imperio13
Genere:
Storico.
Personaggi:
Antonio
Fernandez Carriedo — Monarquía Universal Española |
Arthur Kirkland — Kingdom of England | Lovino
Vargas — Italia Romano ◊ Stato del Vaticano ◊ Stati
italiani del Meridione | Francis Bonnefoy — Royaume de France et
Navarre
Nota: 1581 d.C. — 1594 d.C. c.a.
Osservazioni
personali: Ma che, ancora me caHate? ;DD; -giUoia e sorpresa-
Imperio mutilado
MURMURAR
Spingevano.
Spingevano. Si ritraevano lentamente.
E poi spingevano ancora, più forza, più foga.
La volontà disperata, disperato e sconsiderato desiderio d'esser monarca.
E spingevano.
Sentiva le loro mani sulle spalle, sul capo, sulla schiena.
E quel martello, insistente, costante, tra le tempie.
Tum.
Tu-tum.
Era
tornato a casa da poco, pochissime ore a dire la verità. Ma aveva un
bisogno spasmodico d'aria, d'aria pura, pulita dall'odore acre delle
polveri alzate dalle marce degli eserciti, del pungente e ferroso aroma
del sangue che si spargeva in ogni dove, lo sentiva sotto la pelle,
artigliato alle fasce dei muscoli.
E su, su, fino alla gola, avrebbe potuto vomitare la morte di migliaia delle sue vittime da un momento all'altro, lo sentiva.
Ne era ebbro. Gli faceva girare la testa, doveva pulirsene gli occhi, le ciglia, le pupille.
Si
domandò come facesse Gilbert a vedere quel colore ogni volta che si
guardava allo specchio, scuotendo il capo dopo pochi istanti. Finché
avrebbero brillato a quella maniera, il rosso degli occhi di
Beilschmidt non avrebbe appestato nessuno.
Almeno così la vedeva lui, ovviamente.
Ma
i suoi pensieri vennero interrotti bruscamente dal nitrito sottomesso
della sua compagna di riflessioni, la quale alzò ed abbassò nuovamente
la zampa anteriore sinistra, provocando un tonfo soffuso a contatto con
la paglia dell'ampio box della scuderia poco distante dal palazzo della
Nazione.
Antonio sorrise, riprendendo a spazzolarle il manto d'un
cenere lucido, mormorando una lenta canzone in catalano, dondolando
appena il capo per seguirne il ritmo, lasciando che Isabèl, la
giumenta, si godesse la spazzolatura. Lo rilassava, lo rilassava
enormemente passare del tempo con lei. Pareva che i grandi e profondi
occhi scuri dell'andalusa lo carezzassero con fare materno, aquietando
i demoni irrequieti della sua mente e del suo cuore, mentre si
concentrava unicamente sul movimento della spazzola.
Si sentiva
solo, solo ed abbandonato in quell'enorme abitazione. Inoltre, le
governanti erano divenute, se possibile, ulteriormente più schive di
quanto già non lo fossero per abitudine. Aveva notato una diminuzione
del 'personale', negli ultimi anni, probabilmente era quello il motivo
per cui non potevano prendersi tempo per lui, dovevano svolgere i
compiti di altra gente, si diceva.
Ma il suono della carrozza
imperiale se lo ricordava bene, oh, eccome. Voleva dire che non era più
così solo, probabilmente avrebbe passato il resto del tempo tirandogli
dei tomi esageratamente grandi per i suoi canoni, i quali lo spagnolo
si intestardiva a cercare di fargli entrare nella testolina, come se
non bastassero le interminabili ore di catechismo e storia della
religione che doveva sorbirsi praticamente ogni giorno.
Non che
seguire i dettami di Dio gli pesasse, ma quei sacerdoti sfioravano la
smania. Così l'aveva seguito, che diavolo, pensava veramente di
trattarlo come un perfetto idiota? Checché ne dicesse, era pur sempre
suo ospite, e non si trattavano così gli ospiti. Di certo Francia non
l'avrebbe tenuto tanto tempo da solo, ma il solo pensiero di trovarsi a
Parigi, in quell'istante, gli fece risalire un brivido lungo la spina
dorsale, gli dava l'idea di serpe, quell'uomo.
