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Disclaimer:
Tutti i personaggi di questo racconto, a parte Meredith
St.Clair/Medusa, che è una mia creazione, appartengono a Stan
Lee e Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox. Io
li ho solo presi in prestito per un po’.
Come ho scritto nel riassunto, in questo racconto si parla di aborto. O
meglio, delle scelte a cui una persona si trova davanti quando ha a che
fare con una gravidanza non programmata. Dopo un lungo dilemma
interiore, ho deciso di non
scegliere il rating rosso perché, in tutta onestà, non ho
scritto niente che giustifichi un rating così alto. Non mi
sembra che questo racconto contenga nulla di offensivo o provocatorio, ma capisco
che è un tema di cui qualcuno potrebbe non voler sentir parlare.
Mi sembra giusto mettere le carte in tavola prima, anche se questo
significa dare qualche anticipazione sul racconto.
Bene, sistemata questa questione possiamo passare a cose più
leggere. Come forse qualcuno si sarà accorto, “Winning a
Battle, Losing the War” è il titolo di una canzone dei
King of Convenience. Mi sembrava carino continuare con la
“tradizione” inaugurata da “Into the Fire” e
usare anche per questo racconto il titolo di una canzone.
Spero che questo racconto vi possa piacere. Ora basta con le chiacchiere, passiamo ai fatti!
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La luce del sole nascente illuminava la stanza numero 109 del motel
Stardust, appena fuori Philadelphia. Indumenti di vario tipo erano
sparsi alla rinfusa sul linoleum verde bottiglia del pavimento, e una
valigia ancora mezza piena era abbandonata aperta ai piedi
dell’armadio, sul fondo della stanza. Accanto alla porta
c’era quello che sembrava essere una pesante zaino da campeggio
nuovo di zecca, già colmo di tutta l’attrezzatura
necessaria. Su un tavolino accanto alla finestra giacevano una serie di
passaporti di varie nazionalità, mazzi di chiavi, bigliettini
strappati via da angoli di quaderni con appuntati indirizzi e nomi, un
pacchetto di chewing-gum e uno di sigarette, accanto ad uno Zippo con
il disegno di uno squalo.
Un ragazzo biondo dormiva a pancia in giù sul letto
matrimoniale, occupandone la metà di destra. Nell’altra
metà il letto era sfatto e le lenzuola erano gettate indietro,
come se il suo occupante si fosse alzato in fretta e di nascosto.
Dietro la porta del bagno, Meredith St.Clair, che aveva passato gli
ultimi quattordici mesi con il nome di Medusa, camminava nervosamente
avanti e indietro davanti al mobile del lavandino, gli occhi fissi
all’orologio che vi era posato sopra con il quadrante rivolto
verso di lei. Accanto all’orologio c’era quello che
sembrava essere un lungo e sottile bastoncino di plastica bianca.
La lancetta dei secondi ticchettò, e Medusa cominciò a
rosicchiarsi l’unghia del indice sinistro. Erano almeno dieci
anni che aveva smesso di mangiarsi le unghie, ma quella era
un’occasione particolare. La lancetta dei secondi si mosse di
nuovo. Tac.
Settantanove... Settantotto...
Medusa arrivò di nuovo fino alla doccia, troppo lontano per
vedere a che punto fosse la stramaledettissima lancetta dei secondi,
poi tornò in fretta sui suoi passi. Si fermò davanti
all’orologio e fissò la lancetta. E muoviti, schifosa, pensò. Tac.
Settanta...
Passò a mangiarsi l’unghia del pollice. Fece un paio di
passi verso la doccia, poi si sentì improvvisamente una stupida
per quel ridicolo balletto e si sedette bruscamente sul water, proprio
davanti all’orologio. Tac.
Sessantaquattro... Sessantatre...
Sbuffò e, senza accorgersene, cominciò a battere nervosamente il piede sul pavimento freddo. Novanta secondi. Cristo santo, non possono essere così lunghi. Si tratta di un misero minuto e mezzo.
Afferrò l’orologio e lo guardò attentamente, come
se cercasse di capire se si stesse prendendo gioco di lei. La lancetta
dei secondi rimase ferma tremante al suo posto, come se volesse
rifiutarsi di procedere. Tac, disse infine.
