CAPITOLO 5
Jenni…fer!!
Un brutto giorno però
l’intrepido cacciatore fu convocato dalla Principessa della Rosa. In soggezione
e spiazzato, il cacciatore si guardò attorno, notando che gli occhi di tutti i
membri dell’aristocrazia erano puntati su di lui…
“Ha trovato il collare…”
“…”
“Ti porterò dopo da lei, ora abbiamo da fare.”
“…”
Il ragazzo non attese risposta, ma si avviò deciso verso la
porta di fronte a lui, brandendo di fronte a sé il tubo di ferro che aveva
trovato. Trattenendo il respiro strinse la maniglia della porta e la fece
scorrere sui suoi binari, finché il passaggio verso la cucina fu libero.
Al centro della stanza la massa di carne tremava e gemeva.
Il Cacciatore ed il suo amico entrarono con circospezione, ma non sembravano turbati
da quella vista. Poi, un attimo dopo, la massa di carne si mosse, e da essa spuntarono quattro arti ed una testa umana, che fissò
il ragazzo con aria vacua.
“C’era una volta un cacciatore che ingannò la sua regina,” mormorò l’uomo a bassa voce. “Sai cosa successe a quel
cacciatore?”
Il ragazzo non prestò attenzione a quelle farneticazioni ma
scattò in avanti, sferrando un potente colpo sulla grossa testa dell’uomo.
Questi si alzò in piedi, enorme, ringhiando per il
dolore e la rabbia, e per poco non colpì il suo aggressore con un grosso pugno.
Ma il ragazzo aveva passato molto tempo ad addestrarsi
ed era diventato più agile di quanto l’energumeno si aspettasse. Sgusciò sotto
il pugno e colpì di nuovo con il tubo, questa volta al fianco. L’uomo tentò di
afferrare quel fastidioso moscerino, ma lui non esitò: si gettò nel suo
abbraccio, ma prima che avesse il tempo di stringerlo in una morsa, affondò il
tubo nella bocca dell’uomo. Il ruggito che echeggiò fu infranto dal rumore di ossa spezzate e da un gorgoglio orribile. Con aria
disgustata, il Cacciatore estrasse la sua arma dai resti fracassati della testa
e rimase a guardare il corpo che si contraeva negli spasmi della morte.
“E nove…” si limitò a commentare,
appena affannato.
Il suo amico, che era rimasto in disparte per evitare di
rimanere colpito, gli si avvicinò per sincerarsi che stesse bene, ed una volta rassicurato non badò più alla carcassa in mezzo
alla stanza, ma si diresse verso una delle uscite dalla cucina. Il ragazzo,
prima di imitarlo, afferrò un pesante coltello arrugginito, lo saggiò e, con
aria soddisfatta, se lo infilò nella cintura.
“Facciamo presto, dobbiamo trovarla
prima che la trovi…” esitò e gettò un’occhiata al cadavere. Dalla parte
opposta, la porta si aprì e ne uscì un bisbiglio confuso. Un volto privo di occhi e dalla bocca spalancata fece capolino all’interno,
brandendo uno spazzolone. Subito sciamarono nella cucina
quattro di quegli esseri disgustosi, diretti con circospezione verso
l’uomo morto. “Lui…” concluse infine, funereo ma non
intimorito, quindi aprì la porta ed uscì dalla cucina insieme al suo amico.
Solo quando il suo
sguardo cadde sulla figura tremante e piangente della bellissima principessa
sfortunata, la Principessa della Rosa parlò…
Jennifer aveva ormai attraversato
tutta la prima classe di quello strano dirigibile, ed anche il deposito
bagagli, la sala macchine ed i ponti per la manutenzione, ma non aveva ancora
visto nessuna farfalla e cominciava a scoraggiarsi.
Nonostante tenesse stretto in mano il collare che aveva
trovato e camminasse con molta più decisione di prima, cominciava a sentirsi tanto stanca. Avrebbe voluto arrendersi, che tutto quello
finisse, ma sapeva che se si fosse arresa non avrebbe
trovato nessuna crisalide, e quindi non avrebbe ottenuto nessun perdono. Ma soprattutto, se si fosse arresa non avrebbe avuto nessuna
possibilità di ritrovare il suo amico.