Aveva aspettato
qualche minuto, affacciato alla finestra, per capire dove stesse
andando, oramai conosceva, se non la città, quantomeno il quartiere a
menadito, dopo tutti quei decenni recluso volontariamente in decine e
decine di muri decorati degli stucchi più sfarzosi e traboccanti di
quadri fino alla claustrofobia indotta.
Aveva riconosciuto la
scuderia privata del sellaio che abitava poco distante, che stesse
andando a commissionargli delle rifiniture per la cavalcatura in vista
di qualche parata militare? L'ennesima?
Era quindi uscito e l'aveva
seguito a passo sicuro, ben intenzionato a spiegargli un paio di
cosucce riguardo la presunta ospitalità del sud europeo, prima
d'irrigidirsi improvvisamente.
Cavalli.
Almeno una manciata. E
tutti respiravano pesantemente, riusciva a sentire i loro zoccoli
dietro le pareti di legno e ferro battuto, il respiro caldo ed animale
filtrare e permeare tutto l'ambiente, impregnato del tipico odore del
bestiame.
Ed in mezzo a paglia e terra, ben attento a non stare
attento a sporcare gli stivali dell'uniforme o la parte inferiore della
divisa, stava la nazione imperiale, tutt'intento a canticchiare e
sellare un equino di colore grigio, della razza che vedeva più spesso
per le strade, sia a tirar carrozze che ad accompagnar uomini. E Spagna
pareva decisamente più tranquillo di lui all'idea di stare così vicino
ad un cavallo.
Lo sentì cantare, quell'idiota. Sarebbe bastato che
la giumenta s'imbizzarrisse per pochi istanti, non minuti, istanti, per
fargli prendere una zoccolata in fronte e tramortirlo, se non
ammazzarlo di netto. E lui se ne stava lì, a cantarle chissà quale
filastrocca in quella lingua impastata e sibilante.
« Ay, Isabèl.
» sospirò, assicurando la sella alla cavalla, prima di infilarle al
capo la testiera e montare, tirando un sonoro sospiro di sollievo una
volta a cavallo, le spalle ricurve e gli occhi apparentemente impegnati
ad osservare l'attaccatura del crine bruno al manto cinerino, le
braccia mollemente abbandonate ai fianchi e le mani appena chiuse,
giusto per non perdere del tutto la presa sui lacci di cuoio scuro.
«
Mi mancavi. » concluse quindi, sorridendo dopo un poco ed ergendo le
spalle, prima di colpire dolcemente la zona poco distante dalla coscia
dell'equina, chiedendole di avanzare, diretto all'uscita della
scuderia, prima di tirare le redini, sorpreso.
« ¿Lovino? »
«
Qual'è il rapporto? » il tono annoiato gli fece raggelare il sangue
nelle vene, non per vero timore di morte, sapeva che non era il tipo da
uccidere senza alcun motivo, ma si trattava di una persona certamente
d'alto rango e dall'influenza indiscutibile, se il Generale della
Marina lo mandava ogni sbarco a far riassunto al suo cospetto, niente
meno che all'interno del Palazzo Reale, e le sue stanze non
distanziavano nemmeno molto dal ramo adibito a quelle private del Re.
«
Marinaio. » lo richiamò questi, mentre si allacciava minuziosamente i
bottoni dorati della camicia di seta orientale, i ricami rigonfi
attorno al colletto opulento di pizzi, simili alle rifiniture delle
maniche, gli contornavano il collo dalla carnagione nazionalmente
candida e giovane. L'ufficiale di marina si soffermò qualche istante a
cercare di dargli un'età anagrafica quantomeno precisa, ma non riusciva
ad andare oltre i diciott'anni, e l'idea che un diciottenne potesse
avere tutto quel potere senza appartenere direttamente al clero o
direttamente alla famiglia reale era destabilizzante. Quel ragazzo
doveva essere decisamente qualcuno di cui aver timore. Troppo curato
per un addestramento da sicario, troppo freddo per esser nato nell'agio.
