Nello svegliarsi, Anna
Alexander si
rese subito conto che aveva un impellente bisogno di andare in bagno;
il bambino, ormai, cominciava a premerle sulla vescica e aveva,
così, bisogno di urinare abbastanza spesso. Lentamente si
sciolse
dall'abbraccio del suo compagno e, così facendo,
notò che
lui, Nick, aveva il sonno stranamente agitato in quel momento. Si
soffermò a guardarlo ma.....non aveva nemmeno un minuto da
perdere, doveva recarsi in bagno il più velocemente
possibile,
altrimenti se la sarebbe fatta addosso.
"Uff! Questo bambino comincia a darmi un mare di problemi"
pensò
Anna ma si pentì subito del suo pensiero, quel bambino era
il
suo bambino,
concepito con l'unico uomo che avesse mai veramente amato e lo sentiva
come una benedizione dal cielo, anche se non era ancora nato.
Ciononostante certe
volte era stanca della propria gravidanza e dei problemi che portava
con se'.
"Vabbè andiamo a letto" disse ella fra se' e se', uscendo
dal
bagno per entrare in camera; appena entrata nella stanza
notò
immediatamente che il sonno del suo compagno si era fatto ancora
più agitato e che egli stava gemendo disperatamente.
Si avvicinò al letto e si sedette sulla sponda accanto a
Nick:
"Nicky, Nicky, svegliati! Per l'amor del cielo, svegliati, svegliati,
amore mio!" e così dicendo prese a scuoterlo. Lui ci mise un
po' a
svegliarsi e quando lo fece fu gridando forte; Anna si rese conto che
stava tremando come una foglia.
Nick aprì gli occhi, si alzò di scatto, agitando
le
braccia e le gambe e mancò poco che non colpisse in pieno la
sua
compagna che, seduta di fronte a lui, gli teneva le
mani sulle spalle: "Annie, sei tu?" chiese
ancora tremante.
"Sono io, calmati, amore. Cosa è stato? Un brutto sogno?"
Nick annuì silenziosamente e, solo dopo un po',
sussurrò con un filo di voce "la bara!"
Nick Stokes, agente della scientifica di Las Vegas, aveva avuto una
brutta avventura, qualche anno prima, quando era stato rapito e
sotterrato in una bara di plexiglas; la vicenda lo aveva profondamente
colpito e segnato, forse, per sempre. Anna sapeva, a grandi linee,
quello che gli era capitato; glielo aveva detto Catherine, collega di
Nick e grande amica di entrambi, ma lui non gliene aveva mai parlato
personalmente; e questo le dispiaceva molto. Avrebbe voluto che egli
condividesse con lei tutto, anche gli episodi spiacevoli della sua
vita, ma fino a quel momento era stato così solo in parte.
"Vuoi parlarne?" chiese Anna, sperando che lui si decidesse ad aprirsi
un pochino.
"Sì" rispose lui, dopo qualche attimo di silenzio, con un
sospiro "ma tu vieni qui con me" e indicò il posto vuoto
accanto
a se', Anna non rispose nemmeno e si infilò sotto alle
coperte.
Nick passò il proprio braccio intorno alle spalle della
propria compagna, la
guardò per qualche secondo, poi prese a fissare un punto
imprecisato e incominciò il proprio racconto.
"Non ricordo bene tutto, non ricordo con precisione come sia
incominciato; so solo che mi trovavo sulla scena di un crimine, stavo
raccogliendo le prove e, ad un tratto, tutto è diventato
buio.
Quando ho ripreso i sensi ero sdraiato sulla schiena sulla nuda terra.
Ho fatto come per alzarmi ma qualcosa mi bloccava il movimento; ho
provato a stendere le gambe e allargare le braccia ma di nuovo mi
sono trovato limitato nel muovermi. Ho cercato di mettere a
fuoco
dove mi trovavo e di colpo mi è caduto il mondo addosso, non
poteva essere....no.....di sicuro mi stavo trovando in un incubo, ecco,
ora avrei aperto gli occhi, tutto sudato e col cuore in gola, poi,
realizzando di trovarmi nel mio letto, avrei tirato un sospiro di
sollievo e mi sarei riaddormentato, magari dopo avere bevuto un sorso
di acqua.
Okay
mi dissi,
adesso ti
svegli; dai uno, due, tre! Dai su! Svegliati! Svegliati, Nick!
Ma
non riuscivo a svegliarmi, non potevo svegliarmi perché
quello
non era un sogno ma la cruda realtà.
