qualcuno che conduca
me ed Alex fuori da tutto questo.
E fa molto davvero. Non tanto per me, dubito che tornerei mai normale
dopo aver visto Draco con Raissa. Ma per Alex, devo sapere che, se lo porto con
me, ci sarà qualcun altro a proteggerlo.
“Grazie…” sussurro piano, asciugandomi una lacrima che cade lungo il
viso “Avrò bisogno solo di qualche giorno… voglio andare a prendere Alex… poi
possiamo andare… tu sei pronto?”.
Ilai mi lascia la mano e stringe la mascella, dicendo di sì.
Solo pochi giorni… ed avrò le risposte che
cerco…
Solo pochi giorni: ed ho avuto le risposte che cercavo.
Non eravamo pronti.
Né io, né Ilai. Non era pronto nessuno. Non lo saremmo mai stati,
anche se avessimo avuto mille e mille anni.
Il cielo mi sembra sanguinare, anche se è solo il tramonto quieto di
un giorno d’estate di una piccola cittadina sul mare, che odora di iodio e di
sale, di gente calorosa, di feste di paese. Tutto sembra andare a fuoco, io
stessa brucio, annaspo, e poi annego, soffoco, riemergo, muoio daccapo.
Non ero pronta, non lo sarei mai stata. Mai e poi mai, per quanto tempo
ci mettessi.
Seth prende in braccio Alex che mi guarda senza capire, mentre resto
in ginocchio nascosta dietro il cespuglio della villa bianca sulla sommità
della collina, circondata da rampicanti e fiori viola.
L’ho riconosciuta subito, ovviamente, appena l’ho vista. Ed è stato l’ennesimo
colpo al cuore. L’ennesimo, l’ulteriore, ma mai l’ultimo. Mai, non finisce mai
la storia per cui io debba sempre auto-infliggermi dei colpi mortali solo per
vedere se riesco a sopravvivere. Già c’era tutto il senso, tutto, tutto, solo
nel vedere che Raissa scrive ad Ilai dalla casa che Helena aveva sempre
desiderato di comprare anni prima, quando veniva su una spiaggia poco lontana
da qui, con Draco.
Potevo andarmene, no? Potevo già capire tutto, no? Ed invece me ne
sono stata zitta, imponendomi di non morire dissanguata dentro, giusto per
rendermi conto che se uno mi spara dritto al petto, io posso pure respirare
ancora per altri cinque minuti.
Cinque minuti provvidenziali.
E non ne avevo bisogno, non ne dovevo aver bisogno come invece
continuavo a dirmi di avere.
Seth si allontana con Alex in braccio, lui deve pensare che stiamo
solo facendo una gita, deve continuare a pensarlo. Per quello sono qui anche
Dean e Pansy, con Charisma. Sento Alex raggiungere la sua amichetta, iniziare a
giocare, ridere. Sta bene, non ha visto nulla, non si è accorto di nulla.
Guardo Ilai nello stesso momento in cui lui si volta a guardare me,
cerco la sua mano, lui la intreccia forte con la mia.
Non eravamo pronti, non lo saremmo mai stati.
Lui non era pronto a rivedere Raissa, viva, vegeta, sorridente,
assassina senza rimorso. Un vestito chiaro, i capelli più lunghi, l’aria fredda
nei tratti dissolta.
Ma lui finge di stare bene, deve farlo, capisce subito che per me è
peggio.
Serro gli occhi forte, cancellando la parola maledetta che mi vibra
nella testa, quella che impedirei persino ad Alex di usare ancora, nonostante
sia la parola più bella e dolce che io conosca.
Mamma.
Una bambina bionda, gli occhi azzurri da cielo di primavera. Un paio
di scarpette rosse di vernice, una salopette di jeans, un sorriso furbo.
Una bambina che non ho mai dimenticato, una bambina che ha nel sangue
l’amore per questa casa e per questa terra, una bambina che dopo cinque anni,
non potrei scambiare con nessuna bambina del mondo. Una bambina che ho detto a
mio figlio di chiamare sorella.
La mia bambina bionda… la mia Serenity… che chiama mamma l’assassina
di Tatia Krasova.
Serenity chiama mamma Raissa Karkaroff.
Grazie a chi ha
ancora la pazienza e la voglia di seguire questa storia! Risponderò alle
recensioni promesso…J Scusate la brevità, ma
scappo, corro e fuggo come sempre! Un Bacione a tutti!!! Cassie