Medusa gettò l’orologio sul mobile, furiosa, e si
alzò di scatto. Poi si ricordò che doveva fare piano, che
per nessun motivo al mondo doveva svegliarlo, e guardò con ansia
la porta del bagno, cercando di carpire un qualsiasi rumore che potesse
provenire dalla camera da letto. Non sentì nulla, e dopo qualche
secondo ricominciò a camminare avanti e indietro.
Cinquanta... Quarantanove...
Scorse di sfuggita la sua immagine nello specchio del bagno e quello
che vide non le piacque per niente, una ragazza con i capelli castano
ramato raccolti in una coda mezza sfatta e il viso grigiastro per il
nervoso. Sembrava malata. Ma se non altro, pensò con un certo sollievo, di certo non sono ingrassata. Di
colpo si sentì irritata dall’inutilità di quel
pensiero, e si portò alle labbra l’unghia
dell’indice destro. Tac.
Trentatrè... Trentadue...
Ormai mancava poco. Mezzo minuto non era poi così tanto, no? Tra
poco sarebbe finito tutto. L’ansia, i sotterfugi, la
preoccupazione. Sarebbe sparita ogni cosa e lei avrebbe potuto tornare
alla sua vita normale, senza più angosce e paure e notti insonni
passate a fissare il soffitto. Sarebbe passato tutto.
Ventuno... Venti...
Si sedette nuovamente sul water, poi si alzò, poi si sedette di
nuovo. Si guardò intorno, passando velocemente in rassegna le
piastrelle bianche, i sanitari di porcellana a buon mercato e il mobile
di legno laccato, con la vernice che ormai si scrostava attorno al
lavandino, dove veniva più spesso a contatto con l’acqua.
Afferrò l’orologio che vi giaceva sopra.
Sette... Sei...
Il cuore cominciò a martellarle nel petto e la lancetta dei
secondi, che fino a qual momento aveva proceduto con una lentezza
esasperante, tutto di un tratto si mise a correre come un ossessa.
Medusa trattenne il respiro e senza nemmeno accorgersene scattò
in piedi, elettrizzata e atterrita allo stesso tempo.
Tre... Due... Uno...
Tac.
Medusa si scagliò in avanti e afferrò il bastoncino di
plastica bianca che fino a quel momento se ne era rimasto trascurato e
dimenticato sul mobile. La sua superficie era liscia e intatta, senza
nessuna finestrella scavata nella plastica. Confusa, si accorse che era
sottosopra e con le dita che le tremavano lo girò.
Blu.
Medusa fissò la finestrella sul bastoncino, la bocca impastata e
asciutta, il cuore impazzito di paura. Chiuse gli occhi per un paio di
secondi, poi li riaprì.
La finestrella era sempre blu. Il test era positivo.
Le ginocchia le cedettero e lei si sedette sul pavimento freddo,
aggrappandosi al mobile con una mano per non cadere rovinosamente a
terra, la mano destra che stringeva ancora convulsamente il test di
gravidanza. Un singhiozzo le salì alle labbra e lei si
affrettò a soffocarlo con la mano libera. E’ positivo, è positivo, è positivo! le gridò il suo cervello. Cosa farai adesso? Cosa farai?
Senza che potesse opporvisi, grosse lacrime calde le riempirono gli
occhi fino ad offuscarle la vista, pronte a riversarsi a fiume sul suo
viso da un momento all’altro. Sapeva bene che se si fosse messa a
piangere in quel momento non sarebbe più riuscita a fermarsi.
No, le disse una voce risoluta
nella sua mente, proveniente, ne era quasi certa, dall’ultimo
centimetro quadrato del suo cervello che ancora non era stato invaso
dall’angoscia e dal terrore. Non
devi piangere. Cristo, sei già abbastanza nella merda senza che
ti metti anche a frignare. Sai che se ti metti a piangere farai un
casino d’inferno e sveglierai John, e il fatto che lui ancora non
sospetti niente è l’unico aspetto positivo di questa
faccenda. E anche se per un qualche miracolo non lo svegliassi, quando
avrai finito di piangere avrai tutta la faccia gonfia e gli occhi rossi
e il naso che gocciola, e lui si accorgerà subito di quello che
è successo e vorrà sapere perché piangevi. Quindi
datti un contegno e ricaccia subito indietro quelle lacrime.