Mi trovavo sepolto vivo,
sotto terra da qualche parte nella campagna, in una bara di plexiglas;
con me, nella bara, la mia pistola, un registratore a cassetta e una
serie di torce fosforescenti di quelle che si usano nei black out o nei
concerti. L'agitazione, il panico si impadronirono di me ed urlai,
urlai con quanto fiato avevo in gola, agitandomi, cercando di smuovere
quel maledetto coperchio, quella maledetta terra. Ma fu tutto inutile,
nessuno mi sentiva e tutto quell'agitarmi non aveva avuto
altro effetto se non di
farmi consumare aria preziosa e di farmi sentire ancora
più prigioniero e claustrofobico di quanto non fossi.
Avevo un
nodo alla gola ma non riuscivo a piangere, a piangere veramente,
intendo. Eppure la situazione era la peggiore possibile ed io avrei
avuto tutti i motivi per disperarmi ma non ci riuscivo. Le uniche
lacrime che uscivano dai miei occhi erano scarse lacrime amare di
impotenza e di rabbia insufficienti a sciogliere il nodo che
avevo in gola.
Poi mi calmai, giusto un po', quel tanto sufficiente per cercare di
rendermi conto
della situazione in cui mi trovavo, la prima cosa che cercai
di
capire fu da dove mi arrivasse l'aria e se ne avevo abbastanza: l'aria
mi veniva fornita da una piccola ventola situata proprio di
fianco al mio capo e sembrava bastare; finché la ventola
avesse
funzionato non sarei morto asfissiato"
Nick tacque per un momento, il tempo per riprendere fiato e
stringere Anna a se', poi riprese "E poi c'era quella luce, quella
lampada che ogni tanto si accendeva e si proiettava dritta nei miei
occhi e io la odiavo quella lampada: non riuscivo a sopportare tutto
quel chiarore nelle mie pupille e mi sembrava che mi facesse mancare
l'aria.....così la feci saltare con un
proiettile, la pistola era carica e il primo proiettile lo usai per
spegnere quella maledetta una volta per tutte, mentre gli altri.....gli
altri li tenevo in serbo per me stesso".
Anna si sentì
gelare nell'udire quelle parole, ma non disse niente, deglutendo
cercò di mandare giù il magone che le si era
formato in
gola fin dall'inizio del racconto, mentre il suo compagno continuava:
"Piano piano, col passare delle ore, mi resi conto di avere pochissime
speranze di uscire vivo da quella situazione, non sapevo nemmeno se mi
stavano cercando. Decisi così di fare una specie di
testamento;
presi il registratore e lasciai il mio messaggio di addio; una cosa
piuttosto patetica, a pensarci bene, in cui dicevo a tutti quanti li
amavo e quanto erano stati importanti per me. Non ricordo di preciso
cosa dissi e, credimi Annie, non ho mai più voluto
riascoltare
quella registrazione, non credo che ce la farei ad ascoltare la mia
voce in quella situazione; spero che Catherine l'abbia buttata via, e
mi auguro che tu non la debba mai sentire; ma una cosa ricordo bene,
mentre la registravo avevo le lacrime agli occhi e tuttavia non
riuscivo a piangere e quel maledetto nodo era sempre presente nella mia
gola."
Nick non lo sapeva ma la sua compagna quel nastro l'aveva
ascoltato, tempo addietro; si era fatta dare da Catherine
la cassetta e aveva ascoltato quelle parole, piangendo tante lacrime.
Quell'ascolto le aveva fatto male al cuore ma Anna aveva avvertito un
profondo desiderio di saperne di più su quello che era
successo
al suo uomo e, magari, cercare di riuscire ad immedesimarsi di
più in lui per capirlo meglio. Quella volta da sola, Anna
aveva
pianto, questa notte, però, si era imposta
di non versare nemmeno una
lacrima, si era imposta di essere forte per il bene di entrambi.
"E ogni tanto" continuava Nick, "ogni tanto mi pareva di sentire delle
voci, lontane, lontane come di qualcuno che mi cercasse....io gridavo,
cercavo di avvertirli che ero lì, che mi venissero a
salvare.....ma, dopo un po', quelle voci si allontanavano fino a
svanire del
tutto, e io restavo lì, da solo, completamente deluso e
sempre
più senza speranze di uscire vivo da quell'inferno. E
poi...."
