Prima di iniziare a leggere
Prima di
iniziare a leggere, piccola avvertenza/premessa: questa fic è *pura* invenzione,
nata in un pomeriggio di delirio al Flippaut Festival, Bologna, 13/6/2004. Non è
infatti mia intenzione offendere/insultare nessuno dei personaggi descritti in
questa storia, che sono caratterizzati come leggerete solamente ai fini della
narrazione. Muovo degli attori sul palcoscenico della scrittura, e nulla di più.
Prendete quello che segue solo per ciò che è, ovvero un'opera di fantasia che mi
andava di raccontare per far sorridere delle amiche :) (di conseguenza, ignorerò
commenti del tipo: "lui non è stron*o e lui non è semi gay, come puoi scrivere
simili boiate ecc ecc sta fic fa proprio schifo", perchè sinceramente non li
trovo nè costruttivi nè intelligenti, soprattutto dopo le premesse appena
fatte... ).
Leia
*
- Nel Backstage -
Arena Parco Nord,
Bologna
Flippaut Festival, 13
Giugno 2004
*
Bagnate da una pioggia
leggera, decine di braccia si alzarono per l’ennesima volta. Le ragazzine in
prima fila urlarono ancora il suo nome, ma Lauri non riuscì a sorridere. Non era
ancora capace di sorridere in modo rilassato ai suoi fan, mentre stava sopra ad
un palco. Soprattutto, se non era un palco finlandese.
Si limitò, così, a fare un
breve inchino, accompagnandolo ad un saluto altrettanto veloce.
… si ricorderà di me?
Un’altra ovazione per i
The Rasmus. Allontanò il microfono dalla bocca, e lo riposizionò sull’asta.
Le parole di In the Shadow si sgretolarono nella sua mente, finalmente
libera di rilasciare la tensione, e ritornare immediatamente a lui. Lui, Matthew
Bellamy. Il suo idolo, il suo modello, e la sua maggiore fonte di ispirazione.
Da sempre aveva sognato di
poter cantare al suo fianco, sullo stesso palco. E con il Flippaut quel
desiderio si era finalmente realizzato. Sperava che Matt fosse arrivato in
tempo, nel backstage, per assistere alla sua esibizione, o perlomeno ad una
parte. Avrebbe voluto un suo commento… lo desiderava più di ogni altra cosa. Se
fosse stato positivo, poi, tanto meglio. Ma in caso contrario, non sarebbe stato
un problema. Davvero. Si sarebbe semplicemente rimboccato le maniche, e avrebbe
fatto di tutto per migliorare. Raggiungere i suoi livelli era impensabile, non
si sentiva certo così presuntuoso da pensare di riuscirci, ma… almeno, avere la
sua stima. Solo quello.
Fece un profondo respiro, e
con una breve corsa lasciò il palco.
“Il suo batterista mi ha
assicurato che ci tiene davvero. Lo sogna da sempre… ”.
“Dom… ”.
“Sul serio, sei tutto per
lui. Ti ha pure intervistato, cinque anni fa, e ti ha dato una demo della sua
band. L’ha detto in questa rivista italiana, guarda… fatti leggere l’articolo da
Gaia, se non ci credi… ”.
“Me l’aveva già letto, se è
per questo”.
“E allora che problema
c’è?”.
“C’è che… quello è un
gelido finlandese, ecco che c’è. Mi mette ansia solo guardarlo. Probabilmente è
per questo che ho dimenticato di averlo già incontrato, e di aver ascoltato i
suoi pezzi. E poi… poi si mette delle piume in testa”.
A quella frase, Dominic
Howard scoppiò a ridere in un modo piuttosto sfacciato. Come faceva sempre, del
resto.
“Matt, piantala. Vogliamo
parlare di quello che ti metti tu, in testa… e non solo?”.
Il leader dei Muse, Matthew
Bellamy, fissò torvo l’amico. Sospirò, poi si tirò fin sopra il gomito le
maniche della maglietta color cobalto con strani disegni in oro che si era
infilato sul tourbus, mezz’ora prima, per andare ad ascoltare gli ultimi pezzi
dei Rasmus trascinato da Dom. Si erano messi dietro ad alcune transenne di
ferro, sul lato sinistro, per evitare di essere visti dal pubblico.
“Non saprei cosa dirgli.
Sarei solo imbarazzato. Sai come sono fatto, cazzo… e poi ammettilo, nemmeno tu
impazzisci per la loro musica”.
“Vero, ma devi riconoscere
che hanno stile. E i testi non sono banali. Mh, credo che abbiate pure qualcosa
in comune. Comunque, è proprio perché è messo peggio di te nelle relazioni
sociali che dovresti andargli incontro per primo. Lui non ne avrà mai il
coraggio”.
Matt si passò una mano tra
i corti capelli scuri. Fece per rispondere, ma alle sue spalle arrivò Chris che,
salutandoli, interruppe il suo scambio di battute con Dominic.
“Allora, l’hai convinto?”,
chiese quindi il bassista, girandosi verso il ragazzo biondo con un grande
sorriso ironico. Questi fece una smorfia con le labbra.
“Figurati. Il nostro
piccolo, timido Matt non vuole saperne…”.
“Mhh immaginavo… ”.
“Non ti fa tenerezza?
Guarda come è arrossito… ”.
“Sì, è taaanto carino… ecco
perché tutte le sue fans lo adorano!”.
“Già!”.
“Ma la finite?”.
Chris e Dom risero di
nuovo, ed il vocalist si appoggiò scocciato ad un sintetizzatore, spostando gli
occhi verso la figura longilinea e vestita di nero di Lauri, ancora sul palco.
Era impegnato a cantare la sua ultima canzone per quella sera, probabilmente. Il
singolo che l’aveva portato al successo in Europa. Si muoveva in un modo che
Matt non si sarebbe mai sognato di imitare, ma… sì, aveva ragione Dom. Sapeva
dominare il palco, e catturare l’attenzione.
Il leader dei Muse sospirò
per l’ennesima volta, poi tornò a guardare gli amici.
“E va bene”, disse con
rassegnazione. “Ma solo una stretta di mano, qualche parola e un sorriso di
circostanza”.
Chris sollevò gli angoli
della bocca.
“Uhm. Ti sprechi, piccolo
Matt… ”.
“E cosa dovrei fare secondo
te, baciarlo con la lingua?”.
“Potrebbe essere
divertente”.
Il bassista ridacchiò,
mentre Dom spostava lo sguardo oltre le spalle di Matt per rimanere ad osservare
qualcosa con aria un po’ tesa.
“A proposito di lingue in
bocca… ho l’impressione che quello lì non aspetti altro che infilartela in gola…
”, sussurrò, avvicinandosi ulteriormente all’amico. Quest’ultimo aggrottò le
sopracciglia.
“Chi?”.
Il ragazzo si voltò.
Morrissey, ex membro degli Smiths, stava parlottando con uno dei suoi musicisti,
fermi ad una decina di metri da loro. Si sarebbero esibiti dopo i The Rasmus.
Quando sentì gli occhi di
Matt su di sé, però, l’uomo si fermò. Si girò a guardarlo, e la schiena del
giovane inglese fu percorsa da un brivido netto nel momento in cui Morrissey gli
lanciò un’occhiata piuttosto lasciva, accompagnata da un sorrisetto
inequivocabile.
“Mio-dio… ”, scandì il
vocalist a voce bassa, tornando a fissare gli amici. “Mi chiedo ancora come ci
sia venuto in mente di fare una cover di una sua canzone… ”.
“Beh, nessuno mette in
dubbio che sia un mito del rock… ”, disse Chris a labbra strette. “Ma la sua
insana passione per i ragazzi vent’anni più giovani di lui, in particolare se
suoi fan, ha un qualcosa di… di… ”.
“… di perverso”, concluse
Dom. “Okay, io probabilmente sono molto più perverso di lui per tante altre
cose, ma… ”. Si portò una mano dietro al collo. Se lo grattò pensieroso, poi
tornò a guardare Matt.
“Ti ha puntato. Sul serio.
Ti fissa come una preda da fare a pezzi. Da brividi… ”.
L’altro scrollò le spalle.
