Beauty.
Salve
a tutti, miei prodi, è Arianna che vi parla.
Sono
qui in veste ufficiale per
presentarvi il motivo per cui non ho ancora aggiornato la mia cara "A
kind of brothers?" (perdonatemi please!) e cioè questa
enorme,
gigantesca, inutilissima os. Vi avviso fin da subito che sono trenta
pagine di sclero completo con l'AU più assurdo che mi
potesse
capitare, scelto al buio per lo Shuffle Fest organizzato dai geni del #THEGAYS .
Non
ho
un buon rapporto con le fiabe, lo
ammetto, non perché non mi piacciano, ma perché
sicuramente non so scriverle. (Il fluff non è il mio forte
ah).
Perciò
ho scelto la fiaba
più angst e scontata di questo mondo, ficcandoci anche un
po'
di
atmosfere dark perché sì, e scrivendo al presente
perché, alla fine, tanto valeva che lo sperimentassi.
Per
fortuna il pairing è quello dei miei amati Larry, quindi
l'ispirazione non mi è mancata.
La canzoncina che ho ficcato lì in mezzo è
"Boudelaire" di
Rykarda Parasol, che mi ispirava perché in quel momento ero
triste.
Spero vi divertiate a
leggere come io mi sono divertita a scrivere e magari sarò
così fortunata da leggere presto qualche recensione.
Sempre
che riusciate ad arrivare alla fine di questa storia, è
davvero
abnorme cavolo!
Un grazie speciale alla mia Y che mi ha sostenuto in questa follia.
Un ringraziamento allo staff del #thegays per aver portato avanti
questa splendida iniziativa.
Mi scuso in anticipo per errori e ripetizioni varie, non ho avuto molto
tempo per correggere.
Un bacio a tutti e buona lettura.
-Arianna.
Beauty.
Harry Styles è un ragazzo strano.
E' arrivato in paese circa quattro anni fa, con quei suoi occhi da
cerbiatto, le fossette sulle guance e l'accento del Cheshire tra le
labbra.
E' arrivato con la sua famiglia e, a dirla tutta, anche quella
è un po' strana.
La madre è molto bella, forse anche troppo per i gusti delle
compaesane inviperite. Esce di casa cantando, ride troppo
rumorosamente, bacia tutti sulle guance quando li incontra per strada.
Senza dubbio, il figlio ha preso da lei. E' dannatamente bello,
canta sempre e il suo sorriso riesce a zittire per un attimo anche i
commenti delle vecchie comari assiepate sul ciglio della strada.
Il padre ha tirato su una piccola biblioteca, perciò molti
pensano che sia tremendamente ingenuo o forse pazzo, perché
solo
in quel caso avrebbe potuto credere che quello fosse un buon modo per
far soldi, in un paese del genere. Gli uomini del luogo
storcono il naso, vedendolo, e poi borbottano sottovoce.
"La gente di città non resiste a lungo, qui da noi." Dice
Emilè il fornaio, di tanto in tanto. "Ma non li vedete? Sono
troppo sofisticati, troppo diversi, troppo..."
"Inglesi?" conclude sua moglie Carole, quasi con disgusto.
"Giusto, inglesi! Gli do massimo un anno e poi
fuggiranno dalla Francia a gambe levate."
Ma, contro ogni previsione, gli Styles sono ancora qui. E vanno avanti,
non si sa come.
La libreria è sempre vuota. Ad aggirarsi tra gli scaffali
polverosi c'è solo Harry. Ha letto tutti i libri che suo
padre
si è portato dietro almeno un centinaio di volte. E
forse, li
avrebbe letti anche un milione di volte, se non avesse conosciuto Zayn.
Harry è un ragazzo strano, non c'è dubbio. La
mentalità gretta ed arcaica di quel paesello fuori dal
mondo
non può trovare altro modo per definirlo.
Ma adesso, si dice anche che Harry sia un cattivo ragazzo.
Perché è diventato il miglior amico di Zayn Malik.
Ed è proprio lui che corre attraverso la piazza, in questo
momento, i capelli scurissimi scompigliati dal vento, un sorriso
ammiccante sulle labbra.
"Styles! Vecchio topo da biblioteca, datti una mossa!"
Harry alza gli occhi dal libro che tiene in grembo. "Per andare dove
esattamente?"
Il moretto si china su di lui. "E' venerdì, Harry. Sai dove
andiamo il
venerdì."
Il riccio alza gli occhi al cielo, sospira appena. "Speravo di ricevere
un'altra risposta, almeno per un venerdì..."
Non ha nemmeno il tempo di concludere la frase che Zayn lo trascina in
piedi. Harry infila il libro in borsa e lo segue, gli sguardi insipidi
dei presenti li accompagnano finché non spariscono dalla
loro
visuale.
Zayn ficca le mani nella sua casacca, appena girato l'angolo. "Ce li
hai i soldi?"
"Si, certo."
"Perfetto" sogghigna, "perché io non ne ho."
Zayn Malik, in fondo in fondo, non è un cattivo ragazzo.
E' rimasto orfano a sei anni e, semplicemente, ha imparato che la vita
è meglio godersela, finché si è in
tempo. Come un
ubriaco, perennemente sull'orlo del collasso, si sforza di bere
fino all'ultima goccia di quell'ottimo liquore che ha nella sua
bottiglia, così Zayn cerca di stillare alla sua esistenza
tutti
i limiti e le costrizioni, assapora ogni attimo come fosse l'ultimo,
vive alla grande e non se ne vergogna.
Per questo gioca d'azzardo alla locanda ogni venerdì sera,
pur non avendo un soldo.
Per questo si infila nelle mutandine di una ragazza diversa, ogni notte.
Per questo Harry lo ammira.
Lui è l'opposto di Zayn. Dei suoi diciotto anni di vita
può ben dire di non averne vissuto davvero neanche uno. Ha
girato il mondo, al seguito di suo padre, eppure non lo conosce. Ha
incontrato tanta gente nel suo lungo peregrinare, ma non ci ha mai
messo
molto a dimenticarla.
Harry vive nei suoi libri, nelle atmosfere sospese e misteriose di
terre lontane, nella mente oscura e complessa dei personaggi, tra le
pagine sgualcite dei suoi sogni ad occhi aperti. La vita reale non lo
ha mai affascinato tanto come un buon libro. E nessuno fin'ora si
è mai
preoccupato di strappare quel libro, afferrare lui dai capelli e
costringerlo ad camminare in strade vere, in mezzo agente vera, in un
modo vero.
Nessuno, a parte Zayn Malik. Lui gli ha aperto gli occhi, gli ha fatto
capire che non deve accontentarsi di leggere le imprese che altri hanno
compiuto per essere felice, ma che lui può crearsi
un'avventura
propria, ed esserne il vero protagonista. Harry è grato a
Zayn
per questo e forse sta iniziando anche a volergli bene, ma teme che,
non
appena suo padre deciderà di ripartire, non ci
metterà
molto a dimenticare anche lui. Il problema con le persone
è
questo: non possono rimanere per sempre su uno scaffale, ad
impolverarsi come i
libri.
"Se mio padre scopre che ti ho prestato altri soldi..." sussurra Harry,
mentre l'amico apre la porta e l'odore caldo ed inebriante della
locanda li avvolge.
"Non lo scoprirà" Zayn si infila uno stecchino in bocca, fa
l'occhiolino alla barista. "Stasera vincerò così
tanto
che sarà lui a dovermi chiedere un prestito, la prossima
volta."
Poi insieme raggiungono il tavolo in fondo, dove i compagni di bisca li
aspettano.
Zayn si da' delle arie. E' ottimista, come sempre, e per dimostrarlo,
offre un giro di birre a tutti -con i soldi di Harry-.
Non sa che, tra meno di un'ora, avrà perso così
tanto da
essere costretto a giocarsi persino lo stuzzicadenti che tiene tra le
labbra.
"Questa è la cosa più folle che io abbia mai
fatto in
tutta mia vita" ripete Harry, schiacciandosi il più
possibile
contro il muro.
Zayn sbuffa. "Ci credo, fin'ora hai passato il tempo solo a sistemare
libri
in ordine
alfabetico."
Harry sta per ribattere, ma un rumore lo mette all'erta. Entrambi
rizzano le orecchie come gatti, guardano in fondo al vicolo buio e
tortuoso appena percorso.
"Meglio se ci muoviamo" sussurra il più grande, prima di
iniziare a forzare la finestra di casa Smith.
Arthur Smith è quello che in paese chiamano "il barone". Non
che
lo sia davvero, ma è l'unico ad avere abbastanza grana da
potersi permettere quell'appellativo. E certamente solo un pazzo come
Zayn Malik può pensare di riuscire ad intrufolarsi in casa
sua,
sgraffignare un po' del ben di Dio che il vecchio tiene in cassaforte
e poi consegnarlo ad Antonie, il ragazzo a cui deve quasi cento
franchi.
Quei franchi che è stato Harry a prestargli.
"Allora? Ce l'hai fatta?"
"Non è facile come giocare a carte, Styles!"
Il riccio sbuffa, lo spinge di lato, spazientito. "Tu non sai far bene
neanche quello" sbotta, prima di aprire la finestra con uno scatto
secco.
Il rumore del legno rimbomba orrendamente nella notte buia.
I due hanno meno di un secondo per guardarsi in faccia, terrorizzati,
prima di decidere il da farsi.
"Oh al diavolo!" Zayn entra nella casa, si muove lentamente nel salotto.
Harry lo segue dopo un attimo, facendo scivolare le gambe lunghe oltre
il bordo della finestra.
Sa che dovrebbe essere spaventato, che dovrebbe avercela a morte con
Zayn. Ma l'adrenalina che sente scorrere nelle vene gli impedisce di
pensarci. In quel momento, è esattamente come uno dei suoi
eroi
immaginari. Sta vivendo la sua avventura e vuole farlo fino in fondo.
"Dove diavolo tiene la grana quel vecchio bastardo?" il sibilo di Zayn
si ode appena. Il ragazzo sta rivoltando cassetti e stipetti come se
fosse a casa sua.
Harry lo imita, tentando di non far scricchiolare le assi del pavimento
mentre si muove impacciato fra i mobili.
Meno di un minuto dopo, ha in mano un sacchetto pieno di monete.
"Tadan" esulta, sbatacchiandolo di fronte al viso ammirato dell'amico.
Ha appena il tempo di infilarselo in tasca, che la luce di una
lampada ad olio, come un fuoco fatuo, scivola lentamente lungo le scale
e il vecchio Smith gli si presenta davanti.
"Corri!" Zayn lo afferra dalla camicia per
spronarlo. "Corri più veloce!"
Il riccio scaccia la sua mano, annaspa un "Ci sto provando!" e spera
che le sue gambe non decidano di abbandonarlo troppo presto.
Sente il vociare alle loro spalle aumentare e si arrischia guardare
indietro.
Ci sono tre o quattro uomini con il vecchio Smith. Alcuni sorreggono le
torce. Altri, i fucili.
"Io direi..." ansima, sforzandosi di raggiungere l'amico, "che
è meglio rinunciare al quel sacchetto,"
"Forse sì. Ma lo farò quando saremo lontani dalle
canne dei fucili."
Zayn si ferma un attimo. Sono ormai al limitare del paese. Di fronte a
loro si estende, calma e silenziosa, la campagna. A destra,
serpeggiante giù per le pendici della montagna,
c'è il bosco.
Con sommo orrore di Harry, Zayn decide di optare per la seconda opzione.
"Il bosco di notte? Sul serio?"
"Non ci troveranno mai, lì dentro."
"O magari ci ritroveranno, ma fatti a pezzi da un lupo." sibila Harry,
prima che i passi alle loro spalle ricordino ad entrambi che non hanno
più tempo per pensare.
Si gettano a capofitto tra le sterpaglie del sottobosco. Harry inizia
ad essere stanco. L'aria nei polmoni brucia come fuoco, le gambe cedono
ad ogni spinta, i piedi inciampano, incerti, ad ogni passo.
"Finirò ammazzato stasera" sputa. "E tu mia avrai sulla
coscienza!"
Sente la risata folle di Zayn scomparire nel buio, prima che l'amico
venga inghiottito dall'aggrovigliato intrico di rami della foresta.
E' un attimo e poi non lo vede più.
"Zayn?" continua a correre, cerca di seguirlo, ma il fruscio dei suoi
stessi piedi sulle foglie è troppo forte. "Zayn!"
Senza rendersene conto, rallenta. Il bosco gli appare d'improvviso
più cupo e spettrale che mai. I raggi della luna illuminano
a
sprazzi il terreno umido e scivoloso,
come lame di un coltello troppo affilato.
Il buio, la solitudine, il silenzio. Tutto questo è
decisamente troppo reale
per Harry Styles. E sa che nessun libro riuscirebbe mai ad avvolgerlo
nella cappa di oscuro terrore in cui si trova intrappolato adesso.
Così "Zayn!" non può far a meno di chiamare di
nuovo, e
si accorge di avere urlato solo quando i bagliori del fuoco delle torce
illuminano gli alberi alle sue spalle, scivolando sulle cortecce come
lava bollente.
Non sa che fare allora, ma d'istinto rimette in moto le gambe,
l'eccitazione e la paura a frizzare violente nel suo petto,
l'adrenalina a fargli esplodere le vene, la testa sempre
più
pesante.
Harry Styles corre, incurante dei rovi che gli graffiano i polpacci,
delle radici che gli arpionano le caviglie.
Corre alla cieca e più di una volta rischia di finire
schiacciato contro un tronco, o con un ramo conficcato dritto nel petto.
Corre e non nota nemmeno che mano a mano il bosco si fa meno fitto, gli
alberi più radi, il terreno meno scosceso.
Si accorge del muro di mattoni solo quando va sbatterci contro.
Finisce a terra, nella polvere, il fiato mozzato e la testa a girare
vorticosamente. Quando riesce di nuovo ad articolare bene le mani, si
tasta la fronte. Il dolore è lancinante, lo costringe a
sdraiarsi
a terra. Si guarda le dita e non si stupisce nel trovarle macchiate di
sangue. Sospira, tentando di non svenire, si stende meglio tra le
foglie secche e allora si rende conto di cos'ha davanti.
Il muro è alto almeno tre metri, massiccio, impenetrabile,
si
distende come le spire di un serpente, per quelli che gli sembrano
centinaia di metri. E per quanto sia frastornato, riesce a capire che
quello a pochi passi da lui è un cancello: le sbarre nere,
sottili come dita di spettri, puntano al cielo della notte senza di
stelle.
Harry rabbrividisce e non sa se sia per il vento gelido che soffia da
nord, o per ciò che quello stesso vento porta alle sue
orecchie.
Un frusciare crepitante e sconnesso di passi.
Allora si acquatta sul terreno a pancia sotto, spera che i rovi secchi
bastino a nasconderlo e osserva.
Quando vede il fioco bagliore apparire nell'oscurità,
è
tentato di scappare, ma è consapevole di non esserne in
grado.
Aspetta che Smith e i suoi compari si riversino sul sottile sentiero,
ma una sola figura avanza tra le tenebre. E non si tratta di uno dei
suoi inseguitori.
Il corpo è troppo minuto, le gambe troppo magre, i passi
troppo
leggeri.
Harry riesce a distinguere poco, alla luce della lanterna che lo
sconosciuto tende di fronte a sé. Il modo in cui si muove,
con
scatti repentini, il cappuccio a nascondere il volto, il mantello a
frusciargli attorno come sospeso, spaventano Harry.
Alla luce fioca della luna, fatica a credere che quell'essere sia umano. E quando ne
ode la voce, esile e raschiata, se ne convince completamente.
We have beds
And couches on which to
lie.
Flowers surround us
Under the finest
sky.
La dolce e sospesa melodia di quelle note stride con il fievole ringhio
che va a crearne l'armonia.
