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Veleno.
Qualcosa di rugginoso e rauco risalì dal petto e gli
attraversò la gola, soffiando il sapore del sangue e
l'irruenza
del vento, un sollievo pacato e misero che prima attenuò e
poi
affilò il pulsare sordo delle gengive insanguinate.
Socchiuse le
labbra spaccate, e dita di quella polvere che gli velava il volto
tumefatto sgusciarono all'interno, aria satura di zolfo premette le
ferite spalancate nella bocca. Qualcosa di rugginoso e rauco. Una
risata.
Non era divertito. Non trovava nulla di divertente nel lago di sangue
che impastoiava le sue gambe. Era stanco, ma rise lo stesso: non seppe
bene se fece bene o male. Forse non gli importava
già
più. Ormai i nervi erano difese inutili, allarmi lisi e
sfibrati, un ammasso di cavi spezzati incapaci di avvertire oltre il
rogo spanto sulla pelle. Il sangue pioveva e ruscellava copiosamente da
ogni strappo su quella pelle su cui troppi denti si erano accaniti, ma
non riusciva più a distinguerne nè il colore
nè
l'odore al tramonto della vita troppo lunga del suo regno ingrato.
Sapeva che, se avesse allungato il piede un po' più a
destra,
avrebbe colpito la testa decapitata di Odino -re strappato alla corona
con la guerra impressa nei lineamenti di vecchio. Heimdall si spegnava
lentamente disteso davanti alle porte che aveva difeso per sempre, fino
a fare parte egli stesso di quelle assi maledette, mormorava preghiere
dalle parole dimenticate alla sua terra rossa, madre e sudario, mentre
una spada diffondeva torpore eterno nelle sue vene presciugate di
sangue. Loki spirava tossendo le sue colpe a terra, spuntando risate
sguaiate che troppe volte avevano fatto tremare i fanciulli di Asgard
al calar delle tenebre, e dove i suoi peccati gocciolavano il terreno
anneriva; il male moriva con Asgard, troppo sporca per guarire, in
attesa di rinascere dalle sue ceneri in un'epoca
migliore. Thor non
piangeva i suoi compagni, non s'impietosiva per i suoi nemici, e non ne
sentiva nemmeno il desiderio. Non c'erano più compagni
nè
alleati, lì, solo morti. I ricordi non si affacciavano alla
sue
mente, l'affetto non logorava il suo animo consumato: era finita la
guerra, era finito il lutto, tutti avevano già pianto
abbastanza
per chiunque. Adesso bisognava solo morire. Quasi una consolazione,
quel permesso d'abbandonarsi, di gettare le armi troppo pesanti e
chiudere gli occhi davanti ad uno scempio che non aveva
nè
avrebbe avuto precedenti. Si sentiva un bambino, Thor, un bambino che
vuole dormire e chiudere i mostri nell'armadio. Era un tempo giunta per
lui l'ora di perdere, l'ora di accettarlo, l'ora di combattere, l'ora
di rialzarsi, l'ora di vincere e l'ora d'essere glorificato. Adesso il
destino non aveva più tempo da dargli. Thor il guerriero era
pronto alla resa.
Non si voltò a guardare il corpo straziato del nemico a cui
aveva chiuso gli occhi. Jormundgard aveva rincorso il proprio destino
come chiunque, e non c'era rabbia nei suoi confronti: solo parole
già scritte tutte quelle ferite che non facevano
più
male. E poi la rabbia l'aveva dimenticata.
Assaporò la vittoria con la soddifazione placida e
malinconica
di un lettore giunto alla fatidica ultima pagina; non era la morte ad
appagare i suoi sensi ma la certezza eterea di aver concluso degnamente
un'opera davvero lunga. Poi lo sentì scorrere dentro di lui,
dalla consistenza e lo spessore di un serpente, il veleno che stava
chiudendo quel capitolo per l'eternità, lo sentì
scorrere
e lo lasciò fare con pacata indolenza. Sorrise
selvaggiamente,
assalito da uno spasmo insistente di vita, come se il suo corpo
s'impuntasse nello stringerla e trattenerla il più a lungo
possibile.
Poi svanì e lui ricadde su quella terra tanto familiare. La
sua
mano incontrò quella di Sif e percepì l'anello
che
sanciva il loro amore nel suo anulare.
Non avvertì dolore, solo gioia, la gioia salda ch'aveva
ricavato
dalle uniche cose belle e sane in quel mondo infame; il volto radioso e
paralizzante di sua moglie, il brìllio vivace nello sguardo
dei
suoi figli, il calore dei loro piccoli corpi la prima volta che li
aveva stretti in braccio, la sicurezza calda e rinfrancante che la sua
famiglia ci sarebbe sempre stata anche quando tutto il resto sarebbe
sparito. Ed era vero.
Tutto spariva e loro erano ancora lì,
vivi, veri. Era amore ciò che avvelenò le membra
di Thor,
che sgretolò i suoi muscoli d'acciaio e fermò il
suo
cuore al di sopra della paura: non veleno.
Note dell'Autrice: Tutto qua, niente da aggiungere. ^-^ Grazie per
avere letto e spero mi farete sapere cosa ne pensate!
Lucy
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