Mentre ragionava in quel modo per l’ennesima volta, ormai
senza la più pallida idea di che ora fosse, la sfortunata ragazza
si accorse di un rumore che non aveva ancora sentito. Con il cuore in gola
trattenne il fiato e si avvicinò in punta di piedi all’angolo del corridoio da
cui sentiva provenire quel suono. La voce di una bambina.
“Sì,” bisbigliava tra risatine
eccitate. “Come sei bella… ti porterò dalla Duchessa,
così daranno anche a me la Matita Rossa… Sì sì, e poi
punirò quella lurida sciagurata come merita!”
Jennifer svoltò l’angolo per
incontrare colei che stava parlando, forse per chiederle di accompagnarla da
Diana e di consegnarle insieme la crisalide, ma l’unica cosa che riuscì a
vedere fu una figura bassa e robusta in abito rosa che spariva correndo dietro
una porta. La ragazza però non si perse d’animo e corse in quella direzione,
spalancando la porta e prendendo fiato per chiamarla…
Ma restò senza fiato quando entrò in una vastissima stiva,
illuminata fiocamente da alcune alte lampade simili a lucernari ed invasa di bagagli tenuti fermi da corde, tralicci e alberi.
Era soprattutto la presenza di questi ultimi a sconcertare Jennifer:
le pareti della stanza erano letteralmente invase dall’edera, che si
arrampicava sulle valigie e le casse per poi pendere dal soffitto come strani
festoni verdeggianti; sul terreno c’erano sparse delle foglie secche; al centro
della stanza svettava un albero altissimo, i cui rami
si piegavano al contatto con il soffitto e si intersecavano con l’edera, dando
l’impressione di un lugubre gigante che si chinava verso di lei con le braccia
spalancate. Della ragazza di poco prima non c’erano tracce.
“Ehi…” chiamò Jennifer con poca
convinzione, salvo poi ripetersi con maggior enfasi. Quasi in
risposta al suo richiamo, un oggetto scuro cadde dalla sommità dell’albero,
rimbalzò sui rami ed atterrò sul pavimento con un piccolo tonfo. Titubante, la
sfortunata ragazza si avvicinò, gettando ogni tanto occhiate attorno a sé per
precauzione, ma trattenne a stento un’esclamazione di gioia quando si accorse
che l’oggetto caduto aveva la forma segmentata che ricordava di aver visto in
un nebuloso passato, solo che non sembrava lacerato, ma integro. Doveva essere
la sua crisalide!
Le corse incontro in preda alla
gioia, ma si fermò con orrore quando vide l’oggetto cominciare a pulsare e ad
ingrandirsi a vista d’occhio.
Con un orribile rumore di risucchio e uno
scricchiolio, l’oggetto traslucido cominciò a deformarsi, mentre qualcosa di
molto grosso fremeva al suo interno. In men
che non si dica era diventato grande come Jennifer, la quale vi si scostò con orrore. Poi l’involucro
si spezzò con un disgustoso schianto, e dai resti della crisalide emerse una cosa avvolta nelle proprie, bellissime
ali.
All’inizio essa rimase immobile, nascosta, tanto che la
sfortunata ragazza accennò ad avvicinarsi, ma all’improvviso le ali si
dispiegarono e l’essere si appoggiò sulle proprie sei zampe. Ad eccezione delle
dimensioni, sembrava in tutto e per tutto una farfalla
dalle ali verdi e con la testa gialla, ma poi quella testa si sollevò verso Jennifer, e questa non poté trattenere un grido di orrore.
I capelli biondi, gli occhiali fusi sul cranio e la forma
del volto erano quelli della Baronessa Meg, ma gli
occhi rossi e la bocca dalle molte mandibole frementi appartenevano ad un
mostro.
La farfalla mostruosa lanciò un acutissimo richiamo che ferì
i timpani di Jennifer, per poi alzarsi in volo con
pochi poderosi battiti d’ala. Volteggiò più volte attorno
all’albero centrale, smuovendo l’edera con le sue ali, poi si librò su Jennifer senza smettere di gridare. La sfortunata ragazza
contemplò per un attimo quel volto semiumano distorto dall’ira e dall’invidia
prima di urlare d’angoscia e gettarsi a terra, subito prima che le mascelle
della farfalla-Meg si chiudessero
fameliche nel punto in cui c’era la sua testa.