“Finché mi guarda non c’è
problema. Basta che mi resti lontano, ed io eviterò di fargli male”. Si srotolò
le maniche che prima aveva tirato su, nervoso. Chris si accese una sigaretta.
“Massimo grida, che noi
arriviamo…”, disse il bassista. “Le fan non perdonerebbero mai la deflorazione
del tuo prezioso culetto… e nemmeno per Gaia sarebbe una bella sorpresa, credo”.
Dom annuì energicamente.
“Però anche questo sarebbe
divertente… una nuova, esaltante esperienza. Non ti incuriosisce l’idea di
essere violentato da un cinquantenne eclatantemente gay, pietra miliare della
storia della musica?”.
Il ragazzo non fece nemmeno
in tempo a scambiare un’occhiata complice con Chris, né a scoppiare a ridere con
lui, che Matt si sporse di colpo verso il suo viso con le labbra socchiuse e gli
occhi azzurri ridotti a due fessure inquietanti.
“Dimmelo se stasera vuoi
una chitarra in testa…”, scandì, fissandolo minacciosamente. “… ti assicuro che
questo sì, sarebbe divertente… soprattutto per me. Per te forse un po’ meno,
signor Howard”.
L’espressione allegra di
Dom si spense immediatamente, venendo sostituita da un’altra piuttosto turbata.
“Uh, no, scherzavo… cioè,
volevo dire… giusto, ha ragione Chris. Se ti salta addosso, chiama. Tutto per
salvare il buchetto del mio adorato Matthew… ”.
Il leader del gruppo si
allontanò dall’amico con un sorriso soddisfatto. Il batterista rimase a
fissarlo, poi allungò la linea della bocca sottile.
“E poi, per i fans sono io
il tuo unico amante, ricordi?”
Matt scoppiò a ridere.
Scosse la testa.
“Vero. L’unico e il solo”.
Chris li guardò
affettuosamente. Avvicinò la sigaretta un’ultima volta alle labbra, poi lanciò
uno sguardo al palco.
“Ehi, Matt”, disse con un
breve sorriso, spegnendo il mozzicone sotto i piedi. “Hanno finito”.
Lauri arrivò nel backstage
tenendo lo sguardo basso, e fissandosi le scarpe.
Magari stava soltanto
facendosi delle illusioni. Figurati se i Muse si sarebbero fatti vedere così
presto, quando dovevano esibirsi soltanto alle dieci… e soprattutto, figurati se
Matt sarebbe venuto prima per guardare proprio…
“Lauri, giusto?”.
Una voce familiare, dal
forte accento inglese. Il ragazzo finlandese alzò la testa, col cuore
letteralmente in gola. Guardò la figura davanti a sé, e pronunciò il suo nome.
“Matthew… Bellamy… ”.
Il leader dei Muse stava
avanzando lentamente verso di lui. Indossava i suoi tipici pantaloni scuri con
riga bianca a lato, scarpe da ginnastica chiare e una maglia sui toni del blu,
aderente, che fasciava il suo busto sottile facendolo apparire fragile come un
filo d’erba ed un ragazzo come tanti, minuto e timido. Perché era sempre quello
l’effetto che faceva Matt, quando non era sopra ad un palco. Quando non aveva
tra le mani una chitarra, un microfono a sfiorargli le labbra, e i tasti di un
piano sotto le dita sottili a trasformarlo in una creatura non terrena…
“Ho assistito alla vostra
esibizione, e… ”, esordì il ragazzo inglese con un mezzo sorriso. Si schiarì la
voce, voltandosi per un attimo. Lauri notò allora gli altri due membri della
band, Chris Wolstenholme e Dominic Howard, fermi poco più indietro, al lato del
palco. Alla sua occhiata gli sorrisero, e il batterista biondo sollevò una mano
in segno di saluto.
Lauri inarcò le
sopracciglia, sorpreso e ancora totalmente incredulo. Il cuore stava
continuando, infatti, a martellargli il petto senza pietà. Matt, invece,
sembrava star cercando le parole per continuare in modo coerente la frase che
aveva iniziato…
“… e… volevo farti i miei
complimenti. Non avevo avuto ancora l’occasione di… vederti dal vivo. Riesci a
catturare l’attenzione e… beh, complimenti anche per… i vostri testi.
Interessanti, molto”.
Lauri sentì un formicolio
percorrergli le braccia, e la schiena. Fissava Matt, e non sapeva cosa
rispondere. E’ che… era lì, davanti a lui. Matthew Bellamy. Finalmente…
si ritrovava faccia a faccia con la persona che più stimava al mondo, e per di
più… Matt gli aveva appena detto che l’aveva apprezzato. Apprezzato.
“Oh, io… ”. Deglutì, non
riuscendo a staccare lo sguardo da quello, penetrante, del vocalist dei Muse.
Non sapeva, non… non credeva che… i suoi occhi fossero così blu…
“Sono felice che tu… che ti
sia… piaciuta la mia… cioè, la nostra esibizione”, biascicò Lauri agitato. Fece
una pausa per riprendere fiato. “Per me… il tuo giudizio vale più di quello di
tutti… tutti quelli che ci seguono… che seguono i Rasmus, cioè”.
Matt sorrise. Forzatamente.
Ebbe l’impressione di star sudando, nonostante l’aria fresca. Ma perché doveva
sentirsi così ogni volta, davanti a persone che dicevano di ammirarlo?
Anche con i fan era sempre successa la stessa cosa, ai primi tempi… poi per
fortuna si era abituato, o più precisamente… aveva imparato a gestire la
cosa. Quando si trattava di colleghi, invece… dannazione, si sentiva a disagio.
Sempre. E poi… ma quanto cazzo era pallido questo qua!?
“Oooh, Matt è stato
davvero colpito dalla tua performance… ”, esclamò in quel momento Dominic,
fattosi improvvisamente vicino con un sorriso moderatamente inquietante. Matt
trasalì, girandosi per fulminare l’amico con uno sguardo gelido. Il batterista,
però, lo ignorò, per continuare ad osservare invece il leader dei Rasmus che,
sempre più sconvolto, fissava i due con i grandi occhi verdi, cerchiati di
matita nera, sgranati.
“E’ solo troppo timido per
dirtelo… così come è troppo timido per ringraziarti delle parole che hai speso
per lui nell’intervista di quel giornale italiano… sai, quella che hai
rilasciato negli scorsi mesi… è lusingato della tua ammirazione, sul serio”,
continuò Dom, allegro. “Ed è felicissimo anche lui di poter suonare insieme a
te, sullo stesso palco. Non è vero, amico mio?”.
Una delicata pacca si
infranse improvvisamente contro la schiena di Matt, che spinto in avanti perse
rovinosamente l’equilibrio finendo addosso a Lauri. Il ragazzo finlandese, nel
più completo panico, indietreggiò subito, ma inciampò in un cavo. Cadde
all’indietro, trascinando il leader dei Muse con sé e crollando, con lui, a
terra.
“Merda… ”, sussurrò poco
dopo Matt, cercando di respirare. Aveva la faccia affondata nell’incavo tra il
gomito e il petto di Lauri, e le gambe incastrate tra quelle del collega. Tentò
immediatamente di liberare le braccia per cercare di rialzarsi, ma quando
risollevò la testa si ritrovò nei suoi gli occhi liquidi del ragazzo nordico
che, imbarazzatissimo, lo stava guardando a meno di dieci centimetri dal suo
viso.
“Oh… ”, mormorò allora
l’inglese, sentendosi un perfetto coglione. Rimase un paio di secondi a pensare
se fosse il caso di dire qualcosa, ma la voglia irrefrenabile di strangolare
all’istante Dom lo fece rimettere immediatamente in piedi.
“Spero… beh, spero che tu
non ti sia fatto male… ”, mugugnò un po’ impacciato, controllando a fatica gli
istinti omicidi verso l’amico d’infanzia e tendendo una mano a Lauri, ancora
immobile in mezzo ai cavi. “E’ che Dominic, qua, ha qualcosa che non funziona
nella testa. Una cosa grave, presumo”.
Il batterista deglutì,
roteando gli occhi verso l’alto per sfuggire a quelli, più che eloquenti, di
Matt. Il cantante dei Rasmus rimase a fissare senza capire i due dal basso,
quindi allungò un braccio. L’altro lo afferrò, e lo tirò su.