Harry sente i capelli rizzarsi sulla nuca, le membra intorpidirsi, il
sudore asciugarsi addosso, freddo come ghiaccio. Non sa cosa gli
stia succedendo, ma è sicuro di non voler
ascoltare quel suono immondo ancora una volta.
Per questo, fa la cosa più stupida che un ragazzo solo,
sfinito,
di notte, persosi nel bosco, potrebbe mai fare, in presenza di
un'inquietante qualcosa
di
fronte a sé.
Abbandona il suo nascondiglio e si alza. Arretrando lentamente, per
addentrarsi nel fitto della boscaglia, pensa di avercela fatta. Sta
già assaporando il gusto inebriante e confortevole della
salvezza, quando la figura incappucciata si volta.
Ed Harry ne è sicuro, anche se non può vederlo in
faccia. Quel qualcosa lo sta fissando.
Allora, manda al diavolo ogni ripensamento e, anche se i muscoli
delle gambe protestano e la testa gli gira, ricomincia a correre.
Peccato che, appena voltate le spalle a quell'ombra scura, capisce di
aver fatto l'ennesimo errore di quella notte. Adesso che non
può
vedere la creatura, la paura gli si aggroviglia nel petto come un
rampicante. Sa che lo sta seguendo, sente il frusciare del mantello
sempre più vicino.
E non ha neanche il tempo di realizzarlo che una mano gelida,
esageratamente forte, gli artiglia il collo.
"Fossi in te, eviterei di muovermi adesso."
Il sussurro raschiato gli sfiora l'orecchio ed Harry non può
far
a meno di urlare, perché capisce di non essersi sbagliato:
quella voce
non ha niente di umano.
Urla, per quanto glielo permettano quelle mani strette attorno
al collo.
Urla finché i polmoni non prendono fuoco, la gola si
infiamma, gli occhi si riempiono di lacrime.
Urla, prima che un colpo alla testa lo faccia piombare a terra, privo
di sensi.
________
Quando Harry si sveglia, attorno è così buio che
per un
attimo
teme di esser diventato cieco. Si tasta affannosamente gli occhi,
chiude e riapre le palpebre, ma ciò che vede non cambia.
Un'ostentata, impenetrabile oscurità lo circonda,
così
compatta e vellutata che crede addirittura di poterla toccare.
Tende le mani tremanti in avanti e no, non le vede. Allora, le poggia
sul pavimento freddo su cui è steso. Il contatto con la
pietra
dura ed umida lo fa rabbrividire, ma almeno è sicuro di
essere
in
un luogo reale.
Si volta di
scatto, a destra e a sinistra, cerca di cogliere oltre quella coltre
nera un particolare che possa in qualche modo rassicurarlo. Ma la testa
gli gira, è pesantissima. Tutto il corpo gli duole, le ossa
schioccano come legno, quando tenta di muoversi.
E' in ginocchio adesso, sta seguendo con le dita le crepe sul muro di
pietra che si ritrova alle spalle, il raschiare del suo stesso respiro
lo spaventa, ma sta così male che per un attimo la paura
passa
in secondo piano.
Quando si rende conto che le sue mani sono arrivate a toccare qualcosa
di diverso dalla pietra -legno forse?-, un clangore improvviso lo fa
sobbalzare.
E adesso la sente, la paura, chiara e definita, a dilaniargli il petto
e a bloccargli il fiato il gola. Lo squarcio di un ricordo si staglia
nitido nella sua memoria: il bosco, la creatura avvolta dal mantello,
quella voce...
Si alza e l'improvvisa incalzante sensazione di non essere solo lì
dentro lo convince a spalmarsi contro quella che spera sia una dannata
porta.
"Ehi! C'è nessuno?"
Quello che nelle sue intenzione sarebbe dovuto essere un grido si
rivela poco più di un sussurro. Frustrato, si porta le mani
alla
gola, accorgendosi solo in quel momento di quanto orrendamente bruci. Ma
non smette di aggrapparsi disperato a quella porta, vi poggia sopra
l'orecchio e lo sente di nuovo. Un clangore metallico, di chiavi o catene. Dei passi
concitati che rimbombano giù per le scale.
"Non è una buona idea, Niall!"
L'ha sentita, può giurare di averla sentita! Un voce! E' non
come quella nel bosco. Questa è umana.
"Lo so. Ma non intenzione di lasciarlo lì dentro a morire."
Anche la seconda voce è normale, colorita da un marcato
accento irlandese.
"Al padrone non piacerà..."
I passi si avvicinano, Harry decide che è meglio
restare
in silenzio, si rannicchia di nuovo a terra, come un animale.
"Liam, al padrone non piace mai niente."
I passi cessano e poi, senza preavviso, una luce accecante lo investe,
costringendolo a rintanare il viso tra le braccia.
"Ooh" il sussurro che lo richiama è dolce, appena un po'
inquieto. "Sei sveglio?"
"Forse sarebbe meglio chiedere sei
vivo?"
"Niall smettila!"
Le voci sono quelle di due ragazzi, provengono dal rettangolo di luce
che si delinea lentamente sulla retina di Harry. E' una grata
minuscola, con uno sportellino all'esterno, nella parte superiore
della porta massiccia.
"Chi siete?" riesce ad articolare.
"Perfetto, è vivo!" esulta uno, l'atro sbuffa e "Io sono
Liam"
poi si presenta. "Ho pensato che avessi fame e..."
"Veramente io l'ho pensato." lo interrompe l'altro, contrariato.
Ma Harry non ha tempo per i loro battibecchi. Si alza di nuovo, infila
le dita tra le sbarre della grata e "Dove mi trovo?" chiede, affannato.
"In una cella, mi pare ovvio!"
"Niall, vuoi finirla?"
Harry sente del buono in quelle voci, spera ingenuamente di poterli
convincere ad aiutarlo così "Fatemi uscire" implora.
Gli occhi castani che intravede dall'altra parte sembrano sinceramente
dispiaciuti quando Liam risponde. "Non possiamo. Non dipende da noi, mi
spiace."
"E da chi dipende?" ansima il riccio, le unghie affondate nel legno
marcio, il cuore in gola. "Chi è il padrone?"
Percepisce che l'atmosfera al di là della porta è
diversa
ora, tesa come una corda d'arco. Non riceve alcuna risposta, ma
attraverso una gattaiola ai suoi piedi, qualcuno spinge dentro un
piatto con
formaggio e pane raffermo.
"Ti conviene mangiare."
E' l'irlandese a parlare, prima che i passi dei due riprendano
a rimbombare nelle scale.
"Perché mi tenete chiuso qui?" Harry grida, nonostante il
dolore
lancinante alla gola. "Perché non posso tornare a casa?"
E' Liam a rispondere, serio ed incolore. "Perché tu...l'hai visto."
"Non resisterà ancora a lungo" Niall avanza nella camera
buia,
nonostante gli tremino le gambe. "Sono quasi due settimane che non vede
la luce del sole!"
La figura in poltrona rimane immobile, eccetto che per la mano guantata
con cui si porta un calice di vino alle labbra.
"Le persone non sono piante, Niall. La luce del sole non le tiene in
vita."
Il biondino china il capo, si fissa i piedi. "Se non lo lasciate
uscire, morirà."
"Che muoia, allora" il ringhio irritato sembra far fremere le tenui
fiammelle delle candele. "Non posso rimandarlo a casa e lo sai."
"Ma potrebbe vivere qui con noi, io e Liam lo terremmo d'occhio..."
Un suono gutturale, forse una risata, invade la camera.
"Provi pena per lui, Niall?"
"Sì, così come la provo per me stesso. E come la
proverei
per voi, padrone, se il ragazzo morisse. Sarebbe un vero
peccato e so che voi, in fondo, non volete che accada."
Ha rischiato, pronunciando quelle parole, ma non gli importa. Ha
promesso ad Harry che l'avrebbe fatto uscire di lì e lui
mantiene sempre le promesse.
Il padrone si alza, getta il calice a terra con un movimento fluido e
"Portami da lui" ordina. "Voglio parlargli."
In effetti, Niall ha fatto bene i conti.
Harry è rinchiuso in quella cella da dodici giorni, anche se
a
lui sembrano passati anni. Il tempo scorre lento e piatto, il silenzio
è il suo unico compagno e al buio ormai si è
abituato.
Non riesce a contare i giorni o le ore. Nella cella non ci sono
finestre, il giorno e la notte si fondono tra quelle gelide mura e i
pensieri gli si affollano in testa come un'orda inferocita.
Pensa a sua madre, a quanto starà piangendo in quel momento.
Pensa a suo padre, che forse lo sta cercando da solo, nel bosco.
Pensa alla sua libreria, più vuota che mai.
Gli sfugge qualche lacrima a volte, per quanto sia così
debole
ed emaciato da non aver più la forza nemmeno di piangere
ormai. L'unico rimedio a quell'ammasso confuso e tormentato di
pensieri è il sonno.
Harry cerca di dormire il più possibile. Dorme per ore,
forse
per giorni interi. Quando è sveglio, spera che Niall venga a
trovarlo. A volte, quando gli porta la scodella con pane e formaggio,
parlano. E' sicuro di aver trovato il lui un alleato, per quanto
l'unica cosa che abbia mai visto siano i suoi occhi: azzurri, vivi, ma
velati di tristezza, frustrati da una libertà che gli viene
negata da troppo tempo. Esattamente come quelli di Harry.
Quando Niall non c'è, viene Liam. Lui è dolce,
meno
affabile e più spaventato. Harry prova pena per lui, quasi
quanto ne prova per se stesso.
Ma, esclusi quei minimi ed infimi contatti umani, Harry è
perennemente solo. Per questo a volte canta, girovagando per la cella,
passandosi le dita tra i capelli sudici di sangue rappreso e terriccio.
E sta cantando anche nel momento in cui sente il consueto rumore di
chiavistelli, seguito da quello di passi sulle scale.
Si ammutolisce, resta in ascolto. Di solito riesce a distinguere i suoi
carcerieri dal modo in cui camminano. Stavolta no.
Per questo "Niall?" si azzarda chiedere, affacciandosi alla graticola,
che ormai è sempre aperta. "Niall, allora gliel'hai chiesto?"
Harry spera in una risposta positiva. Il biondo gli aveva promesso che
avrebbe parlato col padrone, che avrebbe tentato di convincerlo a farlo
uscire da lì.
E in effetti, è una risposta positiva quella che riceve, ma
chi la pronuncia, non è affatto Niall.
"Sì, me l'ha chiesto."
Harry riconosce il sibilo graffiato udito nel bosco e rabbrividisce.
"Ma non credo che assecondare quell'insulso irlandese sia una
buona idea."
La voce è più vicina, adesso
Il riccio si ritrae istintivamente dalla grata, scivola seduto a terra
contro la porta.
"I-io non so neanche perché sono qui" balbetta. "Non so in
che
diavolo di posto mi trovo, né chi tu sia...ma non hai il
diritto
di tenermi qui."
"Non ho il diritto. Ma ne ho la necessità."
"Che vorrebbe dire?"
"Vuol dire che non posso permettere..." la voce è
terribilmente
vicina adesso, ad Harry sembra di percepire il fiato della creatura sul
collo, "che tu vada a raccontare in giro del nostro incontro
nel
bosco."
"Quindi, intendi lasciarmi marcire qui dentro per precauzione?"
L'aguzzino ridacchia al tono mortalmente ironico del ragazzo. "Forse
sì. A meno che tu non prometta di non provare a scappare dal
palazzo, una volta che ti avrò fatto uscire."
"Posso prometterti" rischia Harry, "che non dirò niente a
nessuno, se mi lascerai tornare a casa."
Quando l'altro risponde, ogni traccia di ilarità
è sparita dalla sua voce.
"Non sei nella posizione di negoziare" sputa subdolamente. "Adesso,
promettimelo, o dovrò tenerti chiuso qui
finché non
ti deciderai a tirare le cuoia."
Harry sospira, si afferra la testa tra le mani, combattuto e spaventato
come un animale in trappola.
"Lo prometto" sussurra alla fine, mentre lacrime gli rigano le guance.
"Confido che sia una promessa sincera" ringhia il padrone, dall'altra
parte. "Altrimenti, sarò costretto ad ucciderti"
Harry non ha nemmeno il tempo di assimilare quelle parole, che la
porta alle sue spalle si apre con uno scatto.
Sente passi veloci che svaniscono su per le scale e poi finalmente ha
il coraggio di alzarsi e spingersi contro la porta, che si spalanca
cigolando.
Quando Harry vede Niall e Liam per la prima volta rimane un po'
spiazzato. Sono diversi da come li immaginava; non avrebbe mai
associato la voce calda e rassicurante di Liam al profilo
così
deciso della mascella, ai capelli cortissimi, al fisico impostato e a
tratti aggressivo. Così come non pensava che al carattere
allegro ed esuberante di Niall potesse corrispondere un corpicino
minuto, dalle spalle curve e dal viso innocente, da bambino, con le
guance perennemente arrossate.
I due lo guidano su per le scale ed Harry capisce di essere stato sotto
terra per tutto quel tempo. Percorrono tanti, troppi corridoi, stretti
e lunghissimi, attraversano porte, salgono e scendono scale. Harry non
si
sofferma ad osservare nulla. Cammina ad occhi socchiusi, deve ancora
abituarsi alla luce. Avanza lentamente, a volte Liam lo aiuta e gli
impedisce di finire a terra.
Dopo chilometri di corridoi, arrivano in una stanzetta minuscola. Ci
sono una vasca, uno specchio e dei vestiti puliti.
"Fa come se fossi a casa tua" sussurra Liam, prima di lasciarlo solo.
Il bagno caldo da' ad Harry l'impressione di rinascere. L'acqua si
mischia alle sue lacrime, lava via, insieme al sangue e al sudiciume,
anche i ricordi di quell'orrida prigionia.
Rimane nella vasca finché la pelle non inizia a
raggrinzirsi.
Poi indossa i vestiti non suoi, piegati sulla sedia, ed esce.
Quella sera, seduto attorno ad un rozzo tavolo di legno con Liam e
Niall, gli sembra di vivere un sogno. Cenano in silenzio, si godono il
calore fumoso della cucina, mentre fuori inizia a nevicare.
"Una casa così deve avere
una sala da pranzo enorme" se ne esce il riccio, all'improvviso.
"Ne ha più di una, in realtà. Ma io e Niall
preferiamo mangiare in cucina, dato che siamo solo in due."
"E il padrone?"
"Il padrone non cena mai con noi."
Harry rigira il cucchiaio nel suo piatto. "Tiene prigionieri anche voi?"
Un attimo di silenzio e poi "In un certo senso" sussurra
Niall.
"E non avete mai provato a scappare?" una forza nuova anima la voce di
Harry, qualcosa di simile alla speranza "Siamo tre contro uno adesso,
non dovrebbe essere difficile."
"Noi non vogliamo scappare!" Liam sbatte una mano sul tavolo con forza.
"Eravamo qui prima che gli accadesse e abbiamo promesso di restare, di
aiutarlo..."
Gli occhi di Harry luccicano. "Prima che accadesse cosa?"
Cala di nuovo il silenzio in cucina ed è di nuovo
Niall a
romperlo, con un mezzo sorrisetto sulle labbra. "Tu non l'hai ancora
visto in
faccia, vero Harry?"
Quello scuote la testa, impaurito dalla domanda di cui non afferra il
senso, aspettando che uno dei due inizi a spiegargli qualcosa.
Invece Liam si alza da tavola e "E' complicato" si limita a sussurrare.
"Se posso darti un consiglio, Harry, smettila di fare domande. Ed
inizia
ad abituarti a vivere qui, perché dovrai rimanerci per
sempre."
Harry non sopporta la cupa rassegnazione di quelle parole, quel suo
tono arrendevole e fiacco.