La sfortunata ragazza, folle di paura, riuscì ad alzarsi in
piedi e corse, gli occhi sbarrati, verso l’albero al centro della stanza,
sperando di trovare riparo. Il mostro la inseguì planando, ma non riuscì a
ghermirla a causa dei rami più bassi che gli
ostacolavano il movimento. Il suo urlo acuto scemò e si tramutò in un orrendo
ronzio infastidito, mentre saliva di quota e prendeva a scandagliare le fronde
più alte per trovarvi un passaggio.
Jennifer, stringendo
forsennatamente la spilla al petto, non smetteva di seguire i movimenti della
farfalla, temendo che da un momento all’altro sarebbe morta. Le sembrava tutto
così assurdo… La sua ragione le gridava che quel mostro non poteva
trovarsi lì, che doveva essere solamente la sua immaginazione che la ingannava,
ma lei aveva sentito sulla pelle l’aria smossa dalle sue ali, aveva sentito
l’odore nauseabondo che emanava… non poteva essere solo un’illusione.
“Jenni…fer!!” chiamò la bestia, che si era appollaiata su un
ramo sopra la sfortunata ragazza. Questa sollevò lo sguardo e fissò gli occhi
nei suoi, iniettati di sangue e colmi di invidia, ed
urlò, accucciandosi contro il tronco e premendosi le mani contro le orecchie,
ma non si mosse dal suo nascondiglio. Il mostro, infuriato, si scosse e gridò a
sua volta, facendo cadere sulla ragazza una pioggia di foglie morte. Lei
tuttavia continuò a restare dove si trovava: nella sua mente devastata dal
terrore, qualcosa di istintivo, primordiale le
ordinava di non uscire in campo aperto, dove sarebbe stata una facile preda.
“Jennifer!” sentì di nuovo, ma
questa volta si trattava dell’esortazione di una voce maschile. Stupita, la
ragazza aprì gli occhi in tempo per vedere qualcosa di luccicante brillare
nell’aria e caderle davanti ai piedi: era un grosso coltello da cucina con la
lama arrugginita. Si guardò alle spalle, da dove era stato gettato l’oggetto, ma
il tronco dell’albero era troppo largo per permetterle
di vedere qualcosa. L’unica cosa che contava era il coltello…
La farfalla-Meg fischiò e si alzò
di nuovo in volo, ma Jennifer fu abbastanza veloce da
sgusciare dal suo nascondiglio e gettarsi sul coltello. Era un oggetto pesante
e grosso e la ragazza temeva di farsi veramente male, ma sapeva anche che non
aveva altra possibilità di sopravvivere che usarlo.
“JENNIFER!!” sibilò
l’essere precipitandosi su di lei con le ali spiegate. La sfortunata ragazza gridò
di terrore, cadde a terra e chiuse gli occhi, il coltello teso di fronte a sé,
aspettando la morte. Ma quella non venne. Invece
qualcosa di viscido e caldo cominciò a scorrere sulle
mani di Jennifer, che aprì le palpebre di appena uno
spiraglio. Sopra di lei si agitava silenziosamente l’enorme farfalla, pugnalata
al volto. Dalla ferita, che spezzava una delle lenti fuse con la testa, colava
un disgustoso liquido scuro, che scendeva lungo l’impugnatura e lungo il
braccio della ragazza. Le zampe si agitavano pazzamente nell’agonia, mentre le
ali sbattevano senza fermarsi, tenendo il corpo bizzarramente in equilibrio
sulla lama del coltello. Anche l’addome si contorceva,
piegandosi ripetutamente verso il basso, verso le gambe di Jennifer.
L’unico rumore che la ragazza riusciva a sentire era il fruscio delle ali della
farfalla.
Sopraffatta dall’orrore, Jennifer
strinse di nuovo gli occhi ed estrasse con uno sforzo il coltello dalla
carcassa fremente, aspettandosi di essere sommersa da quella massa ributtante,
ma questo non avvenne. Il fruscio si spense subito, così come la sensazione di umido sulle braccia, e lei sentì solamente un piccolo
tonfo sull’addome. Titubante, provò a guardare. Il mostro era sparito, la lama
del coltello era asciutta come pure le sue braccia, e sul proprio addome c’era
una piccola crisalide scura, intatta.
