RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI: Draco ed Hermione sono riusciti a
fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton,
che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per
uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione,
ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno,
le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere
nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco.
Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di
recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza
sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è
parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha
convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che
le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi
sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco
ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora
fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i
ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio,
Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone,
Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da
Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la
cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la
prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i
suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata
da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una
sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa
di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si
riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di
perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro
situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua
cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene
individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua
passata relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo
sappia nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno,
quando dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad
Hermione di sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo
l’anello con cui Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena,
crolla e decide di prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che
Draco non la ami quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano
momentaneamente, ed Hermione esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro,
dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e
a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove
Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco, cinque anni prima, è andato
via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di Dimitri. Hermione, sempre più
vicina a perdere le speranze, ricordando gli eventi degli anni passati, ripete
che la sera del compleanno di Pansy è stata l’ultima sera in cui ha visto
Draco. Quella sera, infatti, Hermione venne rapita da Dimitri Karkaroff che si
era alleato con Astoria, Pucey e Montague, proprio per separarla da Draco e
farne la sua “regina”. La crudeltà e la determinazione di Dimitri a fare sua
Hermione, si spingono al punto di catturare anche Hayden, l’amico babbano che
Hermione frequentava precedentemente, ferendolo gravemente e rendendolo
incapace per sempre di camminare. Nella sua prigionia nel castello di Dimitri,
però, Hermione apprende di essere incinta di Draco, cosa che spinge Astoria,
sterile e desiderosa di fare suo l’ultimo erede dei Malfoy, cosa che
sicuramente le garantirebbe la possibilità di riavere Draco, a prendere tempo
con Dimitri e ad ingiungergli di non toccare Hermione nel tempo della
gravidanza. La ragazza, però, dopo dieci giorni, viene liberata dalla prigionia
da Helder, la sua amica Empatica, Harry e Ron, ma durante la fuga, batte
violentemente la testa, restando in coma per tre mesi. Al suo risveglio, si
trova in Italia, dove gli amici la tengono nascosta, fingendo persino un
matrimonio con Ron, fino a quando Hermione apprende della morte di Dimitri ed
Astoria, potendo tornare in Inghilterra con suo figlio per cercare Draco. Una
traccia per trovare Raissa risiede inaspettatamente in un incontro che Draco,
incalzato da Adamar durante la sua prova, aveva fatto nell’aldilà: una donna di
nome Tatia Krasova gli aveva chiesto di riferire ad Hermione il suo nome in
modo che si ricordasse di lei. Hermione, però, non la conosce. Cinque anni
dopo, tuttavia, Hermione, Dean, Pansy e Seth scoprono che Tatia Krasova era una
profetessa, il cui nome era stato celato e nascosto da Raissa, strappando la
pagina di un libro, testimoniando quindi un probabile contatto tra le due.
Tatia non voleva che Hermione si ricordasse di lei cinque anni prima, ma in
quel momento, alla scoperta del gesto di Raissa. Hermione riesce a scoprire
dell’ultima dimora di Tatia Krasova: era in Finlandia dove era sposata con un
uomo di nome Ilai Radcenko. A casa di Tatia, Hermione trova una lettera
destinata a lei dalla ragazza e scritta ben dieci anni e dove lei le dice tutto
quello che le è accaduto, rivelandole anche che Raissa sente ancora Ilai di cui
è innamorata. Tatia era un’amica d’infanzia di Dimitri e Raissa, sebbene fosse
più piccola di loro, i tre erano cresciuti assieme come fratelli. Tatia da
sempre dotata di un fortissimo potenziale magico, aveva da sempre attratto
l’indole scientificamente curiosa dei fratelli Karkaroff, specialmente di
Dimitri, che ne era ossessionato molto più che innamorato. Quando però Tatia ed
Ilai si erano innamorati, Raissa aveva finito per uccidere casualmente Tatia e Dimitri
le aveva fatto promettere di aiutarlo a fare sua una donna che suscitasse in
lui lo stesso interesse che gli aveva provocato Tatia, altrimenti avrebbe
rivelato ad Ilai il nome dell’omicida della moglie. Hermione quindi, conosciuta
la verità, ritorna in Inghilterra con Ilai, Dean, Seth e Pansy, ma giunta a
casa di Draco, scopre una cosa straziante: Serenity chiama Raissa mamma.
Capitolo 38 – Six degrees of separation
“Basta Alex! Smettila!”.
Merce avariata:
sono sempre stata questo.
Ho sempre avuto il cuore in cancrena, l’anima in putrefazione, il cervello
in necrosi.
Da quando? Non saprei dirlo con certezza.
Probabilmente da quando Ron mi ha tradito e ho avuto la condanna
all’Interdizione all’Uso della Magia. Molto più realisticamente da quando ho
creato lo Zahir e la cicatrice che mi ha trafitto i sensi, non se n’è mai
davvero andata. Però, in realtà, se ci penso bene, dieci giorni di paradiso
salvano l’anima dall’inferno. Dieci giorni con Draco mi hanno salvato l’anima,
hanno curato squarci aperti, hanno sanato le ferite, hanno disinfettato lividi
ed escoriazioni, dandomi persino il salutare aspetto di una persona sana ed
equilibrata nonostante tutto.
Dieci giorni da cui ho avuto anche un dono quando sono finiti: chi mi
aveva salvato dallo Zahir, chi mi aveva salvato persino da me stessa, aveva lasciato
dentro di me uno scintillante seme biondo, da cui è sbocciato un bambino. Mio
figlio. Alex. Il figlio di Draco.
E quindi, quando mi hanno cacciato dal Paradiso, quando Dimitri e
Raissa mi hanno ripreso a forza dalla parentesi di cielo che mi era stata
improvvidamente regalata, io ho avuto ancora qualcosa a cui aggrapparmi
ferocemente per impedirmi di ripiombare nell’abisso marcio, da cui ero uscita.
Alex era il luccicante filo dorato che potevo tenere teso in una mano, così che
mi conducesse fuori dal labirinto dove ero capitata. Era la chiave, la strada,
il modo per uscire dal Limbo: il solo legame ancora esistente, non reciso, con
Draco.
Ma il filo, in realtà, era teso verso il vuoto: l’altro capo era
saldamente ancorato ad un precipizio desolato dove io, alla fine, sono
precipitata. Poco importa che io il filo lo tenga ancora tra le dita, poco
importa che esso esista ancora, poco importa che questo filo sia carne, sangue,
ossa, intelligenza, volontà, sorriso e lacrima di un bambino, che è mio e che è
di Draco.
Poco importa anche che, inseguendo quella lucida scia di luce, io sia
sempre stata accompagnata da una schiera di angeli, protettori e salvatori.
Ron, Harry, Ginny, Helder, Hayden. Dean,
Pansy, Seth. Ilai.
E poi Helena e Tatia, due spiriti che hanno indirizzato le mie azioni
sin dall’inizio. Adesso, le odio entrambe allo stesso modo per avermi condotto
qui. La prima per aver fatto sì che arrivassi al Petite peste. La seconda per
non avermi impedito di perdere il filo in un modo naturale, cosa che mi avrebbe
lasciato vergine di rancore e pura di ricordi.
So che cosa è il veleno dell’odio, lo conosco, è omnicomprensivo,
nulla sfugge. Si stende sulle cose come una patina nerastra che non lascia
scampo. Ed io adesso odio tutto.
Gli angeli, i diavoli, i vivi, i morti, i buoni, i cattivi, gli amici,
i nemici, i figli e le figlie. Ma mai come odio me stessa, mai come odio tutto di me stessa.
Dell’imputridita me stessa, che adesso per la prima volta in cinque
anni ha urlato contro suo figlio.
Non l’ho mai fatto, non ho mai permesso ad Alex di vedere questa parte
di me. La parte oscura.
Adesso lui mi vede per quella che sono realmente: letale, infida,
sospettosa, manipolatrice.
Marcia.
Mi porto una mano alla bocca, chiudendola sotto il suo sguardo gonfio
di lacrime. Mi guarda come se non mi riconoscesse, come se fossi
improvvisamente un mostro ibrido a tre teste che si è mangiato la sua tanto
cara e buona mamma. Si chiede che cosa abbia fatto o detto di male. Ed il bello
è che non ha fatto nulla di che.
Ha messo su un capriccio come ce ne sono stati tanti in cinque anni,
voleva andare dopodomani ad una festa di paese, ci sono le giostre, le
bancarelle, lo zucchero filato. Non lo stavo ascoltando, mi ha chiamato più
volte battendo il piede per terra. Cinque, sei, sette volte ha ripetuto con la
vocetta stridula da bambino ignorato: “Mamma, mi senti? Mamma, mamma, mamma!”. Non
lo sopportavo. La crepa che mi taglia a metà dentro, come se fossi uno stupido
coccio di vetro, si è messa a crepitare.
Serenity che chiama Raissa mamma.
E ho iniziato ad urlare. Alex inconsciamente ha abbassato gli occhi,
si è cacciato un dito in bocca come non faceva da quando aveva tre anni e ha
iniziato a piagnucolare in silenzio per paura che mi arrabbiassi ancora. Sulla
soglia della stanza, attirati dal rumore e sconvolti dal mio comportamento,
Dean, Pansy e Seth hanno guardato la scena in silenzio. Ho restituito loro uno
sguardo implorante e livoroso, la mano ancora premuta sulla mia bocca come se
mi stessi trattenendo dal vomitare.
Seth, come sempre, si muove prima di tutti, attraversa il salotto
della piccola villetta che abbiamo affittato e raggiunge Alex, chinandosi su di
lui. Mio figlio solleva gli occhi grigi pieni di lacrime, sollevando le braccia
e chiedendo silenziosamente a Seth di prenderlo in braccio. Lui lo solleva, lo
tiene tra le braccia e trattiene una mano sulla sua testa come a cancellare
tutta la sua paura e preoccupazione. Le gambe mi tremano come se fossi
affondata nel ghiaccio, non riesco a staccare la mano dalla mia bocca,
mordicchio la pelle del palmo a punizione e pena verso me stessa.
Seth sussurra nell’orecchio di Alex che la mamma è solo un po’ stanca,
che andremo sicuramente alla fiera, che lo porterà lo zio Seth. Alex annuisce,
il viso nascosto nella camicia di Seth. Lui mi getta un’ultima occhiata che
vorrei che fosse di rimprovero, ma invece è solo di pena, apprensione, pietà. Digrigno
i denti come una fiera selvatica, mentre Seth esce dalla stanza, in silenzio.
La mano mi ricade lungo il fianco, sconfitta, franano anche le mie
ginocchia e ricado come un corpo morto. Dean fa un cenno nella mia direzione,
ma Pansy lo ferma subito con la voce, ingiungendomi severamente: “Spero che tu
sappia che questo… stato… in cui sei…
non è normale… e spero che tu ti renda anche conto di quanto tuo figlio non
c’entri nulla in tutto questo…”.
Mi abbraccio da sola, chiudendomi nelle spalle e cercando di
trattenere il terribile rigurgito di rabbia che mi corrode dentro, che mi
spingerebbe a rispondere anche a Pansy, urlandole addosso.
“E spero anche che tu capisca che noi tutti… abbiamo delle vite… non
esiste che restiamo qui dodici anni solo per farti capire che cosa hai
intenzione di fare…” continua con voce tagliente, guardandomi dall’alto in
basso. Dean le stringe il braccio a tacito rimprovero, ma lei si divincola
automaticamente.
“No Dean… smettila!” alza la voce come se un pensiero le fosse scoppiato
improvvisamente dentro come un petardo “Non dovete proteggerla, né tu, né Seth!
Siamo qui già da una settimana a fare finta di essere in vacanza… abbiamo
nostra figlia a cui badare, non possiamo perderci eternamente dietro questa
storia… e lei ha un figlio suo. Draco potrebbe essersi rifatto una vita,
l’abbiamo sempre saputo… restare qui immobile non cambierà le cose… non
cambierà nulla! Deve decidere che cosa fare!”.
“Hai ragione…” biascico istintivamente con un filo di voce, cercando
di sollevarmi in piedi “Hai ragione, avete ragione tutti… c-cercherò di capire
che cosa f-fare… e cercherò di capire anche come stanno le cose con R-Raissa…”.
Persino il suo nome mi taglia a fettine, mi fa venire voglia di distruggere
l’intero Universo. Poggio le mani per terra, rialzandomi. Pansy esce anche lei
dalla stanza, lasciandosi dietro una scia di profumo dolciastro che mi fa
arricciare il naso. Dean mi guarda intensamente, prima di sussurrare: “Sai
com’è fatta… soffre anche lei… ma lei conosce solo la rabbia come rimedio a
tutto. Prenditi il tempo che ti serve… non pensare a noi…”.
“Devo pensare a voi, invece…” sussurro, asciugandomi una lacrima dalla
guancia “Altrimenti finisce che annego in questo pantano e trascino anche voi
sotto con me… compreso Alex… e questo non me lo posso permettere… devo
s-sapere… che cosa sia successo…”. La mia voce suona meno stabile di quanto
vorrei, ma spero che convinca almeno Dean se non riesce a convincere me stessa.
Lui mi dà un buffetto affettuoso sul mento, poi sorride tristemente ed
esce anche lui dalla stanza, lasciandomi sola.
Il silenzio mi avvolge odioso, finché un passo conosciuto lo rompe in
modo misericordioso. Il calore di un corpo alle mie spalle mi ispira di nuovo a
piangere, mentre mi nascondo il volto tra le mani. La gola gratta come se ci
stessi strofinando sopra della carta vetrata, traducendosi in una sequenza di singhiozzi
scomposti che mi fanno tremare il torace.