"Zayn verrà a cercarmi prima o poi" mormora a mo' di sfida,
"lui mi riporterà a casa."
Niall scoppia a ridere, gli da una pacca sulla spalla. "Spera che non
ti trovi, allora. Altrimenti, rimarrà imprigionato
qui
come
tutti noi."
Louis si sveglia tardi, come ogni mattina, e il suo primo pensiero, non
appena apre gli occhi, è per il ragazzo del bosco. In
realtà, da due settimane a questa parte, ogni suo pensiero
è rivolto a lui e adesso che se lo ritrova a scorrazzare per
il
palazzo, teme che la sua possa trasformarsi in un'ossessione.
Louis ha paura di quel ragazzo, forse più di quanta Harry ne
abbia di lui.
E' l'unico essere umano con cui abbia mai parlato, eccetto Niall e
Liam, da quando è
successo. E' il solo che fin'ora sia riuscito a
trovare il palazzo, l'unico ad aver avuto la sfortuna di incontrarlo
nel bosco.
Per certi versi, Louis vorrebbe davvero ucciderlo: non lo conosce, ma
sa che per lui rappresenta un pericolo. Farlo fuori sarebbe la scelta
più saggia.
Ma non può. E non perché non sia in grado di
uccidere:
l'ha già fatto in passato, tante di quelle volte che non lo
ricorda nemmeno. E' solo che la consapevolezza di essere lui stesso la
causa di ciò che sta accadendo, gli impedisce di punire il
ragazzo. Se è riuscito a vederlo è solo colpa
sua e
del suo dannato vizio di andarsene in giro per il bosco di notte. E
neanche un mostro ripugnante come Louis sarebbe capace di far pagare
qualcun altro per un suo errore.
Striscia giù dal letto senza nemmeno accorgersene, afferra
le pesanti tende di velluto e le scaccia con uno sbuffo.
Odia la luce, ma le giornate invernali ne hanno così poca
che
non gli dispiace appollaiarsi in veranda, a
contemplare l'immenso giardino.
La nevicata della notte ha impolverato di bianco il prato trascurato,
le siepi deformi, il muro di cinta, che si staglia sull'orizzonte
grigiastro come un'orrida montagna.
Louis inspira l'aria fredda e pungente, si tira su il cappuccio,
perché senza si sente vulnerabilr. E poi la sente.
E' la voce del ragazzo. Sta intonando la stessa melodia triste che lo
ha
sentito sussurrare nella sua cella. Parla di strade percorse e grandi
città, di campi di grano ormai secchi, di fiori
sbiaditi e
pagine ingiallite. Parla di una vita che non è stata mai
vissuta, di una nostalgia che non ha senso di esistere,
perché
non è che il mero ricordo di ciò che sarebbe
potuto
essere e non è mai stato.
Louis si affaccia oltre il parapetto. Il ragazzo del bosco è
seduto sul muretto che delimita la fontana cadente, in giardino. Tiene
gli occhi chiusi mentre canta, muove la testa a ritmo, sfiora con le
dita l'acqua gelida e putrida. Le ombre giocano tra i capelli
riccissimi,
sul viso di porcellana scavato dalla sofferenza, sulle labbra piene,
aride e secche come il pane che è stato costretto a mangiare
in
quei giorni.
Poi, all'improvviso, apre gli occhi. E' un'esplosione di verde
così forte e lucente che Louis ne rimane abbagliato anche a
quella distanza. Si ritira precipitosamente nella stanza, sperando di
non essere stato visto, un strano brivido a corrergli lungo la schiena,
un vuoto allo stomaco che non sa definire. Quasi istintivamente, balza
in
fondo alla stanza e siede di fronte al suo pianoforte. Sta pensando che
Niall aveva ragione. Sarebbe stato un peccato, un abominio, se un
ragazzo così bello forse morto.
E pochi minuti dopo, senza nemmeno accorgersene, sta suonando col suo
pianoforte le stesse note che la voce, calda e profonda, di quella
creatura perfetta, aveva intonato poco prima.
Harry è sicuro di quello che ha visto. Un'ombra lo
osservava,
acquattata sul balcone più alto, prima che aprisse gli
occhi. Ed
anche se è svanita nel nulla, l'inquietudine che gli
striscia
addosso, facendogli tremare le gambe, lo segue finché non
rientra in casa. E, mischiata ad una sottile e perversa
curiosità, continua a tormentarlo anche nei giorni
successivi.
Non ha molto c'è molto da fare nel palazzo. Liam e Niall
non si
preoccupano di dargli un aspetto quanto meno decente, si curano solo
della cucina e degli alloggi della servitù, quelli in cui
tutti
e tre vivono. Il padrone non vuole che mettano piede nelle sue stanze,
neanche per pulirle. Il giardino è abbandonato a
se
stesso, punteggiato d'erbacce, invaso da parassiti di ogni tipo. Sul
muro di cinta e sulle pareti del palazzo l'edera si dirama come
un'intricata rete di ragnatele.
Perciò Harry passa le giornate a girovagare per i corridoi.
Ammira gli arazzi sfilacciati, appesi lungo le pareti, e osserva le
sculture impolverate, le armature arrugginite e cigolanti, i lampadari
decrepiti, a sorreggere mozziconi di candele spente chissà
da
quanto. Le porte del primo piano sono tutte chiuse a chiave. Al piano
terra ci sono sale immense, troppo buie e silenziose perché
abbia il coraggio di avventurarvisi da solo.
Al secondo piano non può andarci. Liam è stato
categorico su questo e in effetti Harry non gli da tutti i torti. Al
padrone non piace essere disturbato. Eppure, quando guarda l'elegante
scalinata che lo separa dal quel luogo proibito, Harry non
può
fare a meno di esserne attratto. C'è qualcosa di infimo e
affascinante che lo porta a fermarsi, con il piede sul primo gradino,
le dita sul corrimano, gli occhi fissi sul ballatoio sovrastante,
immerso nell'oscurità. Quel desidero ambiguo e grottesco
è
frenato solo dall'istinto di conservazione. Ma è
sicuro che un giorno quello spirito verrà meno e lui
salirà quelle scale. Non ha intenzione di dirlo a Liam,
naturalmente. Ma forse a Niall sì. Nelle due settimane
passate
fuori dalla cella può dire di aver capito un paio di cose.
Primo: Liam è il capo. Il padrone parla solo ed
esclusivamente
con lui e il suo compito è quello di assicurarsi che tutto
vada
esattamente come lui desidera. E' un capo rigido ma non severo, poco
loquace, a tratti dolce. Per la maggior parte del tempo, è
triste.
Secondo: Niall è pazzo. Per la metà del tempo
è
esuberante, vivace, dannatamente impertinente. Per l'altra
metà
è taciturno, indisponente, irritabile e velenoso come un
serpente a sonagli. Harry non sa cosa scatti nel suo cervello, cosa
riesca a far convivere due personalità così
diverse,
entrambe estremamente inadatte alla situazione in cui si trovano.
Quando
è felice, lo è decisamente troppo.
Quando è giù, manca poco che decida di chiudersi
a chiave
in una stanza e appiccare il fuoco al suo letto, lasciando che le
fiamme divorino lui e la prigione in cui è costretto a
vivere.
Harry crede che un giorno finirà per farlo davvero e gli
dispiace. In fondo Niall, quando ha le sue giornate sì,
è
il suo preferito.
Grazie a loro, Harry ha scoperto anche po' di dettagli interessanti
quanto inutili.
Il maniaco che li tiene rinchiusi lì si chiama Tomlinson.
Esce
della sue stanze solo di notte. Porta sempre mantello e guanti neri, ed
Harry non deve mai, per alcun motivo, guardarlo in viso. O almeno,
così ha detto Liam.
Rispettare questo divieto non si rivela un problema. Esclusa la fugace
apparizione sul balcone, Harry non ha mai il piacere -o il dispiacere-
di incontrare il padrone di casa. A volte gli riesce difficile credere
persino che esista. E' forse è questa falsa, quanto
autodistruttiva sensazione, che lo porta a capire la cosa
più
importante di tutte, alla fine di quelle due settimane.
Non può vivere lì per sempre.
Deve scappare.
Non ha programmato niente. Non ha studiato la situazione, non ha
preso nessuna precauzione. Eppure quella notte si alza dal letto,
già vestito, si infila le scarpe ed esce silenziosamente
dalla
porticina di servizio degli alloggi per la servitù.
Ha paura, ma è risoluto. Sa che se lascia trascorrere troppo
tempo, non avrà più il coraggio di provare, o
anche solo
di pensare alla fuga. Attraversa affannosamente il giardino innevato,
fa di tutto per non guardare il palazzo, che incombe come una nera
fortezza alle sue spalle. Lungo il limitare nord del giardino,
incorniciata dall'edera e incastrata nel muro di cinta, c'è
una
porta. Di giorno, non ha mai osato avvicinarsi. Perciò
è
inquieto quando la raggiunge: non sa se si aprirà.
E, ovviamente, quando afferra la maniglia tonda e arrugginita, si
accorge che è chiusa a chiave.
"Dannazione!"
Tira fuori dalla tasca un uncinetto di ferro, ringrazia Dio che Zayn
Malik gli abbia insegnato ad usarlo e si china sulla vecchia serratura.
Ci lavora un po' su, con il vento che diventa sempre più
gelido
e i primi fiocchi di neve che iniziano a danzargli attorno. Dopo quelli
che gli sembrano secoli, la serratura scatta e la porta si apre.
In meno di due minuti è immerso nell'ombra spettrale del
bosco.
Non conosce quella zona, non ha idea di dove si trovi, ma confida che
prima o poi incontrerà un sentiero. Si infila le mani sotto
i
vestiti, per difendersi dal freddo, ed avanza goffamente nella neve. La
luna
splende più del solito stanotte, rischiara i tronchi grigi e
le
foglie ghiacciate del bosco, lo fa sentire più ottimista. O
forse, è la consapevolezza di aver finalmente lasciato quel
palazzo a dargli il coraggio di continuare a camminare, anche se la
neve cade sempre più fitta e il vento soffia sempre
più forte.
Harry pensa che la sua storia, come quella dei beniamini dei suoi
romanzi, finirà bene. Pensa che tra poche ore
sarà a
casa, con sua madre, davanti al fuoco e il mese appena passato non
diventerà altro che un ricordo distante e nebuloso.
Si illude. E per questo, non vuole ammettere che qualsiasi
sentiero nel bosco è stato ormai irrimediabilmente nascosto
dalla neve.
Non vuole ammettere che gli alberi gli appaiono tutti dannatamente
uguali, che i piedi iniziano a perdere sensibilità, che la
nevicata si sta rapidamente trasformando in una tempesta.
Non vuole ammettere che quelle sul suo viso sono lacrime e non fiocchi
di neve. E non ha intenzione di arrendersi, finché ha la
forza
per respirare.
Ma neanche a quel punto, quando si accascia a terra sul ghiaccio, i
piedi congelati, il corpo scosso dai brividi, il respiro condensato in
nuvolette fugaci, vuole ammettere di aver fallito.
Mentre chiude gli occhi e si raggomitola sotto un albero, Harry Styles
è ancora convinto che presto riuscirà a rivedere
sua
madre.
_________
Quando si risveglia non ha affatto freddo. Anzi, non riesce a muoversi
sotto il pesante strato di coperte che lo sovrasta. E' sudato ed ha i
piedi intorpiditi, ma sta decisamente bene. Fin troppo bene.
Per un attimo, crede di avercela fatta, di essere a casa. Lo
scoppiettare del fuoco è rassicurante, dannatamente
familiare.
Ma il sogno ad occhi aperti svanisce come fumo non appena si
guarda
intorno. Le tende viola scuro che circondano il letto, il
profumo
opprimente, la grandezza di quella stanza, non hanno niente di
familiare.
Si solleva a fatica, scostando le coperte e allora "Non muoverti
troppo. Sei ancora debole" lo richiama una voce.
Ad Harry salta il cuore in gola. Di fronte al camino, sulla poltrona,
c'è una figura ammantata d'ombra.
Il padrone.
Harry non riesce a parlare. Lo guarda mentre si alza e gli si avvicina,
veloce e leggero come uno spettro, il viso nascosto dal riverbero del
fuoco.
"Come ti chiami?" sussurra.
"Harry."
"Harry" ripete
quello,
sospirando. "Sei uno sciocco,
Harry. Non solo hai ignorato il
nostro patto, ma hai deciso di fuggire proprio nel bel mezzo di una
tormenta" stringe tra le dita le tende del baldacchino e china il
capo. "Devi odiarmi infinitamente, se sei disposto a rischiare la vita
pur
di
scappare da qui"
Harry deglutisce, si fa forza e "Che importanza ha, ormai?" domanda.
"Adesso che ho infranto la promessa, sarai tu ad uccidermi."
Louis scuote la testa, come divertito. "In effetti potrei. Ma
così, tutta la fatica che ho fatto per salvarti andrebbe
perduta."
"Se tu mi avessi lasciato tornare a casa fin dall'inizio, ci
saremmo evitati entrambi queste complicazioni."
A Louis quel tono non piace. L'ultimo che ha osato rivolgersi a lui in
quel modo si è ritrovato con un pugnale nel petto, pochi
minuti
dopo.
"Casa!" ripete, quasi disgustato. "Cos'ha questa casa di tanto
speciale?
Io ti ho offerto un intero palazzo! Eppure preferiresti morire
piuttosto che vivere qui, con
me."
"Di un palazzo non me ne faccio niente" Harry parla in tono derisorio,
ma sente già che le forze lo abbandonano. "Di te non mi
importa
nulla! Voglio solo riavere la mia famiglia" quasi urla, ma gli manca il
fiato. "I miei libri.
La mia vita!"
E poi crolla.
Scoppia in lacrime, ansima sul cuscino,
stringe i denti sperando di poter fermare l'afflusso incontrollato
di dolore che lo travolge.
Louis lo guarda, immobile. Pensa che così ridotto, con le
guance
arrossate, gli occhi in tempesta, le mani affondate con rabbia tra le
coperte, sia ancora più bello.
Ma la sua voce implorante, quando "Ti prego" singhiozza, lo fa
rabbrividire. Distoglie lo sguardo, incapace di controllare il battito
forsennato del proprio cuore.
"Ti prego!" grida ancora il ragazzo. "Lasciami libero. Ti giuro che..."
"Hai già giurato una volta" Lou si allontana, va verso la
porta. "Ma sappiamo entrambi che non sei un uomo di parola."
"Per favore, farò tutto ciò che vuoi..."
"Io voglio che dimentichi tutto, Harry. La tua famiglia, i
tuoi amici, la tua vita. Perché la tua casa adesso
è questa."
Il padrone apre la porta e alla luce del corridoio, Harry finalmente la vede.
La maschera è bianca, traslucida, levigata come porcellana.
Copre tutta la parte destra del volto di Tomlinson, il limite sottile
gli attraversa la fronte spaziosa, percorre il naso minuto, taglia le
labbra fini ed inespressive.
Harry non può far a meno di trattenere il fiato. Per un
attimo,
non si cura più neanche delle lacrime che gli rigano il
viso.
Vorrebbe fermarlo, dire qualsiasi cosa, per continuare a supplicarlo o
forse solo per aver la possibilità di analizzare nei minimi
particolari quel viso deforme.
Ma Louis si tira su il cappuccio con uno scatto repentino e chiude la
porta.
Dal corridoio, può sentire Harry che ricomincia ad urlare, a
piangere, ad imprecare, come se avesse perso il senno.
Quel suono, così simile al mugolio disperato di un
animale intrappola, gli stringe il cuore, quasi gli impedisce di
respirare. Ma non torna indietro.
Ed Harry urla ancora per molto, rigirandosi tra le coperte, le mani
tra i capelli, la gola in fiamme
Urla, finché Liam non entra in stanza con un vassoio.