Nick ebbe un brivido " .....poi
arrivarono le formiche.....si smosse la terra intorno a me e grosse,
enormi formiche rosse si diressero verso di me e cominciarono a
camminare sul mio corpo,a mordere la mia pelle, a iniettarmi il loro
veleno. Le sentivo camminare su di me, pizzicarmi ed era
veramente insopportabile la sensazione del formicolio, unita
al
prurito e a quel dolore sordo che piano piano si propagava
dentro me. Cercai di difendermi alla mano peggio, come sapevo,
come potevo.
Cercai di coprire ogni orifizio del mio corpo, per evitare che
mi entrassero dentro a compromettere gli organi interni e
cercai
di
rimanere immobile, il più immobile possibile,
per trarle in
inganno e fare credere di essere inanimato, ma era un vero tormento.
Credo, a quel punto, di avere perso conoscenza per qualche
istante, non
ricordo bene, devo avere avuto incubi, allucinazioni in cui ero morto
in obitorio e cose del genere.
Quando sono tornato in me mi sono reso conto che la ventola non
funzionava più e che presto mi sarebbe mancata l'aria. Ed
allora......allora, ho perso ogni speranza ed ho desiderato di
morire, perché
qualsiasi cosa, anche la morte, sarebbe stata meglio di quel supplizio.
Presi l'arma, la caricai, me la portai alla gola, chiusi gli occhi,
dissi le preghiere come facevo prima di addormentarmi, quando ero
bambino, raccolsi le ultime forze, strinsi i denti, lottai contro me
stesso e il mio istinto di sopravvivenza per potere riuscire
a
premere il grilletto e, d'improvviso, una forte luce mi fece riaprire
gli occhi. La terra sopra di me era stata smossa e la prima cosa che
vidi fu lo sguardo del mio amico Warrick, colmo di paura e
preoccupazione: mi avevano trovato!"
La voce di Nick si spezzò
un istante per l'emozione e il ricordo del suo più caro
amico
che non c'era più e una singola lacrima
attraversò il
suo volto; tacque giusto un attimo e poi riprese. "Mi avevano
trovato,
ora mi
tireranno fuori di qui, avevo
pensato e una grande speranza era discesa dentro di me ma
poi.....qualcosa non stava andando per il verso giusto: li vidi
allontanarsi da me. Cominciai a gridare, a gemere: non era possibile,
non
potevano abbandonarmi così. Davo pugni contro quella dannata
lastra di plexiglas, gemendo forte e poi.....poi vidi Grissom, mi disse
qualcosa ma non capii, il panico si era impadronito di me e non
riuscivo più a connettere....mi chiamò
più
volte col mio nome, ma non riuscivo a focalizzare la mia attenzione
verso di lui. Usò il nomignolo che mi aveva dato mio
padre quando ero bambino: Poncho; e, allora, mi calmai e lo
ascoltai.
Mi disse che mi avrebbero tirato fuori da lì ma io gli
dovevo
promettere che non mi sarei mosso; quel bastardo che mi aveva sepolto
vivo aveva anche piazzato delle cariche di esplosivo sotto al
mio corpo,
pronte ad esplodere se mi fossi alzato....Dio mio! ancora non era
finita! Se fosse stato per me, avrei anche potuto
morire, la morte sarebbe stata la benvenuta, ormai non avevo
più la forza di sopportare niente: ma
non potevo lasciare che saltassero tutti quanti in aria a
causa
mia. E allora promisi, promisi a Grissom, con le ultime forze che mi
erano rimaste che me ne sarei stato buono e che non mi sarei mosso; lui
fece spostare la lastra di plexiglas ed io mi aggrappai piangendo al
suo braccio, al suo e a quello di Warrick: avevo bisogno di un minimo
conforto umano per potere andare avanti. Versai solo
poche lacrime, però, e il nodo alla gola non accennava ad
andarsene, anzi
diventava sempre più stretto.
Poi tutto successe in fretta,
sentii che mi coprivano di terra e temetti per un attimo di soffocare,
ma mi sentii anche sollevare verso l'alto e mi ritrovai fuori, steso
bocconi sul terreno, ricoperto di terra mentre tremavo
convulsamente. Era finita, non ero più sepolto vivo.
Arrivarono i paramedici, mi ripulirono
alla bella
e meglio e mi caricarono sull'ambulanza, vedi Warrick e Catherine
salire con me; l'ultima cosa che ricordo furono le loro mani che
stringevano la mia, non avevo nemmeno la forza di ricambiare la
stretta,
e crollai in un sonno profondo, indotto forse dai
farmici e dai calmanti che mi erano stati somministrati.