Un paio di mani calde si poggiano sulle mie spalle, facendomi voltare
su me stessa, prima di stringermi forte per la vita. Come se fossi un pezzo di
vetro che continua ad andare in pezzi, cerco la ricomposizione dei miei
frammenti ed abbraccio Ilai davanti a me, chiudendo le braccia attorno alle sue
spalle. Singhiozzo nella sua camicia, mentre lui mi accarezza piano i capelli.
“Ti avevo promesso che ti avrei portato via…” bisbiglia delicatamente,
non smettendo un secondo di abbracciarmi “Ma sei tu che devi chiedermelo
adesso… puoi andare via, adesso?”.
“Non posso, Ilai… non posso…” piango come se mi stessi dilaniando ed
urlassi dal dolore “Devo vederli… devo capire… perché lei è ancora con lui,
perché Serenity la chiama…”. Mi fermo incapace di proseguire, un singhiozzo più
forte mette del tutto a tacere la mia stessa voce.
“Sai già che cosa fare?” mi chiede Ilai, staccandomi dolcemente da sé.
Annuisco con il capo, il labbro inferiore che mi trema senza controllo,
mentre mi specchio nei suoi occhi. Ilai serra le labbra, annuisce a sua volta e
mi stringe il polso con quieta forza.
Senza forze, bisbiglio ancora: “Resterai con me?”.
La mano di Ilai trema sul mio polso, è calda come un pezzo di lava.
“Sempre”.
E ho scoperto che il mio castello poggiava su
fondamenta di sale, fondamenta di sabbia.
Lo cantava qualcuno, tempo fa. Non ci avevo mai concretamente fatto
caso, fino a questo momento. Conosco questa canzone a memoria, mi piace anche,
ma non avevo mai prestato attenzione ai suoi versi. Le cose hanno spesso il
dono di attaccarsi addosso all’ anima, per poi spuntare fuori come funghi
velenosi al momento più inopportuno che esista.
Canticchiavo a bocca chiusa in modo meccanico ed innaturale, seduta
nel taxi accanto ad Ilai. Guardavo fuori dal finestrino la pigra cittadina di
mare in cui mi trovo, mentre cominciava tutte le sue occupazioni mattutine.
Seguivo le buste della spesa portate dalle signore corpulente, rimproveravo
mentalmente le corse dei bambini che andavano a scuola, chiacchieravo con gli
anziani che si godevano il sole. E mugugnavo a mezza bocca le note della
canzone che passava in radio.
Ilai, accanto a me, si limitava a restare immobile, le braccia
conserte, la nuca poggiata sul sedile, gli occhi chiusi.
Poi è arrivato quel verso, ne ho rincorso le parole nella testa ed
improvvisamente, dalla stasi robotica in cui mi trovavo, rovente è risalita
l’ansia lungo il mio stomaco.
Serro forte le mani attorno alla borsa, chiudendola con un piccolo
suono meccanico, e getto uno sguardo terrorizzato all’autista mentre mi sento
cedere fino, appunto, alle fondamenta di me stessa.
Per cinque anni, ho avuto la somma illusione di essermi fatta più
forte. Essere madre ha certamente contribuito a darmi un assaggio di
intangibilità a tutto, dovendomi ogni giorno confrontare con la necessità
concreta che mio figlio non capisse o anche solo sospettasse quanto potessi
soffrire. Ho seppellito tutto così in profondità in me, che alla fine ho eroso
tutto quello che doveva tenermi in piedi, al punto che ora mi sono fatta
fragile e trasparente come carta velina.
Fondamenta di sale, fondamenta di sabbia: ecco. E ora stanno franando.
È bastata solo una parola. Una sola singola parola. La parola più
vecchia del mondo, mamma, e tutto è
crollato a pezzi. Le crepe nel mio castello di vetro hanno iniziato a correre
una più letale dell’altra, c’erano sempre state, ma adesso sono improvvisamente
molto più mortifere di quanto credessi. Tutto potrebbe sbriciolarsi addosso a
me ed Alex in pochi secondi, se non riuscissi a sopravvivere a tutto questo.
E al momento, la sola cosa che so è che posso anche morire sotto le
macerie, ma Alex deve salvarsi.
Sempre.
Stringo tra le dita la goccia di sangue di Unicorno che mi ha lasciato
Tatia, lo faccio spesso quando sono nervosa, non riesco a spiegarmi perché ne
senta il bisogno.
Mi sono infilata a forza in questo taxi non per me stessa, ma per
Alex. Per come l’ho trattato stamattina, per come mi sono sentita, per come
sono arrivata al punto di detestarlo perché mi chiama come Serenity chiama
Raissa e come Draco ha concesso che lei facesse… mi sono imposta di uscire e di
finirla con questa storia. Ho affidato Alex alle persone di cui mi fido di più
al mondo: Seth, Pansy, Dean. E spero che lo proteggano dall’ombra che mi
attanaglia. Lo porteranno stamattina al mare, lo faranno giocare con Charisma,
cercheranno di fargli dimenticare le mie urla ingiustificate.
E ho affidato me stessa ad Ilai.
Lui è danneggiato come me, lui è un castello di vetro con le
fondamenta di sale come me e, per quanto assurdo questo sia, solo due ruderi
maciullati come noi due sono in grado di reggerci l’un l’altro per tenersi in
piedi. Non voglio che se ne vada. Non voglio che mi lasci. E lui resta accanto
a me, in silenzio, saldo come una roccia di montagna.
Chiudo e riapro gli occhi una, due, tre volte, improvvisamente
infastidita dalla luce del sole. Sotto le palpebre, un solo ricordo passa e
crepita come un miraggio nel deserto.
Sette giorni fa.
La casa di Helena, quella che lei avrebbe voluto comprare, quella che
indicava felice a Draco mentre mangiavano il gelato sulla spiaggia dove lei era
stata con Cedric Diggory. Le colonne bianche, ioniche, a descrivere un
porticato tutto attorno all’abitazione. Il giardino immenso, pieno di alberi di
magnolia, l’odore struggente delle sere d’estate. La luce violenta del sole che
copiosamente sanguinava su tutto, tingendo di porpora ed oro la pietra bianca.
Il frinire dei grilli, lo stormire delle foglie, il caldo respiro del mare.
Mi ero fermata davanti al cancello, dietro il quale un viale
d’ingresso pieno di ciottoli portava alla porta d’ingresso. Una mano si era
chiusa sulle sbarre chiuse, mi si era seccata la bocca, Ilai aveva annaspato
accanto a me, mentre Alex, alle mie spalle, giocherellava con Charisma. Seth,
Pansy e Dean nemmeno respiravano.
Una donna alta dai capelli corti e biondi, era uscita da una macchina
rossa ferma nel vialetto. Avrei potuto pensare subito che fosse lei, che fosse
la moglie di Draco, la sua ragazza o chissà che altro. Fosse stato così, giuro
che l’avrei accettato. Ma avevo capito subito che non c’entrava niente. Aveva
aperto lo sportello del passeggero e ne era uscita fuori Serenity.
La mia Serenity.
La bambina che avevo considerato mia figlia senza alcun diritto per
cinque anni. La bambina che si addormentava accanto a me, chiamandomi “Mione”.
La bambina che aveva insistito per dormire tra me e Draco l’ultima notte che
eravamo stati assieme. Avevo stretto la sbarra di metallo del cancello così
forte, da farla tremare. Seth, alle mie spalle, aveva trattenuto un gemito
sommesso di commozione e ricordo. Pansy e Dean avevano respirato di sollievo.
Era cresciuta, ovviamente, aveva i capelli più lunghi, biondi, ricci,
gli occhi sempre azzurri, le labbra rosse come una ciliegia. Sembrava più alta
della media, aveva un modo scanzonato e divertente di camminare, sembrava quasi
galleggiare sull’asfalto. Assomigliava a sua madre, Helena, come non mai. Ma
non mi aveva dato fastidio, non ero inorridita. Mi sentivo riconciliata persino
con lei.
Mi bastava aver trovato Serenity. Perché, oltre che indiscutibilmente
l’amore che ho per quella bambina, significava anche aver trovato Draco.
Non poteva averla lasciata. Non poteva. Lo sapevo. Era lì, a pochi
passi. Il cuore è diventato un orologio non funzionante che batte ad ogni
secondo la mezzanotte, e rintocca impazzito.
Avevo dimenticato tutto, Raissa, Ilai, Tatia. Persino che quello era
l’indirizzo da cui quella donna scriveva ad Ilai che intanto, accanto a me, tratteneva
il fiato.
La donna che era scesa dalla macchina aveva preso Serenity per mano,
aveva detto qualcosa in direzione della vettura in cui, solo ora, notavo anche
altri bambini, ed aveva suonato il campanello.
Avevo aguzzato la vista, sebbene cercando sempre di nascondermi dietro
un cespuglio, avevo guardato distrattamente Alex come a sincerarmi del colore
dei suoi occhi, prima che Draco aprisse la porta. Milioni di domande si erano
accavallate in me, avevo cercato di ricordare il suo viso per compararlo a
quello che stavo per vedere, avevo implorato il cuore di non cedere adesso.
Ma la porta non era stata aperta da Draco.
“Mamma!” Serenity aveva trillato contenta, abbracciando le gambe della
donna che aveva aperto la porta. E io ero gelata, mentre le fondamenta su cui
mi reggevo, si erano rivelate per quello che erano. Polvere, brina e un po’ di
cemento scadente. Ilai mi aveva stretto la mano inconsciamente, la sua pelle
era fredda, mi ero aggrappata ad essa come se stessi galleggiando nel vuoto.
Seth aveva allontanato Alex, Pansy e Dean avevano inventato un gioco
per lui e Charisma.
Raissa, con un largo sorriso che non le avevo mai visto, aveva preso
Serenity in braccio e l’aveva portata dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
Nelle mie orecchie, avevo sentito solo un suono simile a quello di un
osso che si rompe. Poi più nulla, non ricordo nemmeno che cosa sia successo
esattamente dopo.
Riapro gli occhi faticosamente, mentre sudo freddo. Ilai, accanto a
me, mi guarda preoccupato, fingo un sorriso, gli dico che va tutto bene, torno
a guardare fuori dal finestrino.
Sono tornata davanti a quella casa per sette giorni, ogni dannata
mattina appena mi alzavo da letto. Camminavo per il paese come una sonnambula,
i capelli appiattiti sotto un cappello e un paio di lenti scure. Poi mi
acquattavo davanti alla siepe del loro giardino, mentre tormentavo le foglie
tra le dita.
Sempre la stessa scena: la macchina rossa, la donna bionda, la porta
che si apre al suono del clacson.
Raissa che chiama Serenity all’interno, lei che corre fuori con uno
zainetto fucsia sulle spalle. Raissa si china alla sua altezza, le sistema
meglio i capelli, Serenity sorride. Poi la saluta. Ciao mamma!
Entra nella macchina rossa, la donna bionda saluta Raissa, lei ritorna
dentro dopo essersi fermata qualche istante sul patio.
Al pomeriggio, sempre la stessa donna che ho imparato a conoscere come
Caroline, riporta Serenity a casa.
I primi tre giorni, quelli in cui ero assolutamente convinta che la
cosa non poteva stare come io avevo capito, sono rimasta fuori dalla villa
tutta la giornata, riuscendomi a nascondere all’arrivo di ogni auto. Raissa
esce di rado, rientra carica di pacchetti, non fuma più, ha un sorriso tirato
quando non è con Serenity. Saluta pochissime persone. Si ferma spesso in un bar
e scrive molto su fogli disordinati che tiene in un quaderno dalla pelle rossa.
Cancella, scribacchia. Poi getta il foglio, dopo averlo bruciato con attenzione
con una bacchetta, attenta a non farsi vedere.
Ne avevo raccolto un frammento un giorno in cui non era stata attenta.
Ilai, lo sai che… scriveva a lui.
Ancora.
Perlomeno, anche io avevo portato via qualcosa a lei.
Mi ero resa conto abbastanza facilmente che Draco non era lì. Raissa
chiudeva casa, non appena Serenity tornava. E nessun altro, nemmeno a tarda
notte, faceva ritorno.
Ma non credo che semplicemente non ci sia a titolo definitivo. Lo
sento, lo so. Lui non avrebbe mai lasciato Serenity, a nessuno. A meno che
anche questo non sia cambiato.
E su questo non posso giurare compiutamente.
Per questo devo capire, devo concludere questo percorso in modo
definitivo, anche se la risposta mi agghiaccia.
Se Draco non fosse più con loro, probabilmente significherebbe
qualcosa di terribile. Forse gli è capitato qualcosa. Ed allora strapperei
Serenity a Raissa, e poi la ucciderei, vendicando Tatia e Draco.
Se Draco invece non c’è temporaneamente, allora si aprirebbe uno
scenario che non so spiegarmi in nessun modo.
Ammesso che stiano assieme… e ciò già mi fa morire… perché consente a
Serenity di chiamarla mamma? Ha rinnegato Helena fino a questo punto? Ha
rinnegato anche me… fino a questo punto?
Non avrei la necessità estrema di saperlo, in fondo: potrei benissimo
denunciare Raissa ad Harry, mostrarle la lettera di Tatia, farla finire ad
Azkaban senza nemmeno mostrarmi a Draco e Serenity.
Ma questa codardia, sorta limacciosa nel cuore di un Grifone, non è da
me, non lo è affatto.
Danneggiata, distrutta, fiaccata: ma sono sempre io. Devo essere sempre io.
Quindi devo sapere, per me e per Alex, prima di fare qualsiasi cosa.