Medusa annuì e si affrettò ad ubbidire, prendendo un paio
di profondi respiri ad occhi chiusi e tirando su col naso finché
non riuscì a riguadagnare il controllo di sé stessa. Ma
per quanto autoritaria e risoluta, la voce nel suo cervello non aveva
alcun potere sul suo stomaco, e un’ondata di nausea la travolse
con violenza, costringendola ad aggrapparsi al bordo del water mentre
conati di vomito la scuotevano dalla testa ai piedi.
Disgustata da sé stessa, strappò un pezzo di carta
igienica e si pulì la bocca, poi si alzò sulle gambe che
ancora le tremavano, tirando lo sciacquone con un movimento stanco.
Raccolse da terra il test di gravidanza, (Blu, blu, blu!
continuò a gridare una voce nella sua testa, ma Medusa la
ignorò) e lo infilò nel pacchetto degli assorbenti
insieme alla sua scatola e alle istruzioni per l’uso,
accuratamente piegate, poi sbattè il pacchetto nel suo beauty
case e lo richiuse. Se ne sarebbe liberata non appena John fosse
uscito. Prese il suo spazzolino, ci mise sopra un’abbondante dose
di dentifricio e cominciò a risciacquarsi la bocca.
La maniglia della porta si abbassò violentemente, e Medusa sobbalzò.
“Meredith, sei lì dentro?” chiamò una voce
maschile dall’altro lato della porta. Con un ultimo, frenetico
sguardo attorno per accertarsi che fosse tutto in ordine, Medusa
girò la chiave nella toppa e aprì la porta.
Pyro stava in piedi dall’altra parte con indosso solo un paio di
boxer neri, i capelli corti e biondi tutti arruffati e
un’espressione sonnolenta sulla faccia.
“’giorno...” biascicò chinandosi a baciarla.
“Mm, menta...” disse quando si staccarono, leccandosi le
labbra. Nonostante tutto quello che era appena successo, Medusa non
riuscì a trattenere un sorriso.
Pyro si appoggiò alla porta puntellandosi allo stipite con
l’avambraccio sinistro, e la guardò con gli occhi
socchiusi.
“Tutto bene?” chiese.
Il cuore di Medusa saltò un paio di battiti. “Sì,
sì, tutto bene.” rispose, il più convincentemente
che poteva. “Perché?”
Pyro alzò le spalle. “Non ti chiudi mai a chiave in bagno.”
“Scusa.” rispose lei, cercando di nascondere la tensione.
“Dovevo essere soprapensiero.” Appena la pronunciò,
Medusa si rese conto che era una scusa davvero pessima, ma con suo
grande sollievo Pyro non sembrò farci caso.
“Come mai in piedi a quest’ora?” le domandò,
ma non c’era traccia di sospetto nella sua voce; più che
altro, sembrava semplicemente curioso.
“Non riuscivo a dormire.” rispose Medusa, più rilassata.
Lui sorrise e le cinse i fianchi con un braccio. “Potevi
svegliarmi.” disse con un sussurro. “Avremmo sicuramente
trovato qualcosa di interessante da fare.”
“Non ne dubito.” rispose Medusa mentre lui si chinava a baciarla.
Mentre le labbra di Pyro si posavano sulle sue, sentì una fitta di rimorso stringerle lo stomaco. Bella ipocrita che sei. Hai appena scoperto di essere incinta di suo figlio e ti comporti come se niente fosse.
Il braccio di Pyro che era ancora appoggiato allo stipite si
spostò e la mano strinse uno dei suoi seni,
massaggiandolo attraverso la canottiera che indossava. Medusa gli prese
il mento nell’incavo della mano e gli spinse delicatamente la
testa indietro, ponendo fine al bacio.
“Prima fatti la barba.” disse con un lieve sorriso,
strofinandogli la guancia ispida con l’indice. “Dopo
vedremo.”
Pyro sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“E va bene.” rispose passando una mano tra i suoi capelli
ossigenati, imperitura memoria di quella notte in cui avevano giocato a
“verità o pegno” dividendosi una bottiglia di Jack
Daniels. Quando la mattina dopo Medusa gli aveva detto ridendo che non
avrebbe preteso che lui pagasse il suo pegno, se non se la sentiva,
Pyro era sceso al supermercato all'angolo ed era tornato con una
scatola di tinta bionda, troppo stupidamente orgoglioso per tirarsi
indietro da una sfida che aveva sottoscritto per gioco e da ubriaco.