Allora si nasconde sotto le lenzuola, si asciuga le lacrime e serra le
labbra. Non vuole che lui lo veda crollare.
Si rifiuta di parlare ed anche di mangiare, per quanto ne senta il
bisogno.
Non chiede niente a Liam, ma quello gli racconta tutto ciò
che è successo.
Il padrone l'ha seguito nel bosco, l'ha trovato in mezzo alla
neve, svenuto e quasi congelato, l'ha riportato a casa. Non ha
permesso né a lui né a Niall di avvicinarsi o
aiutarlo.
Lui stesso l'ha portato fino al secondo piano, sistemato in una delle
sue stanze, ed accudito durante i tre giorni in cui è
stato incosciente.
Quando finalmente Liam se ne va, Harry è certo che gli abbia
detto tutto perché gli è stato ordinato.
Il padrone vuole che gli sia grato. Vuole conquistare la sua
fiducia, la sua amicizia forse, per assicurarsi che non vada via mai
più.
Ed Harry si sente debole ed insulso, quando capisce che il suo piano
sta funzionando alla perfezione.
Adesso, è in debito con Louis e questo rende mille volte
più difficile continuare ad odiarlo.
La mattina dopo, quando trova sul suo comodino una copia sgualcita dei
Sonetti di Shakespeare, arriva a pensare che odiarlo sia addirittura
impossibile.
Dopo sei giorni, Harry può dirsi finalmente guarito. E'
dimagrito ancora, si sente un tantino debole, ma di stare a letto non
ne vuole più sapere.
Esce dalla lussuosa camera del secondo piano tenendo tra le braccia
vestiti, effetti personali e il libricino che ha finito di leggere
quella mattina. Niall giura che non è stato lui a metterlo
sul
comodino, ed è sicuro che non sia stato neanche Liam.
Harry, purtroppo, non fatica a credergli.
Attraversa il corridoio un po' incerto. Sapeva che prima o poi si
sarebbe ritrovato a percorrerlo, ma non in una situazione simile.
A dirla tutta, gli dispiace lasciare la stanza grande, luminosa e calda
dove ha passato la sua convalescenza. Sta pensando all'umile lettuccio
che lo aspetta al piano terra, quando un cigolio annuncia l'aprirsi di
una porta.
"Dove stai andando, Harry?"
Louis lo osserva dal fondo del corridoio, appoggiato allo stipite di
una porta così alta da arrivare a sfiorare il soffitto.
"Nella mia camera" risponde il piccolo, come fosse ovvio.
"E' quella la tua camera adesso" lo corregge l'altro, indicando con un
cenno del capo la stanza
alle spalle del riccio. "E voglio che tu ci rimanga."
E per quanto sia felice di non dover tornare agli alloggi dei servi,
Harry pensa che, restando lì, la situazione
diventerà
insopportabilmente complicata.
"Sei schifosamente fortunato, Harry Styles" Niall affonda la forchetta
nella bistecca con forza. "Io non ho mai neanche avuto la fortuna di
entrare in quelle camere!"
"Ma smettila!" Harry, con Liam, sta finendo di preparare la cena. "Solo
il pensiero di dormire accanto a Louis ti spaventa a morte."
"Louis!" ribatte il biondino, sghignazzando. "Adesso è
così che lo chiama, capito Lì?"
Payne annuisce distrattamente, afferra il vassoio d'argento e posiziona
con maniacale attenzione i piatti con la cena del padrone.
Harry gli si avvicina con nonchalance
"Vuole controllarmi, per questo mi tiene lì, vero?"
"Non lo so."
"Ho visto la maschera. Perché la porta? Che gli è
successo?"
"Non lo so."
"Non ci credo."
Liam sbuffa, fa per prendere il vassoio, ma Harry
è
più veloce.
Il castano strabuzza gli occhi. "Che stai
facendo?"
"Servirò io il padrone stasera" annuncia il riccio,
incamminandosi verso
la porta.
Sente Niall ululare un: "Hai fegato ragazzo!" mentre Liam lo insegue
e "No!" esclama, deciso. "Non puoi farlo, Harry."
"Non mi farò ammazzare, tranquillo."
"Ma..."
Liam grida qualcos'altro, forse avvertimenti, o magari insulti. Ma
Harry non lo ascolta. Deve trovare delle risposte alle sue domande, e
l'unico modo per farlo è entrare in quella
camera.
Quando sente bussare alla porta, Louis è disteso sul letto,
una
bottiglia di vino in mano, l'aria gelida della notte a scompigliargli i
capelli i grigiastri.
Sta pensando al ragazzo del bosco, a come sia arrossito quella mattina,
quando gli ha parlato. A come gli occhi verdi abbiano sostenuto il suo
sguardo, senza fremere terrorizzati. E' senza dubbio più
bello
con le guance arrossate per l'imbarazzo che per il pianto.
Un altro colpo insistente alla porta.
"Vai via Liam, non ho fame."
"Non sono Liam."
Louis odia il modo in cui il cuore gli salta in gola, quando riconosce
quella voce. Ed anche se la ragione gli suggerisce quanto sia sbagliato
"Entra" ordina.
Harry obbedisce.
Louis può vedere la sorpresa dipingersi sul suo volto, non
appena si ritrova nella stanza.
E' grande, assurdamente grande, separata in tre navate da due file di
colonne, come una chiesa. Ma per il resto, somiglia più ad
un
magazzino abbandonato. Il pavimento è disseminato di carte,
libri, bottiglie vuote, alcune rotte, tappeti impolverati, bauli
chiusi, una marea di mobili, vecchi e inutilizzati.
Al centro, come una montagna su un mare di macerie, c'è il
letto. Doveva essere stato bello un tempo, ma le colonne di legno ora
sono crepate, ammuffite e le tende di un rosso sbiadito, in
più
punti strappate.
Harry rabbrividisce e non sa se sia per il tetro spettacolo che ha di
fronte, o per il vento gelido di dicembre che entra dalla finestra
immensa, completamente spalancata.
"Poggià il vassoio lì."
La voce autoritaria di Louis gli ricorda che non è solo.
Lancia un'occhiata discreta al lato sinistro del suo
viso, quello che Lou non si vergogna di mostrare,
illuminato dalla fiammella tremolante di una candela, mentre adagia il
vassoio su un tavolino traballante.
E' un viso elegante, dal profilo affilato, le guance scavate, le labbra
di un pallore cadaverico. L'occhio, quello che riesce a vedere,
è
sottile, azzurrissimo. Harry direbbe che è molto giovane, se
non
fosse per i capelli di un grigio quasi argenteo.
Louis si sente osservato, vorrebbe cacciarlo, invece si porta la
bottiglia alle labbra beve un lungo sorso e "Perché sei
qui?"
chiede.
"Per portarti la cena."
"Intendo dire, qual è il vero motivo?"
Harry
è di nuovo a disagio. Si tortura le mani e china il capo
come un bambino.
"Volevo ringraziarti...per
il libro."
"Solo per quello?" Louis inarca un sopracciglio. "Non per averti
salvato la vita?"
"Non volevo essere salvato." Il riccio inspira profondamente.
"Perché l'hai fatto?"
"Perché se fossi morto, sarebbe stato un peccato" il padrone
beve
ancora, poi si pulisce le labbra con il dorso della mano. "Un vero
peccato."
Non crede che Harry abbia capito il senso di quelle parole, ma il
riccio non fa altre domande.
Si avvia verso la porta, invece, evitando abilmente l'ammasso di sudici
oggetti
raccolti sul pavimento, e nel vederlo andar via, Louis sente il vuoto
nel petto tornare.
"Comunque" lo richiama, prima che esca, "puoi prendere tutti i libri
che vuoi."
Gli indica col dito la parete destra della stanza. Nascosta
dall'ombra, in quella camera grande come una cattedrale, c'è
una
libreria. Sugli scaffali polverosi, sono ammucchiati in disordine
centinaia di libri.
Harry rimane a bocca aperta.
"Io...grazie" balbetta, ma non osa avvicinarsi. Louis sbuffa, si alza,
afferra il libricino che tiene sul letto.
"Leggi questo intanto" glielo lancia tra le mani. "Ti
piacerà."
Harry finisce il libro in una sola notte.
Legge sorreggendo la candela accanto al viso, finché gli
occhi
non gli bruciano e il sole non spunta oltre le cime degli alberi.
Legge e quando arriva all'ultima riga sente come un pezzo di
sè
che va via, una parte di anima che rimane incastrata tra quelle pagine.
Louis aveva ragione. Gli è piaciuto.
Forse è per questo che quella sera si presenta di nuovo alla
sua
porta, col vassoio in mano e il cuore a mille. E lo fa anche la sera
dopo, e quella dopo ancora.
Ogni sera, quando lo vede varcare quella porta, Louis è
sempre più compiaciuto.
Non parlano granché, in realtà. Harry si limita a
salutarlo, il padrone gli consiglia un nuovo libro e in pochi secondi
tutto
è finito.
Eppure Louis, dopo appena una settimana, si accorge di essersi
affezionato talmente tanto a questa strana abitudine da non poterne
più fare a meno. A volte pensa che, se per una volta Harry
mancasse al loro appuntamento, lui rischierebbe di impazzire.
Ne ha la conferma una sera di metà Dicembre. Il sole
è
già calato da un pezzo, lui si è già
scolato due
bottiglie di vino ed Harry è terribilmente in ritardo.
Louis è tentato di alzarsi e andare a cercarlo. La paura che
se
ne sia andato, che l'abbia abbandonato di nuovo gli divora il petto,
gli marcisce dentro, tramutandosi in rabbia fredda ed irrazionale.
Quando finalmente sente bussare alla porta, non risponde.
Harry entra lo stesso, sudato e trafelato, il vassoio in bilico sulle
mani.
"Scusa" è ciò che sussurra spontaneo, senza
sapere
neanche il perché.
Louis rimane in silenzio. Una parte di lui vorrebbe urlargli contro, ma
sa che non ne ha il diritto. L'altra, vorrebbe solo chiedergli di
restare.
L'alcool in circolo nel suo corpo lo convince ad assecondare
la seconda.
Così "Harry" sussurra, mentre l'altro già sta per
andare. "Voglio cenare con te, stasera."
Harry non ha mai bevuto prima.
Zay ha tentato qualche volta di ficcagli un po' di birra in gola, ma
con scarsi risultati.
Quella sera, seduto sul balcone con Louis, un bicchiere di vino in mano
-l'ennesimo- e il cielo trapuntato di stelle a sovrastarlo, si da dello
stupido per non averlo mai accontentato.
Si sente la testa pesante e il cuore infinitamente leggero. Guarda
Louis come incantato, mentre quello gli riempie di nuovo il bicchiere.
"Non la togli mai?" chiede, con fare fin troppo impertinente. "La
maschera, intendo."
"No."
"Neanche quando dormi?"
"No."
"Wow."
Lo fissa ancora, beve ciò che è rimasto nel suo
bicchiere
e "Sei davvero strano, sai?" ridacchia, in modo imbarazzante.
Louis annuisce. "Dire strano sarebbe riduttivo."
"Io...io non...non lo dico per la maschera."
"E per cosa, allora?"
"Beh prima dici che vuoi uccidermi. Poi dici che sarebbe un peccato. E
mi regali libri e mi fai bere...cos'è, vino?"
Louis ride, non può farne a meno.
Svuota la bottiglia con un lungo sorso e guarda il suo ospita. "Anche
tu sei strano, comunque.
Chiunque altro avrebbe troppa paura per starmi così vicino."
"A me piace avere paura, Louis" soffia quello in risposta, chiudendo
gli occhi. "Quindi...mi piaci anche tu."
Quelle parole sono così sincere ed inaspettate, che Lou
vorrebbe scoppiare a piangere.
E vorrebbe anche togliersi i guanti, accarezzare quella pelle liscia
come porcellana, sfiorare quelle labbra turgide, toccare i ricci
scomposti che ricadono dolcemente sulla fronte dell'altro.
Invece, si limita a guardarlo, a bearsi dell'incorruttibile
purezza di quel viso. E pensa che l'Harry ubriaco sia il
più
bello che abbia mai visto, fin'ora.
"E' giallo?" la domanda improvvisa del riccio lo confonde. Quello
sospira, avvicina pericolosamente il dito alla sua maschera. "Il tuo
occhio è giallo!" scandisce.
E Louis ride di nuovo.
Harry invece continua a parlare. E parla tanto quella notte. Racconta
di sua madre, dei suoi infusi miracolosi. Di suo padre, della
biblioteca, di tutti i libri che ha letto fin da piccolo. Racconta
dell'Inghilterra, delle nuvole grigie e dell'odore della pioggia, delle
città cupe e del mare in tempesta, di qualche ragazza che ha
conosciuto
e di cui non ricorda il nome.
Parla e Louis lo ascolta per tutto il tempo, finché quello
"Lou" sospira, "posso chiamarti Lou?"
Lui annuisce e "Non è vero" continua il riccio.
"Non
è vero che preferirei morire, piuttosto che vivere con te."
Poi chiude gli occhi, si abbandona sulla sua spalla, si addormenta.
E mentre Louis lo porta in braccio in camera sua, pensa che d'ora in
poi lo inviterà a cenare con lui più spesso.
___________
Harry Styles è morto.
Di questo sono tutti sicuri in paese. Un ragazzo così
strano
non poteva che fare una fine del genere. Sono passati ormai tre mesi
dalla notte del furto a casa Smith. Per un po', nessuno si è
dato la pena di cercare lui o il suo compare Malik, neanche i genitori
di Harry. Dopo una bravata del genere, è normale darsi alla
macchia.
Ma quando Zayn è tornato al villaggio, una settimana dopo,
lurido e con i vestiti stracciati, molti hanno iniziato a chiedersi
come mai fosse solo.
Non era stato affatto facile per lui raccontare alla madre di
Harry cosa fosse successo quella notte - e soprattutto
perché-
ma aveva dovuto farlo. Non dimenticherà mai le lacrime della
donna,
i sospiri del marito, il dolore acuto e penetrante che lui stesso ha
provato nel realizzare che era solo colpa sua.
Il padre di Harry l'ha cercato per giorni nel bosco, da solo. Nessuno
degli uomini in paese ha pensato valesse la pena aiutarlo. Zayn
l'avrebbe fatto volentieri, invece, se non fosse che si era ritrovato a
lavorare sia per Smith che per Antonie, per saldare il suo debito.
Con l'arrivo della neve, la signora Styles ha convinto il marito a non
avventurarsi più nel bosco.
Ma neanche lei si è rassegnata.
Miss Adele e la vecchia Eve giurano di averla vista aggirarsi di notte
nei campi, a raccogliere erbe, cantando nel buio.
"Perla con gli spiriti" dicono. "Gli chiede di riportare indietro suo
figlio!"
Le altre donne del villaggio scuotono la testa, sconvolte, e si coprono
la bocca con la mano, indispettite.
"Non è una buona cosa" fa la Guendaline, stringendosi il
pargolo
al petto. "Queste stregonerie
finiranno col mandare il raccolto
in malora."
Eve annuisce energicamente. "Porteranno sventure al villaggio!"
In effetti, nessuno pensa sia un caso che quell'inverno si prolunghi
più dei precedenti, che il mulino del signor Pat crolli, e
che
metà dei campi si rovini per il freddo.
Fatto sta che gli unici ad illudersi di poter ritrovare quello strano
ragazzo ancora vivo sono i suoi genitori e Zayn Malik.
Ed è lui che, dopo aver estinto il suo debito, quando ormai
la neve si va
sciogliendo, si mette lo zaino in spalla e si incammina alla volta del
bosco.
Vivo o morto, è deciso a ritrovare il suo Harry.
E' il terzo giorno che Zayn vaga per il bosco, quando incontra Niall.