La strada naturalmente più semplice sarebbe piombare in casa di Raissa
e farle ammettere tutto. Ma potrebbe essere un’arma a doppio taglio: potrebbe
mentirmi, ingannarmi e, non da ultimo, mettere in pericolo Serenity. A questo
punto, l’unica strada in realtà è diventata un’altra. Parlare con Serenity
stessa.
Non posso farlo però nel mio aspetto. Certo, Serenity difficilmente
ricorda chi sono, era troppo piccola. E non credo nemmeno che Draco abbia parlato
alla bambina di me. Ma potrebbe raccontare a casa che una donna di nome
Hermione Granger, l’ha fermata per parlarle. Metterei in allarme Raissa, forse
consentendole di scappare. Quindi con Ilai, ho preparato della Pozione
Polisucco, in cui scioglierò un capello che ho già prelevato precedentemente
dalla psicologa della scuola. Lei, adesso, dorme profondamente a casa sua.
L’altro punto è che, mio malgrado, dovrò far prendere il Veritaserum a
Serenity.
So che è scorretto, so che è solo una bambina, so tutto. Ma devo
sapere la verità e solo in tale modo, posso sapere con certezza se lei sta bene
ed è felice, escludendo la possibilità che Raissa le stia facendo del male in
qualche modo. E posso anche sapere dove è Draco, ammesso che siano ancora
assieme.
Il taxi si ferma all’improvviso, inchiodando davanti all’edificio
colorato che ho visto giorni fa essere la scuola elementare che frequenta
Serenity. Scendo dall’auto, dopo aver pagato l’autista che riparte subito. Il
cortile della scuola è pieno di bambini che giocano, sono gli ultimi giorni
dell’anno scolastico. Peraltro siamo a luglio, è anche strano che qui si
frequenti ancora la scuola.
Respiro profondamente, la pelle del viso è gelida e la boccetta con la
Pozione rischia di scivolarmi dalla mano. La trattengo forte, facendomi
coraggio e puntando lo sguardo sull’edificio.
“Sarò qui fuori…” mi dice Ilai alle mie spalle, la voce calma e
pacata, annuisco pensosamente giocando con il tappo della bottiglietta della
pozione.
“Sarà la cosa giusta da fare?” chiedo con un filo di voce, voltandomi
a guardarlo “E-è solo una bambina…”. Ilai sospira a lungo, poi con dolcezza mi
accarezza la guancia prima di dire: “Potresti salvarla per quanto ne sappiamo…
non dovresti badare alla forma… è l’unico modo per avere delle risposte o una
parte di esse…”, la sua voce si abbassa mentre conclude: “Pensa a tuo figlio.
Lo stai facendo per lui, gli stai impedendo di soffrire successivamente… e lo
stai impedendo anche a te stessa. Hai diritto di sapere, Hermione… solo allora
saprai cosa fare e potremo farla pagare a Raissa per quello che ci hanno fatto
lei e Dimitri…”. Ha ragione, ovviamente ha ragione. È uno scrupolo sciocco il
mio. Non farò del male a Serenity. Ed in compenso, in tal modo, potrò
proteggere mio figlio. Questo ha sempre contato più di tutto. Non deve venire
in alcun modo in contatto con Draco, se sta con quella donna, anche se lui è
sempre suo padre.
Non posso permetterglielo. E se mi sarà possibile, salverò anche
Serenity da questa dannata follia.
Annuisco gravemente ad Ilai, mentre mi dice che mi aspetterà qui
fuori. Velocemente, entro nel cortile della scuola e mi acquatto dietro una
siepe bassa, ingurgitando in tre sorsi il contenuto dell’orribile pozione.
Quando sento il mio viso cambiare, mi azzardo a ritornare in posizione eretta.
Il riflesso di una finestra mi rimanda un’immagine completamente diversa di me:
sono bassa, tarchiata, con occhiali di madreperla e un vestito rosa confetto.
Assomiglio terribilmente alla Umbridge, cosa che mi fa anche sorridere.
“Nancy!” una giovane donna nell’ingresso urla questo nome con foga,
agitando una mano nella mia direzione. Dato che nessuno si volta, deduco che
stia parlando con me. Ha un aspetto dimesso ma comunque curato, una maglia
verde smeraldo ed una lunga treccia che pende su una spalla. Con mia somma
fortuna, un bambino minuscolo la chiama per nome, dicendole “Maestra Viola?”,
facendomi dedurre che sia un’insegnante. Mi avvicino cautamente a lei, la mia
voce suona gutturale e al contempo acuta mentre dico: “Ciao Viola!”.
“Sei in ritardo anche oggi?” sorride lei, guardandomi di traverso
“Dennis ti ha fatto dannare di nuovo?”. Ah certo, Dennis… certamente ho capito
di che sta parlando…
Fingo un’espressione scocciata, dicendo nervosa: “Non me ne far
parlare!”. Viola, per fortuna, scoppia a ridere quindi deduco che non ho detto
nulla di sbagliato.
Mi guardo attorno con espressione indagatrice, ma apparentemente
indifferente: il bambino che si è avvicinato a Viola sembrava aver più o meno
sei anni. L’età che dovrebbe avere Serenity, adesso. Potrebbe essere anche in
classe con lei. Non credo che la psicologa della scuola conosca tutti i bambini
dell’istituto, quindi è plausibile che chieda numi a lei.
“Senti…” inizio con decisione “Per caso in classe hai una bambina di
nome Serenity? Mi hanno chiesto di fare un colloquio privato… cose di routine,
sai…”.
Viola si illumina immediatamente e dice: “Serenity Hope Ryan, per
caso?”.
Una prima informazione abbastanza scontata raggiunge il mio cervello
mentre annuisco: Serenity porta ancora il cognome di Danny Ryan. Certo, siamo
in una scuola babbana e comunque forse sono ancora sotto falsa identità, quindi
era improbabile che lei adesso facesse Malfoy di cognome. Ma, intanto, forse è
un indizio che Draco sia ancora con lei.
“E’ in classe con Dora…” aggiunge Viola, riferendosi ad un’altra
insegnante “Ma dato che devo comunque andare a raggiungerla, te la mando in un
ufficio ok?”.
“Grazie Viola…” sorrido grata, mentre si allontana. Già ci metterò
un’ora a trovare l’ufficio della psicologa… almeno non devo anche trovare la
classe di Serenity, vagando tra queste aule tutte uguali.
Quando finalmente scorgo una porta smaltata di rosso con una piccola
targhetta con su scritto “Nancy Leibnitz”, Serenity è già seduta fuori dalla porta.
Il cuore mi salta alla gola diventando un tamburo ingovernabile, e
persino il mio volto va a fuoco. Mi reggo convulsamente alla parete, cercando
di tenermi in piedi, fingendo assoluta tranquillità.
Serenity finalmente solleva lo sguardo, accorgendosi di me. Fa un
sorriso dolce, ha le ciglia nere e lunghe che le circondano gli occhi azzurro
chiaro. È rimasta identica nell’espressione a quando era più piccolina: il
fondo un po’ triste degli occhi chiari, le labbra rosse inarcate sempre in una
piega ilare, la postura sempre dritta e composta. Adesso, con le trecce bionde
impeccabilmente tenute ferme da nastri rossi, il vestito estivo dello stesso
colore e le scarpette di vernice… sembra davvero la figlia di Helena. Le
somiglia moltissimo. Solo la forma degli occhi, adesso, mi ricorda qualcosa che
con Helena non c’entra affatto… ed è facile collegare Amos Diggory. Ha
praticamente lo stesso sguardo di Cedric, il fratellastro che non ha mai
conosciuto.
“Voleva vedermi, signorina Leibnitz?” sussurra compita, in modo
educato. Ha la voce cristallina, pura, senza tracce di indecisione nel tono.
Forse è la sua voce a sconvolgermi di più, spingendomi a deglutire un paio di
volte. Quando l’ho lasciata, era una bambina di un anno e mezzo. Non parlava
ancora bene, diceva solo qualche parola mozzicata.
Adesso va a scuola, parla fluentemente, sembra intelligente e
rispettosa. Sono passati cinque anni, maledizione… è giusto davvero che io sia
qui? È giusto davvero che io sia ancora qui?
Serenity è diventata un’alunna di scuola elementare. Alex ci andrà l’anno prossimo. È giusto
che io sia qui a perseguitare questa bambina, invece di occuparmi di mio
figlio?
Poi, stringendo i pugni, mi rispondo mentalmente in modo affermativo:
sì che è giusto. Questa bambina chiama mamma una donna che è stata la più bieca
degli assassini.
Qualsiasi dubbio dovrà sempre cedere di fronte a questo.
“Sì, accomodati dentro…” dico esitante, aprendo la porta dell’ufficio
che si rivela piccolo, impregnato dall’odore di sigaretta e ricoperto da un’odiosa
carta da parati glicine. Sulla scrivania, però, noto quello che maggiormente mi
interessa: una bottiglia chiusa di succo di frutta, due tazze fucsia. Resta
solo capire come posso distrarre Serenity.
Sentendomi tremendamente in colpa, le indico un libro della mia
libreria, chiedendo se può prendermelo mentre sistemo delle cose nello
schedario. La piccola, senza sospettare nulla, mi dà le spalle, mettendosi in
punta di piedi per raggiungere il libro. Quando si volta, ho già svuotato il
contenuto della boccetta del Veritaserum in una delle due tazze, che mi
affretto ad annotare mentalmente così da non confonderla con la mia.
“Vuoi bere qualcosa?” chiedo gentilmente, la voce che risuona troppo
acuta alle mie stesse orecchie. Ma per fortuna è una giornata calda e la
bambina accetta il succo di frutta con gioia, ringraziandomi. In pochi attimi,
i suoi occhi azzurri si eclissano, l’espressione diventa tetra e vuota, resta
immobile senza nemmeno sbattere le palpebre. Mi si stringe il cuore a vederla
così, accarezzo con un pollice una mano che tiene sulla scrivania e sussurro un
mesto: “Mi dispiace, piccola…”.
Ovviamente Serenity non fa il benché minimo movimento che possa
lasciare intendere che mi abbia sentito. Resta ferma, facendomi ovviamente
decidere di concludere questo maledetto interrogatorio quanto prima possibile.
Ripercorro mentalmente quello che volevo chiedere, prima di sospirare e di
iniziare.
“Come ti chiami?” chiedo atona, lasciandole la mano.
“Mi chiamo Serenity Hope Ryan…” ripete monocorde la piccola, dandomi
la prima delle risposte che cercavo. Non è una finzione. È davvero convinta di
chiamarsi in questo modo.
“Chi sono i tuoi genitori?” chiedo dopo un attimo di pausa, eccola
forse la domanda peggiore. Sospiro lungamente, chiudo gli occhi mentre Serenity
risponde senza un attimo di esitazione: “Non ho i genitori. Mia madre e mio
padre sono morti quando sono nata. Io non li ho mai conosciuti. Si chiamavano
Helena ed Amos”. Riapro gli occhi esterrefatta, guardando il viso inespressivo
di Serenity.
Sa la verità, sa di Helena ed Amos. Sa tutto questo. Ed allora perché
chiama Raissa mamma? E fino a che punto sa tutto?
“Sai come sono morti i tuoi genitori?”.
“No”.
“Sai del Mondo della Magia?”.
“No”.
Sa poco effettivamente di loro. Sa il necessario per una bambina della
sua età. Non sa nemmeno del Mondo della Magia, come voleva Helena a suo tempo.
Proseguo con la gola secca le mie domande: “Con chi vivi allora? Da
chi è composta la tua famiglia?”.
Anche stavolta Serenity non ha un attimo di esitazione: “E’ composta
dal mio papà e da Raissa”. Ancora mi sfugge qualcosa, il suo papà? Ma se ha
appena detto che Amos è morto… e perché allora non ha parlato di Raissa come di sua madre?
Non ci capisco nulla.
“Chi è il tuo papà, allora?” chiedo con un filo di voce, temendo e al
contempo augurandomi una risposta specifica.
“Il mio papà si chiama Danny Ryan, era un caro amico della mia mamma…
ma per me è il mio papà…”. Migliaia di sensazioni mi punteggiano la schiena,
costringendomi a nascondere il viso dietro le palme delle mani, per poi
passarlo tra i capelli. Il mio cuore batte forte come se stesse per scoppiare… quel
nome… sono anni che non lo sento.
È ancora con lei, è ancora con Serenity.
Lei lo chiama papà… ma sa che non è il suo genitore naturale. Ha
trovato la perfetta soluzione a tutto. Non ha mai voluto che Serenity lo
considerasse suo padre per il profondo rispetto che aveva per Amos. Ma, al
contempo, ha fatto sì di legarsi a lei in un modo ben diverso dall’essere
semplicemente suo fratello, come diceva all’inizio. Chissà che cosa le ha
detto… come ha fatto…
Per un attimo sordo come un colpo di cannone, ripenso ad Alex. Anche
lui chiama Draco papà, ma ne ha tutti i diritti.
Solo che Draco non ne sa nulla.
Il sudore che mi imperla la fronte, per non lasciare nulla di
intentato di cui potrei pentirmi, chiedo per conferma: “Puoi descrivermi il tuo
papà, Serenity?”.
La bambina mi dà un quadro preciso di lui ed è indubbiamente,
indiscutibilmente Draco.
