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sweet eyes of yours
Gabriel era un nome
poco adatto al visetto paffutello e vispo di un bimbo nato da poco più di dieci
giorni.
Era serioso ed
importante, suonava già da solo come un titolo di un certo prestigio.
Eppure Roy lo aveva
scelto senza esitare un secondo, come se fosse stato il frutto di mesi di
meditazione intensa, e non un impulso nato da chissà dove, in un momento che
ben poco aveva avuto di razionale.
Semplicemente,
quando aveva visto gli occhi di quel bambino – di suo figlio, per l’amor del
cielo, suo figlio – aprirsi su di lui per la prima volta, e guardarlo come solo
un bimbo sa guardare, con quel colore dorato che sapeva immensamente di Edward,
gli era uscito dalla bocca in un singhiozzo, ed era finito direttamente su
carta, sul certificato di nascita che Riza Hawkeye si era affrettata a
consegnargli da compilare e controfirmare.
Quel documento
lindo e anonimo sarebbe persino potuto sembrare una delle solite, dannate
scartoffie che lo perseguitavano anche quando andava al bagno, da quando la sua
posizione era diventata sufficientemente alta da valergli una poltrona
imbottita tutta per lui. Se non fosse stato che Hawkeye, il tenente di ferro
Hawkeye, era quasi irriconoscibile, tutta commossa ed eccitata com’era.
Ed non aveva detto
una parola sulla sua scelta. Si era limitato ad annuire e a formare un sorriso
stanco. Si era appena svegliato dall’anestesia, poverino, ed era a pezzi per la
gioia.
Perché sì, la gioia
può ridurti in ginocchio, quando passi nove mesi della tua vita ad aspettare un
miracolo che cresce dentro di te costringendoti a camminare con le stampelle e
ad affrontare l’inferno di chi ti nega il diritto di sentirti umano, e poi alla
fine ti fa schiantare a terra come un a marionetta rotta, e ti obbliga ad una
corsa assassina verso l’ospedale militare, bianco e mezzo morto per il dolore,
e via sotto i ferri.
Così, al piccolino
era stato dato il nome Gabriel.
- Lo sai, Ed. –
Roy si piegò in
avanti, sul divano azzurro del soggiorno di casa, appoggiandosi sui gomiti.
Gabriel smise subito di succhiare il biberon, e lo fissò spalancando gli occhi,
come faceva sempre. Tese una manina verso di lui, per afferrargli chissà, una
manica, i capelli, o per stringere il suo cuore fra quelle ditina carnose. Ma
poi il suo prezioso biberon tornò repentinamente e prepotentemente in cima ai
suoi pensieri, e il salotto si riempì nuovamente del suo quieto poppare.
- I suoi occhi sono
incredibilmente identici ai tuoi. –
Usò un tono
solenne, per dire quelle sue poche parole. Dopo tutto quello che loro due
avevano passato per arrivare fino a lì, per Roy era davvero, davvero importante
che il loro bimbo avesse gli occhi di Edward. Era un po’ come un riscatto
dovuto, il senso ultimo di un’ora e mezza di terrore e di ansia trascorsa nel corridoio
anonimo di un ospedale, davanti ad una porta bianca che si ostinava a rimanere
chiusa davanti a lui.
Ed si chiuse dietro
ad un sorriso delicato ed un po’ imbarazzato, che nulla voleva nascondere, ma
che sottintendeva talmente tante cose da parere ermetico. Roy diede un buffetto
sulla guancina morbida di Gabriel, che continuava imperterrito a succhiare il
suo latte tiepido, e si sedette vicino a loro, facendo attenzione a non
strattonare Ed.
Ed che era
diventato, da nove mesi a quella parte, un delicatissimo cristallo, per lui,
una maestà da adorare e da proteggere. Vederlo seduto con la testa reclinata
sullo schienale, le braccia raccolte a culla e lo sguardo assorto sul loro
piccolo, così sereno, così pieno, valeva tutta una vita, Roy poteva giurarlo.