“No, io… io sto bene”,
balbettò Lauri, abbassando il viso. “Tu piuttosto… ”.
“Sto ok, non preoccuparti”,
replicò brevemente Matt prima di girarsi a fissare ancora Dom, che tentò di
fare, terrorizzato, qualche passo indietro. “Devo solo dire due cosette al mio
batterista, poi starò ancora meglio…”.
Bloccò i movimenti del
ragazzo biondo afferrandogli saldamente un braccio, ma quando tornò a guardare
Lauri per salutarlo il suo sguardo incrociò quello, all’apparenza notevolmente
interessato a loro, di Morrissey, ancora fermo nel punto in cui l’aveva visto
prima, alle spalle del finlandese. Aveva… assistito a tutta la scena?
“Lauri, allora a… a più
tardi”, concluse distrattamente, dando al collega una lieve pacca sulla spalla.
“Ci si rivede all’aftershow, magari. Ora… devo proprio andare, scusa”.
Detto questo, Matt si
allontanò di tutta fretta. I tre ragazzi lo videro scendere i livelli del
backstage con pochi, veloci salti, e dirigersi verso il tourbus.
Il batterista restò a
massaggiarsi pensieroso il braccio lasciato libero, chiedendosi a cosa fosse
dovuto quel gesto di massima clemenza. Chris si avvicinò. Sorrise a Lauri e
questi, con una lievissima curva delle labbra, rispose imbarazzato al saluto.
Fece i complimenti ad entrambi, augurando loro buona fortuna per l’esibizione,
ma non rimase a parlare. Gli altri membri della sua band, fermi poco più in là,
alzarono un braccio verso di lui e Lauri, dopo un ultimo cenno del capo, si
allontanò per raggiungerli.
Dominic e Chris osservarono
per un po’ i Rasmus da lontano, con le mani affondate nelle tasche dei
pantaloni. Morrissey, seduto languidamente poco più in là su una fila di casse
per gli strumenti, stava invece conversando enfaticamente con uno dei tecnici
del festival ed il tastierista dei Jet. Sembrava molto preso.
Il bassista dei Muse prese
dalla tasca della camicia un’altra sigaretta. Se la accese con un sospiro.
“Devi sempre esagerare, tu…
”.
Dom alzò le spalle.
“Ma dai. Matt non se la
prende mai sul serio per queste cose, lo sai”.
“Mah. Poi andiamo a sentire
che ha, allora. Comunque, quel tizio è proprio strano… ”.
“Lauri dalla gelida
Finlandia? Di poche parole, introverso. Un vampiro venuto dal freddo”.
“Davvero. E scommetto che è
innamorato pazzo del nostro piccolo Matt. Hai visto la faccia che ha fatto
quando gli è caduto addosso?”.
“Secondo me la lingua ci
stava”.
“Oh, anche per me”.
Matt si lasciò cadere a
peso morto sul letto. Si sfilò la maglietta restando disteso, e dopo averla
lanciata in un angolo iniziò a fare dei lunghi, profondi sospiri. Era quasi
l’ora di prepararsi. Presto si sarebbe esibito Morrissey, e poi… sarebbe toccato
a loro. Quella sera, come tante altre sere.
Pensò a Gaia. Era riuscito
a vederla a Roma, il giorno prima, ma il pomeriggio era dovuta ripartire a causa
di un esame universitario che non poteva rimandare. E adesso le mancava.
Iniziava ad essere teso, cosa piuttosto strana per lui dopo mesi di tour. Ma non
era nervoso per l’esibizione. Anzi, di sicuro non era per l’esibizione. E
allora… per quale motivo si sentiva in quel modo?
“Bel posticino, qui… ”.
Il rumore smorzato di un
paio di passi che salivano l’ingresso moquettato del bus risuonarono nelle
orecchie di Matt, insieme a quella strana voce dal tono impostato. Il leader dei
Muse raddrizzò la schiena, mettendosi a sedere sul bordo del letto.
“Avrò anche lasciato
aperto, ma solitamente si chiede il permesso prima di… ”.
“… entrare in casa degli
altri? Oh si, si dovrebbe fare effettivamente… ”.
Morrissey comparve sul
fondo all’ampio corridoio del bus, superando l’immenso frigobar personale della
band inglese. Indossava una camicia di seta rossa piuttosto appariscente,
insieme ad un paio di jeans classici ed un discutibile foulard fantasia adagiato
intorno al collo taurino. Si era probabilmente cambiato per salire sul palco.
“… ma alla prospettiva di
sorprendere Matthew Bellamy in un momento di relax solitario… non ho proprio
saputo resistere”, continuò con un tono sempre più equivoco. Sollevò le spalle
accompagnando il movimento ad un sorrisetto.
“Son davvero maleducato… ma
spero che mi perdonerai”.
Matt si mise in piedi,
storcendo il naso. Che diavolo era venuto a fare quel vecchio gay sul loro bus a
quindici minuti dalla sua esibizione?
Ricordò l’occhiata che
Morrissey gli aveva lanciato prima, e le parole di Dom. Abbassò allora lo
sguardo sul proprio petto, rendendosi conto di indossare solo i pantaloni. Venne
percorso da un brivido.
“Dipende”, mormorò con voce
controllata, sulla difensiva. “Cosa posso fare per te?”.
Si pentì subito di avergli
parlato con tanta gentilezza. L’uomo gli si avvicinò ulteriormente, sorridente,
aspettando qualche secondo prima di replicare.
“La mia era solamente una
visita… di cortesia”, disse poi, con calma. “Fra colleghi, sai. Visto che tu e
gli altri… tuoi amici, concluderete la serata dopo di me. Non siamo mai stati
sullo stesso palco insieme prima d’oggi, nonostante abbiate anche realizzato la
cover di una mia canzone… ”.
Il ragazzo originario del
Devon inclinò un poco la testa, sospettoso. Iniziò a fare degli impercettibili
movimenti verso sinistra, nel tentativo di aggirare lentamente la figura di
Morrissey. Qualcosa gli diceva che era bene cercare di avvicinarsi all’uscita.
“Credo sia normale. I
nostri generi son molto lontani tra loro”, disse, cercando di mantenere un’aria
rilassata. “Se anni fa abbiamo fatto una cover degli Smiths è stato soltanto
perché quella specifica canzone ci piaceva. Ora tu non fai più parte di quella
band, e nemmeno ti occupi di quel tipo di musica”.
Morrissey annuì con
lentezza, appoggiandosi con un braccio al piccolo tavolo posto accanto al letto.
Alzò l’altro per allentarsi il foulard con noncuranza.
“Già… ”, mormorò. Si
accarezzò il petto, come pensieroso. “Ma rifare quel pezzo insieme, stasera, non
sarebbe una brutta idea… pensa che sorpresa, per i nostri fan cresciuti con…
decenni di buon rock inglese”.
L’espressione del leader
dei Muse si fece ostile. Strinse le labbra, inclinando il busto magro e
abbassando leggermente il viso. Indietreggiò, questa volta, in modo brusco.
“Mi dispiace, non è nei
nostri programmi”.
L’altro rimase a fissarlo
un istante, insondabile, quindi fece un altro passo verso di lui. Matthew sentì
la pelle venire percorsa dall’ennesimo brivido gelido. Ancora pochi centimetri,
e Morrissey l’avrebbe chiuso contro la parete del bus…
Deglutì. Provò a muoversi
nuovamente, ma l’altro fu più veloce, arrivando ad occupare l’unico passaggio
utile a raggiungere la porta d’uscita. Fermo a gambe divaricate, l’uomo lo
dominava nettamente con i suoi trenta centimetri d’altezza in più.
“Programmi. Che cosa
impersonale, fare delle scalette. E poi, i programmi si possono sempre cambiare…
”.
Morrissey si sporse verso
il collo chiaro di Matt, teso al massimo per allontanare il più possibile il
viso da quello, lascivo, dell’uomo. Il ragazzo poteva ormai sentire il tessuto
ruvido del rivestimento della parete del bus pungergli la schiena nuda.
Cazzo,
pensò. Odio quando Dom ha ragione...