Una gioia feroce, irrazionale, malsana mi esplode nel petto: comunque
vadano le cose, io l’ho trovato. Dopo cinque anni, l’ho trovato. Le lacrime mi
affannano la vista, per qualche secondo sono assolutamente incapace di dire o
fare alcunché. L’aria stessa che respiro, assume odori e sapori diversi perché
adesso so che è la stessa che respira e sente lui. Il mondo non è più visi
estranei, tra cui lui non c’è mai. È una collezione di immagini che ci
uniscono, che improvvisamente sono diventati gli stessi. E tutto, tutto, dalle
cose più piccole a quelle più grandi, si indora e ricrea perché le vede anche
lui. La mia felicità è immotivata ed irrazionale, stupida, sciocca, e so già
malauguratamente di breve durata, considerando che non ho ancora chiarito nulla
riguardo a Raissa. Ma la assaporo fino in fondo, piangendo, singhiozzando,
gemendo come una bambina commossa. È un momento solo mio, di contentezza
assoluta. Sono solo la donna che ama quest’uomo che ha perso, e che ora lo sa
vicino. Sono solo questo. Non sono la mamma di Alex, l’amica di Seth, il
riflesso speculare di Ilai. Non sono nemmeno Hermione Granger.
Sono l’amore e tutto ciò che ci sta dentro, tutto quello che di
egoista e sconsiderato esiste attorno a questo sentimento.
Ovviamente dura poco. Il senso di responsabilità, la razionalità, l’amore
per mio figlio, l’affetto per i miei amici, la profonda riconoscenza ad Ilai e
Tatia mi riportano indietro, come se fossi sabbia nella marea. Il lascito,
però, del ricordo di quanto io ami ancora in modo totale ed impossibile da
ignorare Draco Lucius Malfoy, diventa una piccola punta di coraggio e speranza
nel mio essere, che germoglia anche nel mio cuore in rovina. È una gemma
piccola, timorosa, che darà forse frutti che dovrò sradicare da me stessa con
tutta la forza di cui sono capace, ma al momento mi fa sentire più viva e
coraggiosa di quanto non mi sia sentita in cinque anni. Improvvisamente è come
se fossi tornata la ragazza che amava Draco ed era da lui riamata. Luminosa come una stella.
Questo si ripercuote nella mia voce, che torna ferma e salda, anche se
ancora nelle fogge stridule di Nancy Leibnitz: “Dov’è adesso il tuo papà,
Serenity?”.
“E’ in viaggio… tornerà tra due giorni a casa…”.
“Non sai dove sia andato?”.
“No”.
In viaggio. Questo, ovviamente, significa che la sua assenza è solamente
temporanea. Forse è fuori per lavoro, ovviamente deve essersi trovato
un’occupazione in questi anni.
Significa, però, ovviamente anche altro. Che Draco, quindi,
effettivamente vive ancora con Raissa.
Senza darmi il tempo di pensare ancora prima che il coraggio mi
abbandoni daccapo, faccio la domanda che temevo maggiormente di fare a
Serenity.
“Serenity, chi è Raissa?”.
Lei, stavolta, ci pensa su qualche momento. La sua espressione non
cambia, è sempre vuota come tutte le persone sottoposte al Veritaserum, ma
appare per un attimo insicura come se la risposta non la sapesse nemmeno lei in
modo corretto. Poi ovviamente riprende a parlare monocolore: “E’ un’amica del
mio papà…”.
“Vive da molto con voi?”.
“Da tanti anni… forse da quando sono nata…”. Non è così ovviamente, ma
sicuramente Serenity non può ricordare il suo primo anno di vita dove Raissa
era assente.
Respiro a fondo, prima di sussurrare: “Perché la chiami mamma?”.
La risposta di Serenity mi lascia senza parole. Devo persino chiederle
di ripetere daccapo che cosa ha detto, dato che sono sicura di aver capito
male. Artiglio le mani attorno alla scrivania, le palme che sudano, mentre
Serenity nuovamente dice: “Perché me l’ha chiesto papà…”.
Draco ha chiesto a Serenity di chiamare Raissa
mamma. Il cranio mi formicola di granchi ghiacciati, che diamine significa?
Un atroce sospetto si traduce in una stretta crudele alla bocca dello stomaco,
mentre un conato di nausea mi fa chinare in avanti e portare una mano alle
labbra. Draco ha chiesto a Serenity di farlo. Questo, ovviamente, significa che
alla bambina non è venuto naturale come è accaduto con lui, come le è parso
normale chiamare Draco papà. Significa quindi anche e probabilmente che questa
richiesta è stata fatta in uno specifico momento, ben localizzato.
“Quando ti ha chiesto papà di chiamare Raissa così?” la mia voce è un
pigolio indistinto, ma Serenity per fortuna mi sente. Ed un attimo dopo, vorrei
che invece non mi avesse sentito affatto.
“A Pasqua… quando mi ha detto che avrebbe sposato Raissa…”.
Tre mesi fa. Solo tre mesi fa: Draco ha deciso di sposare Raissa.
Forse l’ha già fatto, forse è sua moglie. Ha voluto che Serenity chiamasse
mamma la sua matrigna, ovviamente. Ed io, invece, che avevo ogni diritto che
Alex chiamasse papà Ron, perché nemmeno avevo la certezza che sarei tornata in
Inghilterra, non l’ho mai fatto.
Il giardino verdeggiante che mi cresceva dentro, viene riarso dal
fuoco della rabbia e del dolore. Piango piccole lacrime di frustrazione, batto
i pugni sulla scrivania, mi piego sconfitta. Nessuna premura e remora, adesso,
mi cautela dal fare troppe domande a Serenity. Divento affamata di risposte che
mi trafiggano come frecce, facendomi sentire sempre più idiota.
“Si sono già sposati?”.
“Non ancora…”. Soffoco
l’anelito caldo del sollievo, perché è temporaneo, improvvido, imbecille. Potrà
anche non averla ancora sposata. Ma sta per farlo, sta per sposare l’assassina
di Tatia Krasova. Sta per sposare una
donna che non sono io. E quando l’ha chiesto a me cinque anni fa, mi aveva
rassicurato che sarei potuta essere qualsiasi cosa avrei voluto per Serenity.
Adesso, invece, Raissa l’ha resa sua madre. Non potevo esserlo io,
evidentemente. Non ero adatta? Non andavo bene? Il livore mi rendono cieca,
sorda, ma non muta. Perché continuo nelle mie domande, stringendo i pugni,
piangendo, persino alzando la voce. Sono domande che Serenity non potrebbe
sciogliere, eppure le faccio lo stesso.
“Il tuo papà ama Raissa?”.
“Papà vuole bene a Raissa”.
“Raissa ha mai puntato una bacchetta contro papà?”.
“No”.
“E contro di te?”.
“No”.
“Lui la bacia? L’abbraccia? Che cosa le dice?”.
E continuo così, come una pazza invasata, fino a quando distinguo una
scintilla di lacrime negli occhi di Serenity. La rabbia si accuccia in un
angolo di me, mentre riconosco di nuovo la versione avariata di me stessa che
stamattina ha ferito Alex. Forse, davvero, io la mamma non la so fare. Forse,
davvero, è meglio che la madre di Serenity sia Raissa, che è un’assassina.
Chiudo le braccia sul tavolo, poggiandoci sopra la testa, continuando
a piangere, a singhiozzare senza ritegno. Come se l’anima si fosse impigliata
in qualcosa ed avessi dato uno strattone per liberarla, ora mi sento lacerata,
brandelli di quella che ero mi pendono inutilmente dalle mani. Le lacrime sciolgono
persino il mio aspetto da psicologa, riconosco subito il pizzicore della
Polisucco che svanisce ma non riesco a fare un passo. La sta per sposare. Si sta per sposare. Come diamine ha potuto? Come ha
potuto cancellarmi da tutto?
Non mi sollevo, non mi rimetto seduta, continuo a piangere, piegata in
due, mentre chiedo ancora: “Serenity, papà ti ha parlato mai di una persona che
si chiama Hermione Granger?”.
Il “no” della bambina riecheggia nella stanza come l’eco di una
campana a morto. Non le ha mai parlato di me, non le ha mai detto nulla. Vive
nella sua bella casetta bianca con sua figlia e la sua promessa sposa,
dimentico di tutto l’inferno che mi ha gettato addosso da quando l’ho
incontrato, dimentico del figlio che mi ha lasciato, dimentico di tutto quello
che ho passato.
L’effetto del Veritaserum finirà tra poco, Serenity tornerà cosciente,
vedrà il mio vero aspetto. Ma io non riesco a fare nemmeno un passo, neanche
alzo la testa, la luce del sole adesso sarebbe come l’eco di lui nei miei occhi
e forse finirei anche per cavarmeli dal viso, pur di non immaginarmelo ancora.
“Oblivion…” una voce calda raggiunge le mie orecchie, ma sono così
senza forze da non sollevare nemmeno la fronte. Al solo tonfo di Serenity che
cade addormentata sulla scrivania, mi sollevo con preoccupazione, asciugandomi
le lacrime velocemente dal viso. Poi, nella foschia che mi avvolge le pupille,
riconosco la figura che ho di fronte e ricomincio a gemere, devastata.
“La sta per sposare… Draco sta per sposare Raissa…” biascico,
nascondendo ancora il viso tra le mani, mentre definitivamente crollo, vado in
pezzi, rovino come un calcinaccio umido di pioggia.
Affondo il viso nel collo di Ilai, nascondendomi alla luce. Lui si
china su di me senza parlare, mi stringe per qualche secondo.
Poi mi solleva, mi prende in braccio e mi tiene tra le sue braccia.
Resterai con me? Sempre.
Anche dopo essersi Smaterializzato con me nel salotto vuoto della casa
dove alloggiamo, Ilai mantiene la sua promessa.
Non mi lascia andare. Resta con me, sempre.
Passione, istinto, ragione, intuito. Tutto
si sente in diritto ed in dovere di aprire bocca per commentare. Peccato che la
mia decisione sia maturata altrove, in una zona grigia dell’anima e del corpo,
che non sapevo nemmeno di avere. Si chiama ineluttabilità, fatalità,
irrimediabilità. Ha le fogge di un pesante mantello grigio che ha il vantaggio
di coprirmi, ma che al contempo pare soffocarmi.
Sotto questo ombrello improvvisato, sono salva, al sicuro, ben
protetta. Sono di nuovo roccia e montagna.
Ma non sono nulla di diverso da questo. Non che mi interessi, al
momento nulla mi interessa davvero. Specie me stessa, specie tornare ad essere
compiutamente me stessa. E sentire qualcosa, un qualcosa di liquido e caldo che
rompa la monocromia che avverto dentro come profondamente rilassante e
necessaria.
Sto anche bene adesso, perché so che cosa devo fare. Nulla mi farà
cambiare idea.
E nessuno.
Seth è sempre stato passione: quello
del romanticismo, delle gote rosse, delle parole dolci, dell’amore che supera
ogni ostacolo. Uno che crede profondamente nel bene, che crede nella gente
prima di tutto e prima di tutti, uno che “se è vero amore, non c’è nulla che
possa farlo cambiare”. È convinto di avere ragione, perché la sua vita è stata
sofferenza affettiva continua, ma poi ogni sua lacrima è stata ricompensata ed
asciugata. Lui c’era al Petite Peste, c’era nel momento in cui non c’eravamo
ancora nemmeno io ed Draco assieme. Crede che ci apparteniamo dal momento in
cui ci siamo baciati sulla terrazza, la sera del Tourquoise Party. Non crede
alle mie parole.
Dean è sempre stato istinto: quello
delle decisioni improvvise, degli scatti di pancia, del gesto subitaneo, della
parola sfuggita. Uno che crede profondamente in quello che il corpo stesso
comunica in date occasioni, che pensa che sfogarsi sia sempre la cosa migliore,
che manda a quel paese. È convinto di avere ragione, perché ha seguito
l’impulso con una donna che con lui non aveva nulla a che fare, ed ha vinto la
felicità. Lui c’era quando Ron mi ha tradito, c’era nel momento in cui mi sono
giocata tutto pur di ottenere la ragione che meritavo. Crede che io non debba
fuggire, che debba lottare, che debba essere la Grifondoro che sono sempre
stata. Non crede alle mie parole.
Pansy è sempre stata ragione: quella
dei ragionamenti, delle conclusioni, delle riflessioni, dei calcoli ferrei e
lineari. Una che crede profondamente che bisogna sempre contare fino a duemila
prima di dire o fare qualcosa, e poi magari ricominciare, specie se di mezzo un
figlio. È convinta di avere ragione, perché anche se non lo direbbe mai, un
giorno ha scelto l’amore di fronte al destino, ragionandoci su, anche al di là
del cuore. Lei c’era quando Draco se ne è andato, c’era quando non ci siamo
fidati di noi stessi al punto di sposarci. Crede che io mi tirerò indietro,
rivendicherò l’assurdo desiderio egoista d’amore che mi ha spinto fino ad ora.
Non crede alle mie parole.
Ilai è intuito: quello delle
parole uguali che sgorgano sulle labbra, dello schiocco di dita che è
improvvisa comprensione. Uno che crede profondamente che la vita ci metta
davanti dei segnali che sono solamente da decifrare nel modo più giusto. È
convinto di avere ragione, perché la donna che amava è sempre stata fluido e
magico intuito e lo protegge ancora dal Regno dei Cieli, al punto da avergli
donato questo rapporto fatale. Lui c’era quando Serenity ha parlato, c’era
quando mi ha raccontato la verità su Draco e Raissa. Crede che io menta dicendo
che è la scelta migliore, che così soffrirò meno, che è la scelta giusta per me
e mio figlio. Non crede alle mie parole.
Nessuno di loro, che lo dicano o meno, crede alle mie parole.
“Domani io ed Alex partiamo… e non incontreremo Draco…”.
Le parole che pronuncio, alle mie stesse orecchie, tuonano come
assurde. Eppure, non me le potrei rimangiare nemmeno se volessi.