Sente lo scalpiccio degli zoccoli del baio scuro, cavalcato dal biondo,
molto prima che questo attraversi il sentiero. Si accuccia tra il
fogliame, aspetta che cavallo e cavaliere lo superino, e poi li segue.
Spariscono presto alla sua vista, ma lui segue le impronte sull'erba
fresca. Si ritrova a camminare per ore, rendendosi conto di essere
ormai lontanissimo dal sentiero principale. Pensa di non aver letto
bene le tracce, accigliato e deluso, fa per tornare indietro, ma un
colpo alla testa lo stordisce, mandandolo a ginocchia a terra.
"Ahi, ma che diavolo!" Nonostante gli occhi lacrimanti, riconosce la
figura del cavaliere biondo di fronte a sé.
E' lui che lo afferra dal colletto della camicia, sollevandolo da terra.
"Perché mi stai seguendo?" sputa.
"Io non ti sto..." grugnisce Zayn, ma quello "Non mentirmi" lo
interrompe duramente. "Non sono uno stupido."
Zayn, che sta già cominciando a riprendersi, si divincola,
cerca
di sottrarsi alla sua stretta. Ma il biondino non demorde. Finiscono a
terra, ad azzuffarsi come bambini, tra le foglie e il terriccio umido.
Dopo essersi beccato due pugni allo stomaco, Zayn riesce finalmente ad
atterrare l'altro con un calcio dritto sulle costole.
Il ragazzetto perde il fiato, si circonda la pancia con le braccia,
mugolando di dolore.
"Me le hai rotte." si lamenta e Zayn, a cavalcioni su di lui, non
può fare a meno di ridere. Non è affatto
pericoloso come pensava.
"No, non lo sono" sogghigna, costringendolo con le spalle a terra, "ma
potrebbero diventarlo, se non mi ascolti attentamente."
Adesso gli occhi azzurri del ragazzo sono puntati su di lui. Ha la sua
completa attenzione. Perfetto.
"Sto cercando un ragazzo, più o meno della mia
età. Alto, riccio, accento inglese. Si chiama Harry."
Il biondino sgrana gli occhi. "Tu sei Zayn?"
Il moro
aggrotta la fronte ma annuisce.
"Lui ha detto che saresti venuto a
cercarlo" conclude l'altro, in un soffio.
"L'hai visto?" Zayn lo scuote per le spalle, eccitato. "Sta bene? Sai
dov'è?"
"Sì, sta bene. E so dov'è."
Zayn lancia un urlo di gioia e si alza in piedi. "Devi portarmi da lui"
Niall si solleva a fatica. "Questo non posso farlo"
Il moro sospira. "Sono sicuro che troveremo un accordo.." ma nel dirlo,
sta già sfiorando il pugnale che tiene nascosto sotto la
camicia.
Ma Niall è più veloce. stavolta. E Zayn capisce
di averlo
sottovalutato, quando si ritrova uno stiletto piantato nella gamba.
Grida di dolore, preme le mani sulla ferita da cui escono fiotti di
sangue. "Maledetto bastardo!"
Niall si rialza velocemente e monta sul suo cavallo.
"Ascolta, se ci tieni
alla pelle, non provare più a cercarlo" dice, prima di
allontanarsi al galoppo.
Non può sapere che Zayn Malik non ci tiene affatto alla sua
pelle.
__________
Tra le mura dell'antico palazzo nella foresta il tempo si è
come congelato.
Da quando Harry Styles è arrivato molte sale e stanze al
piano terra sono
state riaperte, tirate a lucido, riscaldate con il fuoco del camino. Il
silenzio sospeso che vi aveva regnato indisturbato fino a quel momento
è ormai solo un ricordo.
I sussurri concitati di Louis e le risate troppo forti di Harry
rimbombano adesso nella biblioteca. L'armonia melodiosa del pianoforte
e la voce calda e raschiata di Harry risuonano dal salottino fino
all'androne, su per le scale, arrivano addirittura in cucina, dove Liam
e Niall non possono far a meno di sorridere, speranzosi.
Harry non va più in camera di Louis la sera, non ce
n'è
bisogno. E' il padrone a scendere, a cenare con loro, persino a parlare
a
volte. Ride insieme a Niall, discute con Liam. Poi si alza e con un
cenno del capo, ordina ad Harry di seguirlo. Non gli piace condividerlo
a lungo con loro.
Anche se in effetti, di tempo insieme ne passano fin troppo. E forse
per questo il palazzo per Harry non è più una
prigione. Della
primavera che già arrivata neanche si accorge.
Louis non sta più rinchiuso in camera sua, la mattina. Gli
piace
ascoltare Harry cantare, mentre passeggia in giardino. Gli piace anche
osservarlo mentre vaga per i corridoi, incantato dagli
arazzi che ormai conosce a memoria, perso in pensieri labili ed
inconsistenti.
Qualche volta, trova il coraggio di unirsi a lui in quell'inutile e
vano girovagare.
"Questa è la battaglia di Lipsia" gli sta spiegando un
giorno,
indicando il quadro dai toni cupi che si confonde col il legno scuro
della tappezzeria. "Mia madre l'ha fatto acquistare da una sua serva al
mercato, ma agli altri ha sempre detto di averlo pagato a peso d'oro."
Harry fissa il dipinto per un po', poi riprendono a camminare, come
se si trovassero sul corso illuminato a festa di una grande
città e non in tetro corridoio, che hanno già
percorso un
centinaio di volte.
Louis adesso gli racconta dell'armatura d'acciaio, quella arrugginita,
appoggiata al muro di destra. Era del suo trisavolo, dice, vale
più di tutto l'oro e l'argento sparso nel resto del palazzo.
Harry lo ascolta in silenzio, assorbe come una spugna ogni parola, come
se le storie di Louis fossero un libro da cui non riesce a staccare gli
occhi.
Adora sentirlo parlare, forse perché Lou lo fa raramente.
Non
ricorda neanche più perché la sua voce,
all'inizio, gli
apparisse
così inquietante. Adesso il raschiare dei suoi sussurri lo
ammalia, il costante e sottile ansimare del suo respiro è
assuefacente, inebriante.
"E questo?" si ritrova a chiedere interrompendo di nuovo la passeggiata
e indicando l'arazzo più
piccolo, quello che più di tutti lo affascina.
La trama è consumata, corrosa dal tempo e
dall'umidità.
Le figure appaiono deformate e sfilacciate, come spettri che si
aggirano sullo sfondo di un cupo cimitero.
"Questo" mormora Louis, quasi a malincuore, "rappresenta la mia
famiglia."
Harry riconosce solo ora lo stemma dei Tomlinson al centro della scena,
erto come una lapide tra i volti nebulosi di uomini e donne.
Ne sfiora istintivamente uno con le dita. "E' tua madre?"
L'altro annuisce.
"Dov'è ora?"
Louis si incupisce. "In Inghilterra. Ci è tornata ormai da
tempo."
Harry avverte nella sua voce qualcosa che non vi ha mai riconosciuto
prima: malinconia.
Non ha mai pensato che Louis non abbia sentimenti, ma si era ormai
rassegnato all'idea che non li avrebbe mai mostrati, che non
gli
avrebbe concesso di sondare troppo a fondo la sua anima, di guardare
oltre quella maschera che gli copre volto e cuore.
E forse è la consapevolezza che Louis sia disposto a
mostrarsi,
per la prima volta, debole ai suoi occhi, che gli toglie il respiro e
spinge il suo cuore a battere più forte.
"E tuo padre?" domanda, senza pensarci. Vuole sentirlo ancora quel
sentimento, quella passione, quell'umanità che Louis gli ha
tenuto nascosta per troppo tempo.
Ma Tomlinson si irrigidisce, poggia il palmo della mano sulla figura
del genitore in primo piano e "Lui è morto" risponde
freddamente.
"Mi dispiace."
"A me no" l'occhio giallo, quello in parte nascosto dalla maschera,
luccica di rabbia. "L'ho ucciso io."
Nel corridoio cala il silenzio.
Harry non sa perché gliel'abbia detto, ma nella mente di
Louis
tutto è perfettamente chiaro e definito. Sta cercando di
nascondere il dolore che l'ha tradito, parlando di sua madre. Non vuole
che Harry provi compassione per lui. Non vuole che Harry lo ami
perché vede in lui un mostro dall'animo buono, tradito dalla
vita e terrorizzato dal mondo. Non vuole perché lui sa di
non
essere così. E' sempre stato un mostro, anche prima di
indossare
quella maschera e quei guanti. E vuole che Harry lo capisca,
perché troppo spesso l'apparenza non inganna affatto.
Troppo
spesso, ciò che appare marcio ed insanabile fuori lo
è
anche dentro.
Ma Harry non sembra turbato. Fa scorrere la
mano sulla tela, in silenzio, fino a sfiorare quella del pardone.
Louis sente il tocco leggero delle sue dita attraverso i guanti.
Rabbrividisce.
"Non vuoi sapere il perché?" ansima, forse sperando di
vederlo annuire.
Ma Harry scuote la testa.
"E questa cosa non ti spaventa?"
Quello fa di no, di nuovo.
"Lui non è stato l'unico" Louis quasi annaspa ormai, fissa
l'altro sperando di cogliere qualsiasi tipo di reazione sul suo viso.
"Ho
ucciso molte volte. Non ricordo neanche quante."
Harry rimane impassibile. "Non mi importa, ma sono felice che
tu me l'abbia detto."
E Louis non può far ameno di sbuffare, alzando gli occhi al
cielo. "Sei un ragazzo strano, Harry Styles. Davvero troppo strano."
L'altro accenna un sorriso. "Lo pensano in molti, ma non mi
è mai pesato. La stranezza rende unici, a suo modo."
Il grande assottiglia lo sguardo e solleva il mento. E' sicuro che il
riccio non si stia riferendo solo a se stesso.
"Sei davvero
così
stupido da credere che io possa fare della mia stranezza un
vanto? E magari
uscire di qui e vivere tra la gente normale?"
"Sì, forse lo sono."
"Lo dici solo perché in quel caso saresti libero di tornare
a casa."
"E' vero, lo dico perché voglio tornare a casa. E mi
piacerebbe portarti con me."
In quel momento, Louis Tomlinson realizza di odiare profondamente Harry
Styles.
Lo odia perché vorrebbe diffidare di quelle parole, ma non
ci
riesce. Sono intrise di una spontaneità così
devastante,
che per un attimo ne ha paura.
Lo odia perché adesso, invece di abbassare lo sguardo, come
pentito, lo sta fissando con quei suoi occhi da cervo.
Lo odia perché le dita di lui vanno ad incrociarsi con le
sue,
legandoli debolmente, come le trame consunte dell'arazzo.
Lo odia perché adesso è vicino, così
vicino che
riesce a sentirne il respiro sul viso, il sangue pulsare, il
cuore battere come un tamburo.
Lo odia perché sa cosa sta per succedere e lui
non può
fare niente per evitarlo. Allora, decide di non provarci neanche. Si
solleva sulle punte e lo bacia.
Ma è un bacio a metà quello che sboccia tra le
loro bocche.
Le labbra morbide di Harry incontrano la superficie fredda e liscia
della maschera, sfiorano appena quelle secche e sottili di Louis. Il
riccio inclina la testa, cerca di approfondire il contatto, fa
scivolare le dita sul collo dell'altro. Louis, per la prima volta dopo
anni, vorrebbe davvero togliere quella maschera, gettarla a terra,
distruggerla con un colpo secco del piede.
E probabilmente, è anche quello che vuole Harry,
perché Lou
la sente, la sua mano che risale verso il viso e si infila
nell'angolo tra
la guancia e l'orecchio, pronta a strappargliela di dosso...
"No!"
Il padrone lo spinge via, allontanandosi affannato e, senza neanche
accorgersene, si sta già nascondendo sotto il cappuccio.
Harry lo guarda con occhi sgranati, le guance rosse, le labbra turgide
ancora aperte.
Louis lo odia, lo odia perché anche così,
stravolto e
ferito, è dannatamente bello. Si volta per impedirsi di
scusarsi e si allontana lungo il corridoio.
"Lou."
La voce roca lo segue.
"Louis, aspetta!"
Le dita di Harry si stringono sul suo polso. Louis se lo scrolla di
dosso, ritira la mano come se si fosse scottato, e allora accade.
Il guanto scivola via, rimane stretto tra le dita prepotenti di Harry.
E lui può vederla, adesso, alla luce fioca di una candela:
la
pelle di Louis è come marchiata a fuoco. Sulla carne putrida
le
vene risaltano come cicatrici, rosse e gonfie. Il palmo è
rugoso, raggrinzito come quello di una cadavere.
Il piccolo trattiene il fiato e, senza volerlo, arretra.
Allora Louis può scappare, nascondendo la mano sotto il
mantello, con impressa nella mente l'espressione
disgustata del ragazzo.
Sotto la maschera sente scorrere una lacrima, mentre Harry rimane
solo, in mezzo al corridoio, a fissare il guanto che tiene in mano.
Louis non scende a cena per tutta la settimana seguente. Rifiuta il
vassoio che Liam adagia con ostinazione ogni sera di fronte alla sua
porta. Tiene le tende sempre tirate, non si alza dal letto neanche per
suonare.
Non sente più Harry cantare in giardino, la mattina. Le sale
al
piano terra tornano ad essere tetre e silenziose come un tempo.
"Si può sapere che è successo?" se ne esce Niall
un
giorno, mentre è con Harry e Liam a raccogliere il bucato.
"Sii più specifico, Nialler."
Il biondo sbuffa. "Tra te e Lou" spiega, spazientito.
"Niente" soffia l'altro in risposta. "Assolutamente niente."
Liam e Niall si scambiano un'occhiata, poi il più grande
"Harry.." inizia, con voce fin troppo comprensiva.
Il riccio butta le lenzuola che tiene tra le braccia nella cesta e "Ho
detto niente, ok?" sputa, prima di lasciarli soli in cortile.
I due si fissano per un po', quasi imbarazzati.
"Sai stavo iniziando
a credere.." confida alla fine Niall, timidamente, "che lui fosse
quello che
aspettavamo. Quello che ci avrebbe salvato."
Liam sospira. "C'è ancora speranza, Horan."
"Non mi piace sperare" ribatte quello, afferrando la cesta tra le
braccia. "La delusione fa più male della disperazione."
Liam lo guarda tornare dentro. Sa che sta inevitabilmente per
inaugurare uno dei suoi periodi no.
Louis esce dalla sua camera per la prima volta dieci giorni dopo il
bacio. E'
notte e si ritrova a vagare a lungo fuori dalla muraglia che ha eretto
per il difendere il mondo da se stesso -o forse, per
difendere
se stesso dal mondo?-
Non lo sa e non vuole neanche pensarci, farlo
riporterebbe a
galla le parole di Harry, gli ricorderebbe quanto gli manca, quanto
vorrebbe non averlo mai baciato.
Ma mentre cammina nel buio del bosco, non può far a meno di
pensare a quella notte, quando lo ha visto scappare attraverso rovi e
cespugli, impaurito come una lepre inseguita da cani da caccia. E
ripensa anche a quando lo ha trovato, accartocciato su se stesso ai
piedi di un albero, coperto di neve, con le membra congelate e il viso
cereo di morte.
Forse avrebbe fatto meglio a lasciarlo lì, quella notte.
Forse si sarebbe evitato tutto quell'incomprensibile ed irrazionale
dolore. Louis è abituato ai sensi di colpa e all'odio che
prova
verso se stesso, avere la vita di Harry sulla coscienza, non l'avrebbe
distrutto.
Ma all'amore Louis non è affatto abituato. E' per questo
che adesso, senza di lui, si sente cadere a pezzi.
Torna al palazzo che è ormai giorno. L'aurora tinge il bosco
di
un rosa pallido ma vivido, terribilmente confortante. Non gli piace.