“… si può… improvvisare… ”,
proseguì nel frattempo Morrissey, stendendo con decisione le braccia ai lati del
corpo del giovane inglese per impedirgli la fuga. Aprì i palmi delle mani
puntellandoli al muro. “… perché non si sa mai cosa può arrivare a sconvolgerti
la serata… qualche… imprevisto, magari molto, molto piacevole… ”.
Ridacchiò in modo
fastidioso, pregustando già l’ultima, eccitante vittoria con un altro ragazzino
illibato. O quasi. Ma la differenza, questa volta, stava nel fatto che il
ragazzino in questione era anche un intrigante cantante di fama ormai mondiale…
“Da quando ho visto le
registrazioni dei vostri live, non riesco più a togliermi la tua… voce, e
quelle… espressioni dalla testa… ”, sussurrò con voce roca e lussuriosa. “… sono
la cosa più sensuale che abbia mai visto nella mia vita su un… viso maschile… ”.
Si passò la lingua sulle
labbra.
“… sai, ho continuato a
pensare all’effetto che mi avrebbero fatto nel rivederle… mentre ti scopavo…”.
A quell’ultima frase, detta
scandendo e sottolineando ogni parola in un modo quasi perverso, si avvicinò di
più, ma prima che potesse anche solo sfiorare con le labbra già aperte la bocca
del leader dei Muse, questi gli serrò la gola con una mano. Morrissey spalancò
gli occhi per l’improvviso senso di soffocamento, e mentre Matt prendeva a
spingere con forza inaudita sulla sua trachea, l’uomo si gettò all’indietro.
Incontrò violentemente il bordo del tavolino a cui prima si era appoggiato, e
all’urto le lattine vuote di birra che vi erano posate sopra caddero con un
sordo rumore metallico rotolando tra i suoi piedi. Matt, a quel punto, allontanò
il braccio, ma il suo sguardo carico d’odio su Morrissey non mutò.
“Credo proprio che tu abbia
capito male, amico”, sentenziò con voce bassa e ferma. “Io non sono un dannato
finocchio”.
Lo fissò ancora per un paio
di secondi, poi si voltò. Camminò velocemente lungo il corridoio del bus per
arrivare all’uscita ma Morrissey, nonostante il fiato corto e la mano ancora
ferma a massaggiarsi il collo arrossato, lo raggiunse immediatamente.
Matt scese i gradini con
fatica, trattenuto da una mano dell’uomo stretta sulla propria spalla. Si voltò
allora d’improvviso per tentare di dargli un pugno, ma quello si spostò veloce a
lato. Il giovane vocalist mancò di poco la sua guancia. Il colpo andò a vuoto, e
il pugno chiuso di Matt fendette l’aria, facendolo sbilanciare in avanti.
Morrissey rise sarcasticamente, e al secondo tentativo del ragazzo gli bloccò
entrambe le braccia.
“Ma che villania… ”, disse
quindi l’uomo, il viso insolitamente serio. “Volevo soltanto approfondire la
conoscenza… ”.
“Vaffanculo”, ringhiò a
denti stretti Matt. “Ti ho già detto che non sono gay. Si può sapere che cazzo
vuoi?”.
“Mhh… ”.
Morrissey lo trascinò alla
fine del bus, per poi costringerlo ad appoggiarsi contro la zona motore.
“Te l’ho già detto cosa
voglio. Ti ho visto, prima, con quel ragazzino finlandese. Quel… Lauri.
Per questo non credo assolutamente alle tue parole da santarellino omofobo”.
“Cosa?!”. Matt spalancò gli
occhi chiari. “Che diavolo… stai insinuando?”.
“Oh, andiamo… ”, rispose
subito l’altro, mentre sul suo viso squadrato tornava ad allargarsi un sorriso
più che malizioso. “Lo sanno tutti che quel tizio è bisessuale. La passione che
ha per te è evidente. E dopo la scena a cui ho assistito… credo che la sua
venerazione nei tuoi confronti non ti dispiaccia affatto… ”.
Il ragazzo inglese inclinò
la testa, shockato. Dopo qualche secondo iniziò a scuoterla.
“Tu sei malato, amico”,
disse con un mezzo sorriso nervoso. “Non so che razza di film si faccia la tua
mente deviata, ma quello che hai visto è stato semplicemente un incidente. Gli
sono caduto addosso, tutto qui. Il mio batterista mi ha fatto inciampare, e non
c’è proprio nient’altro da dire”.
“Ma davvero… ”. Morrissey
allentò la stretta sulle braccia di Matt, ma solo di poco. “Di solito non mi
sbaglio mai. Però, se le cose stanno davvero così… chissà il povero Lauri che
illusioni si sarà fatto. Mhh, sei stato molto scorretto, tesoro”.
L’uomo abbassò gli occhi,
sottolineando la sua disapprovazione con un suono breve e continuo prodotto
dall’incontro della lingua con le file perfette dei suoi denti bianchi.
“Mi dispiace dirtelo, ma…
l’immagine che dai di te è molto ambigua”, riprese. Diede un’occhiata alla
maglietta di Matt, tornando poi, con le palpebre socchiuse, sul suo viso dagli
zigomi pronunciati. “O meglio… è inevitabilmente, dannatamente, sensualmente…
ambigua. Le persone vedono quello che vogliono vedere, forse… non lo metto in
dubbio, ma certo è che tra i tuoi fan ci sono folte schiere di ragazzi che
probabilmente ascoltano la tua orgasmica voce chiusi in camera a… ”.
“Non me ne frega un
cazzo di quello che la gente può pensare!”, lo interruppe l’altro a voce
alta, furente. Si scrollò di dosso le mani dell’uomo. “E non me ne frega un
cazzo nemmeno di quel… quel Lauri. E’ libero di fare tutti i sogni erotici che
vuole su di me. Io sono etero. Cazzo, etero!”.
Riprese fiato. Morrissey lo
guardò in silenzio.
“E a dirla tutta, nemmeno
l’avrei salutato se non fosse stato per i miei amici. Mi ci hanno costretto. La
musica di Lauri non mi dice un bel niente. Avrei dovuto capire come stavano le
cose, visto il modo in cui si muove sul… ”.
Matt si interruppe.
All’inizio non ne capì il motivo, poi sbatté le ciglia un paio di volte. Con la
coda dell’occhio aveva visto qualcosa muoversi, alla propria sinistra.
Morrissey, fermo davanti a
lui, si schiarì la voce. Il ragazzo girò allora la testa, e lo vide. Immobile
accanto a una struttura del backstage, con alle spalle un furgoncino dei
tecnici, Lauri li stava fissando con i grandi occhi truccati di nero lucidi, e
la bocca aperta di poco, in una piega dolorosa e amara.
Distanti pochi passi dal
cantante nordico c’erano invece Dominic e Chris, che continuavano a spostare lo
sguardo dal leader dei Rasmus alle figure di Matt e Morrissey. Dom aveva una
mano alzata, e l’indice steso ad indicare i presenti come nel tentativo di
capire qualcosa che gli sfuggiva.
“Oh porca put… ”.
Chris si portò una mano
alla bocca. Nell’altra stava stringendo la scaletta dell’esibizione per quella
sera. Lauri spostò per un momento gli occhi su di lui, ma fu solo per qualche
secondo. Ritornò su Matt.
Il ragazzo lo stava
guardando con le labbra serrate, incapace di parlare. Nel suo sguardo c’era
qualcosa di simile al rimorso, e al senso di colpa più puro. Ma il leader dei
Rasmus sembrò non accorgersene.
Lauri infatti si voltò,
prendendo a camminare a passo spedito verso la zona dove erano riunite le altre
band. Morrissey lo osservò allontanarsi, quindi sospirò con una leggera alzata
di spalle.
“Che ti avevo detto? Gli
hai spezzato il cuore, al finlandese”.
Matt si girò per
trafiggerlo con un’occhiata gelida. Gli afferrò il collo della camicia.
“Fottiti”, bisbigliò. “Se
non dovessimo ancora suonare, spezzerei volentieri a te qualcos’altro”.
Mollò Morrissey con rabbia,
facendolo barcollare. Con poche, lunghe falcate attraversò la strada infangata
dirimpetto al bus, e sfilando davanti a Dom e Chris si girò solo un istante,
senza fermarsi, per rivolgersi al batterista biondo che già lo stava guardando
con la bocca semiaperta, confuso.