Dopo aver incontrato Serenity, Ilai mi ha riportato a casa. Mi ha
messo a letto come se fossi una bambina con la febbre, mi è rimasto accanto
seduto sul letto, mentre restavo distesa sulla coperta, lo sguardo fisso nel
vuoto e l’unghia del pollice in bocca. Si è allontanato da me solo quando sono
tornati Seth, Pansy e Dean. Ha raccontato quello che era successo e loro hanno
tenuto Alex lontano da me dicendo che la mamma aveva la febbre. Sono rimasta
tutto il giorno a letto, fantasie scomposte che si inseguivano nel mio
dormiveglia. Non riuscivo a focalizzarne nessuna, neanche una, nemmeno mezza.
Frammenti di frasi, di immagini, di suoni, come un carnevale ridicolo che non
smetteva mai di tamburellarmi nella testa. Il solo rimedio era non fare nulla,
restare ferma, ancora.
Sperare che passasse.
Mi sarei addormentata di un sonno lungo mille anni, se mi avessero
detto che al risveglio mi sarei dimenticata tutto.
All’alba, improvvisamente, pochi passi. Soffici, tenui, cauti. Tutto
il mio essere è stato attraversato da una corrente elettrica continua, mi sono
tirata a sedere, ho guardato verso la porta.
Alex era in piedi, l’orsacchiotto tra le braccia, un dito in bocca,
l’espressione persa. Gli occhi grigi erano gonfi di lacrime, mi guardava per la
prima volta temendo di avvicinarsi.
E lì, improvvisamente, è successo. Draco e Raissa sono scivolati fuori
da me, le macabre premonizioni sul loro matrimonio mi hanno lasciata esanime ma
perlomeno capace di prendere decisioni, ed ho capito improvvisamente che la
sola cosa che conta, davvero, per sempre, è mio figlio. Più sto qui e più perdo
me stessa, più rischio di fare male a lui. La ricerca di Draco doveva essere,
oltre che il mio intransigente desiderio da donna innamorata, la ricerca del
padre di mio figlio affinché lui potesse conoscerlo. Adesso io so che Draco non
può conoscere mio figlio, non deve farlo, deve starci solamente lontano. L’uomo
che ama e sposa l’assassina di Tatia, non può nemmeno respirare accanto a mio
figlio. Sia come sia, che sappia la verità, che non la conosca, che sia stato
ingannato o tutto quello che ne consegue… se ama quella donna, non può amare me
e mio figlio. E questo è quanto.
Rischiamo entrambi che lui ci faccia a pezzi il cuore. E se l’ha già
fatto in decine di modi diversi a me, il cuore di Alex non deve nemmeno sapere
come è fatto.
Non è vendetta, non è puntiglio, non è nemmeno rabbia. È
l’ineluttabile destino della madre, che mette in scacco la donna, l’amante, l’amica,
la figlia, la guerriera.
Alex ha dormito con me, dorme ancora adesso. L’odore dolce di
borotalco per bambini, il suo respiro calmo finalmente, il tenue sorriso sulle
labbra quando gli ho promesso che saremmo andati alla festa di paese a cui
teneva tanto, il pugnetto stretto attorno alla mia camicia: è stato come
sentirmi a posto, finalmente, con me stessa.
Per questo, qualsiasi cosa diranno, qualsiasi cosa i miei amici
diranno, non cambierà nulla.
Domani io ed Alex partiamo… e non incontreremo Draco.
“Sei sicura Herm?” chiede con voce tremante Seth, alzandosi in piedi
“Insomma per quanto ne sappiamo, Danny può essere sotto il controllo di Raissa…
lo dovremmo scoprire prima, lo dovresti salvare in quel caso… non credi?”.
Sollevo il mento, la voce fredda: “No. Non è affare mio. Denuncerò Raissa alle
autorità. Loro scopriranno anche fino a che punto Draco è coinvolto… non è
necessario che io resti qui e non è necessario che ci sia anche Alex. Serenity
non era sotto Imperius, me ne sarei accorta… e le ho
chiesto se Raissa ha mai puntato la bacchetta contro Draco, se lo controlli, se
Draco sta male. La risposta è sempre stata no. Non poteva mentirmi… e se anche
l’Imperius fosse stato più forte del Veritaserum, lei
a quel punto avrebbe rotto il controllo della pozione pur di non sconfessare
Raissa, qualora l’avesse controllata. So come funzionano queste cose, sono
stata il Capo degli Auror per anni. Mi sarei accorta di una cosa del genere”.
“E se fosse un controllo diverso?” bisbiglia Seth con un filo di voce,
fronteggiandomi a pugni chiusi “Se fosse semplicemente che… gli ha fatto il
lavaggio del cervello?”.
Un sorriso amaro curva le mie labbra, mentre rispondo ancora gelida:
“Seth, tu conosci Danny Ryan, ma non sai nulla di Draco Malfoy. Il lavaggio del
cervello non se lo farebbe fare da nessuno… se ha scelto di…”, nonostante la
mia convinzione, non riesco comunque a terminare la frase senza che la voce mi
tremi. Deglutisco un paio di volte, tossendo, poi concludo: “… è perfettamente
in possesso delle sue capacità intellettive, ti dico. Ed anche se non lo fosse,
quando arresteranno Raissa, avrà tutto il tempo di accorgersene. Certo, non gli
servo io per saperlo…”.
“Ma tu lo ami!” biascica sconfitto Seth, lasciandosi cadere su una
sedia, le mani tra i capelli. Un singhiozzo si rompe nella mia bocca, fingo
ancora di tossire per fermarlo, il petto che echeggia vuoto.
“Amo di più Alex…” mormoro sicura, distogliendo lo sguardo da Seth per
puntarlo sulla finestra. La luce mi inonda le iridi, chiudo gli occhi per il
fastidio: “E per quanto adesso mi sembra il contrario, è importante che
ricominci anche ad amare me stessa… non potrò farlo se continuo ad inseguire la
speranza remota che questa storia vada a posto per un motivo qualsiasi. Tra me
e Draco era finita cinque anni fa. Non siamo stati noi a volerlo, d’accordo. Ma
era finita allora e lui è andato avanti. Io no. Adesso ne sono più consapevole
di quanto sia mai stata…”.
“So che probabilmente a queste parole, l’inferno gelerà… ma la Granger
ha ragione, Seth…” la voce monocorde di Pansy mi raggiunge da un punto
imprecisato alla mia sinistra, la vedo con la coda dell’occhio accendersi una
lunga sigaretta che emette un buon odore di arancia e vaniglia. Dopo averne
dato una boccata, aggiunge seria: “Non sei madre, Seth… e non puoi capire…”.
Mi volto a guardarla, lei ovviamente non fa il minimo accenno nella
mia direzione ma prosegue calma: “Se fosse successo a me con Charisma, avrei
fatto esattamente la stessa cosa. Anzi probabilmente al posto tuo, non avrei
nemmeno lasciato l’Italia. Mi sarei aggrappata a chi avevo accanto in quel
momento… so che nel tuo caso era Weasley, quindi qualsiasi cosa era migliore…”,
sollevo gli occhi al cielo e reprimo un sorriso scomodo mentre continua: “… ma
è vero che essere madre cambia la vita. Devi andare avanti per forza. O vuoi, o
non vuoi. Tu hai messo in pausa tutto, invece… Alex merita che invece tu vada
avanti. La condanna è finita, l’esilio anche. È ora che inizi a viverla davvero
questa tua esistenza… se non altro per Alex. Un giorno, probabilmente,
scoprirai anche il piacere di viverla per te stessa. Ma adesso è a lui che devi
pensare…”. Pansy spegne la sigaretta con un gesto elegante, mentre io
silenziosamente la ringrazio mentalmente.
La sua voce ha un tono più triste mentre continua: “E non credere che
sia facile per me dirti questo. Draco è sempre il mio migliore amico. E so
anche che… quello che provavate voi due… difficilmente si trova ancora e
difficilmente lo provano altri. Credimi, lo so…”, nei suoi occhi passa veloce
un lampo d’oro liquido, ricorda i colori dell’autunno, ricorda dei pomeriggi
bagnati dalla luce del sole fattosi di bronzo. Dean conosce lo stesso sguardo
per qualche secondo e penso immediatamente che qualcosa nelle parole di Pansy,
sia chiaro solo a loro due e ai loro ricordi.
Pansy capisce ovviamente. Lei e Dean si sono
innamorati dello stesso amore assurdo di cui ci siamo innamorati io e Draco.
“Per questo, non ti credo…” aggiunge stentorea, sistemandosi meglio
sulla poltrona “Non ce la farai a rinunciare a lui. Tornerai indietro… basterà
il tempo di capire che non ce la fai ad andare avanti senza di lui. Ti
spezzerai definitivamente e ti trascinerai dietro anche tuo figlio… perché
anche se Draco non sposasse più Raissa, anche se tornasse… non sarà più la
stessa cosa. Dovreste ricominciare daccapo. E siete genitori adesso, non
potreste semplicemente mandarvi al diavolo quando vi va. Sareste costretti a
stare assieme. Ed inutile che ti dica che secondo me, non ne siete stati in
grado… mai… ti ha chiesto di sposarti appena vi siete messi assieme. L’hai
lasciato appena ti ha mostrato l’anello di Helena. Siete sempre stati deboli.
Con Alex, finireste semplicemente per fare un’ulteriore vittima, oltre voi
stessi…”. Le parole di Pansy aleggiano nel silenzio che galleggia pigro nella
stanza, sono troppo studiate per non capire che se le teneva dentro da anni.
Non posso obiettare, non posso contraddirla, a suo modo ha ragione. So
anche, però, che il bello di questa storia è che la vita non darà mai ragione a
me o a lei. Ci lascerà per sempre il beneficio del dubbio, riguardo a quello
che poteva essere e non è stato tra me e Draco Malfoy.
Ignoro ogni accenno a me e a lui assieme e ribatto solo alla prima
parte della sua frase: “Suppongo che dovrai fidarti della mia volontà di
chiuderla davvero questa storia. E se ci scommetti contro, hai anche una
discreta casistica che ti sostiene… a me basta sapere che sei dalla mia parte,
a tuo modo. Credo che sia il massimo che possiamo ottenere l’una dall’altra
no?”.
“Ci mancherebbe… il giorno in cui dirò che mi fido di te e delle tue
scelte, sarà anche il giorno in cui truccherò lo Smistamento di Charisma perché
finisca a Grifondoro…”.
“E il giorno in cui io sarò d’accordo con il tuo piano, sarà quello in
cui Charisma finirà a Serpeverde!” biascica velocemente Dean, toccato dapprima
dalla frase della moglie e successivamente ancora dalla considerazione della
mia decisione. Sospiro, preparandomi all’ennesima filippica. Dean si alza in
piedi, rovesciando quasi all’indietro la sedia su cui era seduto. Seth lo
guarda con una cupa nebbia di speranza, mentre Pansy si massaggia la tempia
come se avesse mal di testa. Ilai resta immobile, la schiena poggiata alla
parete, gli occhi chiusi, le braccia conserte.
“Lascerai che quella la faccia franca?! Lascerai che Raissa la faccia
franca?!” ripete Dean nervosamente, andando avanti ed indietro per la stanza,
gettandomi ogni tanto un’occhiata furente.
“Io non lascerò proprio stare nulla!” trovo nella mia voce l’eco di un
po’ di forza nervosa, cosa che porta Dean ad un sardonico sorriso. Mi affretto
immediatamente a respirare, cercando di calmarmi, mi conosce troppo bene per
non farmi capitolare nella sua trappola. Preme un po’ sui miei punti deboli e
crede naturalmente che io cederò come ho sempre fatto. Si sbaglia anche lui.
“Solo, non sarò qui per guardare la fine di Raissa…” dico serena,
chiudendo le braccia “Denuncerò la morte di Tatia, consegnerò la lettera… e
dirò anche quello che ha fatto a me, assieme a Dimitri. La pagherà, certo che
la pagherà… solo che non voglio essere qui, per quando accadrà… voglio
andarmene, voglio essere in grado di ricominciare da sola. Non avrei comunque
potuto affrontarla. Mai… se si fosse trattato solo della mia incolumità,
l’avrei fatta a pezzi dal momento che l’ho vista con Serenity. Ma c’è Serenity
appunto, c’è Alex… non posso affrontarla, devo lasciare questa cosa agli Auror.
La cattureranno… e allora…”.
“… e allora Malfoy saprà tutto, a questo non hai pensato?” bercia
affrettato Dean, guardandomi intensamente in viso.
“Certo che ci ho pensato… se accadrà… se verrà lui a cercarmi, sarà
una sua scelta, non mia…” mormoro affannosamente, mettendo a tacere la parte di
me che continua a sperare che ciò avvenga “E solo allora, deciderò che cosa
fare… e se lui non mi cercasse mai… quando Alex sarà grande abbastanza per
capire, gli racconterò tutto. Sarà lui a decidere se vuole conoscere suo padre…”.
“E’ assurdo tutto questo…” commenta Dean, lasciandosi di nuovo cadere
pesantemente sulla sedia.
“No, non lo è… io voglio solo mettere a posto la mia vita, raccogliere
i cocci… non continuare a vivere in funzione di Draco…” dico con un filo di
voce “Per cinque anni l’ho considerato indispensabile alla mia felicità… lui
non ha considerato me allo stesso modo. So che probabilmente si sarebbe dovuto
rifare una vita, era anche giusto visto quello che Astoria gli aveva fatto
credere di me… ma non con Raissa… non posso accettarlo. Non posso. Voglio solo
acquistare la forza sufficiente ad andare avanti da sola… che domani accada
quello che deve accadere, ma devo imparare ad essere una brava madre senza il
pensiero di Draco, senza il pensiero che Alex sia suo figlio e che io lo faccia
anche per lui. Voglio che, sia che mi venga a cercare, sia che non lo riveda
mai più, per me la vita vada avanti lo stesso… ed accada la stessa cosa anche
per mio figlio. Voglio solo questo. Me lo merito.”.