I primi due
giorni in ospedale li ricordo confusi, come dietro a una nebbia; avevo
la febbre alta a causa dello choc e dell'infezione che il veleno degli
insetti aveva causato dentro me. Solo al terzo giorno mi fu permesso di
alzarmi brevemente a sedere sul letto, alzando lo schienale; mi sentivo
strano, disorientato e mi girava la testa. Mi sembrava
impossibile
poter ritornare normale e mi resi conto che avrei dato tutto l'oro del
mondo per potere riavere la mia vita come era prima. Guardai Catherine
che era lì con me, lei, Warrick, Greg e mia
madre facevano
a turno affinché io non restassi mai solo, aveva
gli occhi
tristi nel guardarmi, le mormorai
"mi
dispiace"
e lei rispose che non era colpa mia, poi venne vicino a me e mi
accarezzò il viso. Non so se fu la paura di non ritornare
più quello di prima o il contatto con la sua mano calda e
confortevole, ma il nodo che avevo in gola si sciolse e cominciai a
piangere, come un bambino piccolo. Catherine mi abbracciò e
così continuai a piangere fra le sue braccia che sentivo
tenere,
quasi materne,
"Non
avere paura, Nicky" mi diceva
"non
avere paura a lasciarti andare. Hai bisogno di sfogarti, buttali fuori!
Buttali fuori tutti i cattivi pensieri, l'angoscia e la
paura. E' finita, Nicky, è finita, coraggio,
coraggio amico
mio, fratello mio".
Per Cath sono sempre stato il
fratellino minore che lei non ha mai avuto, povera Cath,
così
dolce e comprensiva, mi accarezzava, mi massaggiava le spalle e mi
ripeteva che era tutto finito, ma si sbagliava: non era finita, non era
finita per niente, non ancora." Un brivido percorse la schiena di Nick,
ora sarebbe arrivata la parte più difficile da raccontare:
il
suo inferno privato, quello nascosto, quello che solamente lui
conosceva.
"Mi dimisero abbastanza presto, non avevo ferite gravi e, passata la
febbre e l'infezione, potevo essere considerato guarito. Fisicamente,
almeno. I miei genitori mi avevano offerto di andare con loro
in
Texas per un certo periodo per ristabilirmi, ma io rifiutai : non
volevo vedere ogni giorno il viso preoccupato di mia madre e quello
corrucciato di mio padre a ricordarmi quanto ero stato
sfortunato,
per usare le loro parole. E poi volevo restare da solo, volevo
dimostrare di potercela fare e di riuscire a tornare alla
normalità nel più breve tempo possibile...ma non
fu
così facile. Cercai di tornare al lavoro il più
presto
possibile, ma il pensiero di quello che mi era successo non mi
abbandonava ed ero sempre distratto e poco presente, sopportavo a male
pena gli sguardi della gente intorno a me: quegli sguardi pieni di
pietà e di commiserazione mi facevano sentire diverso,
anormale.
Non vedevo l'ora che il turno finisse per potere tornare a casa, ma a
casa era ancora peggio: mi sentivo solo e mi sembrava di impazzire. Non
riuscivo a mangiare, non ce la facevo a
buttare giù nemmeno un boccone, mi compravo le cose che
più mi piacciono: pizza, patatine, hamburger, dolci
ma
rimanevano sempre intatte nel piatto. Non ce la facevo a dormire; non
appena mi coricavo mi sembrava di essere di nuovo in quella
fossa e il mio cuore cominciava a battere all'impazzata, mi mancava il
respiro e mi sembrava di stare per morire; più di una volta
ho
chiamato il 911, ma i paramedici che arrivavano, dopo avere constatato
che al cuore non avevo niente, dicevano che soffrivo di attacchi
d'ansia, mi somministravano un calmante e se ne andavano via.
Alla fine non andavo nemmeno più a letto: se
lavoravo di
giorno, trascorrevo la notte sul divano con la televisione
accesa, se facevo il turno di notte non andavo nemmeno a casa,
passavo il tempo vagando per le vie di Las Vegas o passeggiando fuori
città ai margini del deserto. E una domanda mi veniva sempre
in
mente: perché io? perché proprio io?
Cosa ho fatto
di male? Ma era una domanda che non aveva
risposta: era stato il caso a portarmi nelle mani di quel
bastardo."