- Dammelo un po’
qui, avrai le braccia di legno ormai. –
- Puoi anche dire
che lo vuoi tenere tu, sai, stupido Colonnello? –
Roy fece scattare
fulmineamente gli occhi verso l’alto, per non dargli troppa soddisfazione. Come
sempre il piccoletto ci aveva preso.
Ed acconsentì
comunque, naturalmente, e glielo accomodò fra le braccia delicatamente,
assicurandosi che la testolina fosse ben sostenuta.
Roy si sentiva
immensamente grande quando teneva in braccio suo figlio. Ed ogni volta che
Gabriel lo guardava fisso negli occhi, con un’ espressione stupita e catturata,
lo sentiva ancora di più, gli sembrava di essere ad un passo dal sole. Ed stava
ad osservarli, e sorrideva fra sé di quell’inestimabile composizione, come se
non potesse esistere niente di più bello al mondo di ciò che aveva davanti agli
occhi.
E Roy, preso in
mezzo fra quelle due paia di occhi dorati, innamorato perso di entrambi in un
modo tanto diverso quanto equivalente, non poteva che lasciarsi
meravigliosamente annegare.
– Roy. –
Un sorriso
smarrito, uno sguardo che fluttua con calma dal suo uomo al loro piccolo. Ed si
sentì cullare da una sensazione di pace potente e torpida che lo avvolse.
E Roy si ricordò
all’improvviso del perché fosse lì, in quel momento. A guardare suo figlio
giocare con un lembo della sua camicia, e ad emozionarsi per il modo in cui il
suo compagno pronunciava il suo nome come se fosse ancora la prima volta.
Si ricordò anche
che quando lo avevano lasciato entrare nella stanza di Ed, dopo che si era
bruciato due o tre vite nell’attesa, lì fuori, la primissima cosa che aveva
fatto era stata chinarsi sul suo viso, ed inspirarne rapidamente l’odore. Poi
gli aveva dato un bacio morbido, sulla guancia. Edward sapeva di disinfettante,
di sudore e di se stesso, e Roy non aveva avuto bisogno di sapere altro. Quando
gli aveva mostrato il fagottino seminascosto nell’incavo del suo braccio
destro, scostando la copertina bianca che lo avvolgeva, e glielo aveva porto
con gli occhi pieni di speranza e di una paura irrazionale e folle che qualcosa
non andasse bene, che Roy lo rifiutasse e li abbandonasse proprio ora che tutto
era compiuto, lui aveva avvicinato il volto a quello del figlio, e aveva
respirato ad occhi socchiusi. Anche suo figlio odorava di disinfettante, ed emanava
un profumo purissimo e dolciastro, un piccolo mondo nuovo, una corolla di
sensazioni da mettere i brividi.
Certe cose sono
semplicemente animali, si fanno e basta. Da quell’analisi istintiva Roy aveva
ricavato tutto ciò che avrebbe mai voluto sapere, e aveva stabilito dei legami
che mai nessuna parola sarebbe bastata a definire.
- Quasi quasi
capisco Maes. – si sorprese a mormorare.
Edward glissò le
dita sulla fronte e sulla testolina di Gabriel.
Pensò a Maes con un
sorriso, e alla sua immagine si sovrappose quella di Roy, così limpida nella
sua mente, di quel giorno incancellabile. Lui ad un passo dal suo letto, con
addosso l’uniforme da colonnello che non aveva potuto cambiare, e Gabriel fra
le braccia, in silenzio, bello e solido come niente al mondo avrebbe mai potuto
essere.
Un soldato che
stringe il suo figlio neonato, un qualcosa di universale, questo era stato Roy
per lui, per alcuni, lunghissimi istanti.
- Già. –
Silenzio.
Era incredibilmente
bello starsene lì, senza un motivo, ad ascoltare il gorgoglio sommesso del
succhiare di un bambino.
Edward era riuscito
a stupire tutti una volta di più. Il piccolo, scorbutico, vulcanico Fullmetal,
aveva saputo trasformarsi in un genitore perfetto.