Pyro entrò nel bagno sbadigliando e aprì il suo beauty
case, frugandoci dentro alla ricerca del rasoio. Medusa cominciò
a spogliarsi, intenzionata a farsi la doccia e lavarsi via di dosso
tutta l’angoscia e l’incertezza, e sì, anche quella
sensazione di sporcizia che si era sentita sulla pelle dal momento in
cui John era apparso sulla porta del bagno, assonnato e dolcissimo.
“Che stai facendo?” le chiese ad un tratto, fissandola come se non l’avesse mai vista prima senza vestiti.
Lei alzò le spalle, spiazzata dall’ovvietà della domanda. “Mi faccio un doccia.” rispose.
Pyro posò il rasoio sul lavandino. “Guarda che non puoi
fare così.” disse. “Non puoi negare il sesso al tuo
ragazzo e poi spogliarti nuda davanti a lui. E’ molto, molto
scorretto. E anche molto crudele.”
Medusa sorrise e si sfilò le mutandine. “Allora sbrigati a
farti la barba ed entra.” gli rispose chiudendo dietro di
sé le pareti scorrevoli della doccia.
****
Medusa rientrò in camera dal bagno dopo aver finito di
asciugarsi i capelli. John era mezzo sdraiato, mezzo seduto sul letto
disfatto, un cuscino sistemato dietro la schiena, e stava guardando il
notiziario alla tv.
...la Cura, che, come ha assicurato
Warren Worthington, presidente della Worthington Pharmaceutics,
è in grado di reprimere il genere mutante, sarà presto
disponibile gratuitamente in tutta la nazione, per ogni mutante che ne
faccia richiesta...
“Bastardi fottuti.” ringhiò Pyro.
Medusa lo raggiunse e si accoccolò accanto a lui nel letto, appoggiando la testa sul suo petto.
“Riguarda questo, l’uscita che tu e Magneto dovete fare stasera?” gli chiese.
“Penso proprio di sì.” rispose lui mentre le
grattava la schiena. “Non mi ha dato molti dettagli. Sai come
fa.”
“Sì, lo so.” Alzò la testa dal suo petto e lo
guardò. “Vuoi che venga anch’io?”
Pyro scosse la testa. “Naaa. Da quel che ho capito non
sarà niente di che. Si tratterà di imbucarsi ad una
riunione di mutanti e guardare le spalle al vecchio mentre cerca di
convincerli ad unirsi alla Confraternita. Niente di pericoloso o
eccitante.” Sorrise e indicò lo zaino da campeggio che
aspettava vicino alla porta. “E poi è meglio che almeno
uno di noi due si goda l’ultima notte in albergo. Da domani
è finita la pacchia.”
Medusa guardò lo zaino. “Se Magneto vuole che ci
trasferiamo tutti nella foresta significa che tra un po’ ci
sarà qualcosa di grosso.” disse, rivolta più a
sé stessa che a Pyro.
“Già. E’ diventato un filo paranoico, da quando
Mistica è stata catturata.” sbadigliò Pyro.
Medusa sorrise. “E’ vero, Mistica. E’ stata una vera
sorpresa sapere che si era fatta arrestare. Un genio come lei. Ed io
che avevo sempre pensato che avesse più tette che
cervello.” disse sarcastica.
Pyro scoppiò a ridere. “Sei una iena.” le disse, dandole un bacio.
Di nuovo Medusa si sentì sporchissima, e di nuovo ebbe voglia di
scoppiare a piangere. Per un istante fu sul punto di staccare le labbra
da quelle di lui e raccontargli del test di gravidanza che era
diventato blu, ma poi si trattenne. Non fare la vigliacca, la rimproverò la voce. Non c’è bisogno di far star male anche lui.
Pyro pose fine al bacio e le sorrise. “Fame?” le chiese, scostandole con delicatezza i capelli dalla fronte.
Medusa annuì. “Direi.”
Pyro sorrise di nuovo, afferrando al volo la sua allusione alla recente performance nella doccia, e si alzò dal letto.
“Che vuoi mangiare?” chiese mentre cercava le scarpe. “Il solito?”
Medusa annuì e si mise seduta a gambe incrociate sul letto.
“Sai, forse dovrei andare io.” disse. “I tuoi capelli
non passano esattamente inosservati.”
“I miei capelli vanno benissimo.” replicò lui
allacciandosi gli anfibi. “Perché? Cos’hai contro i
miei capelli? Sei stata tu a dirmi di tingerli.”