«
Sì, Ser. Abbiamo intercettato tre imbarcazioni dirette a Gibilterra. Il
contingente del ricavato è soddisfacente, per quanto ancora non
completamente calcolato. » rinsavì dai pensieri, snocciolando un elenco
ben delineato nella mente, elaborato durante il tragitto.
« Nessun
prigioniero, abbiamo rimandato due delle navi nel porto d'imbarco ed
una è proseguita per il Continente. » concluse, stringendo appena le
spalle, portandosi in posizione d'attenti con fare marziale, mentre il
biondo pareva ascoltarlo distrattamente, le ampie e peculiari
sopracciglia appena corrugate nell'immaganizzamento delle informazioni,
mentre si metteva i guanti di cuoio lavorato e tinto di bruno.
«
Ottimo lavoro, corsaro. » replicò quindi, accennando ad un sorriso
accondiscendente nei confronti dell'ufficiale ventitrenne, al che
questi fece un lieve inchino, prima di rialzare gli occhi azzurri ed
incrociare quelli verdi, brillanti e chiari dell'altro, intento ad
infilarsi la pesante cappa fregiata di innumerevoli stemmi militari,
nautici e reali.
Decisamente, non doveva essere il massimo averlo tra le fila dei propri nemici.
«
Accompagnami all'uscita, debbo incontrare qualcuno al porto. »
concluse, facendogli segno di seguirlo mentre afferrava il pomello
intarsiato dell'ampia e decoratissima porta del salotto delle stanze
personali di quel ragazzo blasonato, costringendolo per etichetta a
limitarsi ad un assenso e seguendolo.
« Da quanto tempo sei
sbarcato? » chiese, il passo veloce per i corridoio ricoperti di stoffe
e tappeti pregiati, prima di scendere lungo le scalinate principali
delle sale adibite a stanze del trono e di gala, così imponentemente
vuote, vacue, silenziose. Morte.
« Due ore, Ser. » rispose, al che
Arthur si trovò a fare il rapido calcolo dell'ora canonica che si
frapponeva tra il porto ed il Palazzo, oltre alla richiesta d'udienza
ed all'attesa fuori dalla propria ala dell'abitazione reale, sospirando
appena in un sorriso quasi addolcito sulle labbra sottili, mostrando un
canino bianco e lucido. Non rispose, lasciando il marinaio interdetto
sulla motivazione di quella domanda, ma aveva capito oramai da tempo
che i superiori avevano il loro modo di conoscere qualcuno.
Una
volta all'esterno, osservò per qualche istante la carrozza preparata
nel piazzale, prima di richiamare il cocchiere e costringerlo a
scendere, come se l'uniforme da guardia reale non fosse già abbastanza
fastidiosa.
« Portalo dalla sua famiglia. E fammi preparare un cavallo, sono di fretta. »
Tum.
Tu-Tum.
Perché,
perché si era allontanato dal vicario? Perché non era rimasto a leggere
per la duecentesima volta quelle lettere ai corinzi?
Perché doveva
nascondere delle manie di masochismo. Doveva odiarsi profondamente,
quella era l'unica spiegazione che poteva giustificare il fatto che si
fosse lasciato afferrare come un carico di sale ed ora si trovasse
quasi arpionato al collo della giumenta andalusa, le gambe contro
quelle dello spagnolo, di quel dannato che rideva ad ogni sobbalzo
dello stato italiano, nemmeno lui fosse nato a cavallo.
« Fammi
scendere. » mugugnò per la quinta volta, dopo nemmeno una decina di
metri al passo, le spalle ancora infantili che cercavano rifugio nel
contatto con le mani di Antonio, le quali reggevano saldamente le
briglie di cuoio della cavalla. Non accennò a fermarsi, limitandosi a
cingergli la vita con il braccio destro, dopo aver passato la briglia
nella mano sinistra, avvicinando la schiena dell'apparente tredicenne
al proprio addome, abbassando poi il capo.
« Confìa en mì.