Aveva un istinto
paterno tutto suo, Edward. Che gravitava attorno alla consapevolezza, piena ed
umile, che ciò che aveva creato era grande, molto più grande del corpicino
vestito di verde chiaro che Roy teneva in braccio. Aveva sfidato il mondo con
il suo consueto spirito battagliero, per lui, lo aveva afferrato per il bavero
della giacca e lo aveva scosso talmente forte da far tremare ogni cosa,
soltanto per avere Gabriel, per potersi beare di dire “respira”.
Roy, dal canto suo,
faceva ancora troppa fatica a riconoscere sé stesso, il Roy Mustang di soli
pochi anni prima, nell’uomo seduto sul divano di casa, innamorato fino alle
lacrime di un ragazzino biondissimo e pazzo, e di un bambino che, per quanto lo
riguardava, lo aveva completamente in pugno, con quegli occhi.
Nonostante i
tredici anni di differenza, Roy aveva cominciato a ragionare come un uomo
adulto solamente quando Edward era entrato nella sua vita, passando attraverso
le sue braccia. Prima di lui era stata la voglia di giocare, il dirsi che di
impegnarsi non ne valeva la pena, troppi rischi e troppe incertezze. Era
servito qualcuno che gli fosse intimamente gemello, per scombussolarlo a tal
punto da convincerlo a prendere in mano la sua vita. Con quella sua forza
micidiale, con il suo implacabile sognare, e con le mille insicurezze che punterellavano
il suo carattere come stelle, lui era riuscito a farlo sentire uomo nella
quiete della stabilità, e a dargli il coraggio per proclamarsi innamorato.
- Però giura che
non comincerai ad ammorbare tutti quanti con le telefonate, come fa lui. – lo
ammonì Ed.
- Sul mio onore. –
ghignò Roy.
Di nuovo silenzio.
Gabriel ora
osservava con attenzione il suo orgogliosissimo padre, annidato fra le sue
braccia. Le sue labbra umide di latte vibravano quasi impercettibilmente ad
ogni respiro, che sibilava con tranquilla monotonia, e di tanto in tanto
sbatteva le palpebre, con le ciglia lunghe e lucide. Piccolo, dolce miracolo.
- E tu che cos’hai
da guardare, eh? – lo coccolò Roy.
Ed scivolò più
vicino a lui, e gli si strinse al braccio affacciandosi oltre il suo gomito. –
Guarda te. – disse serio, pieno di convinzione. – Guarda il suo papà. –
Roy sorrise in modo
professionale, per dissimulare la sensazione delle sue viscere che si
squagliavano come cioccolato, a quelle parole.
Aveva sempre,
ferocemente desiderato diventare importante. Ma le due persone che aveva vicino
in quel momento, sul quel divano, erano le sole per le quali voleva essere
importante in modo completamente diverso.
- E’ così piccolo.
-
- Sì. Non riesco a
credere che abbia causato tanti guai. -
- Non ti
ringrazierò mai abbastanza, per questo bellissimo dono. Per esserti ostinato a
volerlo, e per aver convinto anche me. E adesso lui ti somiglia, e nei suoi
occhi vedo i tuoi, ed è qualcosa di… –
Roy si lasciò
interrompere dal sorriso di Edward, che si mise in ginocchio sul divano, e si
sporse prudentemente fino a raggiungere la sua bocca.
Si scambiarono un
bacio che sapeva di buono. Ed si appoggiò con la mano destra al petto di Roy,
per potersi sbilanciare verso di lui e lasciarsi andare.
Non si erano
nemmeno accorti che Gabriel si era addormentato, con le labbra imbronciate.
Continuarono a baciarsi ad occhi chiusi come ragazzini, per alcuni, lenti
minuti.
Edward e Roy erano
innamorati l’uno dell’altro.
Se lo fossero stati
da sempre, se l’erano chiesto spesso, ma non aveva poi una grande importanza.
Andava bene così, ora che tutto faceva un po’ meno paura.
Andava bene perché
tanto la gente avrebbe continuato a guardarli, a parlare di loro, a giudicarli
senza sapere che nulla di tutto ciò aveva importanza, per due persone che
avevano la fortuna di vedere il loro amore riflettersi negli occhi splendidi,
dorati del loro bambino.