Le mie parole vengono accolte da un profondo silenzio, tutti
finalmente tacciono come se alla fine io avessi detto davvero delle parole risolutive.
Ho detto solo la verità, nulla di più di questo. Voglio solo ricominciare a
vivere per conto mio, sciogliendo il filo rosso che mi lega a Draco. Può darsi
che sia solo per vedere se resiste, può darsi che io lo faccia perché non posso
sopportare che per un momento qualsiasi della sua vita lui abbia scelto Raissa,
può darsi che io lo faccia solo per non dargli occasione di far soffrire Alex,
può darsi che io lo faccia perché sono davvero stanca adesso.
Ma è quello che voglio. È quello che davvero voglio, adesso.
“Che cosa farai ora?” pigola Seth con un filo di voce, sedendosi
accanto a me e chiudendo le mie mani nelle sue. Sollevo il viso, fissandolo per
qualche istante, poi i miei occhi sfuggono involontariamente dietro di lui,
raggiungendo Ilai. Lui riapre gli occhi in quello stesso momento, limitandosi a
restituirmi lo sguardo.
Sa anche questo. Ilai
si stacca dal muro, rimane immobile e continua a guardare me e Seth. Distinguo
le sue mani che tremano un po’. Deglutendo pesantemente, sussurro: “Oggi
accompagnerò Alex a quella fiera di paese a cui voleva andare… almeno gli
resterà un bel ricordo di questo viaggio…”, sospiro e torno a guardare Seth: “…
e poi vado in Finlandia...”.
Il silenzio che ha accolto prima le mie parole non ha assolutamente
nulla a paragone con questo di silenzio.
Pesante, teso, colmo di sottointesi.
Dean si guarda le scarpe, Pansy assume un’espressione indecifrabile e
Seth si limita a mormorare un asettico ed educato: “Capisco…”. Le sue mani però
si stringono così forte sulle mie che temo che tra poco non mi circolerà più il
sangue. Seth poi non sa nemmeno che cosa sia un tono sommesso ed educato di
rassegnazione, conosce piuttosto le repliche urlate. Quindi se sta zitto, è solo
perché non vuole parlare alla presenza di Ilai. Ho persino la curiosa
sensazione che a Seth, Ilai faccia persino paura.
Ilai, forse capita l’antifona, fa qualche passo ed esce dalla stanza
chiudendosi la porta alle spalle.
Lì, ovviamente, la stanza stessa esplode. Faccio solo in tempo a
staccare le mani da quelle di Seth temendo che me le torca del tutto, prima che
lui si alzi in piedi paonazzo chiedendo spiegazioni.
Spiegazioni che, per inciso, non ho. Volendo essere quanto più neutra
possibile, so che ho deciso di andare in Finlandia perché la calma di quella
terra mi è entrata dentro e credo di averne bisogno più che mai adesso. E’ un
posto tranquillo, pieno di natura amichevole e generosa che so che ad Alex
piacerebbe molto. Non da ultimo, è vergine di ricordi. In Italia non posso
tornare, avrei sempre in mente questi anni e mi sembrerebbe di tornare
indietro. In Inghilterra, per ora, non voglio rimanere, ogni cosa mormora di
Draco e ci sono troppe persone a cui dovrei troppe spiegazioni per un figlio
che non ha padre. Peraltro Seth vive ancora al Petite Peste con Kevin e io lì
non ci ritornerei nemmeno morta. Dean e Pansy hanno la loro vita, hanno
Charisma, non mi intrometterei mai troppo nella loro esistenza. Ginny ed Harry
idem. E per quanto riguarda me, al momento, non ho una casa qui. Resterei in
Finlandia per l’estate, quindi solo altri due mesi, il tempo di schiarirmi le
idee… e poi tornerei qui. Alex inizierà la scuola a settembre e, per allora,
credo che avrò capito che cosa voglio fare di me stessa e della mia esistenza.
Simili considerazioni, però, io potrei farle per qualsiasi posto al
mondo. Potrei andarmene in Spagna, in Francia, in America. E sarebbe lo stesso.
Ed invece ho scelto la Finlandia, ho scelto Tampere, ho scelto di
vivere da Anya ed Ilai.
Stamattina, appena sveglia, ho lasciato Alex a letto e sono uscita in
giardino. Faceva fresco, l’odore del mare era remoto come quello di una
conchiglia, mi sono stretta nelle spalle e seduta su una panchina bianca,
proprio sotto un albero di pino marittimo. Avevo già preso la mia decisione, ne
ero più che mai convinta, attendevo solo di dirla agli altri.
Ilai, in silenzio, è apparso quasi dal nulla e si è seduto accanto a
me. Aveva i capelli più spettinati del solito, come se non avesse chiuso occhio
per tutta la notte, gli occhi erano cerchiati, le labbra serrate e screpolate.
Ho sussurrato la mia decisione senza guardarlo in volto, continuando a tenere
lo sguardo ostinatamente rivolto alla finestra della camera dove dormiva Alex.
“Credi davvero che sia la decisione giusta? Che riuscirai a lasciarti
tutto alle spalle?” mi ha chiesto, la voce quieta, calma, tranquilla.
Per un attimo ho capito perfettamente perché fa il pediatra, rende le
persone sicure, non ti fa temere nulla.
Mi sono lasciata andare contro lo schienale della panchina e ho
sorriso lievemente: “Ci riuscirò mai davvero un giorno? Lascerò mai davvero
tutto indietro? La risposta è no e lo sai anche tu. Ma è l’unico pensiero che
mi consente di non andare in pezzi… quello di pensare di andarmene… e se è
così, forse vuol dire che è la cosa giusta…”. Lui è rimasto in silenzio, non ha
aggiunto altro, nemmeno quando gli spiegavo che avrei denunciato Raissa, avrei
consegnato la lettera e avrei anche raccontato della sua collaborazione con
Dimitri nel tenermi reclusa. In risposta, ha soltanto detto che lui comunque
sarebbe rimasto fino a quando non avesse visto Raissa trascinata in catene, poi
sarebbe tornato a casa sua a Tampere. Per qualche secondo solo il rumore degli
alberi che stormivano nel vento del primo mattino ha fatto compagnia ai nostri
respiri, poi, mentre riflettevo concretamente su dove andare e mi rendevo conto
che non avevo un posto da chiamare casa in senso stretto, Ilai si è alzato in
piedi e mi ha dato le spalle facendo qualche passo. “Ad mia sorella Anya …
piacciono molto i bambini, non ne ha di suoi. E io e Tatia non abbiamo fatto in
tempo a darle un nipote…”. Il viso mi è andato a fuoco, come se fossi
febbricitante mentre ancora mi colpiva quasi a tradimento l’intimità dei
pensieri che sembriamo sempre condividere.
Mi sta dicendo… che ad Anya, Alex piacerebbe,
che mi aiuterebbe a prendermi cura di lui.
Mi sta dicendo di andare a casa sua, in
Finlandia.
Ho deciso di accettare nello stesso momento in cui me l’ha chiesto.
Ancora, di motivi razionali io ne ho a iosa. L’ho già spiegato e adesso mi
affanno anche a spiegarlo ai miei amici. Ma non è solo questo. Ovvio, lo so. E
Pansy stranamente svela quello che mi sto tenendo dentro: “L’ho detto io, prima
no? Qua si tratta dell’aggrapparsi a quello che si ha… hai imparato troppo
tardi la lezione, Granger… considerando comunque che sei migliorata, passando
dalla concreta possibilità di restare attaccata come una cozza allo scoglio a
Weasley, a quella invece di Radcenko… possiamo dedurre che il tuo ritardo
nell’apprendimento sia anche stato provvidenziale…”. Non è ovviamente solo
questo: mi sto aggrappando ad Ilai, perché è Ilai, non perché è la sola
alternativa presente.
Lui mi dà l’impressione di prendersi cura di me. Ecco, e io non ci
sono affatto abituata. L’unica volta in cui qualcuno si è preso cura di me, è
durata dieci giorni e mi è stata strappata via.
Quello che io e lui condividiamo, è un calderone liquido di sentimenti
che altri non possono provare: la stessa persona che ti strappa l’amore della
tua vita.
Come fai a non sentirti unita a quella persona?
Ilai poi è silenzio, quiete, stasi: mi abbevero alla sua calma come se
fossi un’assetata. Magari non è normale un così forte attaccamento ad una
persona che, in fondo, è poco più che uno sconosciuto… ma non mi interessa. Mi
fido ancora troppo di Tatia e dell’avermi guidato a lui per mettere in dubbio
questo affetto. Per tutta la vita, poi, ho sempre cercato di spiegarmi le cose
e il risultato è come sto adesso. Se ho qualcosa, qualcuno che mi fa sentire
bene… mi va bene qualsiasi motivo per cui ciò avvenga.
Ovviamente che per me tutto sembri così chiaro nella testa, non
implica che sia lo stesso per gli altri. La mancanza di etichette specifiche a
quello che sento che siano traducibili in parole razionali, impedisce che loro
comprendano. Se per Pansy alla fine il mio è calcolo puro e semplice e glielo
lascio pensare perché mi fa comodo non avere altre domande, per Seth
soprattutto o si parla di amicizia, o si parla di altro. Ed io ed Ilai ci
conosciamo da troppo poco per essere amici secondo lui.
“Si sta semplicemente aggrappando a lui…” ripete Pansy con voce
annoiata, mentre Dean borbotta: “Giuro che d’ora in poi avrò anche paura di
andare a comprare il latte, se corro il rischio che ti aggrappi pure al postino
in mia assenza…”. Pansy lo ignora bellamente concentrandosi su Seth che
continua a blaterare: “Cioè capisco che insomma… sia... un bel tipo… hai degli
addominali su cui ci potresti grattugiare il formaggio…”, sgrano gli occhi e lo
guardo sconvolta, giuro che questa me la scrivo da qualche parte “… e non ci
sarebbe nulla di male se tu… credessi di provare qualcosa per lui… ma ok, un
po’ di sesso consolatore, un paio di baci… ma addirittura che te ne vai a casa
sua! Mi sembra troppo! Non ti sarai innamorata di lui?!”.
“Seth, per favore…” mormoro atona, senza nemmeno prendermi la briga di
arrabbiarmi “Non sono innamorata di Ilai e non ci farò nemmeno del sesso
consolatore… ammesso che io capisca che sia il sesso consolatore…”.
“Io ne ho un ricordo… mi sa che è iniziata così tra me e te…” commenta
allegro Dean, facendomi l’occhiolino. Per fortuna che Pansy pensa bene di
lasciar cadere accidentalmente il suo piede su quello del suo adorabile marito,
prima che lo strozzi io con le mie mani.
“E poi Ilai resta qui fino a quando non arrestano Raissa, non è che
partiamo assieme nel fulgore dell’aurora…” biascico senza eccessiva
convinzione, sapendo che comunque lui prima o poi a casa ci deve tornare “E
comunque, sia come sia, non credo di essere legata a qualcuno. Potrei anche
decidere di sposare Ilai o il fantasma di Nick quasi senza testa, e sarebbero
solamente affari miei, no?”.
Seth ovviamente continua a bofonchiare per un’altra quindicina di
minuti, ma alla fine concorda sul fatto che io debba fare quello che sento di
fare. Del resto, di fronte all’argomento per cui Draco sposa Raissa, mi
concederebbero di fare qualsiasi cosa.
“Vi ringrazio per quello che avete fatto per me in queste settimane…”
le lacrime si formano nei miei occhi prima che le possa fermare “Grazie
davvero, io non so se sarei sopravvissuta senza di voi. Non lo so davvero.
Quello che avete fatto per me, per Alex… non lo dimenticherò mai”. Mi asciugo
frettolosamente le lacrime dagli occhi, mentre Dean sorride e Pansy finge di
essere profondamente interessata allo stato delle sue unghie. Ma la sua mano
trema un pochino quindi credo che mi abbia sentito. Seth, manco a dirlo,
singhiozza. Gli batto amichevolmente una mano sulla spalla mentre mormora: “Non
volevo che finisse così…”. Un groppo pesante in gola, dico piano: “Non era
certamente nemmeno quello che volevo che accadesse a mia volta… ma le cose
adesso stanno così… e poi non è un addio, Seth, diamine! A settembre vengo al
Petite Peste e mi fai vedere il parquet che hai messo nella sala ristorante!”.
“E vieni anche a vedere Charisma… magari la riusciamo a far sposare
con Alex, ti immagini?! Saremo consuoceri, che figata…” asserisce convinto
Dean, strappandomi finalmente una risata allegra, specie quando Pansy obietta:
“Certo, vieni con questi propositi matrimoniali per due bambini di tre e cinque
anni… e vi mando in Romania a curare la carie di tutti i draghi presenti sul
suolo nazionale...".
Alla fine tutti assieme decidiamo di andare assieme alla fiera di
paese, per cui Alex mi ha dato il tormento contagiando anche Charisma. È in un
paese vicino, quindi dovremo prendere il treno. Poi, torneremo qui e ci
divideremo.
Sto per tornare in camera mia per svegliare Alex, quando mi rendo
conto che non so se ad Ilai vada di venire con noi. Allo stesso tempo mi rendo
anche conto di aver dato ampiamente per scontato che lui mi voglia davvero a
casa sua, quindi forse è anche il caso che gli chieda conferma. Lo trovo in
camera sua, è steso sul letto al buio, un braccio piegato sugli occhi chiusi.