» replicò solo la nazione imperiale, alzando poi il mento dalla spalla
del più piccolo e colpendo appena l'andalusa con il tallone, lasciando
che avazasse ad un passo più spedito lungo le vie cittadine, sorridendo
divertito nel notare le mani del passeggero inaspettato arpionarsi alla
sella di cuoio spesso. Continuava a borbottare, prima contro di lui,
poi contro chiunque si soffermasse ad osservarli. Gli abitanti
conoscevano il volto di Antonio, era un eroe, un conquistador, un
militare fregiato di cento e mille onori. Era un viso familiare, si
diceva che non cambiasse né nome né volto per motivi di benedizione
divina, perché il suo sangue era limpido quanto il cielo.
Lovino
storceva il naso ogni volta che udiva dicerie simili, non avevano
davvero idea di che colore fosse il sangue di Spagna, ne di quanto
potesse perderne in un viaggio solo.
Dopo quasi un chilometro, la
città oramai lontana, lo sguardo olivastro dell'italiano si era
soffermato oramai sul cielo terso tipico, era raro che si allontanasse
così tanto dal palazzo, se non per motivi quali fuga vera e propria, ma
poi si perdeva o veniva riconosciuto come un appartenente alla famiglia
del Señor Carriedo. Poco importava quanto scalciasse, dimenasse o
parlasse in una lingua differente da quella del presunto parente, lo
riportavano sempre lì. Ed a lui non dispiaceva nemmeno così tanto,
dopotutto.
A parte la solitudine, ovviamente.
« Mira.
» ne interruppe i pensieri il cavaliere, cogliendolo alla sprovvista e
sorridendo divertito del sussulto di soprassalto del presunto erede
dell'Impero Romano, tendendo appena i muscoli del braccio destro per
sorreggerlo in una momentanea perdita di equilibrio dovuta alla
sorpresa.
« Vuoi ammazzarmi, cretino?!
» esclamò questi, prima di accontentare la richiesta del maggiore ed
abbassare gli occhi alla distesa verdeggiante che si spalancava sotto
di loro, dovevano aver superato un paio di colline scoscese che
circondavano la città, mentre osservava il cielo.
Somigliava tanto a casa sua, in quel modo. Mancavano solo gli Appennini all'orizzonte, alti e regali.
« ¿Te gusta?*
» chiese lo spagnolo, indicandogli le piccole chiazze di verde scuro di
piccoli boschi che si articolavano attorno alle vie sterrate che
univano il centro cittadino a Madrid ed alrri nuclei circostanti. Poco
distante, ruggiva il mare. Ed era tutto e niente, c'era così tanta
vita, così poco uomo, in tutto ciò.
Mugugnò contrariato in replica,
prima di ritrovarsi nuovamente ancorato al collo della cavalla, la
risata dietro di sé ed una certezza sola: detestava il galoppo.
Tum.
«
È ufficiale? » domandò povero il primo, osservando le navi mercantili
caricare e scaricare il materiale intercettato nell'ultima corsa
nell'Atlantico, domandandosi se quella guerra muta avrebbe portato a
qualcosa di più che qualche imprecazione da entrambe le parti e molta
vergogna ai marinai che fallivano. Una volta, non molto tempo fa,
avevano anche tentato di unificare le Corone, a rifletterci ora pareva
solo l'idiozia di un ragazzino pacifista.
« Ha l'acqua alla gola - »
replicò l'altro, concedendosi un sogghigno divertito della battuta,
ricambiato da un'occhiata complice e quasi comica dalle iridi verdi « -
non aveva altra scelta. » proseguì quindi il più alto, le vesti ben più
pregiate dei loro ultimi incontri. La nuova Compagnia delle Indie
pareva fruttargli bene, nonostante i quasi cinquant'anni di lotta per
la libertà.
« Dodici anni di tregua. » informò, chinandosi e
raccogliendo il cappello nero dalle casse lignee sulle quali l'aveva
posato per comodità ed etichetta, riportandolo sul proprio capo, i
capelli biondo grano acconciati in maniera particolare.
« Sono
sufficienti a molti cambi di rotta. » asserì il padrone di casa, al che
l'altro sogghignò nuovamente, scuotendo stancamente il capo ed alzando
la mano guantata di bianco.
« Oh, credetemi, Engeland, non avete di che temere. »
Tu-Tum.