Quasi non credendo ai propri occhi, la ragazza toccò con un
dito quell’oggetto e trasalì quando la percepì calda
al tatto, ma a parte quel particolare sembrava una
comunissima ed innocua crisalide. La strinse nella mano libera e si alzò
a fatica, per poi guardarsi attorno, ma sembrava che la bambina con il vestito
rosa fosse scomparsa, così come il grande albero che le aveva offerto protezione; al suo posto c’era solo una grossa pila
di bagagli accatastati e tenuti legati da robuste funi. Anche
nel resto della stanza tutte le piante erano sparite, lasciando la sfortunata
ragazza con la sensazione di aver vissuto un sogno. Ma
il coltello arrugginito che teneva nella mano destra testimoniava che era stato
tutto reale…
Non appena si fu incamminata, con la crisalide stretta nella
mano sinistra e il coltello in quella destra, verso l’uscita dalla stiva, Jennifer si sentì afferrare le spalle da una morsa ferrea
ed urlò.
“Shh,” le
sussurrò una giovanile voce maschile all’orecchio, in qualche modo familiare.
“Va tutto bene, non voglio farti del male.”
Nonostante quelle parole, la
ragazza tentò di divincolarsi, ma la presa era troppo solida, anche se non le
faceva male. Non riuscì nemmeno a sollevare il coltello per difendersi, ma anzi
poté a stento voltare il capo per accorgersi che colui che
la teneva ferma per le spalle era più alto di lei, aveva i capelli castani ed
il braccio destro insanguinato.
“Presto finirà tutto, vedrai,”
disse l’uomo misterioso. “Il tuo amico è salvo.”
Jennifer stava per tentare
nuovamente di divincolarsi, ma lui la precedette, spostandosi dietro di lei e
quasi travolgendola. Avrebbe voluto gridare, ma il fiato le
si bloccò in gola quando il suo sguardo fu rapito dall’intenso occhio
destro del ragazzo, un bellissimo occhio verde, mentre lui le posava un soffice
ed umido bacio all’angolo della bocca.
Quel bacio durò un attimo, ma a Jennifer
parve un attimo infinito: dopotutto, era il suo primo bacio, per quanto ricordasse…
E tuttavia, quella voce, il limpido verde di quell’unico occhio che aveva visto, e che ora era di nuovo
svanito dal suo mondo, la presa di quelle braccia le ricordavano
qualcosa, ed avrebbe sacrificato anche la crisalide che aveva trovato con tanta
fatica per sapere di cosa si trattasse. Si accorse a mala pena che anche la
presa sulle sue spalle era svanita, ma quando si voltò
e si guardò attorno alla ricerca del misterioso ragazzo vide solo la grigia
stiva, senza alcuna traccia del verde smeraldo di quell’occhio.
Per quanto sforzasse l’udito, la sfortunata ragazza
non sentì alcun rapido passo in lontananza, ma solo il solito rombo dei motori.
Si portò la mano sinistra alla guancia, dove le labbra di lui
le avevano toccato la pelle, e vi tolse una piccola traccia di sangue, che
rimase a fissare a lungo.
Era stato lui ad averle lanciato il
coltello con cui aveva sconfitto la cosa-Meg?
Era stato lui ad averla chiamata per nome durante il
combattimento?
Che cosa significava il vago senso di inquietudine
paradossale che aveva provato subito dopo aver visto una parte del volto del
ragazzo, come un ricordo spiacevole che stentava a ritornare?
Ma soprattutto, che cosa voleva
dire il ragazzo quando le aveva detto che il suo amico era salvo?
Jennifer si asciugò il bordo della
mano sul vestito e si infilò la crisalide in tasca.
Era così confusa che avrebbe avuto voglia di sedersi da qualche parte a
riposare, a chiedersi e a chiedere all’aria immobile qualche spiegazione, ma
sapeva che non avrebbe ottenuto nulla in quel modo. Per
quanto spossata ed inquieta si sentisse, il collare che aveva in tasca e
l’affermazione del ragazzo sul suo amico le infondevano un’insperata speranza,
che la spinse a stringere nella mano destra il coltello arrugginito e ad
avviarsi verso la porta.
“Oggi è il giorno del
funerale…”