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CUORE DI FERRO
Le urla delle donne, i pianti dei bambini, i gemiti dei moribondi sono stati la
splendida sinfonia di tutta la mia vita, prima ancora che diventassi noto come
il Fantasma di Sparta…
Ed ora che di quella città sono divenuto il dio, non c’è persona al mondo che
non piangerà una delle mie innumerevoli vittime.
Cospargo di sangue la mia armatura e la mia pelle bianca, annegando nel sangue
il mio passato di mortale.
La tristezza, l’angoscia, il dolore, tutto scompare in un’estasi rossa e
vorticante, mentre le spade che mi ha donato Atena trasformano questa città
nell’affresco di un massacro annunciato.
Nulla possono le lance di questi mentecatti contro le corazze, gli scudi, le
armi dei miei Spartani.
L’odore della carne bruciata stimola le mie narici frementi, mentre pregusto
l’ultimo duello di questa campagna militare. Il generale nemico sta di fronte a
me, puntandomi contro la spada, fierezza negli occhi che già sono rassegnati a
vedere l’Ade prima dell’alba ma che ciononostante mi promettono battaglia.
Sorrido. Se non fosse stato un mio nemico, quest’uomo avrebbe potuto essere il
più brillante dei miei generali.
Affondo una delle mie spade verso di lui e gli strappo un braccio, ma lui sembra
quasi non accorgersene: solo una rapida smorfia rende testimonianza del suo
dolore. Affonda a sua volta verso di me ed io lo lascio fare; non è il caso di
darmi da fare in questo combattimento il cui esito è già stabilito, voglio farlo
durare il più a lungo possibile.
La sua spada mi scalfisce a mala pena l’armatura e si spunta rovinosamente, ma
il generale non si dà per vinto, ma le sue testate, i suoi pugni, tutta la sua
arte marziale non possono nulla contro di me. Mentre stringo lento ed
inesorabile la mia presa sul suo collo, forse un lampo di rispetto solca il mio
sguardo, ma subito sparisce, per non dare false speranze nella mia pietà. Io non
ho pietà.
La sua anima scende nell’Ade; la sua testa va ad adornare il mio carro
vittorioso.
Un’altra città cade sotto il potere di Sparta e per un altro giorno i miei
ricordi sono sommersi dall’ebbrezza della violenza.
Torno all’Olimpo, lasciando ai miei seguaci mortali i festeggiamenti. A me basta
il sangue, le viscere, gli arti strappati, le corazze fesse e le armi distrutte
che si accumulano ai piedi del mio trono.
Mi assiedo con un sospiro, ignorando le ètere sciocche che bramano la mia
compagnia; che a loro bastino i miei divini compagni, perché la mia mente è già
rivolta al prossimo massacro.
*
So di aver creato un mostro, ma l’Olimpo non poteva restare senza dio della
guerra. Per questo l’ho salvato, per questo gli ho donato le mie spade, e per
questo l’ho portato presso di noi e ho permesso che sedesse sul trono di Ares.
Non immaginavo che il suo dominio sarebbe stato ancora più sanguinario di quello
di mio fratello…
Si dice che patrocini massacri, violenze di ogni tipo, guerra e sangue non solo
perché tale è il suo compito, ma anche per dimenticare il suo passato, cosa che
però gli è impossibile. Ed allora aumentano i massacri e le violenze e le
guerre, portando il mondo più vicino al caos primigenio di quanto non lo sia mai
stato.
Ecco perché Zeus mi ha incaricato di vegliare su di lui e di impedire che il suo
potere e la sua hybris crescano a tal punto da minacciare il trono di mio
padre, come già accadde in passato…
Ma gli eccessi di Kratos sono sempre maggiori e mi è sempre più difficile
disciplinare i suoi eserciti. Se solo l’avessi lasciato morire, quel giorno ad
Atene…
Oggi posso dire che affronterei volentieri il disastro che comporterebbe non
avere più un dio della guerra sull’Olimpo, piuttosto che affrontare quello verso
cui Kratos ci sta conducendo. Dopo ogni battaglia il potere di Sparta in Grecia
cresce, ed così pure quello del suo dio, ma egli non ne è mai sazio. I più
lungimiranti di noi Olimpici predicono sottovoce sventure tali quali non si
erano mai visti dai tempi della sconfitta dei Titani; ed io non me la sento di
dare loro torto…
*
Non so se gli altri dei dell’Olimpo dormano e sognino, o se questo tormento sia
solo un’eredità del mio passato mortale, ma a volte mi abbandono sul mio letto,
esausto dopo una giornata di guerra ed una nottata di sesso, e l’oblio cala su
di me.
Allora le rivedo.
Nonostante siano ormai passati anni ed abbia ormai perso del tutto la mia
umanità, le loro ombre sono sempre lì, in una pozza del loro stesso sangue che
imbratta anche le mie mani. Ora come quando ero mortale, non importa quanto
sangue versi e quanti orribili ricordi di morte, oppure di passione sfrenata, io
abbia: gli occhi di mia figlia e di mia moglie non sbiadiscono mai. La loro
accusa quando governavo Sparta con il pugno di ferro è sempre bruciante, le loro
espressioni morte di muto orrore quando le ho uccise lacerano sempre la mia
anima come se fossero presenti.
