Domani
sarà tempesta. A meno che…A meno che tu non
rinneghi la tirannia che schiavizza da secoli la tua gente, dal
più miserabile degli schiavi
iloti allo stesso sovrano. Il mio signore non
farà strame della tua dignità, e sarai ancora
quello che sei…dopo: il
re a cui il tuo popolo continuerà a inchinarsi,
e poi…
Dov’era
finito il suo coraggio? Non lo riconosceva, in quell’uomo
pavido, che temeva le sue stesse parole più di quanto non
avrebbe temuto la lancia e la spada di un nemico eccitato dal sangue e
dal lezzo putrescente della morte. Arrenditi al Re dei Re, Leonida di
Sparta. Fallo, finché sei in tempo. Fallo adesso. Prima che
sia tempesta. E’ questo che vuoi dirmi, nobile Shapur?
***
Terra
e acqua. E’ il mio
signore Khshayrsha a
domandartele, nobile Leonida…
***
Avrebbe
parlato, Shapur
l’Immortale, non appena avesse trovato il coraggio e le
parole adatte. Gli avrebbe detto le stesse cose che aveva sentito
dall’emissario del Gran Re, non molto tempo prima. Ti chiedo
terra e acqua, in cambio d’un dio saggio e di leggi
più umane. Ti chiedo terra e acqua, non la tua
dignità di uomo libero, né la nobiltà
dei tuoi antenati. Ti chiedo…
***
Terra
e acqua. Aveva avuto quello che chiedeva, il barbaro dagli occhi
truccati, l’arrogante emissario del Gran Re. In fondo al
pozzo più profondo della città.
***
Il
riflesso delle fiamme batteva sulla lama della spada, sull’umbone dello scudo. Prima che
partisse, sua moglie lo aveva sfiorato, dicendogli “Torna con
questo o sopra di questo. Torna morto piuttosto che
disonorato”. Erano belle, dure e forti, le donne di Sparta. E quella che gli avevano
messo accanto non doveva essere diversa.
-Nobile
Leonida…
Terra
e acqua. Disonore. Prima che il sole sorgesse. Prima che fosse
tempesta. Gli occhi del Re scintillarono nel buio.
-Vattene,
Shapur.
FINE
Lalla, 26 novembre 2007
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