Nick sospirò e tacque per alcuni minuti, rievocare il tutto
era
stato uno sforzo enorme per lui, si accorse di avere di nuovo quella
strana specie di nodo alla gola e di stare tremando leggermente, Anna
si era accorta di questo suo tremore e lo stava accarezzando piano
sulla nuca, sul collo, su di una spalla, sul petto
"Basta, Nicky, basta così" gli diceva "lascia
stare, ti fa
troppo male ricordare!" ma, ormai, lui non poteva fare a meno di andare
avanti sperava che, se avesse detto tutto, i fantasmi del passato
avrebbero cessato di tormentarlo.
"Non dormendo la notte" Nick continuò il proprio racconto
"il giorno ero
sempre teso, irascibile, nervoso e stramaledettamente emotivo. Un
giorno Grissom mi venne dietro, mi mise una mano
sulla spalla
e io trasalii così violentemente che lui perse l'equilibrio
e cadde a terra, poi,
mentre si alzava, mormorai
"scusa, non volevo! proprio non
volevo" e incominciai a tremare e a piangere; lui mi
guardò comprensivo e paterno con quei suoi occhi grigi e ...
"Non puoi andare avanti
così" mi disse
"hai bisogno dell'aiuto di
qualcuno". Fu così che cominciai ad andare
dallo psicologo.
Per due volte alla
settimane, puntuale alle tre del pomeriggio mi ritrovavo nello studio
dello strizzacervelli a raccontargli tutte le mie faccende.
Funzionò, non del tutto, ma in parte funzionò:
cominciai
ad ritornare a dormire nel letto, con la luce accesa, ma era
già
un passo avanti; presi a fregarmene degli sguardi della gente e
ritrovai passione per il mio lavoro. Certe volte, la sera,
andavo
per i bar e rimorchiavo qualche ragazza: la portavo a cena, la portavo
a casa mia, ci facevo sesso e ci dormivo insieme; dormendo con un'altra
persona mi sentivo molto più tranquillo, rassicurato dalla
sua
presenza, certo che, se ero in compagnia, allora non mi trovavo in quel
buco sottoterra, dovevo per forza essere fuori. Poi, un bel giorno, sei
arrivata tu e il tuo amore mi
ha dato la forza per andare avanti; ho imparato ad appoggiarmi a te,
quando ne ho bisogno, e sono sempre sicuro del tuo aiuto e della tua
comprensione. Adesso, la notte, ti stringo forte e so che tu ci sei,
per me, che non sono solo e questo vuole dire tanto, e, da quando ci
sei tu, non mi fa più paura dormire al buio,
perché sei con me"
"Ecco perché"
penso Anna in quell'istante
"ecco perché
tutte le notti, vuole dormire abbracciato a me." Improvvisamente
quello che fino a quel momento era sembrato solo un gesto tenero,
assumeva un altro significato. A lei piaceva molto addormentarsi
stretta fra le braccia del suo uomo, la faceva sentire amata e
protetta, ma spesso rimaneva perplessa dal fatto che lui la cercasse
sempre, che avessero fatto o meno l'amore, che lui fosse già
a
letto quando si coricava lei o viceversa, persino quando la notte si
alzava per andare in bagno finiva col ritrovarsi, non appena di nuovo
sotto le coperte, cinta nel forte abbraccio di Nick. Ora non le
importava più, ora che sapeva non avrebbe voluto dormire
altrimenti.
"Avrei voluto conoscerti allora" gli disse, sforzandosi per restare
calma "avrei saputo come aiutarti: ti avrei stretto a me e coccolato
tutte le notti, e sarei stata sveglia insieme a te, se non riuscivi a
dormire....avremmo fatto l'amore o, semplicemente, avremmo aspettato
insieme il sorgere del sole e il nuovo giorno che nasce. Avrei
asciugato tutte le tue lacrime, ascoltato le tue richieste di aiuto e
cercato in tutti i modi di ridarti il sorriso. Questo avrei fatto"
"Vorrei che tu mi avessi conosciuto prima" rispose lui con un
sospiro "avresti conosciuto una persona diversa da come sono ora:
più allegro, più ottimista, più
fiducioso nel
prossimo e indubbiamente più sereno. Quello che mi
è
successo, vedi, quelle sono cose che lasciano il segno. Vorrei
disperatamente ritornare quello di prima, ma so benissimo che
questo...." la voce di Nick si incrinò nuovamente mentre
lente,
silenziose lacrime gli bagnavano il viso "....che questo non
è
più possibile" si asciugò quasi con stizza le
guance
e tirò su col naso.