“Sta’- zitto”, gli intimò,
spiazzandolo.
Dominic rimase immobile,
interdetto, con il braccio sollevato e lo sguardo fisso a mezz’aria. Morrissey,
accanto al bus, si sistemò invece la camicia come se nulla fosse successo.
Arrivò, sorridente, accanto ai due, per poi sospirare trasognato.
“Mhh, il vostro amico è
tutto un fuoco. Un’energia inarrestabile. Ha davvero… come dire, una personalità
notevole”, disse allusivamente. Si sistemò il foulard, senza notare le
espressioni ammutolite dei suoi interlocutori.
“Bene. Vi auguro in bocca
al lupo, carissimi. A voi e al piccolo, elettrico Matt. Ora devo proprio andare…
il pubblico mi reclama”.
Morrissey raggiunse con un
piccolo salto il primo livello della struttura, quindi sparì dietro ad un
angolo. Chris incrociò le braccia al petto, facendo un lungo sospiro rassegnato.
Dom sbattè gli occhi.
“Chris… ”.
“Sì?”.
“Ti stai chiedendo anche tu
il casino di roba che mi sto chiedendo io?”.
Il bassista sollevò un
sopracciglio.
“Immagino di sì”.
“E che risposte hai
trovato?”.
Quello sorrise. Aprì il
palmo della mano, e lisciò il foglio coperto di scritte con le dita.
“Preferisco non cercarle,
per adesso”.
Alzò il braccio per
mostrare la scaletta a Dom. L’aria umida la sollevò, facendola sventolare con un
fruscio per qualche momento.
“Stasera si suona. Andiamo
a controllare gli strumenti. Qualcosa mi dice che Matt farà tardi”.
Matthew sollevò una mano
per salutare il chitarrista degli Zutons, conosciuto solo poche ore prima, e
quello ricambiò. Lo superò, quindi si fermò su una grande lastra di cemento per
guardarsi intorno. Alcune delle band partecipanti ai due giorni del Festival
erano sparse nel grande spiazzo allestito vicino al parcheggio principale dei
tourbus, sotto tende e verande sistemate su un piccola striscia di prato,
relativamente all’asciutto. Un brusio lieve ma continuo si alzava nell’aria
attraversata da poche, impalpabili gocce di pioggia e Matt, vagando con lo
sguardo tra i musicisti alla ricerca della figura pallida di Lauri, venne
percorso da un brivido di freddo. Si sfregò il palmo di una mano
sull’avambraccio. In effetti, per colpa di Morrissey, era ancora a petto nudo,
ma non voleva tornare indietro fino al bus. Prima doveva assolutamente parlare
con Lauri. Trovarlo, e spiegargli. Aveva esagerato prima, se ne rendeva
perfettamente conto. Non sapeva ancora in che modo avrebbe giustificato le sue
parole, ma a costo di ammettere che era stato uno stronzo… si sarebbe scusato.
Sospirò. Nonostante tutto,
Lauri gli stava simpatico. Forse perché gli sembrava un ragazzo a posto, uno che
cantava perché davvero credeva in quello che faceva, ed in quello che
diceva… cosa rara, ultimamente, fra le giovani band. Poi, poteva anche essere
gay. E innamorato di lui.
Beh, in fondo era qualcosa
che poteva anche arrivare a fargli piacere… se la si guardava da un certo punto
di vista, certo. E poi lui era uno dalla mente aperta. Molto aperta.
Fece una piccola smorfia
con le labbra, pensando a come accettare quell’idea in modo positivo, e mentre
si passava la mano aperta sul viso intravide, appoggiato ad una delle strutture
metalliche delle verande improvvisate, il batterista dei Rasmus. Sembrava
pensieroso, ed era da solo. Dom gli aveva detto che si chiamava Aki.
“Ehi”, sorrise Matt,
avvicinandosi. “Scusa se ti disturbo, ma… volevo sapere dove potevo trovare il
vostro vocalist. Prima abbiamo lasciato una… chiacchierata in sospeso”.
Il ragazzo nordico
allontanò la birra che stava bevendo dalla bocca, tirando fuori dalla tasca dei
pantaloni l’altra mano. Fece un piccolo sorriso, che gli illuminò brevemente gli
occhi scuri e allungati.
“Matthew Bellamy… ”,
mormorò piano, con una certa enfasi. Tese un braccio. “E’ un piacere conoscerti.
Prima, dopo la nostra esibizione, ti ho visto soltanto da lontano. Avrei voluto
farmi avanti, ma… non osavo rovinare il momento magico di Lauri. Quello di oggi
è… beh, un sogno che si avvera, per lui. Conoscerti e suonare con te è ciò che
aveva sempre desiderato, più di ogni altra cosa”.
Matt chiuse le dita intorno
a quelle, magre e sottili, di Aki. Si chiese se ci fosse qualche allusione nelle
parole del batterista, ma subito si rilassò. Sembrava davvero contento per il
suo amico.
“Lo so”, rispose. Fece una
breve pausa. “E son felice anch’io… di esser qui”.
Aki accennò una leggera
curva delle labbra come unica risposta. Probabilmente avrebbe voluto dire altro,
ma non pareva un tipo molto loquace, o capace di aprirsi dopo pochi minuti.
Tipicamente nordico, pensò Matt. Il batterista tornò, così, alla sua birra senza
fare ulteriori commenti. Alzò le spalle.
“Purtroppo non so dove sia
finito. Eero e Paul sono andati a fare un giro in città con dei nostri amici
italiani, ed io son rimasto… ”.
Si fermò di colpo, puntando
gli occhi circondati dalla montatura scura degli occhiali rettangolari che
indossava oltre le spalle del leader dei Muse. Fece qualche passo a lato e Matt
si voltò, seguendo il suo sguardo perplesso.
Dall’altra parte del prato,
con un braccio appoggiato stancamente contro la porta di uno dei bus che, con
tutta probabilità, doveva essere proprio quello del suo gruppo, era apparso
Lauri. Aveva gli occhi puntati sul terreno, persi nel vuoto, ed il capo come
abbandonato piegato sul petto.
“Lauri!”, gridò Aki,
portandosi una mano alla bocca. “Ehi, Lauri!”.
L’altro, per un attimo,
sembrò non averlo sentito. Poi, piano, sollevò la testa per guardare in
direzione dell’amico. La sua espressione tesa parve addolcirsi, ma non appena
notò Matt, fermo accanto al batterista, i suoi lineamenti si contrassero di
nuovo. Rimase a fissarlo con gli occhi color verde opale immobili, poi distolse
lo sguardo quasi con fastidio. Prese a camminare nella direzione opposta
rispetto a dove si trovavano i due ragazzi, velocemente.
“Ma cosa… ”, mormorò Aki
senza capire. Fece per muoversi con l’intenzione di raggiungerlo, ma Matt lo
bloccò con una mano.
“Vado… cioè, ci penso io.
Rimani qui”.
Il giovane inglese lo disse
a voce bassa. Aki lo guardò un momento, ma non gli chiese nient’altro.
“Okay”, mormorò alla fine.
Matt annuì, e si allontanò
sul prato a passo veloce. Il batterista dei Rasmus lo guardò scomparire oltre
una delle verande.
“Aspetta!”.
Il vocalist superò correndo
altri tre gruppi, cercando di ignorare gli sguardi incuriositi dei vari membri.
Poi, la serie di tende montate per proteggere le band dalla pioggia della
domenica, finalmente, finirono. Matt si ritrovò nell’angolo più trascurato del
backstage, utilizzato come deposito per le attrezzature. Tra lui e Lauri erano
rimasti soltanto furgoni e casse metalliche, abbandonate sopra terra ed erba.
Il leader dei Muse si
fermò, sbattendo più volte gli occhi chiari. Il ragazzo finlandese era
aggrappato alla rete che separava il backstage dallo spazio dell’arena, comunque
coperta alla vista da una serie di container in plastica bianca.
“Cosa vuoi?”.
Il tono di Lauri non era
carico di rabbia, ma di amarezza. Forse, vergogna.