Medusa alzò gli occhi al cielo. “Ero ubriaca, John.”
Lui alzò le spalle. “E allora? Lo era anch’io.”
Medusa scoppiò a ridere. “No, tu eri perfettamente sobrio
quando sei andato a comprare la tinta. E’ questa la parte
più triste di tutta la faccenda.”
Lui frugò nel cassetto del comodino accanto al letto e
tirò fuori una specie di bracciale con attaccato un piccolo
lanciafiamme. Medusa lo guardò mentre se lo infilava al polso
destro.
“Nemmeno quel coso passa molto inosservato.” disse.
“E’ più comodo dell’accendino.” rispose Pyro con una alzata di spalle.
Il lanciafiamme era stato uno dei molti doni di Magneto. Quando erano
entrati nella Confraternita, Medusa e Pyro possedevano solo i vestiti
che avevano indosso. Magneto provvedeva a loro per qualunque
necessità: i documenti falsi, le stanze d’albergo in cui
dormivano, il cibo, i viaggi (negli ultimi quattordici mesi si erano
spostati con Magneto più o meno in tutto il mondo, in cerca di
nuove leve per la Confraternita), persino i vestiti e le sigarette. A
pensarci bene, anche il test di gravidanza era stato comprato con i
soldi della diaria mensile che Magneto corrispondeva loro. Si trattava
di cifre più che dignitose, ma andava detto che Pyro e Medusa
avevano sempre speso i soldi che ricevevano in maniera responsabile e
oculata.
Una volta Medusa aveva chiesto a Magneto da dove veniva tutto quel
denaro, dato che la Confraternita non aveva entrate, o almeno non aveva
entrate di cui lei fosse a conoscenza. Magneto le aveva sorriso con
dolcezza. “Non preoccuparti dei soldi, mia cara.” le aveva
risposto. “Considerali uno stipendio per i servigi che tu e Pyro
offrite alla Confraternita.” Medusa non aveva fatto altre domande.
Pyro raccolse un paio di jeans che giacevano sul pavimento, vicino alla
porta del bagno, e frugò nelle tasche in cerca del portafoglio,
senza trovarlo. Mormorando sottovoce qualche imprecazione, si mise a
cercare tra le cianfrusaglie che giacevano sparpagliate sul tavolino
accanto alla finestra. Alla fine trovò un biglietto da venti
dollari infilato in un passaporto canadese (Medusa vi figurava con il
nome di Claire Handersen) e se li infilò in tasca con un
espressione soddisfatta.
“Questa stanza fa schifo.” disse Medusa guardandosi in
giro. In ogni motel in cui soggiornavano allungavano sempre cinquanta
dollari alla cameriera perché si tenesse alla larga dalla loro
camera, ma l’effetto collaterale era che vivevano in un porcile.
“Fregatene.” rispose John mentre si infilava il giubbotto. “Domani ce ne andiamo.”
“Dobbiamo raccogliere le cose che ci servono. I documenti,
soprattutto.” disse Medusa, alzandosi dal letto. Forse si era
messa in piedi un po’ troppo velocemente, perché per un
secondo ebbe le vertigini e dovette appoggiarsi al muro per non cadere.
Fortunatamente Pyro stava sistemandosi i capelli davanti lo specchio
del bagno e non se ne accorse.
“Il resto lo possiamo lasciare.” continuò Medusa,
cercando di parlare con il tono più tranquillo e rilassato che
le riusciva. Le stava tornando la nausea e dovette sedersi di nuovo sul
letto.
Pyro aprì la porta della camera. “Sì, ma dobbiamo
ricordarci di distruggere quelle cose.” disse indicando i
foglietti scribacchiati sul tavolino accanto alla finestra. Sorrise e
alzò la mano destra, dove il lanciafiamme luccicava minacciosamente. “Ci penso io quando avremo finito di
fare colazione. E’ un po’ che non
uso questa bellezza.”
Medusa aspettò che i suoi passi si allontanassero in corridoio, poi corse in bagno e vomitò di nuovo. Almeno adesso puoi essere sincera con te stessa, si disse. Se
vomiti alla mattina, non c’è più bisogno che tu dia
la colpa alla cena che era avariata. E se hai il mal di testa e le
vertigini, non potrai più raccontarti che Magneto ti ha fatto
lavorare molto e sei esausta. Se hai la nausea e l’emicrania
è perché sei incinta, e ora non puoi più scappare.