Sto per riaccostare la porta lasciandolo riposare, quando la sua voce mi
richiama indietro: “Hai bisogno di qualcosa?”.
Incerta, resto sull’uscio di porta e lo metto a conoscenza dei nostri
piani per la giornata. Dice solo che verrà con noi, senza cambiare il tono di
voce pacato che ha sempre.
“Non ti ho davvero chiesto se a te va bene che venga a stare da te per
un po’…” comincio con voce malferma, temendo quasi che mi dica di no, i miei
occhi lo cercano nell’oscurità della stanza non riuscendo a trovarlo. Lo sento sospirare
prima di rispondere, dopo essersi tirato su a sedere. Le molle del materasso
stridono fastidiose, mentre bisbiglia: “Avrei avuto qualche alternativa?”.
Per la prima volta, da quando ci conosciamo, non capisco che cosa
intenda dire. Resto immobile, imbarazzata dalla possibilità di averlo davvero
messo spalle a muro senza che lui abbia potuto effettivamente opporsi. Sto già
per balbettare delle scuse affrettate e rapide, quando lo vedo alzarsi dal
letto, muoversi lentamente nella stanza e fermarsi di fronte a me che sono
ancora davanti alla porta semi accostata. Sussulto lievemente mentre Ilai
solleva il braccio, non lasciando un attimo i miei occhi. La sua mano mi sfiora
la guancia facendomi rabbrividire, mentre si affretta a chiudere la porta, facendo
calare la stanza nel buio più completo. L’eco della porta chiusa si infrange
nella mia mente confusa, mentre lui ripete ancora sottovoce: “Avrei avuto
qualche alternativa?”.
Nell’oscurità più totale, non riesco ormai più a distinguere nulla del
suo volto, né di lui, sento solo che è inaspettatamente vicino, più vicino di
quanto era prima. Il mio respiro accelera senza che me ne renda conto, mentre
biascico: “S-scusami, avevo capito che stamattina tu…”. Le mie parole sono però
immediatamente bloccate in gola, le sue dita si poggiano morbide sulle mie
labbra, costringendomi al silenzio. E’ come se il buio stesso mi accarezzasse,
mi guardasse, mi respirasse vicino. Il cuore perde un colpo che vorrei non
avesse perso. Le sue dita scendono placide lungo il mento, descrivendo una scia
fresca sulla mia pelle calda, mentre scorrono sul collo, sulla piega della
spalla, lungo il braccio, fino alla mia mano. La prende nella sua, la stringe,
se la porta al petto.
Rabbrividisco, accorgendomi che è a torso nudo, la pelle del mio palmo
sfiora la sua, sento il suo cuore battere forte. Non mi sento in imbarazzo, non
mi sento in colpa, non mi sento turbata, sebbene un allarme indistinto mi
risuona in testa. Penso solo che mi fido di lui… ed improvvisamente focalizzo
quante volte Raissa può aver toccato così Draco.
La stretta ferrea allo stomaco mi costringe a deglutire pesantemente,
apro la mano sul torace di Ilai, resto ad ascoltare il suo cuore mentre dice:
“Il solo momento in cui sono quasi in pace è quando ci sei tu… quando sono con
te e con tuo figlio… credi che potrei lasciarti andare via in qualche modo?”.
E’ inutile che gli dica che è lo stesso, lo sa già. Vorrei chiedergli se pensa
che sia normale tutto questo, vorrei chiedergli se non è solamente vendetta la
nostra verso Raissa, vorrei chiedergli se non ci faremo solo del male e basta,
vorrei chiedergli se stiamo solo rimpiazzando Tatia e Draco, vorrei chiedergli
se adesso non sia il caso che rompiamo questa cosa prima che ci porti chissà
dove. Vorrei chiedergli tutto questo, davvero, ma la stanchezza mi ottenebra la
mente. Il tocco di Ilai sulla mia pelle mi dà la pace, come succede a lui… quello di Draco mi faceva sentire viva. Ma
se non posso più sentirmi viva, va bene che allora io insegua la pace. La sola
cosa che mi resta da desiderare.
Così quando Ilai mi chiede con un filo di voce: “Resterai con me?”, la
mia risposta può essere solo una.
“Sempre”.
I figli sanno sempre approfittare dei sensi di colpa dei genitori.
Specie se i suddetti figli hanno anche un discreto numero di geni nel
corredo cromosomico propensi alla manipolazione altrui, ereditati da un
genitore che non è quello da manovrare.
Nella mia vita di madre ho mancato ai miei doveri per soli sette
giorni, se escludiamo la mia gravidanza che non mi ha visto propriamente
ricamare quadretti all’uncinetto di colore azzurro.
E questo non è certo accaduto per colpa mia.
Da quando ho sentito Serenity chiamare Raissa mamma, fino a quando ho
deciso di andare via da qui senza incontrare Draco, sono per l’appunto
trascorsi sette giorni.
Ho volutamente ignorato Alex per sette giorni, considerandolo come un
ospite molesto della mia vita. Perché era il figlio di Draco.
Per la prima volta nella sua vita, la sua somiglianza con il padre mi
è sembrata insopportabile. Il colore grigio degli occhi, il biondo dei capelli,
il broncio delle labbra, il carattere furbo: per sette giorni mi è parso tutto
lo scherzo di cattivo gusto di un Dio crudele. Quello che era stato sempre un
miracolo, una benedizione, è diventato in sette giorni l’aspro profilo di una
condanna ineluttabile.
Semplicemente, perché amo Alex. Ed attraverso di lui sarei stata
sempre condannata ad amare Draco Malfoy.
Che, invece, mi aveva rimpiazzata con Raissa.
Ho odiato la vista di Alex, il fatto che mi chiamasse mamma, la
condizione di non sentirmi libera di scappare da tutto questo, l’impossibilità
di lasciarmi andare al mio dolore e alla mia sofferenza come una donna
qualsiasi con il cuore spezzato… solo perché c’era lui a cui dovevo una perfezione
esteriore che non potevo avere.
Ma io ed Alex siamo sempre stati uniti, come due naufraghi su un’isola
deserta. Siamo necessari l’uno alla sopravvivenza dell’altro, come quando ero
incinta e riuscimmo a salvarci la vita da Dimitri e dal coma. Credo che se un
domani avesse altri figli, non riuscirei a legarmi in questo modo con nessuno,
pur amando comunque un altro bambino o un’altra bambina.
È una cosa mia e di Alex, che ci ha sempre tenuto in vita.
Per questo, quando stanotte è venuto in camera mia piangendo, io ho
saputo immediatamente cosa fare.
Mi sono aggrappata a lui per sopravvivere, sapendo che lui ha solo me
per sopravvivere.
Però intanto, per una settimana io sono stata orribile, ho pensato le
cose peggiori, ho persino deciso di lasciarmi andare all’inedia sperando che mi
uccidesse… senza pensare ad Alex. Il senso di colpa per questo è tale da darmi
una smania nervosa di accontentare in tutto il mio bambino. Che ora, tanto per
intenderci, devo imparare a chiamare così. Mio figlio, il mio bambino, il mio
Alex.
Mio e basta.
Il problema è che Alex appartiene a sé stesso e al suo sangue. Ed il
suo sangue, per quanto io operi di negazione, è sempre il sangue di Draco.
Quindi ha capito abbastanza in fretta che cercavo di farmi perdonare.
In una sola mattinata, camminando per la fiera di paese a cui ci ha trascinato,
ha ottenuto due mele caramellate (che io non gli compro mai, considerandole
l’anticamera del dentista, cosa che mi pone in enorme conflitto d’interessi con
i miei), ha preteso un paio di pattini (a cui ho resistito per anni,
considerandoli l’anticamera del pronto soccorso, cosa che stavolta mi pone in
conflitto d’interessi con Ginny) e non ha camminato nemmeno per un passo,
ottenendo che tutti gli uomini presenti lo portassero in braccio a turno, sotto
le mie sollecitazioni stanche e sotto lo sguardo omicida di Pansy, dati i
capricci che di conseguenza ha messo su Charisma.
Non da ultimo ha ottenuto anche un cane, cosa su cui mi scocciava da
quando è nato, ma che non aveva mai potuto avere per quanto fossi aggrappata
all’idea che l’Italia non fosse la nostra vera vita e che quindi avere anche un
cane, poteva essere un peso quando ce ne saremmo andati.
Ora, invece, che io ho una vita devo provare davvero a viverla, senza
prendere in affitto un’esistenza rattrappita nell’attesa di riavere Draco,
ovviamente ho ceduto.
Ed Alex tutto contento se ne va in giro per le bancarelle, tenendo al
guinzaglio un minuscolo botolo color caramello con la punta delle zampe
bianche, alla stregua di quattro calzini.
Ovviamente questo ha colpito Alex come non mai, l’ha indicato nel
recinto dove c’erano i cuccioli abbandonati che un ente benefico aveva salvato
dalla strada, e mi ha detto serio: “Mamma, voglio lui!”. Mi sono seppellita in
gola le mie rimostranze, specie considerando che era il cane meno calmo di
tutti e stava abbaiando come un pazzo, e ho acconsentito persino al nome
Biscotto che gli ha appioppato. Il cucciolo, ovviamente, ha capito subito chi
comandava tra me e mio figlio, non ha filato di striscio me e si è fiondato a
leccare la faccia di Alex, conquistandolo. Giurerei persino che il cagnaccio mi
abbia anche guardato con sguardo sornione di sfida quando Alex gli ha messo il
guinzaglio, per la serie “sei retrocessa al terzo posto in classifica in questa
famiglia, pupa!”.
Quindi ora non sono tiranneggiata solo da un bambino di cinque anni,
ma anche dalla sua adorabile bestiaccia.
Ma va bene così… Dio, se Alex può sorridere
ancora ed essere felice, va bene tutto… va davvero bene tutto…
Non mi ha più chiesto di suo padre. Neanche una parola. Da quando
siamo arrivati qui, non ha più nominato Draco nemmeno per sbaglio. Non me ne
ero accorta, ovviamente, presa da me stessa.
Ma fino all’ultimo giorno prima di partire per la Finlandia, voleva
sapere continuamente quando saremmo andati da lui, faceva domande a Pansy e a
Seth, chiedeva foto.
Poi, non l’ha più fatto. E so che questo non è un bene, non lo è
affatto. Vuol dire che si sta reprimendo, vuol dire ancora che gli ho trasmesso
le mie emozioni.
Eppure ne sono felice: fino a quando non mi farà domande, io non dovrò
ripensare a Draco. Al momento mi basta il suo nome nella testa, per sentirmi
aperta in due come una mela.
Questa fiera è una bella distrazione: ovviamente per Alex, che
saltella felice con il suo cucciolo ammonendo Charisma su come deve tenerlo al
guinzaglio, e lo è appunto anche per la bambina di Pansy e Dean. È una
piccolina allegra, spiritosa, vivace, sempre in movimento. Adesso si fa
trascinare ridendo da Biscotto, il vestitino bianco increspato dal vento e la
mano di Alex che la trattiene per un braccio come ad impedirle di cadere. Alex
è molto protettivo con Char, come già l’ha ribattezzata, e credo che sentirà
molto la sua mancanza quando andremo via.
Per questo, voglio che questa giornata sia la migliore possibile e non
solo per i bambini, ma anche per i miei amici. Il paesino dove ci troviamo, si
arrampica sul declino di una montagna rocciosa e brulla, persa a strapiombo
sull’oceano verde e grigio. L’aria è fresca e il cielo è nuvoloso, cosa che
probabilmente significa che tra poco pioverà, ma le bancarelle colorate
riescono comunque a trasmettere allegria. C’è di tutto, dai dolci che riempiono
dell’odore di caramello le strade, fino agli acchiappasogni, ai giocattoli, ai
carillon, ai braccialetti. Seth saltella da un banchetto all’altro come se
fosse stato punto da un’ape, spendendo i suoi soldi per ogni cosa che si
avvicina al suo concetto di “carino”. Pansy ovviamente guarda tutto con il suo
solito disinteresse borghese, gettando qualche occhiata distratta solo alle
sciarpe dalle stampe floreali. Dean osserva il suo viso e le dice scocciato:
“Quella sciarpa con le rose è bella... potrei prenderla per mia sorella…”.
“Tua sorella è sprovvista di collo… è nata con la testa incassata
sulle spalle… non potrebbe oggettivamente indossarla…”.
“Quindi forse è meglio che la prendo per te, no? Almeno non va
sprecata…”.
“Fai come vuoi…” borbotta lei, infine, schioccando la lingua come se
gli stesse facendo un favore. Ma gli occhi le brillano mentre lui le dà le
spalle per pagare l’acquisto, ed una mano si poggia dolce sulla schiena di Dean
come un incoraggiamento ed un ringraziamento gentile.
Serviva anche a loro una giornata libera dal caos che ho gettato nella
loro vita.
Loro ce l’hanno una vita: Seth ha Kevin, Pansy ha Dean e Charisma,
Dean ha loro due. Non è stato giusto mettere in pausa anche loro, costringerli
a cercare la verità con me, obbligarli a darmi risposte. Li invidio,
profondamente e non è bello. Sono contenta che siano felici, ma invidio il loro
posto nel mondo, la loro nicchia, la loro assoluta convinzione di essere nel
giusto luogo dove devono stare. Io tutto questo non ce l’ho. E questo, ancora,
mi rende uguale ed identica ad Ilai. Anzi io almeno ho Alex, lui non ha nemmeno
questo.