L’altro riprese ad avanzare
piano, misurando attentamente i passi.
“Solo parlare”.
Il finlandese fece una
risatina amara.
“Parlare? Ma se nemmeno
volevi conoscermi… ”.
Matthew chiuse gli occhi, e
scosse la testa. Avanti, si disse.
“Sono qui per… ”.
Strinse una mano a pugno.
Subito al punto, continuò a ripetersi. Muoviti, Bellamy.
“Beh, è che… mi dispiace”,
disse infine, rialzando le ciglia. Non era stato difficile, in fondo. Però era
forse la terza volta nella sua vita che si scusava così… esplicitamente,
con qualcuno. L’ultima era stata con una ragazza. O con Dom? Mah.
“Non volevo che ascoltassi
quella conversazione. Ho detto quello che ho detto… soltanto per esasperazione.
Non dicevo sul serio. E’ che Morrissey è davvero… ”.
Si bloccò. Restò con la
bocca spalancata per un paio di secondi, quindi fece un lungo sospiro. Gli
angoli delle sue labbra sottili si allargarono sarcasticamente. Un accenno di
ironia pungente, di quelle che si tirano fuori con la voglia di deridere, magari
con un po’ di cattiveria. Per prendere in giro gli attori più penosi che si
hanno davanti, ma non solo. Perché, in quel momento, l’unico a star mettendo in
scena una farsa era proprio Matt Bellamy. Matt, a rivolgere a se stesso quella
curva maligna e divertita.
Spinse il palmo di una mano
contro la propria fronte, mentre le dita raccoglievano pochi ciuffi di capelli
stringendoli con forza. Volevi dare la colpa a quel vecchio gay?, pensò,
aggrottando con rabbia le sopracciglia. Sospirò ancora.
“Sono patetico. E cerco
soltanto dei modi per difendermi”, riprese a voce alta, riportando il braccio
lungo il corpo. “L’ho sempre fatto, in realtà. Sai, non sono molto bravo a
portare avanti dei… cambiamenti. E’ che cerco di cambiare da una vita, ma
senza… molti risultati. E così continuo ad avere paura, dietro alle mie
maschere”.
A quella frase, Lauri piegò
il viso. Il suo profilo surreale, pallido e marcato, contrastava nettamente
contro il bianco sporco dei container oltre la rete.
“Ma nelle tue canzoni… ”.
Non continuò subito, ma stette qualche secondo a pensare. “La… racconti. La
paura, dico”.
Al di là della struttura
del Flippaut, la gente prese improvvisamente a gridare più forte. Lauri voltò
con lentezza il viso verso l’arena. Morrissey aveva, probabilmente, appena fatto
il suo ingresso sul palco.
Attesero entrambi. Il
brusio del pubblico, insieme alla voce atteggiata dell’ex membro degli Smiths e
ai primi accordi della band che lo accompagnava, riempì quasi piacevolmente il
silenzio che aveva seguito le parole di Lauri. Poi, una volta che il collega
ebbe cominciato con il primo pezzo, Matt riprese a camminare fino a raggiungere
il ragazzo. Si appoggiò con la schiena alla maglia metallica della rete, accanto
a lui, quindi affondò le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Sono proprio quei testi le
mie maschere. La musica li culla, li rende più dolci, e consola chi sta come me.
Le note… loro, si intrecciano alle frasi, ad ogni singola lettera. La paura
rimane imprigionata, e… ed è più semplice, così”, mormorò malinconicamente,
gettando uno sguardo a Lauri. “E’ per questo che faccio musica. Per stare
meglio. Per poter trovare una via di salvezza, tutte le volte in cui ammetto
cosa mi spaventa”.
Il giovane finlandese restò
in silenzio. Ricambiò lo sguardo di Matt con uno ancor più sfuggente, come
intimorito. Poi, sorrise. Un sorriso lieve.
“Io ti ammiro, e… ammiro i
Muse”, disse alla fine con un filo di voce, tornando con gli occhi davanti a sé.
“Ma non voglio la tua riconoscenza, per questo. Che tu mi dica che anche la
musica che faccio io ti piace. O che io, ti potrei piacere”. Tentennò qualche
istante, e spostò lo sguardo a terra. “E’ che… quello che ha detto quel tipo è…
vero. Sono bisessuale, ma questo non vuol dire che sarei capace di portarmi a
letto tutti quelli che ammiro. So che tu hai una ragazza, e che non sei come me.
Insomma, non ci avrei mai nemmeno provato. Cioè, non significa che tu non mi
piaccia, anzi, ma… ”.
Fece un lungo, esasperato
sospiro. Appoggiò la fronte alla rete, sorreggendosi con le dita delle mani
strette intorno all’incrocio dei fili. Matt abbassò gli occhi blu sull’erba,
incapace di nascondere l’imbarazzo.
“Io credo… di non essere
bravo a parlare, invece”, rise allora Lauri, notando i movimenti nervosi del
vocalist inglese. “Non volevo metterti ancora a disagio. Ma quello che hai detto
prima, credo che… beh, c’entri con il perché tu, per me, sei tutto”. Fece una
pausa, ma soltanto per trovare la maniera migliore per descrivere quello che
provava. Quello che provava da sempre. “Quando sei sopra ad un palco…
ecco, non riesco a… staccarti gli occhi di dosso. E quando ascolto la tua voce,
è lo stesso. Non c’è nient’altro, nella mia testa”.
Lauri si voltò, imitando la
posa di Matt. La maglia metallica tremò leggermente nel momento in cui si
riabbandonò contro di essa.
“Quando canti… sei capace
di salvarti, ma soprattutto di salvare”.
A quell’ultima frase, il
leader dei Muse increspò le labbra. Guardò il collega, che aveva sollevato il
viso al cielo.
“Tutti quelli che fanno
musica sono come me. Come noi”.
“No, non è vero”.
Il ragazzo dai capelli
corvini, ornati di lunghe piume nere, ripuntò serio gli occhi su di lui.
“Tu… hai trovato il tuo
equilibrio nella musica. L’hai sempre detto, no? Ed io ti posso assicurare… che
si vede. Si sente. Lo sento io, e lo sentono i tuoi fan”, mormorò,
continuando a fissarlo. “Lo esprimi, e… lo trasmetti in ogni singola nota. Parli
della fede, dell’amore, della speranza, del perdono… insieme alla paura e
all’inquietudine, certo, ma facendole seguire sempre da quella fiducia di chi sa
che poi… c’è la pace. Dopo il rumore della tempesta, ed il silenzio del dolore.
Chi ti segue lo sa, e non può fare a meno dei Muse, di te, per questo.
Arrivati alla fine di un concerto sono tutti salvi, sotto al palco. Assolti
dalle loro colpe, da ogni peccato. Grazie a te, ed insieme a te”.
Una folata di vento, fresca
e breve, investì entrambi. Il giovane inglese venne percorso da un brivido, ma
non portò le braccia nude intorno all’esile busto per proteggersi. Socchiuse
invece gli occhi.
“Lauri… ”.
“Io invece non ce l’ho
fatta, Matthew”.
Il ragazzo finlandese
sorrise con tristezza. Si morse un labbro, tornando a guardare il prato per non
mostrare all’altro i propri occhi chiari, lucidi.
“Non ho ancora trovato il
mio equilibrio. Non ho ancora trovato un modo per salvarmi, né le risposte alle
mie domande. Da vari anni, ormai, le cose non vanno. E anche se canto, non trovo
conforto da nessuna parte. Più mi giro e cerco… più cresce la mia confusione”.
Si asciugò velocemente una
lacrima. Matt seguì quel movimento, maledicendosi per la sua assoluta incapacità
di fare qualcosa di intelligente in casi del genere. Era un buon ascoltatore, ma
spesso, molto spesso, si fermava lì. Chris, invece, era il migliore quando si
trattava di trovare le parole giuste per tirare su il morale alla gente. Chi
sapeva fare il buffone, e far ridere fino alle lacrime, era naturalmente Dom.
Loro tre, in effetti, si erano sempre compensati a vicenda.