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Quella sera, quando Pyro uscì per accompagnare Magneto alla
riunione, Medusa gettò il test di gravidanza nel bidone
dell’immondizia che si trovava nel cortile del motel, poi
tornò nella sua stanza e si spogliò nuda davanti allo
specchio del bagno, esaminando con attenzione il suo corpo.
Il seno le si era già ingrossato, non di molto, certo, ma era
gonfio e duro al tatto, e le faceva male. Le sembrò anche che le
areole avessero preso un colorito leggermente più scuro, ma non
sarebbe stata pronta a giurarci. Si soppesò i seni con le mani,
premendo delicatamente i capezzoli turgidi, ma rimosse immediatamente
la pressione quando sentì il dolore aumentare leggermente.
Massaggiò con attenzione attorno alle areole, cercando un
nodulo, ma poi pensò, sentendosi un po’ ridicola, che
probabilmente il dolore era dovuto alle ghiandole del latte che
cominciavano a gonfiarsi.
Si mise la mano aperta sul ventre, appena sopra il triangolo del pube,
e si accarezzò con attenzione la pancia. Non c’era alcun
dubbio. Si era arrotondata. Non c’era bisogno di guardare nello
specchio per vederlo; lo poteva sentire, senza alcuna
possibilità di errore, sotto il suo palmo.
Medusa guardò in basso la mano appoggiata delicatamente sul grembo. C’è davvero qualcosa dentro di me, pensò. Un piccolo, minuscolo, insignificante esserino che nuota e cresce nella mia pancia.
Cercò di immaginarsi come potesse essere, quel cosino
microscopico che se ne stava tutto rannicchiato dentro di lei, ma
proprio non aveva idea di che aspetto avesse. Deve essere proprio qui, si disse passando la mano sul punto in cui il suo ventre era più tondo. E siamo stati John ed io a farlo.
Improvvisamente una serie di immagini le attraversarono la mente. Vide
il suo grembo ingrossarsi sempre più, settimana dopo settimana,
mese dopo mese. Vide sé stessa appoggiarsi una mano sul ventre
gonfio, e sentire un piedino minuscolo premere contro il suo palmo.
Vide John sdraiarsi accanto a lei sul letto, e posare un soffice bacio
sul suo pancione...
Basta.
Guardò il suo volto nello specchio. Basta.
Sai che non sarà così. Queste cose succedono solo nelle
pubblicità dei biscotti. Nella realtà ci sono i conti da
pagare, e la parcella del pediatra, e i pannolini, e tutto il resto...
Credi che Magneto sarà altrettanto generoso con voi, quando
scoprirà che non sei più in grado di lavorare per la
Confraternita? E che succederà allora? Dove vivrete? Come vi
procurerete i soldi per mangiare? Come sfamerete il vostro bambino?
Come?
Una lacrima le rigò il viso. E
se anche per un miracolo Magneto vi permettesse di restare, saresti
davvero così infame da condannare il tuo bambino ad una vita da
fuggiasco, da reietto, rischiando di farlo diventare orfano, o figlio
di carcerati, ad ogni piè sospinto? Che ne sarebbe di lui, se
voi foste catturati o uccisi? Chi si occuperebbe di lui? Un'altra lacrima scese dai suoi occhi.
Sai bene cosa gli succederebbe. Vuoi
che faccia la tua fine, rimbalzare da un orfanotrofio all’altro,
da una famiglia affidataria all’altra, alla mercè di
qualunque Alex Hagen che si senta in diritto di tirargli del fango e di
chiamarlo mostro? Un singhiozzo le scuotè il corpo e
Medusa si coprì una mano con la bocca, orripilata dal pensiero
che si era appena formato nella sua mente.
Vuoi che faccia la fine di Evie?
Si sedette per terra e finalmente si concesse di piangere.
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Siamo arrivati alla fine di questo capitolo. Allora, come lo avete trovato? Fatemi sapere.
Secondo voi, come reagirebbe John se sapesse che Meredith aspetta un bambino? Si
farebbe prendere dal panico, oppure accetterebbe le proprie
resposabilità? E soprattutto, sarebbe felice all'idea di
diventare padre? Come pensate che evolverà la cosa?
Un bacio a tutti e alla prossima!
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