FINE
ANGOLINO
Ed eccoci con
l’epilogo. Cavolo, è già finita, non avete idea della tristezza che provo! Mi
sono affezionata moltissimo a questa storia, e concluderla è davvero una
sofferenza.
Ma è giusto così.
Il mio scopo primario era affrontare un tema piuttosto controverso come la male
pregnacy nel modo più credibile possibile (e prima che qualcuno me lo chieda,
no, Fathers non è una male pregnacy, visto che nessuno è pregnant! ^^), e
l’alchimia faceva proprio al caso mio.
Ad ogni modo, in
questa fic mi sono concessa qualche capriccio anche dal punto di vista
prettamente stilistico. Ogni capitolo comincia con il nome dei tre protagonisti
e si chiude con la parola “bambino”
(non se n’era
accorto nessuno, vero? =__=).
E a proposito, una
menzione particolare a Setsuka, che ha preso in pieno il messaggio fondamentale
del secondo capitolo, quel contrasto/fusione fra la prima frase “Edward si
sentiva un mostro”, e una delle ultime, “ Edward era bello”. Roy per primo se
ne accorge, e ce lo dice, ci costringe a riflettere su quanto bello sia Ed,
nella sua mostruosità che è grandiosa e coraggiosa.
Grazie di cuore per
tutte le recensioni, mi avete dato ancora più entusiasmo, sono davvero
commossa!
Dark: oh sì, Maes
ci voleva assolutamente. Sarà che personalmente non ho mai elaborato il lutto,
perciò per me è ancora vivo, punto e basta.
Nacchan: grazie
mille!
Setsuka: ho già
detto sopra, per il resto non posso che ringraziarti tanto, per i complimenti e
per le osservazioni, tutte giustissime (soprattutto quella su Hughes, non mi
ero assolutamente accorta dell’errore, ed è stranissimo perché di solito i nomi
li controllo).
Bad Girl: Waaa,
grazie! Beh concordo pienamente, io a quegli avvoltoi le dita le staccherei ad
accettate, maledetti!
Ed92: nuuu, le
giornate di pioggia super depressione… meno male allora che la seconda parte
del capitolo è dolce, altrimenti c’era da spararsi! ^_^
Yumi: volevi sapere
quanti cap? Questo è l’ultimo. Sono solo tre, è già finita! Ç__ç
Ely: scrivere
questa storia mi ha totalmente coinvolta (oltre che prosciugata), perciò lo
sai, sapere che anche solo un millesimo delle emozioni passa è già grandioso
per me.
Chiara: wow,
recensione approfonditissima che mi onora immensamente, perché oltre a tutti i
fantastici complimenti mi sono meritata soprattutto la tua attenzione, che è la
cosa più importante. E non posso che dire che le tue osservazioni rispondono
pienamente alle mie idee, e ciò mi rende più che felice. I due padri, è vero,
suona stranissimo, però non so, mi sembra la cosa più tenera del mondo.
Soprattutto valutando i nostri due soggetti.
Dark side: ce
l’hanno fatta, yes! Del resto lo sappiamo che Ed ha una testaccia di legno se
ci si mette…
Ale2: ooooh, grazie
grazie grazie! Hihihi, maternizzazione suona proprio bene!
Roy Mustang sei uno
gnocco: ma non ci credo, anche io voglio fare i sogni con Ed che sbava dietro a
Roy!!! *___* accidenti dimmi cos’hai mangiato, che corro a fare doppia razione!
Steelrose
Alchemist: Ah beh, non potrei che essere felicissima di leggere una traduzione,
si si si!
Chibimayu: noooo,
aiuto non piangere! E soprattutto non dirmi certe cose che poi mi imbarazzo, la
prima mpreg italiana (a parte quella incompiuta che mi andrò a cercare, ma se è
comica è tutto un altro genere) Cavolo sì, voglio sicuramente leggerne qualcuna
in inglese, ti scriverò al più presto per chiederti qualche indirizzo!
Inuyasha: sì, anche
la nostra Hawkeye in fondo si emoziona… ogni tanto… in casi eccezionali.
Egittofona: grazie
infinite, troppo buona!