Alla luce del sole è difficile nascondere ciò
che
è.
Quando apre la porta della sua stanza, sta ancora pensando ad Harry.
Per questo quando lo vede, seduto sul suo sgabello, di fronte al
pianoforte di sua madre, crede che si tratti di un sogno.
Ma poi il sogno fa scorrere le dita lunghe sui tasti dello strumento, e
allora Louis esplode.
"Che stai facendo?" ringhia, si fionda accanto al pianoforte.
Harry si alza, come a sfidarlo. "Ti stavo aspettando."
"Non puoi entrare qui senza il mio permesso" lo afferra dal collo della
camicia, i loro nasi si sfiorano, i respiri si incrociano. "Non puoi
toccare quel fottuto pianoforte, se non sono io a dirtelo."
"Se dovessi aspettare il tuo permesso per fare ciò che
voglio non potrei parlarti
mai più."
Louis sbuffa, alza gli occhi al cielo. "Se volevi davvero parlarmi,
perché hai mandato Liam a servirmi la cena, fino ad oggi?"
"Forse per lo stesso motivo per cui tu si sei rinchiuso qui dentro"
ansima il piccolo, attingendo a tutto il suo coraggio. "Per quel bacio."
Louis non vuole credere che l'abbia fatto, non vuole credere che
l'abbia detto davvero.
Quel bacio è stato l'errore più grande che si
sia mai permesso di compiere.
Quel bacio ha dimostrato quanto sia debole, indifeso, come una bandiera
bianca posta sul campo di battaglia per arrendersi al nemico.
Quel bacio gli ha fatto scoprire quanto sia disperato il suo bisogno di essere amato.
Ma Louis non vuole cedere a quel bisogno, non può farlo.
Nessuno
lo amerà mai davvero, questo lo sa ormai da tempo. E non si
farà ingannare da quegli occhi lucidi e trasparenti come uno
specchio d'acqua, da quelle parole così forti e sincere, da
quella creatura perfetta che è Harry Styles.
Perciò "Vai via" gli intima, strattonandolo verso la porta.
"Cacciarmi non ti servirà a cancellare quello che
è successo."
"Harry" il padrone si stringe i capelli tra le mani, l'amore che
diventa
frustrazione, la disperazione che si trasforma in rabbia. "Esci da qui,
ora."
"NO!" Harry avanza di nuovo, anche se le gambe gli tremano
più
della voce. "Non ho paura di te!"
"INVECE DOVRESTI!"
L'urlo di Louis è un ruggito assordante, il suo viso un
quello
di una belva, deformato dalla follia, scavato dalla rabbia. Le mani che
si chiudono sul collo di Harry sono artigli, i suoi occhi quelli di un
mostro.
"Dovresti, perché io non sono come te. E per quanto tu
possa cercare, non troverai mai del buono in me."
Harry non può rispondere. La stretta sul collo è
troppo
forte. Annaspa contro il viso di Louis, il fiato bloccato in
gola, la
testa sempre più pesante. Louis lo sta tenendo fede alla sua
promessa, alla fine. Lo sta uccidendo, forse senza neanche
accorgersene,
e ad Harry dispiace. Non per la vita che lentamente lo abbandona, ma
per Louis stesso, perché sa che uccidendolo, ucciderebbe
anche se
stesso.
E forse è questo che riesce a capire anche lui, in un
effimero lampo di lucidità.
Allenta la stretta sul suo collo, lo scaraventa a terra e lo guarda,
come fosse un fantasma. Harry tossisce, si afferra la gola come abbia
paura che possa sgretolarsi, l'aria torna a fluirgli nei polmoni,
violenta e corrodente. Brucia, brucia così tanto che
è
ancora convinto di essere sul punto di morire.
Invece, tutto quello che fa è svenire, mentre Louis, come un
automa, esce dalla stanza senza nemmeno guardarlo.
"Allora, come sta?"
Liam avanza nella stanza buia, verso il sibilo che l'ha interpellato.
"Meglio. Gli è rimasto solo qualche livido sul collo. Niall
se ne sta occupando."
Louis passa il pollice lungo la bottiglia di vino che ha tra le mani e
"Perfetto" mormora, pur non pensandolo davvero.
"Padrone?" Liam si azzarda ad avanzare ancora un po', "secondo me
dovreste scendere a scusarvi."
La risata gutturale di Lou lo fa rabbrividire. "Dovrei? Solo
perché tu ed Horan pensate che lui possa essere la soluzione ai
nostri problemi?"
"No. Dovreste perché Harry non starà davvero bene
finché non vi avrà perdonato. E probabilmente
neanche
voi."
Louis non crede che Liam abbia ragione, eppure quella sera si ritrova
ad
abbassare la maniglia della porta e ad entrare nel salottino al primo
piano.
Harry è sul tappeto, di fronte al fuoco, avvolto
in una
coperta, e tiene un libro sulle gambe incrociate. Non solleva nemmeno
lo
sguardo quando Louis gli siede accanto.
"A leggere con questo buio ti rovinerai gli occhi."
Il riccio sospira, volta un'altra pagina. "Sono pronto a correre il
rischio."
Lou osserva i segni violacei impressi su quel collo candido e
rabbrividisce. "Ma se accadesse, sarebbe un peccato."
"Odio quando dici così" Harry chiude il libro con un scatto,
il viso contratto dalla rabbia.
"E' colpa tua se mi ritrovo a dirlo, Harry" Lou scivola sul tappeto,
arriva a sfiorare la sua spalla con la propria. "Pensaci su. Se vedessi
un vecchio barbone cieco, in mezzo alla strada, non proveresti niente,
fuorchè pena e disgusto. Ma se un bel ragazzo fosse cieco,
allora ti ritroveresti a pensare che il mondo è stato
davvero
crudele con lui, che si è permesso di rovinare qualcosa di
estremamente perfetto, che quella privazione è una profonda
ed
incomprensibile ingiustizia. E forse piangeresti, nell'immaginare
quanto
belli fossero i suoi occhi, prima che smettessero di vedere."
Il silenzio nel salotto ora è rotto solo dal crepitio del
fuoco. Harry sta pensando a cosa rispondere. E' sicuro di non aver mai
sentito Louis parlare tanto e in modo così disperatamente
sincero.
Non sa ancora bene quello che vuole fare quando si solleva e afferra il
mozzicone caldo della candela.
"Quindi se adesso mi bruciassi il viso" si avvicina pericolosamente la
fiamma alle labbra "tu piangeresti?"
Louis assottiglia lo sguardo, si morde le labbra. "Ma tu non lo faresti
mai."
Harry Styles gli sorride ammiccante, prima di premersi la
cera brucente sulla guancia.
"NO!"
Louis gliela strappa di mano ringhiando, la guarda sconcertato mentre
rotola inerme sul tappeto. Harry invece sta ridendo. Un bolla rossa si
gonfia sul suo viso, pulsa tra la cenere e la cera che gli sono rimaste
attaccate alla guancia. Si è appena spento una candela
sulla faccia e sta
ridendo.
"Allora Lou, non piangi?"
Il padrone vorrebbe farlo; sa che, come per i segni
sul
collo, il responsabile di quella ferita sul suo viso è lui.
E'
per questo che "Scusami" sibila, stringendo il polso di Harry, ancora
bloccato tra le sue mani. "Scusami, per tutto."
L'altro finalmente smette di ridere. Anzi il suo volto si fa
serio, assurdamente serio
"Non voglio le tue scuse."
"Cos'è che vuoi, allora?"
Harry gli si avvicina ancora, sfiora con le dita la maschera di un
biancore mortuario. "Un bacio" soffia tra le sue labbra. "Un bacio vero"
Louis scuote la testa, rifiuta il suo tocco come se stesse scacciando
uno
sciame di insetti.
"Per te è come un gioco, vero Styles?" stringe i denti,
quando
si accorge che la voce gli trema. "Questa maschera ti affascina, ti
attira come una bella spada che riesce ad ammaliare un bambino. E quel
bambino si sente forte, quando la impugna e ne accarezza la lama.
Capirà che quello non è affatto un gioco. solo
quando si
sarà ormai squarciato le mani."
Harry sbuffa. "Sai bene quanto me che quel bambino non sono io. Ma sei
tu. Non hai
paura di ferire me, togliendoti quella maschera,
ma te stesso."
Lou si irrigidisce, gli afferra il mento tra le mani. "Ho solo paura
che una volta visto il mio viso, non avrai più voglia di
baciarmi."
Gli occhi verdi di Harry guizzano a quelle parole. Si sottrae alla sua
stretta, afferra un lembo della propria camicia e lo strappa. Poi lo
tende a Louis. "Bendami"
Tomlinson, per l'ennesima volta quella sera, rimane spiazzato. E
vorrebbe tanto rifiutare, infuriarsi, urlagli contro, ma non
può.
Perché l'Harry sadico e malizioso, l'Harry ambiguo e
perverso è senza dubbio quello che più lo attrae,
tra le
innumerevoli personalità che ha imparato a conoscere in
questi
mesi.
Così si abbandona al fuoco che sente nascere dentro, afferra
quella benda e lo spinge lungo disteso sul tappeto.
"Promettimi che non ti muoverai" si china su di lui, gli lega la stoffa
strettissima tra i capelli ricci, "per nessun motivo."
"Promesso."
"E che non mi toccherai" è a cavalcioni su di lui adesso, lo
gambe attorno alla vita esile, le mani affondate nelle sue spalle.
"Promettilo!"
Harry appare titubante, ma alla fine annuisce. Sente il cuore
rimbombare nelle tempie, il respiro infrangersi
sul lembo della camicia che lo copre fino al naso.
Il buio in cui è immerso non gli fa paura, ma aumenta
l'aspettativa in modo spasmodico, estenuante, corrodente. Sente che
Lou si muove su di lui, ode il tonfo sordo di qualcosa che cade sul
tappeto.
La maschera.
Ha voglia di afferrarlo dai capelli, allora, di attirarlo a
sè per mettere fine a quella lacerante attesa.
Ma non ce n'è bisogno.
Le labbra di Louis si scontrano con le sue, arroganti e prepotenti.
Sono fredde, secche, sottili. Nell'angolo destro della bocca, quasi
inesistenti. Ma Harry neanche se ne accorge, perché cerca
già la sua lingua, tra la chiostra di denti ruvidi e
appuntiti.
Quando la trova mugola soddisfatto. Louis non ha un buon sapore, ma
ad Harry piace.
E quando lo sente allontanarsi, non può fare a meno di
inarcare la schiena e allungare il collo alla cieca, per riappropriarsi
di
nuovo di quelle labbra. "Ancora" ansima e a Louis sembra uno di quei
pulcini che allungano il becco, sperando che la madre abbia qualche
insetto da offrir loro.
"Avevi detto un solo bacio" sogghigna, ma poi lo bacia di nuovo,
si inebria del sapore dolce della sua saliva, del suo respiro nella
bocca, degli ansiti sconnessi che portano il corpo a tremare sotto il
suo.
Senza accorgersene, ha già stracciato la camicia nera che
lo
separa dalla sua pelle, sta ammirando i muscoli delle spalle, le ossa
sporgenti delle clavicole, le vene che si gonfiano sul suo collo.
"Toglili" soffia Harry, rabbrividendo, quando il padrone
poggia le mani sul suo
petto. "I guanti, toglili."
"Questo non era compreso nei patti."
Il riccio sta per ribattere, ma Lou lo zittisce con un altro bacio. E
nel momento in cui realizza di essere per
la prima volta felice in vita sua, succede:
Harry infrange la sua promessa. La sua mano si
ritrova schiacciata sulla guancia destra di Louis. La pelle
è
fredda, putrida, viscida, pulsa orrendamente sotto il suo palmo.
Istintivamente, il piccolo ritira la mano. Nel momento esatto in cui lo
fa, sente il calore del copro di Louis
abbandonarlo, i suoi passi affrettati sul tappeto.
"Scusa" annaspa, si solleva, si trappa via la benda dagli occhi.
Lo vede, accucciato oltre la luce del camino, la maschera ancora in
mano, il cappuccio tirato sulla testa.
"Ti avevo detto di non toccarmi."
"Scusami, ti prego..."
Ma Louis si è già alzato e corre via, sbattendosi
la porta alle spalle.
_____________
Zayn trova il palazzo il giorno dopo.
Non ha seguito i consigli che il biondino gli ha dato e adesso si
aggira
attorno alle mura, cercando di trovare una via d'accesso che gli
permetta di entrare.
Non è sicuro che Harry sia lì dentro e dopo ore
passate
ad ispezionare ogni singolo centimetro dell'impenetrabile muraglia,
è assurdamente frustato e demotivato.
Ma poi, proprio mentre si allontana, deciso a tornare il giorno dopo,
lo vede.
E' lo stesso sciocco irlandese che l'ha costretto ad andarsene in giro
per il bosco zoppicando per due giorni.
Non è a cavallo, porta una vanga in mano e fischietta un
motivetto triste e malinconico.
Zayn conosce quella canzone. Harry la canticchiava spesso.
La rabbia gli monta dentro come un toro imbufalito e senza neanche
rendersene conto, due secondi dopo, è addosso al ragazzo.
Ignora
il dolore alla gamba e lo scaraventa a terra. La vanga finisce lontano
tra le foglie, il biondo urla, tenta di lottare, ma il coltello di
Zayn,
puntato al collo, gli fa cambiare velocemente idea.
"E' un piacere rivederti, amico mio" ghigna il moro, facendo scorrere
di
piatto la lama sul quel viso dolce ed ingenuo. "L'ultima volta, mi hai
lasciato un ricordino per niente piacevole. Mi sa che è
giunta
l'ora di ricambiare il favore."
Un movimento rapido del polso e sulla guancia di Niall appare uno
squarcio rosso. Dalla ferita il sangue prende a colargli sul viso e
lungo il collo. Ma non lui si lamenta. Ansima, stringe i denti e
"Cosa vuoi?" scandisce soltanto.
"La stessa cosa che ti ho chiesto la scorsa volta: Harry Styles."
"Non posso portarti da lui" Niall parla con tono persuasivo, quasi
amichevole. "Finiremmo tutti nei guai."
Ma Zayn non lo ascolta. "E' lì dentro?" chiede, indicando il
palazzo.
"Tu puoi farmi entrare?"
Niall scuote la testa con forza. "Non hai idea del guaio in cui ti stai
cacciando!"
"Ho idea di quello in cui ti caccerai tu, se non mi aiuti ad entrare."
Il biondo sospira, lecca un po' del sangue che gli è
scivolato sulle labbra.
"Puoi anche uccidermi, per quanto mi riguarda. Non interesserebbe a
nessuno, tanto meno a me."
Zayn rimane spiazzato. Riconosce in quelle parole la sua intera
esistenza, la sua filosofia di vita, il suo stesso impronunciabile
dolore.
Si alza e tende la mano quel ragazzo. "Come ti chiami?"
Quello l'afferra titubante e "Niall" risponde, mettendosi in piedi.
"Ascolta, Niall. Non voglio metterti nei casini. Ma ho bisogno di
vedere Harry, di sapere che sta bene. Aiutami, e giuro che poi mi
leverò dalle palle."
Il biondino sbuffa, si morde le labbra, indeciso.
Ma alla fine "Seguimi" mormora. E insieme si avviano verso quella
porticina grazie a cui Harry è fuggito, più di
tre mesi
fa.
Harry è in giardino, gira attorno alla fontana
canticchiando,
quando Niall gli corre incontro, trafelato. Anche lui ha una ferita
sulla guancia, nota il riccio: un taglio obliquo di colore rosso
vermiglio.
"Horan, ma che cavolo..."
"Zitto" quello lo afferra dalla mano e lo trascina verso il muro.
"Niall, dovremmo pensare a quella ferita. Liam..."
"Liam un corno" sbotta, l'altro. "Sta zitto a vieni con me."