Appena siamo arrivati nel paesino, ha guardato le bancarelle in
lontananza, la gente che rideva, i bambini che facevano i capricci. Era accanto
a me, con Alex sulle spalle che lo ha preso in una simpatia smodata, nonostante
Ilai non parli molto e non sia esageratamente divertente. Alex, però, si mette
a fare lunghi discorsi prolissi con lui, made in Hermione Granger, ed Ilai lo
ascolta paziente facendogli qualche domanda gentile. Solo quando sono con te e con tuo figlio, io trovo la pace. Le sue
parole della mattina mi sono rimbombate in testa un sacco di volte, specie
mentre camminavo accanto a lui, Alex che non smetteva di parlare. Poi ha visto
le bancarelle, la confusione. Si è irrigidito, si è bloccato, è rimasto
immobile. Ha posato delicatamente Alex a terra e ha sussurrato a me: “Vado a
farmi una passeggiata
scusami…”. L’ho guardato fino a quando è sparito dietro
una curva, sentendomi improvvisamente sola. Non lo sono, ovviamente, ma se a
lui io comunico pace, lui a me dà un senso saldo di sicurezza difficilmente
negabile. Ma l’ho lasciato andare, forse aveva dei ricordi che gli davano
fastidio, forse voleva stare da solo. Alex ha stretto la mano nella mia e ha
bofonchiato saggiamente: “Non voglio che sia sempre così triste, mamma…”.
“Lo so, tesoro…” ho annuito sorridendo e reprimendo la tristezza
gemella di Ilai, in fondo a me stessa.
Quella tristezza, però, senza Ilai che la tenga a freno, esplode
sinistra in un momento qualunque, mentre decidiamo di raggiungere un chiosco
che vende panini.
Pansy si drappeggia la sciarpa nuova attorno al collo, Dean le fa dei
complimenti stupidi e la bacia frettolosamente sulla guancia prima che lei si
scansi infastidita, gli occhi però pieni di luce. Seth parla dei regali che
Kevin gli fa ed io non riesco a respirare più normalmente.
Improvvisamente, la vista di Dean e Pansy mi è diventata
insopportabile come poche. Perché loro sono me e Draco, al contrario, in un
Universo inesistente dove tutto è finito bene. E al contempo, sono due delle
persone a cui voglio più bene al mondo. Che io rinneghi Draco, non significa
che lui non ci sia. In tutto. In Alex, in Seth, in Pansy… in tutto.
Quando, poi, Alex insiste per partecipare ad una lotteria a premi e
gli chiedono il suo nome per inserirlo in una boccia da cui estrarre il
vincitore di una fiammeggiante bici da corsa, il respiro mi si blocca in gola
per qualche secondo, dandomi l’impressione davvero di morire.
“Mi chiamo Alexander Leo Malfoy!”.
Non sapevo nemmeno che diamine fosse un attacco di panico, ora so
anche questo. C’è sempre da ringraziare Draco Malfoy in merito alle esperienze
migliori e peggiori della mia vita. Il viso mi va a fuoco, la testa mi rimbomba
di voci, la schiena gocciola di sudore e la gola si chiude, mozzandomi il
fiato. Sto per morire, non c’è altra spiegazione. Mi stringo il collo della
camicia con la mano annaspando, ma cercando al contempo di nascondermi dietro
il tronco di un albero per non far spaventare Alex. La corteccia mi fa male
alla schiena, dandomi l’impressione di volermi grattare fuori le ultime bolle
d’aria che ho nei polmoni. Che c’è, mi aspettavo che sarebbe stato facile? Mi
aspettavo che decidere che non volevo avere nulla a che fare con Draco Malfoy,
lo avrebbe cancellato dalla mia testa e dal mio cuore? Quando mai è successo?
Quando? Mai, ecco. Ho creato uno Zahir e non ha funzionato, mi hanno relegato
in un castello nero e non ha funzionato, sono stata cinque anni in Italia con
un altro uomo e non ha funzionato. Perché dovrebbe esser diverso, adesso? Solo
perché lo dico a me stessa? Solo perché mi convinco che sia così?
Non ce la farò mai, non ce la posso fare.
Il respiro, a quei pensieri, diventa sempre più affannoso, il petto si
comprime come se fosse sotto una lastra di marmo. Mi metto le mani tra i
capelli, stringendoli forte tra le dita, mentre scuoto il capo piangendo,
negando chissà che cosa a me stessa. Io, Hermione Granger, la razionalità
incarnata… che rischio di soccombere per una cosa del genere. Il panico, perché
io ancora lo voglio qui, perché non ce la faccio senza di lui, perché mi manca
adesso più di quanto mi sia mancato in tutti questi anni, perché lo so di
un’altra quando io sono sempre rimasta sua. Questi pensieri non se ne andranno
mai davvero, non mi lasceranno mai. Potrò trarre forza dalla felicità di mio
figlio e dei miei amici, ma non dalla mia. Io non sarò felice mai più… ed è
tutta colpa sua.
La pelle mi diventa ghiacciata sulle mani che stringo furiosamente tra
i capelli, lo odio e non ci posso fare nulla. Lo Zahir, la furia che sentivo
dentro, il desiderio di fargli del male… alla fine mi dava soddisfazione,
potevo sperare di trarre piacere dalla sua sofferenza. Adesso, io non ho nulla,
niente, nemmeno quello. Perché lo amo ancora e voglio che sia felice, e non
potrei mai davvero ferirlo… ma lui mi ha strappato pezzo dopo pezzo ogni
possibilità di esserlo a mia volta. Un’onda nera, cupa, malsana mi cancella
ogni speranza dai pensieri, la forza si eclissa soffocandomi ancora di più.
“Respira…” una voce calda scoppia nella mia testa come un petardo “Non
si muore… ti sembra che sia così, ma non si muore… te lo posso assicurare…”.
Spaventata, atterrita, completamente cieca per il terrore e l’angoscia,
continuo a tremare come una foglia finché i miei polsi riconoscono la presa
ferrea di un paio di mani che si stringono su di essi, liberandomi il viso.
Balbetto qualcosa anche se non so esattamente cosa, la luce grigia del
sole che torna sul mio volto terreo, i riflessi dell’albero sotto il quale mi
sono rifugiata ritagliano forme iridescenti negli occhi scuri di Ilai mentre mi
tiene stretta per i polsi, tenendoli distanti dal mio viso. Le unghie mi hanno
scavato dei graffi poco profondi sulle guance, adesso sento il vento soffiare
freddo e farmi bruciare la pelle. Singhiozzando, mi concentro sui suoi occhi
cercando di guardare solo quelli, isolandomi dal rumore circostante della gente
che si muove festosa, non badando minimamente a noi. L’odore delle mandorle
tostate, dei dolci, delle caramelle mi alita sul viso, dandomi la nausea, ma il
respiro piano torna regolare. Il cuore smette di battere forte, come se stesse
per scoppiare lacerandomi, e la presa di Ilai si fa un po’ meno salda. Quando
ho ripreso completamente il controllo di me stessa, mi azzardo ad aprire bocca,
la mia voce suona ancora malferma e traballante ma perlomeno riesco a parlare
senza l’impressione di soffocare.
“Che cosa era?” chiedo con un filo di voce, guardando Ilai con un
misto di vergogna, imbarazzo e terrore. Lui lascia la presa sui miei polsi, le
braccia gli cadono lungo i fianchi e punta lo sguardo lontano, apparentemente
catturato da qualcosa alle mie spalle. Le sue spalle tremano un po’ mentre
risponde: “Attacco di panico, d’ansia…
paura di non farcela… puoi chiamarla in mille modi… hai l’impressione di
morire, ma non è così… non è mai così…”.
“E’ successo anche a te, vero?” sussurro, asciugandomi il viso dalle
lacrime versate senza accorgermene. Ilai torna a guardarmi, scrollando le
spalle quasi con noncuranza: “Quando morì Tatia, quando capii che non sarei
nemmeno riuscito a vendicarla, a scoprire chi l’aveva uccisa… ne avevo parecchi
di questi episodi. Ti distrai, stai con le persone che ami, ma poi basta che ci
ripensi, basta che per un caso qualunque ti accorgi che lei non c’è e ci ricadi
daccapo. Ma ogni volta che lo superi, diventi più forte. La volta dopo, ne esci
prima e meglio…”.
“La volta dopo?!” chiedo spaventata, aggrappandomi senza volerlo al
suo braccio “Mi accadrà di nuovo?”. Ripenso alla possibilità che mi accada
davanti ad Alex mentre sono sola con lui, facendolo spaventare a morte. Ilai si
morde il labbro inferiore, poi mi stringe per le braccia e sussurra: “Ascolta,
accadrà di nuovo, accadrà sempre, perché per quanto forte sia la volontà, non
riesci mai a lasciare davvero indietro quelli che ami. Ma hai tuo figlio… e sei
forte, ce la farai…”.
“Chi avevi tu?” chiedo con un filo di voce, stringendo la presa sul
suo braccio “Chi tirava fuori te?”. Ilai non risponde, guarda altrove, la
tensione del braccio si fa intensa, scattano i muscoli nervosi sotto le mie
dita. Ecco chi sono io, l’egoista senza appello che pensa sempre di stare
peggio degli altri. Di nuovo, è comparso come un angelo custode quando ho avuto
bisogno di lui.
Al momento io non posso pensare a vivere, questo deve capire. Non
posso pretendere da me stessa tutto e subito, non posso ottenere felicità,
gioia, calore in ogni cosa che faccio. Tutto mi sembrerà schifoso, grigio,
spento, orribile. Ogni passo sarà un’impresa, ogni sforzo per non rintanarmi in
un letto con le serrande abbassate sarà una conquista, ogni minuscolo momento
di autentica gioia, non sporcata dal ricordo e dall’assenza di Draco, sarà una
vittoria. È come se fossi convalescente da una lunga febbre: non si può uscire
immediatamente all’aperto, bisogna coprirsi, limitare i colpi di vento,
camminare poco, non prendere freddo. Ora, se mi imponessi tutt’assieme di
riprendere a vivere come se niente fosse, come se Draco non fosse mai esistito,
mi tenderei come un elastico sotto sforzo e finirei presto per rompermi,
ricominciando a detestare che mio figlio porti il cognome Malfoy, che Pansy e
Dean stanno assieme felici, che Seth ha un ragazzo che lo ama. Mi rinchiuderei
nel riccio di un egoismo che non mi farebbe nemmeno distinguere quanto dura
sia, non solo per me, ma anche per altri come Ilai.
Adesso, devo pensare prima di tutto a sopravvivere, il resto verrà
piano da sé.
Per sopravvivere so di dover diventare io stessa la garanzia di
sopravvivenza di qualcun altro. Non solo di Alex, ma anche di Ilai.
Lui ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui. Tendo a dimenticare
che lui ha perso Tatia peggio di come io ho perso Draco, lui non ne parla, non
vi fa accenno e io veleggio nella mia noncuranza, pensando solamente a me
stessa. Ed anche con questo, la faccio finita oggi.
Incerta, come se mi fossi persino dimenticata di come si trasmette
calore e vicinanza ad un’altra persona, poggio le mani sul viso di Ilai e gli
accarezzo piano gli zigomi con le dita. I suoi occhi tornano rapidi nei miei,
liquidi, intensi, lucidi.
“La prossima volta ci sarò io con te, ok?” dico con un sorriso
rassicurante, sollevando il capo per guardarlo negli occhi “In questa storia,
ci stiamo dentro assieme… e così ci restiamo… assieme…”.
Ilai ha l’espressione intimorita di un bambino mentre mi guarda con il
primo autentico sorriso da quando lo conosco. Considerando quanto sia alto e
considerando che sia un uomo fatto e finito, quell’espressione mi intenerisce
anche di più di quanto sarebbe normale. Annuisce piano, poggiando una mano su
quella che ancora io ho sulla sua guancia, mentre chiude gli occhi.
Una piccola sensazione di calore mi si allarga nel petto, mentre
inizio a sentire davvero il respiro che ora mi riempie i polmoni in modo pieno.
Essere utile, aiutare… la salvezza, per me, passa sempre da quello. È sempre
passata da lì. Anche stavolta, sarà questo ad aiutarmi davvero.
Quando quindi sento il nome di uno speaker che annuncia i vincitori
della bici da corsa, sono straordinariamente calma.
“Alexander Leo Malfoy…!” trilla la voce con allegria, mentre sento
distintamente Alex festeggiare e Biscotto darci dentro con i suoi versi da cane
partecipe.
Mi stacco da Ilai scrollando le spalle e bofonchio con un sospiro:
“Figuriamoci, avrà truccato l’estrazione…”.
Ilai sorride e sono felice di questo, lo prendo per il polso per
andare a raggiungere gli altri. Sgusciamo fuori dal nostro nascondiglio, mentre
Alex già trotterella verso il palco per ritirare il suo premio. Seth mi viene
incontro tutto gaio e frizzante, raccontandomi come prevedevo del “trucchetto
che ha fatto Alex con gli occhi per confondere i bigliettini nella boccia”.
Sospiro lungamente, prendendo nota di fare una bella ramanzina a mio figlio,
Seth getta uno sguardo malizioso alla mano che tengo stretta a quella di Ilai,
lui sorride, Pansy fa uno sguardo da donna saputa, Dean fa un verso strano con
la gola, Charisma grida il nome di Alex accompagnata dai versi di Biscotto.
Lancio uno sguardo ad Alex che ormai ha raggiunto il palco e di cui
sta salendo i gradini, nel sole che spunta tra le nuvole è uguale a Draco. Mi
si stringe il cuore, mi fa male respirare, mi sento mancare ma non lo reprimo a
me stessa. Stringo la mano di Ilai, lui stringe la mia e sorrido a Seth,
roteando gli occhi.
Ed è lì che succede.
“E adesso il secondo classificato… Serenity Hope Ryan!”.