Spingeva.
Spingeva. Si ritraeva lentamente.
E poi spingeva ancora, più calore.
È il popolo, fuori dalla Cattedrale.
È il cuore che lo lascia sorridere, le cicatrici in via di guarigione.
Perché Parigi val bene una messa.**
*= “Fidati
di me”, “Guarda”, “Ti piace?” ommioddio,
grazie al cielo c'è della descrizione, suona ambiguo forte
°-°'
**=
Enrico IV, dopo aver tentato l'assedio di Parigi, viene riconosciuto
come Re di Francia, ma come ugonotto viene battezzato, in seguito a
ciò, viene incoronato ufficialmente. Gli viene attribuita questa frase
come risposta alla proposta del Trono in cambio del battesimo.
Risposta alle recensioni (che sono indietro boia) ~
Cap. 12, huellas paternales
— Kurohime
Oddio,
puntualità, questa sconosciuta alla mia persona X° il
problema è stato l'accavallarsi di casini su casini, oltre al
fatto che Imperio costringe ad un casino di ricerche e traduzioni
snervanti, ogni volta che avevo un po' di tempo finivo per perdermi nei
meandri della storia ed uscirne con niente di fatto. Avevo perso ogni
speranza di portarlo a termine, ma ora sono uscita da un brutto periodo
ed ho deciso che, se dev'essere ciò che dev'essere, che almeno
questa ff sia finita, eccheccazzo!
— la Crapa
Decisamente Hetalia comporta metri diversi :'D mi scuso anche con te, probabilmente soprattutto
con te. So che la mia assenza può essere stata una
‘delusione’, ma questa ff comporta davvero una grande
disponibilità di tempo per essere portata avanti, oltre che una
mente libera. E questi sono venuti a mancare negli ultimi due anni
-asssssh.
Chiedo scusa
anche a te, per l'attesa, probabilmente in tutto questo tempo cala
anche l'interesse, so di essere arrivata tardi ma, ehi, casa resta qui.
—Miki89
È sempre
così bello leggere le recensioni di voi 'prime'. E fa anche
capire quanto tempo mi sia sfuggito nel cercare di sistemare tutto, ma
chiedo davvero comprensione. Imperio ha davvero bisogno d'impegno e di
mente sgombra, e la vita degli ultimi due anni ha lasciato davvero poco
spazio per respirare o pensare ad altro, figuriamoci al fandom.
Ow, ma Antonio è siempre un figo <3
Gilbert in ricovero S.p.A., presto, prima che crolli D: ow, ecco chi era venuto ad invadermi <3
Cap. 13, arrugamientos
— Kurohime
Oddio, davvero hai visto una sua mostra? Che invidia ;v;
Bello tutto Canal. TUTTOH
— _Seppia
No, non è una recensione, ma sono poche quelle che sono davvero tali.
Addirittura la scemenza più grossa? Possiam far finta di non aver né letto, né scritto.
Non ne morirà nessuno, stai tranquilla.
Libera.
— Nihal the revenge
Non ci credevo nemmeno io! X°
Oddio, anche tu
leggevi quel fumetto? Io lo adoravo! Ma no, la citazione viene da uno
dei video demenziali di willwoosh, quel ragazzo è un genio.
Oltre che un gran paraculato! :'D
Cap. 14, arcos y arenas
— theReason
Magari me pagassero pure, per far questo <3 e no, la mia testolina
non riceverà padellate, semplicemente per il fatto che sei
troppo pesaculo per tirarmele dietro. Convincerai qualcuno a farlo al
posto tuo <3 <3 <3
Non mangiar Tonio, mi serve per continuare la fic, se poi riesco anche
a concluderla, siamo all'apocalisse vera e propria, con tanto di
quattro cavalieri delle sfighe <3 e smettila di elogiarmi, mi tiri
così su che poi a cascare me rompo l'osso sacro pur io <3
Cara mia, abbiam interi armadi di personalità per cambiar d'abito ~
Ed è così. Potenzialmente non sono andata a dormire.
Dove c'è Antonio, c'è casa <3
© Miki89
ANTONIO REGNA!
© la Crapa
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