horizons
NB Questa storia ha fin troppi anni. Direi che deve smettere di ammuffire.
-Titolo : Snow- Horizon of black silk
-Fandom/Squadra : Nabari
-Tema: contrasto bianco-nero
-Genere: flashfic, introspettivo, nonsense
-Rating: giallo
-Avvertimenti: probabile OOC
Snow- Horizon of black
silk
Neve.
Oceano di eburneo splendore, di gelido
abbraccio che tutto avvolge nel suo candido manto facendo sprofondare ogni
curva del paesaggio, ogni albero isolato, ogni cespuglio e ogni pianta sotto la
sua soffice coltre. Effimera meraviglia che in un gioco di bianco ghiaccio
richiude nel suo silente abbraccio la vita che raggiunge e il calore che da lei
ingloba.
Dal cielo inerte e plumbeo, cadono silenziosi
altri fiocchi, altri minuscoli batuffoli di raggelata ovatta che scivolano muti
a sovrapporsi ai fratelli che hanno già raggiunto la terra; si depositano
indistinti su tutto ciò che incontrano sul loro cammino, non curanti della
forma e dell’aspetto di ciò che vanno ad accarezzare; che importa, infatti, se
il suo tepore lascia che essi si sciolgano in delicate gocce, che importa se
scompaiono dopo pochi istanti in una sottile e minuscola nube di vapore? Altri
prenderanno il loro posto, altri scenderanno in file disordinate, finché il
loro numero non soverchierà la natura e il loro gelo non ricoprirà il battito
pulsante della vita.
Neve, e le dita sofficemente
guantate si stirano fugaci nell’aere, ammaliate dal delicato movimento di quei
frammenti di bianca bambagia fintamente innocente. E tra le mani aperte al
cielo i fiocchi si posano, silenziosi, lasciando piccole impronte bagnate
sempre più fitte man mano che passa il tempo; gli occhi vuoti e indolenti di
Miharu li osservano, appena appena curiosi, appena appena intimiditi,
accumularsi senza peso sulla pelle liscia e usurata dei guanti mentre, avvolte
le mani a coppa, le avvicina al viso, accogliendo il freddo gelo come un dono
gradito.
Neve. È una carezza gelida, un
inganno dei sensi storditi dal bianco. È quel mondo che Miharu non capisce, che
lo circonda ma da cui si sente sempre più minacciato, sempre più estraneo. È
quel mondo che avvolge ogni cosa in una patina evanescente, quel mondo freddo
che aggredisce con lame gelide e affilate, quel mondo che ti priva d’affetto
lentamente, senza che tu nemmeno te ne accorga. È il mondo che lo ha
intorpidito nelle profonde sfaccettature dei suoi sentimenti, è quel mondo che
pian piano gli ha succhiato via la linfa vitale lasciandolo apatico ed
indifferente. Nabari? Shinrabansho? Kairoshu? Sono soltanto nomi, sono soltanto
parole che gli vengono ripetute ma subito spariscono inghiottite dal vento,
sepolte dalla neve. Affogano nel bianco, cancellandosi pian piano, svanendo
inglobate nel silenzio asettico della sua anima.
E le palpebre calano,
inesorabili, estinguendo un altro piccolo frammento; un altro fiocco che si
scioglie piano, assieme a quelli che, stretti tra le mani, si compattano tra
loro, formando un informe ammasso brillante posato sul suo cuore. Freddo,
dentro e fuori di lui, freddo nel cuore e freddo nel corpo. Bianco, come la
neve.
-Miharu?-
La voce appena arrochita di Yoite
lo fa sobbalzare, mentre gli occhi verdi si spalancano di colpo; e quel suono,
giunto da poco distante ma attraverso anni luce di solitudine infrange il
silenzio della vallata, lo frantuma, lo sbriciola in miriadi di piccole
schegge. Con stupore s’accorge d’essersi fermato e di essere rimasto distaccato
dal compagno di viaggio di almeno qualche metro, lungo la sottile strada dei
binari che appena s’intravvede stendersi davanti a loro; confuso, e vagamente
seccato dalla cosa, il suo sguardo si alza, scivolando leggiadro, sulla snella
figura del ragazzo; ma il contrasto è troppo forte, brucia sulla retina facendogli
socchiudere le palpebre, in un indistinto sobbalzo interiore.
È il nero dei capelli che
incorniciano qual volto d’alabastro, a fargli male. È il nero di quel semplice
cappotto che gli fascia il corpo sottile, facendolo risaltare nettamente nel
turbinio della nevicata. È il nero che lo avvolge in una nuvola indistinta,
pronto quasi a fagocitarlo nelle sue profondità.
- Yoite…- la voce quasi
s’incastra, persa da qualche parte nella gola, seccata dal prolungato non
utilizzamento. Trema appena, mentre la saliva riempie la cavità orale a più
riprese, mentre allunga le gambe magre per accelerare il passo e rimettersi in
pari con l’andatura del ragazzo. Yoite pare così fragile e così delicato, la
maggior parte delle volte, che Miharu non s’è accorto che in realtà la sua
debolezza ha una potenza inaudita: il rimbombo cupo creato dagli squarci
presenti nella sua anima strappata e sanguinante ne hanno fatto un tenue
involucro, un nucleo cupo e caliginoso totalmente opposto all’universo intero
che lo circonda. Yoite si distingue dal resto del mondo, perché lui è nero, lui
è la macchia corvina sul piano bianco e marmoreo che avvolge la realtà.
E Miharu vuol tendergli la mano,
stringere le sue dita e assicurarsi che è lì, che è reale, che c’è davvero
qualcuno capace nella sua effimera piccolezza di stagliarsi nettamente contro
il nulla etereo e contro lo sfondo edulcorato in cui si sono avventurati.
Anime sperdute in una vastità
senza forma e senza dimensione
Piccole macchie sperse su una
landa priva di colore.
Corpi, membra, cuori che battono
Sangue, carne, pensieri che
scorrono
Filamenti d’ebano che scorrono
ignari verso l’ultima destinazione.
Su righe di neve, su righe di
bianco
E tutto si confonde
Si perde sotto la
gelida coperta di neve scesa ad accarezzare le terre.
E tutto si ritrova
Scorto appena tra rose
nere appena sbocciate nel giardino dell’anima.
Il mondo s’è nascosto
nel vuoto del bianco.
Eppure, se n’è appena
aperto un altro affogato nel nero.
È il nero dei suoi capelli ondeggianti nel vento che infuria
selvaggio.
È il nero di quel cappotto che pare immenso su quel corpo
tanto striminzito.
È il nero che lo avvolge come unico compagno, è il nero che
afferra nel prenderlo per mano.
-Yoite… non lasciarmi
solo-
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