Harry sta per ribattere, ma quando raggiungono la porticina nascosta
dall'edera che conosce fin troppo bene, le parole gli muoiono in gola.
Zayn lo aspetta appoggiato al muro, uno stuzzicadenti tra le labbra, i
vestiti logori, una benda insanguinata sotto il ginocchio destro.
"Il mio topo di biblioteca è vivo, a quanto pare!" lo saluta
sorridendo.
Harry sa che dovrebbe sforzarsi di essere discreto, di contenere
l'entusiasmo, ma tutto quello che riesce a fare è gettarsi
tra le
sue braccia.
Si stringono forte, si baciano sulle guance, persino l'arrogante ed
insensibile Zayn Malik ha gli occhi lucidi.
"Mi sei mancato" singhiozza Harry sul suo collo.
"Sono qui adesso. E ti riporterò a casa."
Il riccio si irrigidisce a quelle parole, lancia un'occhiata inquieta a
Niall che li ha osservati fino a quel momento. L'irlandese sembra
preoccupato. Per qualche arcano motivo, non vuole che Harry se ne vada.
"Zay" inizia quello, serissimo. "Io sono già
a casa."
Il moro sgrana gli occhi. "Che vorrebbe dire?"
"Vuol dire che sto bene qui. E voglio restare."
Il moro lo fissa per un attimo, poi si rivolge furioso a Niall. "Sei
stato
tu vero? L'hai costretto a raccontarmi queste stronzate."
"No, lui..."
Le parole di Harry vengono interrotte da un'altra voce che risuona
chiara e limpida nel giardino. Quella di Liam.
"Niall" Harry si volta di scatto verso di lui, "portalo fuori di qui."
Zayn li guarda stranito. "Cosa? Che stai dicendo?" cerca di seguire
l'amico, ma
il biondino lo spinge verso la porta. "Harry! Che significa tutto
questo?"
Ha appena il tempo di vedere Harry mimare un mi dispiace con le labbra,
prima di ritrovarsi fuori dalla mura.
E "mi dispiace" è anche quello che continua a ripetere
Niall, mentre si chiude la porta alla spalle.
"Gli avete fatto il lavaggio del cervello, vero? Me l'avete fatto
ammattire!"
Il biondo scuote la testa, irritato, tenendolo saldamente dai polsi.
"Tu non capisci! Lui è la nostra unica speranza! Non
può uscire da lì. Almeno, non per ora."
Zayn serra la mascella e stringe i pugni. "Io non ho intenzione di
abbandonarlo."
"Ascolta" sospira l'altro, ormai allo stremo "ti propongo un patto.
Promettimi che non parlerai a nessuno del palazzo, ed io ti
permetterò di vedere Harry ogni volta che vorrai."
A quel punto Malik non può che accettare.
Zayn Malik, senza saperlo, sarà anche il motivo per cui
Louis
quella sera permetterà ad Harry di entrare in camera sua,
nonostante quello che è successo meno di un giorno prima
davanti
al fuoco.
L'ha visto, quella mattina, a sgattaiolare al di là del
muro, accompagnato dal suo fedele
servitore
irlandese.
Horan.
Il padrone ha sempre dubitato di lui, in realtà. Non
è ligio
al
dovere come Liam e non ha neanche un briciolo del suo temperamento. Con
gli anni che passano, ciò che prima era un'insulsa
debolezza si
è trasformata in una ferita sempre aperta, e Niall non
può vivere senza almeno provare a chiuderla.
Per questo, quel giorno, ha tradito il suo padrone. E nonostante
tutto, Louis non può fargliene una colpa. Tanti anni fa, in
un altro tempo, in un'altra epoca, sarebbe impazzito
dalla rabbia. Ma adesso, non può che restare indifferente
mentre
tutto ciò che possiede gli scivola tra le dita,
perché
tutti i suoi sforzi, tutti i suoi pensieri, tutto il suo essere
è concentrato sull'unica cosa che non possiede e non
può avere.
Per questo, vedere Zayn Malik lo porta ad accettare la drastica quanto
inevitabile conclusione dell'indefinibile sentimento che tiene Harry
unito a lui. Spera solo di avere il coraggio, adesso che lo sente
avanzare nella stanza, di fare ciò che giusto: spezzare
quelle
catene, recidere quel legame, prima che quella corda diventi troppo
stretta per entrambi.
"Lou?"
La voce di lui è fievole, intimorita. Louis non si volta.
Resta
affacciato al balconcino, a guardare il tramonto che tinge di un rosso
sanguigno le chiome degli alberi.
Harry, alle sue spalle, si tortura le mani e si morde la labbra. A
volte si gratta la guancia infastidito, nel punto in cui si
è
bruciato la sera prima. E' lì per chiedere scusa, per
promettergli che non lo toccherà mai più, che non
gli
chiederà un altro bacio. E forse, vuole anche dirgli della
visita di Zayn. Ma alla fine, che senso avrebbe? In ogni caso, lui non
ha intenzione di andarsene.
Così "Lou" ripete di nuovo, schiarendosi la voce.
Ma quello si gira di scatto e "Una volta" scandisce, freddo, "mi hai
detto di non aver paura di me, Harry. Ricordi?"
Il riccio annuisce.
"E mi puoi assicurare che fosse la verità?"
Annuisce di nuovo, anche se non afferra il senso di quelle domande.
"Ti fidi di me, quindi?"
"Louis, ma che.."
Ma quello non gli permette di continuare. "Non mi nasconderesti mai
niente... non mi mentiresti. Giusto?"
Harry sente il cuore sprofondargli nel petto, mentre la lucida e
devastante consapevolezza che lui sappia
gli
blocca il respiro. E non aspetta che Louis glielo chieda apertamente,
non aspetta che si metta a parlare di Zayn, o delle colpe di Niall.
"Io non voglio scappare Lou. Non voglio lasciarti." sussurra soltanto,
perché è quella l'unica cosa che conta.
Ma a quanto pare Louis non è d'accordo.
Sbuffa, percorre il balcone avanti e indietro per un po', gli occhi
spenti e il viso imperlato di sudore.
Quando si ferma, è talmente vicino che Harry ne sente il
respiro raschiato addosso.
"Ma io" sillaba, come sotto tortura, "voglio che tu lo faccia."
"C-cosa?"
"Andare via di qui. Abbandonarmi."
Il frinire delle cicale accompagna quelle parole come un'inquietante
orchestra, e adesso che il silenzio regna tra loro si fa forte, quasi
assordante, insostenibile. O forse, sono i pensieri nella testa di
Harry, agitati e sconnessi, a creare quel brusio costante che rischia
di farlo impazzire.
Solo grazie a questo trova il coraggio di "Non ci credo" sussurrare.
"Tu non vuoi che me ne vada. Tu
mi ami."
"Sì, ti amo" conferma Louis, con la stessa fredda sicurezza,
"ma
non voglio continuare a farlo. Quindi è meglio che tu
vada..."
Harry non riesce ad ascoltare quella marea di falsità
neanche un secondo di più.
"Perché?" urla, il sapore acido della bile in bocca, le mani
improvvisamente agganciate alle spalle dell'altro. "Perché
rinunci sempre a ciò che provi? Perché non lasci
semplicemente che quello che senti
accada? Di cosa hai paura?"
"Ho paura per te, Harry!" e Louis ha ormai perso tutta la sua fermezza.
Trema, tenta di allontanare le mani di Harry, si impone con tutte le
forze di non guardare quegli occhi che hanno il mondo tra le ciglia. Ma
non ci riesce e "Ho paura" ripete, ricacciando le lacrime
"perché so che il mio amore ti guasterebbe, ti
macchierebbe per sempre. Io sono un mostro Harry, ma non per questo
devi esserlo anche tu. Ho fatto cose orribili in vita mia, cose di cui
neanche mi pento, ma non posso permettermi di fare del male a te."
Harry rimane a bocca spalancata, per un attimo rabbia, frustrazione e
disperazione lottano nel suo petto.
Poi la prima, forte e prepotente, prevale su tutte le altre.
"Credi che mi importi?" grida, spinge l'altro così forte
da
farlo finire contro il parapetto. "Non sono un tempio che
può essere profanato. Non sono un'opera d'arte che rischia
di
essere deturpata! E tu non sei un mostro"
Louis ride. Ed è una risata gelida la sua, un raschiare
basso e velenoso, che somiglia terribilmente ad un singhiozzo.
"Non hai ancora capito? Non lo sono per il mio viso,
per il
mio corpo, ma per quello che ho dentro. Questo aspetto disgustoso non
è altro che lo specchio della mia anima."
"Fammi vedere, allora!" lo aggredisce violento Harry. "Se vuoi che
abbia
paura di te, togliti quella dannata maschera!"
Il tempo, scandito dei battiti dei loro cuori, dal ritmo incostante dei
loro respiri, sembra scorrere adesso molto più lentamente.
Louis guarda il ragazzo del bosco, non dice una sola parola, ma il suo
braccio si solleva, le dita si stringono attorno ai bordi della
maschera bianca come ossa.
Inspira. Trema. Poi la toglie. La getta a terra.
La pelle raggrinzita e grigiastra riluce sotto i raggi della
luna. Vene, capillari, ossa, tutto risalta orrendamente, come fosse
destinato a strappare la carne e mostrarli, pulsanti e rossi di sangue,
da un momento all'altro.
L'occhio giallo, molto più grande dell'altro, brilla come
un quello di un animale, un predatore della notte.
"Hai paura adesso, Harry?"
Il riccio non riesce a rispondere. Ha le parole bloccate in gola,
insieme al
respiro. Ma si fa forza, deglutisce, scuote la testa, perché
è vero, non ha paura. Non sa cosa prova, sa solo che
vorrebbe
piangere, più forte e più a lungo di quanto abbia
mai
fatto in vita sua.
"No?" chiede Louis, scettico prima di sfilarsi i guanti.
Harry continua a guardarlo mentre con le dita putride si slaccia il
mantello,
si strappa la camicia e "E adesso?" sussurra.
Il ragazzo del bosco distoglie lo sguardo da quella visione
raccapricciante. Il corpo di Lou
è martoriato, la palle sottilissima, quasi trasparente.
Oltre il
bacino e sulle clavicole si intravede il biancore delle ossa, il
pulsare constante delle vene rosse.
Louis gli va incontro, lascia mantello e maschera sul pavimento del
balcone.
Gli passa accanto, veloce e silenzioso come sempre.
"Dirò a Liam di prepararti i bagagli per il viaggio di
domani" sospira, tremolante. "Buonanotte, Harry."
Poi se ne va.
Ed Harry non può vederlo, ma è sicuro che stia
piangendo.
_________
Harry si mette la sacca in spalla, guarda per quella che forse
sarà l'ultima volta la cucina piccola, il tavolo di legno
custode di troppi segreti, il camino adesso freddo e spento.
"Hazza!" la voce di Zayn lo convince a distogliere lo sguardo ed uscire.
In giardino insieme a lui ci sono anche Liam e Niall.
Il primo gli rivolge un sorriso triste. L'altro, braccia incrociate e
viso imbronciato, non gli dedica nemmeno un'occhiata. E' in una
delle sue giornate no e il motivo è in quella sacca che
Harry
porta sulle spalle, nel suo mantello da viaggio, nel sorriso d'addio
che
ha stampato in faccia.
"Ci mancherai" Liam lo stringe goffamente.
"Anche voi, Payne."
Niall sbuffa, distruggendo l'atmosfera quasi intima che si è
creata. Ma Harry non si offende, alza gli occhi al cielo e abbraccia
anche lui ."Ti voglio bene, Nialler."
Quello arrossisce, gli da qualche pacca sulla schiena, prima di
allontanarsi, a disagio.
"Ci si vede, amico" lo saluta anche Zayn, come se non potesse farne a
meno. "Grazie di tutto e scusa per il..." sfiora appena la cicatrice
sulla guancia del biondino.
"Se vuoi puoi abbracciarmi anche tu" lo stuzzica quello, derisorio. E,
incredibilmente, Zayn lo fa. Lo stritola tra le braccia, togliendogli
il
fiato, lasciandolo rossissimo ed imbarazzato, mentre gli altri ridono.
"Beh.. ci vediamo" sussurra Harry.
"Io non credo" è l'ultima frase che Niall gli rivolge. Poi i
due
attraversano il giardino. Una forza misteriosa ed attraente spinge
Harry a voltarsi, prima uscire dal cancello.
Il palazzo incombe su di loro come una silenziosa cattedrale. Le
finestre, le guglie, le statue, li osservano dall'alto. Ma
c'è
anche qualcun altro che li sta guardando. Un'ombra è
appollaiata oltre
il parapetto del balcone più alto. Harry la fissa,
finché
quella non svanisce come fumo tra le tende della camera.
"Allora, andiamo?"
"Sì" risponde, abbassando lo sguardo, anche se vorrebbe dire
esattamente il contrario.
Louis non vede Harry andarsene.
Scivola nella sua stanza prima che il riccio attraversi quel cancello
che li separerà per sempre. Forse è la
consapevolezza di
aver appena lasciato andare l'unica persona che abbia mai davvero
amato che lo porta ad uscire dalla sua camera per fiondarsi in quella
di Harry.
Ha paura di aver vissuto in un sogno per mesi. Teme che il ragazzo del
bosco non sia altro che un'invenzione della sua mente folle, che
la bellezza di quel viso, la purezza di quell'anima, non siano mai
esistite.
Ma quando entra in quella stanza sente il suo profumo, vede i suoi
vestiti ancora sul letto e i libri che gli ha regalato sugli scaffali.
Solo uno manca all'appello.
Ed è posato sulla pila di vestiti ordinatamente piegati sul
letto, quelli che Harry ha indossato il giorno in cui è
uscito
dalle segrete.
I Sonetti di Shakespeare.
Louis sfoglia il libro, senza un motivo preciso, e allora la trova.
All'ultima pagina, scribacchiato con una calligrafia semplice e veloce,
ci sono queste parole:
Tornerò. Te lo prometto
Peccato che Harry non sia mai riuscito a mantenere una promessa.
E infatti non torna.
Né la settimana successiva, né quella dopo,
né quella dopo ancora.
Le sale al piano terra vengono chiuse di nuovo, le porte sprangate, i
mobili coperti con teli bianchi. Liam e Niall tornano a magiare in
cucina, da soli.
Liam è ancora il capo, ma non sa più bene di che
cosa.
Per Niall ogni giorno diventa un giorno no. La sera fissa la candela
sul suo comodino e giura che prima o poi lo farà, la
butterà tra le lenzuola e il fuoco potrà divorare
quello
che è ormai da troppo tempo il suo inferno.
Il padrone non suona più, non legge più, esce
solo di notte.
Dorme nella stanza di Harry. Ama quella stanza, potrebbe morirci
lì. E pensa che non passerà molto tempo prima
che accada.
Ma, contro ogni aspettativa, immerso nel buio e circondato dall'alcool,
Louis sopravvive.
E dopo un mese, è ancora vivo, rannicchiato in quel letto
che ormai
ha perso il suo
odore, a stringersi al petto quel libro che ormai
conosce a memoria, quando Liam bussa alla porta.
"Padrone" la voce gli trema. "Padrone aprite, per favore."
Louis, per tutta risposta, scaglia la bottiglia vuota contro la porta.
Il fragore del vetro che si rompe è coperto dalla voce
dell'irlandese. "Levati, Payne!"
"Niall, non credo che..."
Ma un colpo fortissimo soffoca le proteste di Liam, fa tremare la porta
e l'intera stanza.
Il rumore si ripete, una, due, tre volte. Alla fine il legno cede,
Niall si ritrova in stanza, il busto di marmo di chissà
quale
antenato dei Tomlinson usato come ariete, le guance rosse e gli occhi
in
fiamme.