Deglutì un paio di volte,
cercando di allontanare il fastidioso eco della voce di Morrissey dalle
orecchie. In quel momento stonava decisamente. Con la coda dell’occhio tornò sul
collega. Già, lui era stato fortunato ad incontrare Chris e Dom. Ed era stato
fortunato a ritrovare se stesso nella musica. Una volta, però, stava esattamente
come Lauri. O forse, anche peggio…
Ricordò improvvisamente
l’articolo su quella rivista italiana. Le impressioni del giornalista che aveva
intervistato il leader dei Rasmus, e le risposte, le parole piene di tristezza
del vocalist. Il significato che dava ai testi del suo ultimo album. La
sofferenza contenuta in quelle parole, simbolo di lutti e perdite che Lauri non
era mai riuscito a superare…
Un ultimo verso, e anche il
secondo pezzo di Morrissey terminò. Applausi, e grida nell’aria umida di
Bologna. Matt si sfiorò la gola con le dita, sentendo qualcosa stringere.
Deglutì ancora, poi riabbassò il braccio.
“Sono stato… per molto
tempo, confuso anch’io”, disse piano. “So cosa significa. E l’unico consiglio
che posso darti è… di continuare a cantare. Di non smettere mai”.
Lauri non disse nulla per
un po’. Aspettò che Morrissey riprendesse col terzo brano.
“E… continuare a cercare,
anche?”, domandò.
Matt sorrise.
“Spesso le risposte
arrivano da sole. Alcune volte non serve guardarsi intorno”, spiegò. “Se si
impiega troppo tempo a pensare, a guardare al passato, si lasciano andare molte
occasioni. E se c’è una cosa che ho capito in questi anni, qualcosa che capisco
sempre di più, tutte le volte che canto davanti a migliaia di persone, è che la
vita è maledettamente troppo breve… ”.
Si staccò dalla rete. Fece
qualche passo sull’erba, e con le mani nelle tasche dei pantaloni si voltò di
lato. Lauri, adesso, vedeva i lineamenti di Matt confondersi con le prime ombre
della sera.
“Ogni momento va usato.
Tutto va fatto nel momento in cui ne hai la possibilità. Per non avere
rimpianti”.
Il finlandese, a quelle
parole, aprì leggermente le labbra. Le richiuse. L’altro gli lanciò un’occhiata,
e i due rimasero a fissarsi per qualche secondo, muti.
“In your
world, no one is crying alone.
In your world, no one is
dying alone… ”,
accennò poi d’un tratto Lauri, a voce bassa. Scosse la testa con un sorriso e
Matt, sentendo quella citazione, distolse gli occhi da quelli del collega. La
smorfia impacciata che comparve sul suo viso squadrato assomigliò vagamente ad
un sorriso di risposta.
“Grazie”, disse infine il
vocalist nordico. Fece qualche passo verso il ragazzo del Devon, senza smettere
di sorridere. “Ora avrò una ragione in più per stimarti, Matthew Bellamy.
Sempre”.
Il leader dei Muse sfuggì
ancora alla sua occhiata riconoscente, dissimulando la nuova ondata di imbarazzo
con uno sguardo veloce al cielo scuro.
“Devo… raggiungere Chris e
Dom, ora”, disse, facendo finta di non aver sentito le sue ultime parole. “Tra
poco tocca a noi, ed io… beh, devo ancora mettermi qualcosa addosso”.
Lauri comprese
perfettamente. Annuì, senza riuscire a stringere la linea serena delle labbra,
né a mandar giù il nodo che aveva in gola.
“Vi guarderò dal
backstage”.
Un attimo di silenzio.
“Bene”.
Matt iniziò ad allontanarsi
di spalle, lentamente. Fece qualche metro, poi si bloccò. Si girò di poco. La
pelle chiara della sua schiena disegnava un rettangolo bianco nel buio, ed il
suo profilo uno spicchio irregolare, indefinito.
“I'll
comfort you my friend… helping you to blow it all away… ”, cantò con voce
gentile. Restò
immobile, poi si voltò di nuovo. Scomparve in pochi secondi oltre il prato.
Le note aleggiarono
nell’aria a lungo. Lauri si lasciò scivolare lungo la rete, sedendosi a terra
con le ginocchia divaricate. L’erba era umida, ma quando i suoi pantaloni
iniziarono a bagnarsi di pioggia caduta lui non ci fece caso. Guardò invece
l’orologio al polso. Sorrise. Pensò di non averlo mai fatto così tante volte in
poche ore.
Un vento leggero, che
sapeva di aria pulita, riprese a soffiare. Morrissey cantava ancora, ma la notte
nuvolosa di Bologna aspettava i Muse.
Un’ora più tardi
“Iniziavamo a credere di
dover suonare da soli, stasera”.
Chris pronunciò quella
frase con tono ironico, appoggiato da un’occhiata complice di Dom. Seguirono con
lo sguardo la camminata nervosa di Matt che emergeva dai livelli inferiori del
backstage fino al momento in cui il ragazzo si fermò davanti alla fila delle sue
inseparabili chitarre, allineate con meticolosa precisione insieme al resto
della strumentazione. Solo allora il vocalist inglese alzò gli occhi blu sugli
amici mentre, con un’alzata di spalle e l’aiuto di una mano, sistemava intorno
al collo il bavero della giacca gessata che si era appena infilato sopra ad una
maglietta rosa della Diesel.
“Lo so, lo so”, disse con
un sospiro. “Sono in ritardo. Ci ho messo un po’ per vestirmi”.
“E sei stato davanti allo
specchio tutto questo tempo per alla fine scegliere… quella?!”, esclamò
Dom, indicando la t-shirt indossata dall’altro. “Forse dovresti prenderti altri
cinque minuti per ripensarci. Questa tua fase per le magliette pacchiane è
preoccupante. Mi chiedo quando finirà”.
Matt allargò le labbra, ed
inclinò la testa. Portò le dita ai bottoni della giacca, allacciandoli sul
ventre.
“E’ cool. E dire che
sei stato tu il primo a dirmi che era così che ci si doveva vestire, quando
eravamo al liceo… ”.
“Già. Ma poi hai fatto
tutto da solo reinterpretando a modo tuo i miei preziosi consigli… ”.
“Mh, com’è giusto direi. Lo
sanno tutti che il mio gusto è nettamente superiore al tuo”.
Chris, accanto a loro,
imbracciò il basso ridendo. Dom si voltò invece per recuperare un paio di
bacchette, ma quando tornò a guardare Matt le sue sopracciglia si aggrottarono.
Serrò le mascelle.
“Con… Lauri?”, chiese,
semplicemente. Non aveva intenzione di scherzare, questa volta. Questa volta,
per Matt, non si trattava di qualcosa su cui ridere. E Dom lo sapeva.
Il leader dei Muse, però, a
quella domanda prese tra le mani una delle sue chitarre, per la precisione
quella che gli sarebbe servita per il primo brano della scaletta di quella sera,
quindi restò il silenzio a fissarla.
“Dopo”, mormorò dopo un
po’, calmo. “Adesso pensiamo alla serata”.
Chris guardò Dom. Un
tecnico del suono li chiamò, ed il bassista si allontanò qualche momento a
parlare con lui. Solo allora, dirigendosi verso l’altro lato del palco, i
restanti membri dei Muse notarono Morrissey che, fermo, li stava fissando
appoggiato ad un’impalcatura.
“Mi ero dimenticato di
dirtelo, ma a quanto pare… ”, bisbigliò il batterista, inclinando
improvvisamente il viso verso l’orecchio dell’amico e continuando a camminare al
suo fianco. “… a Morrissey non è andata giù che fossimo noi gli headliner del
Festival. Insomma, la seconda posizione gli ha dato parecchio fastidio. Mi hanno
detto che durante la sua esibizione ha preso per il culo alcuni nelle prime
file… che chiamavano noi”.
Matt chiuse gli occhi per
un istante, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
“Ignoralo”.
Sussurrò quella parola
proprio nel momento in cui l’ex membro degli Smiths, ormai vicino, incrociava le
braccia al petto, prendendo ad osservarli con sufficienza.
“I grandi Muse alla
conquista del Flippaut… ”, disse. Ridacchiò in quel suo modo estremamente
fastidioso, e squadrò un’altra volta Matt. “Che eleganza, tesoro. Quella giacca
si sposa perfettamente col mio stile. Mh, saremmo stati proprio perfetti,
insieme sul palco. Sai, credo che avresti dovuto riflettere meglio sulla mia
proposta… ”.