"Ma io non ti potrei amare di più se tu fossi differente da
quello che sei ora, con il tuo dolore, con le tue paure. Io amo te,
come sei adesso, come ti ho sempre conosciuto." Anna,
così
dicendo, faceva scorrere la propria mano fra i corti capelli
castani di lui. "E' te che voglio, non un'altra persona, anche se si
tratta della tua versione più giovane e innocente. Vedi, la
tua
personalità, quella che amo, si è costruita
piano piano, giorno dopo giorno, anche con la sofferenza e le
cose
brutte che ti sono capitate in questi anni; darei tutto, anche la vita,
per risparmiarti un solo secondo di quella sofferenza,
perché ti
amo e divento matta al solo pensiero di quello che hai patito. Ma non
ti vorrei diverso nemmeno di una virgola da quello che sei" .
Nick la strinse forte a se e la baciò sulla fronte, poi la
guardò con tenerezza e trasalì nel vederla
sussultare e
fare una smorfia "Cosa ti succede?" le chiese;
"Niente" Anna sorrideva "è solo che il bambino mi ha dato un
calcio. Forse si è accorto che siamo tristi e ci vuole
rincuorare a modo suo. Senti!" e così dicendo prese la mano
di
Nick e se la portò al ventre. Non appena lui ebbe posato la
mano
sulla pancia di lei sentì il bambino muoversi contro al
proprio
palmo. Ed allora capì. Capì che il
passato era
lontano ormai e che non sarebbe più ritornato a tormentarlo,
se
lui non voleva. Capì che il suo futuro erano quella
donna che
teneva stretta a se' e il loro bambino che doveva nascere.
Capì che il suo scopo da allora in poi sarebbe stato
prendersi
cura di loro ed amarli e proteggerli per tutti i giorni che gli
restavano da vivere. E soprattutto capì che era stato, non
sfortunato, ma
estremamente
fortunato ad
avere quella creatura meravigliosa che lo amava
così
profondamente e che avrebbe condiviso tutto con lui, gioie e dolori,
giorni felici e giorni tristi, sorrisi e amarezze.
"Annie" la chiamò e quasi si stupì nel sentire
quale tono
estremamente dolce avesse la propria voce in quel momento;
"Dimmi"
"Quell'idea di vedere insieme sorgere il sole; è sempre
valida?"
"Beh, sì, se vuoi......la trovo comunque una cosa molto
romantica da fare insieme"
"Allora, sai cosa facciamo? Apriamo le tende e aspettiamo che il sole
sorga"
"D'accordo. Ok" Anna si alzò ed andò alla
finestra ad
aprire le tende "Va bene così, romanticone che non sei
altro? Guarda, comincia già a schiarire"
"Così va benissimo! E tu, ora, vieni qui con me!"
Anna si infilò sotto
alle coperte e si accostò al suo uomo appoggiandosi contro
al suo petto, posando il capo sulla sua spalla e lasciando che
le braccia di lui le cingessero con forza la
vita; Nick accostò il mento sulla testa di Anna e lei gli
prese la mano e intrecciò le proprie dita alle sue.
Si tennero stretti, rannicchiati sotto le coltri, gli occhi un
po' rivolti alla finestra un po' persi l'uno nello sguardo
dell'altro, ad attendere insieme le chiare
luci dell'alba e il sorgere del nuovo giorno.
Un altro giorno da vivere insieme.
Ed eccomi di nuovo qua.
Comincio a
pensare che le fan-fic siano come una droga e che una volta iniziato
non si riesce più a smettere. Comunque devo dire che in
questa
qui ci ho messo tanto.....tanto di me e delle mie esperienze (compresi
gli attacchi di ansia) e che la cosa che credevo più
difficile,
cioè narrare dal punto di vista maschile, poi alla fine non
si
è rivelata così impossibile. Certo ho cercato di
renderlo
il più possibile "uomo" e di evitare di fargli
fare il
"cocco frignone" anche se più lacrime, alla fine
ci
potevano anche stare... ma ho creduto bene fare così.
Questa coppia mi ha letteralmente presa e mi vengono in mente, ogni
tanto, nuove storie su di loro....quindi...quindi, forse,
posterò ancora (è una minaccia questa?
può darsi)
Per il momento bye-bye e attendo impaziente nuove recensioni