Louis non lo guarda neanche. "Potrei ucciderti per ciò che
hai
appena fatto" cantilena, ma in realtà, non ha neanche la
forza di
alzarsi.
"Sarete libero di farlo" sputa il biondo, "dopo aver visto questo." Si
avvicina alle finestre e spalanca le tende.
Louis la vede subito, la colonna di fumo si staglia sull'orizzonte come
una nuvola carica di pioggia. Il bagliore rossastro del fuoco riluce
come sangue contro il cielo scuro.
L'incendio è così grande che pare destinato a
divorare il
bosco intero. Non prima però, di aver distrutto il villaggio.
E con le fiamme che gli si riflettono negli occhi blu e gialli, Louis
"Prepara i cavalli" ordina a Liam, "andiamo in paese."
La vecchia Eve ha dimenticato di spegnere la lampada ad olio, quella
sera. Quando il marito è tornato, ubriaco fradicio, l'ha
buttata
a terra con una gomitata.
Dieci minuti dopo, sono entrambi morti, la casa assomiglia ad una
gigantesca torcia e le fiamme sono spinte dal vento verso le altre
abitazioni.
Quando l'incendio scoppia, Zayn ed Harry sono alla locanda. Escono in
strada, al seguito degli altri avventori. L'aria fuori è
irrespirabile, la luce delle fiamme è così forte
che sono
costretti a chiudere gli occhi.
Gli uomini si stanno organizzando. Molti imbracciano secchi e badili
ricolmi d'acqua. La maggior parte si dirige verso il pozzo. Zayn li
imita e nel trambusto, non si accorge che Harry sta andando dalla parte
opposta, verso la biblioteca.
Harry Styles è un ragazzo strano, lo sanno tutti.
Ha rapinato in vecchio Smith. E' sparito nel bosco per mesi. E' tornato
più bello e triste che mai. E adesso, corre a perdifiato per
le
strade, senza riuscire a pensare ad altro che non sia sua madre.
Non può perderla adesso che si sono appena ritrovati.
Quando arriva alla libreria la vede in
fiamme. Il cuore gli esplode nel petto, la paura lo consuma come le
fiamme fanno col legno.
Trova suo padre in strada, gli occhi lucidi e spenti. "Papà!
Stai bene?" Lo afferra dalle spalle, lo scrolla violentemente.
"I miei libri" sussurra quello debolmente, come in trance. "Tutti i
miei libri..."
Harry lo scuote ancora, frustrato. "Dov'è mamma? Dimmi
dov'è!"
"Non lo so" piagnucola l'uomo, accasciandosi improvvisamente a terra.
"Non lo
so!"
Per Harry quelle parole sono abbastanza. Si fionda nella casupola in
fiamme, senza pensare. Dentro è un inferno. Il calore
è
insopportabile,
il fumo
gli brucia i polmoni, gli artiglia la gola, gli pizzica gli occhi.
Ma Harry non si ferma. L'unico dolore che sente è quello al
petto, che si nutre della terribile eventualità di non poter
rivedere più sua madre.
E mentre cammina sul pavimento, che è ormai un cumulo di
cenere,
le pareti della casa si sgretolano, si accartocciano su di lui,
stringendosi come le foglie di una pianta carnivora. I libri accrescono
il rogo a dismisura. Gli scaffali e le copertine si fondono insieme in
un orrido connubio. Le storie di terre lontane, di eroi impavidi, di
amore ed odio, sono ormai poco più che polvere.
Harry Styles è costretto ad osservare la sua intera
esistenza
incenerirsi, mentre evita i mobili rovesciati e sale le scale annerite
che portano a casa sua, coprendosi il viso con le mani.
Neanche si rende conto di cosa sia successo, quando si ritrova
con
la gamba affondata in uno degli scalini. Il legno ha ceduto e lui
è in trappola. Fa forza sulle braccia per cercare di
risollevarsi, sente le schegge di legno penetrargli nella carne ad ogni
movimento. Impreca ed ansima, si arrende, poi riprova.
Sono senza dubbio i minuti più lunghi della sua vita. E in
qualche modo si sente felice, quando il fumo gli rende ormai
impossibile respirare, la testa inizia a girare vorticosamente ed
è costretto ad accasciarsi sui gradini bollenti.
Con la faccia premuta contro il legno carbonizzato, gli occhi chiusi e
il cuore che rallenta nel petto, Harry Styles si ritrova un viso
stampato nella mente.
E contro ogni previsione, non è quello di sua madre. Ma
quello di Louis Tomlinson.
Forse è per questo che, quando tra le fiamme distingue
un'ombra che avanza, è sicuro che sia lui.
La figura è avvolta in un mantello, balza trai detriti
veloce, troppo veloce
per un essere umano. E adesso che si sta chinando su di lui, Harry non
ha più dubbi.
"Padrone" gracchia, perché è la prima cosa che
gli viene in mente.
"Sta zitto" gli ordina quello, con quel sibilo inconfondibile che
è la sua voce. "Hai già inalato abbastanza fumo."
Si avvicina ancora, affonda le mani nel legno, sbriciolandolo,
allargando la voragine in cui Harry è incastrato. Sbuffa e
ansima, in una lotta contro il tempo che sembra durare secoli interi.
Allora Harry si accorge che è senza maschera.
"Sei bellissimo" si trova a tossire, mentre Louis gli infila le braccia
sotto le ascelle e lo solleva.
"Non è ora di parlarne, Harry."
"Invece sì, è il momento" si aggancia a lui,
ansimante. Il
sangue gli scivola lungo la gamba, il viso è in
fiamme. Le forze lo
stanno abbandonando. E' per questo che sente il bisogno, la
necessità dilaniante di trovare il fiato per pronunciare
quelle
che crede saranno le ultime parole della sua vita.
Così, mentre Louis rompe il vetro della finestra e lo
afferra tra le braccia, Harry Styles sussurra il suo "Ti amo".
E spera con tutto il cuore che Louis l'abbia sentito, prima di
abbandonarsi sul suo petto e, finalmente, svenire.
___________
E' giorno.
Harry ha gli occhi chiusi, ma la luce forte e chiara dalla primavera
filtra attraverso le palpebre abbassate. Cerca di aprirle, ma sono come
incollate. Sospira, frustrato, ma si pente subito dopo di averlo
fatto: il petto gli brucia come se gli avessero ficcato giù
per
la gola dei carboni ardenti. Quel dolore è comunque
rassicurante. La sua mente intorpidita lo identifica come la prova
inconfutabile che, nonostante tutto, è ancora vivo.
Ma...tutto cosa?
Harry non ricorda cos'è successo. A dire la
verità, gli
sembra di non ricordare neanche come si muovano la braccia, le gambe,
le dita. Non ha più un corpo, è puro pensiero. Un
pensiero
mutilato, però. Incapace di liberarsi dalla nebbia che lo
avvolge, ridotto ad agganciarsi alle immagini fugaci, sfuocate,
inconsistenti, che la memoria debole gli concede a sprazzi.
Immagini di case distrutte, ombre di fumo, libri in fiamme.
Allora, come colpito da una scarica elettrica, il suo corpo si rimette
in moto.
Spalanca gli occhi senza che nemmeno il cervello l'abbia ordinato.
Scatta seduto, apre la bocca e "Mamma?" è l'unica parola che
riesce pronunciare.
"Lei sta bene. E' dalla signora Verne, adesso."
La voce acuta e sottile proviene dai piedi del piccolo letto.
C'è un ragazzo seduto lì. Harry è
sicuro di non
conoscerlo, ma nella suo tono c'è qualcosa di familiare,
qualcosa di terribilmente rassicurante.
"Ed io dove sono?" ansima, per poi rigettarsi sui cuscini. Quel
movimento gli causa una fitta acuta, inaspettata, al lato destro del
viso. Fa per sfiorarsi la guancia ma "Ma io non lo farei se fossi in
te" lo ammonisce lo sconosciuto.
Harry, la testa pesante e la vista ancora annebbiata, non
riesce
a distinguerne bene i contorni del viso, ma dalla voce traspare
un'infinita tristezza.
"Che mi è successo?"
Il ragazzo non risponde subito. Sospira, dondola un po' sul posto. Non
è indeciso, ma sembra spaventato, come se la risposta a
quella
domanda sia qualcosa di così immondo e abominevole da non
poter
essere pronunciata.
Ma alla fine "Ti sei bruciato" sussurra. "Nell'incendio alla
libreria."
La sofferenza nella sua voce è sincera, schietta, palpabile,
come se
anche il suo corpo in quel momento sia lambito dalle fiamme.
Ma Harry è già troppo stanco per accorgersene.
E' troppo
stanco per pensare al marchio indelebile che porta sul viso, o per
credere che possa essere un problema. Chiude gli occhi sospirando e
un'altra immagine si fa spazio nella sua testa, spingendo da parte le
altre.
Quella di una sera di non molto tempo prima, quando per
spregio ha afferrato una candela e l'ha spenta sulla propria carne.
Sorride per l'ironica sorte che il destino gli ha riservato. Pensa a
Louis, ai suoi sproloqui sulla natura malvagia, sull'ingiustizia nel
mutilare qualcosa di così bello...
Louis.
Un labile, confuso dettaglio si staglia nella sua memoria e riguarda
lui. Ma
rimane lì, sospeso ai confini della sua coscienza,
sfuggente ed inafferrabile come l'aria. Harry si sente frustrato,
perché ne è certo, è un dettaglio
terribilmente
importante, che forse lo aiuterà a ricordare
cos'è
successo quella notte. Ma nel lottare contro la sua stessa mente, senza
neanche accorgersene i pensieri che lo avvolgono diventano sogni e il
riposo leggero, sonno.
E' la mattina dopo, quando si sveglia a causa del parlottare concitato
di Zayn e Niall, che il suo desiderio di sapere viene appagato.
Perché ai piedi del letto, dov'era seduto il misterioso
ragazzo fino a qualche ora prima, c'è un libro.
Una copia sgualcita dei Sonetti di Shakespeare.
Harry è ancora convinto di essere in un sogno quando lo apre
e scorre fino all'ultima pagina.
Accanto al suo "Tornerò" c'è un'altra scritta,
sinuosa ed elegante.
Verrò io a prenderti.
Allora Harry ricorda quello che non
è affatto un dettaglio.
E scoppia in lacrime.
Quella è la casa di Zayn.
Harry lo capisce quando si alza traballante dal letto per guardarsi un
po' attorno. La stanza è minuscola, sudicia ma in qualche
modo
accogliente.
Segue le voci lungo il corridoio stretto come fossero note di una
musica soave e si ritrova in cucina.
Seduto al tavolo con Malik c'è Niall. Il moretto gli sta
insegnando a
giocare a carte e la cosa pare per entrambi estremamente divertente.
Quando sollevano lo sguardo, Harry nota tante piccole cicatrici sul
volto dell'amico, mentre i capelli biondissimi dell'irlandese sono
anneriti sulle punte, come bruciacchiati.
"Grazie a Dio! Credevamo che non ti saresti più svegliato!"
Si alzano, lo invitano a sedersi, gli fanno domande a cui non risponde,
gli raccontano cose che non capisce.
Sì, sua madre è dalla vecchia Verne, a quanto
pare. E'
riuscita a scappare la notte dell'incendio, prima che lui si fiondasse
nella casa in fiamme in una corsa suicida. Sta bene, ma è
ancora
troppo debole per venire a trovarlo.
Suo padre piange sulle ceneri della biblioteca ogni giorno. Non
è
riuscito a salvare nemmeno un libro. E il resto del paese non
è
ridotto meglio. Le uniche case rimaste in piedi sono quelle dislocate
dal centro, vicine ai campi, come quella di Zayn.
Ah Liam! Sì, c'era anche Liam con loro fino a qualche giorno
fa,
ma ora è tornato al castello per sistemare chissà
quale affare e...
"Louis" li interrompe bruscamente Harry. "Anche lui è stato
qui, dopo l'incendio?"
I due si lanciano delle occhiate ammiccanti ricche di sottintesi e
"Sì,"
risponde alla fine Zayn. "E' stato in camera con te per tutto
il
tempo".
All'espressione confusa di Harry, segue la fragorosa risata di Niall.
"Tu...non l'hai ancora visto in faccia, vero?"
E quella domanda appare così infinitamente diversa, dalla
prima
volta che gli è stata rivolta, che Harry non può
far
altro che alzarsi, uscire in giardino e andare a cercalo.
Il ragazzo è seduto sotto un albero, ha un libro sulle
ginocchia e il gambo di un fiore in bocca.
Harry lo osserva, mentre gli si avvicina.
Capelli ambrati, quasi dorati per i riflessi del sole. Pelle liscia,
colorita, coperta da uno spruzzo di barba. Labbra rosa, fini, eleganti.
Mento appuntito, naso minuto, drittissimo.
Poi quello solleva lo sguardo.
Harry può vederli, adesso: gli occhi sottili, azzurri,
celesti
quasi, come il riverbero della luce su uno specchio d'acqua.
"Lou" si ritrova a sussurrare. E non è una domanda.
Perché, per quanto ciò che ha di fronte sia
impossibile da spiegare o definire razionalmente, lui sa che quello
è il suo Louis.
Il ragazzo gli sorride, lo invita a sedersi lì accanto e "Ti
va di ascoltare una
storia, Harry?"
Il riccio annuisce, incantato. Fissa il volto bellissimo del ragazzo ed
aspetta impaziente che cominci a parlare.
Sa che quella storia sarà più bella di tutti i
libri che abbia mai letto.
Perché è la storia di Louis e quindi anche la sua.
Quando Lou smette di parlare è ormai sera.
Harry, accanto a lui, sfilaccia distrattamente gli steli d'erba che
tiene tra le dita. Inclina la testa senza accorgersene, per evitare che
il vento gli scompigli i capelli. Ogni tanto porta la mano a sfiorare
la benda grigiastra che gli copre la guancia destra.
Louis rabbrividisce solo a guardarla.
Così, per non doverci pensare, decide di continuare a
parlare.
"E' assurdo, vero?"
Il riccio aggrotta la fronte e sospira. "Cosa? Che tu sia stato vittima
di
un incantesimo per tutto questo tempo, o che io mi sia innamorato di
te?"
"Direi entrambe" ridacchia il grande. "Forse più la seconda."
Harry sbuffa, poi si appoggia sulla sua spalla, si fa cullare dal suo
respiro.
"Allora dovrei pensare che ora sia assurdo che tu possa amarmi.
Adesso il mostro sono io."
Mentre lo dice strappa via la benda che da ore ormai sta tormentando.
L'ustione è grande quanto il palmo di una mano, di un
biancore traslucido, attraversata da sottili linee rosso sangue.
Louis distoglie lo sguardo. E non perché ne sia disgustato.
Non vuole farsi vedere da Harry mentre piange.
Ma quello gli afferra il viso tra le mani, lo porta all'altezza del suo
e "E' un peccato, non è vero?" sussurra, come a sfidarlo.
"Si. Ma..." soffia Louis, reprimendo le lacrime. "questo non
ti rende un mostro."
Ad Harry sorride a quelle parole. "Finalmente hai capito."
"Capito cosa?"
"Che il fatto che mi sia
innamorato di te non è assurdo. Anche quanto ti
credevi un mostro, tu eri perfetto, lo
sei
sempre stato." Gli poggia una mano sul petto. "Qui dentro."
Poi lo bacia.
E mentre le sue mani scorrono sulla pelle calda, i respiri si mischiano
e i cuori accelerano il battito, Harry pensa alla sua biblioteca.
Non gli dispiace che si andata di distrutta. Non ha più
bisogno di quei libri per vivere.
Anzi, pensa addirittura che potrebbe scriverne uno lui.
E parlerebbe di Louis. Del suo palazzo nel bosco, del
suo pianoforte e delle bottiglie di vino.
Dei suoi guanti e della sua maschera.
Della sua bellezza.
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