Il ragazzo del Devon fissò
l’uomo, gelido. Si mise la chitarra a tracolla.
“E’ meglio che tu te ne
vada”, gli intimò.
L’altro si limitò ad
allargare il sorriso insopportabile che aveva sulle labbra. Le socchiuse, ma
quando sembrò star per replicare la sua attenzione fu catturata dalla figura di
Lauri, apparsa alle spalle di Matt e Dom.
Quando si rese conto del
clima che c’era nell’aria, l’espressione entusiasta che il ragazzo nordico aveva
sul viso si spense. Il leader dei Muse si girò verso di lui, e Lauri lo fissò
senza capire. Dominic strinse le bacchette nella mano, osservando preoccupato
entrambi. Dietro di loro arrivò Chris. Si fermò poco più indietro, in silenzio.
“Non guardarlo con quel
faccino abbattuto, finlandese”, disse allora Morrissey, rivolgendosi al vocalist
dei Rasmus con tono di scherno. “Tanto Matt non te lo darà… ”.
Lauri strinse le labbra, e
spostò gli occhi per terra. L’uomo ridacchiò, senza dare a nessuno dei presenti
il tempo di aprir bocca per rispondere.
“Già, quasi dimenticavo che
il nostro Matthew è un… mhh, omofobo”, proseguì infatti, tornando con lo
sguardo sul ragazzo inglese e sottolineando con forza l’ultima parola. “Dimmi,
vuoi che me ne vada per questo? Forse non sono… abbastanza uomo per
assistere al vostro concerto? O forse non sopporti l’idea che un sacco di gente
se ne sia andata dopo la fine del mio show?”.
L’arroganza di quelle
parole entrò nella testa di Matt insieme ad un’immediata, insostenibile
irritazione. Lanciò di nuovo un’occhiata a Lauri che, mortificato e sicuramente
pieno di vergogna per quello che aveva detto Morrissey, si era appiattito contro
il retro del palco tenendo gli occhi bassi. A quella vista, il vocalist dei Muse
strinse la mano intorno al manico della chitarra che aveva tra le braccia,
aumentando la pressione sulle corde fino a quando non iniziò a sentire dolore.
Fece un profondo respiro, tentando di contenere la rabbia.
Perché, questa volta,
Matthew Bellamy si era proprio incazzato.
“A dire il vero, ci sono
delle cose che non sopporto, sì… ”, mormorò con tono calmo ma venato di sprezzo.
“Non sopporto chi canta per esibizionismo, e con l’unico obiettivo di gonfiare a
dismisura il proprio, patetico ego. Chi sceglie di stare al centro
dell’attenzione solamente per sentirsi superiore al resto del mondo, e non per
condividere qualcosa. Chi si crede sempre primo, e non ha nessun interesse nel
guardarsi intorno per imparare quello che non sa. Per imparare cosa significa
essere umili”.
Il ragazzo fece una pausa.
Tutt’intorno a lui si era fatto il silenzio più totale. Anche i tecnici e gli
organizzatori del festival lo stavano fissando, muti, così come Eero, Aki e
Paul, gli altri membri dei Rasmus. Più indietro, gli HIM e gli Zutons
bisbigliavano tra loro.
Dominic e Chris guardarono
Lauri, che durante il discorso di Matt si era messo seduto su una cassa degli
attrezzi. Aveva rialzato la testa, e stava osservando il vocalist sbalordito.
Questi riprese allora a
parlare, facendo prima una piccola, debole risata.
“Gente come te, Morrissey”,
sentenziò. “Presuntuosa, che vede solo se stessa e non chi sta oltre il palco. E
questo… non è cantare”.
L’uomo si staccò
dall’impalcatura. Sciolse l’incrocio delle proprie braccia con lentezza,
spalancando incredulo la bocca. Rimase una manciata di secondi a cercare invano
le parole per ribattere, balbettando una serie infinita di sillabe
incomprensibili, ma Matt si voltò prima di vedere la fine di quel penoso
tentativo.
Dom cominciò a ridere,
seguito da alcuni ragazzi della troupe tecnica. Il vocalist inglese recuperò un
plettro dalla tasca della giacca, quindi si girò un’ultima volta di tre quarti
verso Morrissey.
“Ah… quelli che se ne sono
andati, probabilmente dei bei ragazzi sui trent’anni… ti staranno certamente
aspettando fuori. E qualcosa mi dice che stanotte conoscerai meglio molti di
loro”. Sorrise sardonico. “Mmh… almeno ti consolerai per come ti è andata con
me. Sta’ allegro, Morrissey. I fan che chiederanno il tuo… autografo, non
mancheranno mai”.
E mentre altre risatine si
alzavano, divertite, nel backstage ormai pronto per dare il via all’ultimo
concerto della serata, l’ex membro degli Smiths seguì con gli occhi sgranati i
movimenti di Matt. Lo vide avvicinarsi deciso a Lauri, per poi chinarsi su di
lui. Inclinare il viso, di poco. Posare, languidamente, le labbra su quelle del
giovane finlandese, sfiorandogli il mento con le dita per attirarlo a sé. Il
tutto, sotto gli occhi shockati dei presenti.
“… questo concerto è per
te”.
Fu quella l’unica cosa che
il ragazzo del Devon sussurrò al collega quando si scostò da lui, un attimo
prima di raggiungere l’ingresso del palco con una camminata veloce.
Lauri restò immobile per un
po’. I grandi occhi verdi spalancati fissarono il vuoto per alcuni secondi, poi
si chiusero un paio di volte, accompagnati da un sorriso commosso. Morrissey,
pochi passi più in là, sfoggiava un colorito ormai indefinibile.
Matthew arrivò a pochi
passi dal palco. Si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa col suo
mezzo, ironico sorriso nel momento in cui sentì qualche applauso entusiasta
provenire dalle proprie spalle. Rialzò lo sguardo color del cielo, ritrovandosi
accanto Dom e Chris. Nemmeno quando notò le loro facce sconvolte smise di
sorridere.
“Allora, siamo pronti?”.
“Sì, ma… ”, balbettò Dom.
“Non vorremo mica farli
aspettare ancora?”, lo interruppe allegro Matt facendo un cenno con la testa in
direzione dell’arena, da cui si alzò un boato nel momento in cui le luci si
spensero. “Avanti, muoviamoci!”.
Detto questo superò i due
amici, sparendo fra le ombre che avvolgevano il palco. Il batterista richiuse
piano la bocca, voltandosi verso Chris.
“Questa volta… ecco, come
dire… la lingua c’era davvero… vicina”.
L’altro annuì, accarezzando
con le dita le corde del basso.
“Vicinissima”.
Il biondo inglese fece un
piccolo, sconsolato sospiro. Provò le bacchette su delle assi di legno posate su
dei tubi di ferro. Scosse la testa.
“Se lo sapevo prima… ah, ci
avrei provato sul serio con lui per tutti questi anni, cazzo!”.
“Mhh, che ci vuoi fare… il
nostro Matt è un ragazzo dalle mille sorprese”.
“Quindi dici che se qualche
volta gli chiedo di stuprarmi selvaggiamente, ci sta?”.
Dom guardò speranzoso Chris,
e quello gli lanciò un’occhiata divertita.
“Credo sia più probabile
che ti arrivi qualche altra chitarra in testa, sai?”.
“Mi sa anche a me”.
Ridacchiarono, e corsero
sul palco.
*
Buio, fumo, attesa.
L’aria fresca della sera,
mischiata all’adrenalina che sale.
Secondi che scorrono,
interminabili. E alla fine, finalmente, la luce.
“Ciao, Bolognaaa!”.
Come risposta, un’unica
voce dal pubblico. Potente. Calda.
Dei primi accordi, vaghi.
Il tempo della partenza, scandito dalle bacchette di Dominic Howard.
Poi, Hysteria.
« … ’cause
I want it now
I want it
now
give me
your heart and your soul
I'm not
breaking down
I'm
breaking out
last chance
to lose control
And I want
you now
I want you
now
I'll feel
my heart implode
I'm
breaking out
escaping
now
feeling my faith erode…
»
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