Allora è un bene che, al mio risveglio, le ancelle che Afrodite mi concede se ne
siano già andate.
Per dieci eternità ho scandagliato l’abisso senza tempo dell’Oltretomba, dal
profondo del Tartaro ai Campi Elisi, ma non le ho trovate; Ade, che governa
quelle terre, crede che anche questo sia parte della mia punizione. Se non fosse
per Atena, gli avrei già strappato quell’elmo incandescente e l’avrei annegato
nello Stige.
Atena…
E’ a lei che devo tutto questo.
E’ stata lei a guidarmi durante la mia lotta contro Ares ed a salvarmi dal
suicidio.
E’ lei la causa di tutto questo dolore eterno…
Quando la vedo gettarmi occhiate ammonitrici fremo dal desiderio di trafiggerla
con le stesse spade che mi ha donato, per ricordarle che io non sono più un
pupazzo nelle mani degli Olimpici. Qualcosa però mi ferma, mi impedisce di
alzare le mani su di lei. Non è la gratitudine, perché non ne ho mai provata, e
non è tanto meno il timore delle conseguenze, perché ho già ucciso un dio e non
mi interessa cosa ciò comporterebbe a questo dannato Olimpo.
E’ qualcosa di diverso.
Quando la guardo negli occhi è come se rivedessi gli occhi di mia moglie.
*
Un’altra città è caduta sotto il suo dominio. Sparta non è mai stata così
potente. Ormai Kratos ha immerso nella guerra l’intera Ellade, ed in tutto il
mondo non v’è città o regno che non alzi le lance al cielo invocandolo, sia pure
con diversi nomi.
Dall’alto del nostro rifugio empireo, noi Olimpici contempliamo ciò che presto
potrebbe accadere anche a noi. Il mondo sta cadendo nel caos primordiale, e se
nessuno fa qualcosa è solo una questione di tempo prima che succeda lo stesso
anche a noi.
Incurante degli sguardi di diffidenza e di aperta ostilità che si attira
addosso, terribile nella sua armatura, Kratos avanza verso il trono di mio padre
Zeus. Non volge lo sguardo su nessuno, non esita nemmeno quando le mani del
Padre di noi Olimpici fremono di potere. Non si inchina di fronte all’alto trono
del Re degli dei.
“Cosa vuoi?” chiede semplicemente, ed il tono della sua voce mi fa correre un
brivido lungo la schiena: è come lo stridio del ferro sul ferro, come le urla di
tutti gli uomini e le donne che ha precipitato nell’Ade. Risuona di malcelato
disprezzo. Attorno a lui, gli dei si scambiano sussurri colmi di rancore. Zeus
si alza in piedi.
“Stai oltrepassando il limite,” dice, con una voce che sottintende i rombi di
migliaia di tuoni devastanti, ma ciononostante Kratos è impassibile. Mio padre
non può lasciar correre tanta insolenza.
“Stai immergendo il mondo in un oceano di sangue, Kratos.”
“Lo so,” è l’unica, gelida risposta.
“Fino a quanto vuoi sfidare la mia pazienza?”
Gli occhi ed i capelli di mio padre guizzano di energia tenuta a stento
sottocontrollo.
“Volevate un dio della guerra,” ribatte Kratos, per nulla impressionato. “Ora
l’avete.”
Dopo queste parole volge le spalle al suo Re e si allontana. Non mi rivolge
nemmeno uno sguardo, sebbene io stia quasi implorando di fermarsi. E’ come se
non si fosse reso conto della mia presenza.
“Anche un dio ha dei limiti,” grida Zeus, puntandogli contro un dito. “Non
costringermi a mostrarti quali sono!”
Kratos si ferma, si volta appena. Scorgo l’ombra di un tetro sorriso sulle sue
labbra bianche per la cenere e la sua maledizione.
“Non costringermi TU a mostrarteli,” sussurra, prima di andarsene. A quanto
pare, solo io, che gli ero vicino, sono riuscita a sentirlo, perché Zeus non
avrebbe sopportato quell’ennesima sfida nei suoi confronti.
Kratos scende imponente le scale che dalla Sala degli Dei portano al resto
dell’Olimpo, mentre mio padre torna a prendere posto, infuriato, sul proprio
trono. Io rimango ad osservare il dio della guerra che ho creato sparire dietro
un angolo del corridoio, lasciando dietro di sé il sentore del sangue e del
ferro appena affilato.
Così potente, così spietato…
Nessuno dei miei fratelli mi crederebbe se rivelassi che questo essere
spaventoso è lo stesso che ho sentito agitarsi nel suo sonno di mortale, gridare
i nomi di sua moglie e di sua figlia in preda agli incubi, svegliarsi in lacrime
e piangere raggomitolato sulle lenzuola…
Se sapesse che l’ho visto in quello stato, sono sicura che tutte le esitazioni
che percepisco nel suo sguardo svanirebbero e mi assalirebbe in un istante. Come
potrei consolarlo io, proprio io che ho reso eterno il suo tormento?
Ed allora veglio in silenzio. Ed allora in silenzio condivido il suo tormento.
Finché mi sarà concesso restare dalla sua parte. Perché più importante di lui…
più importante di ciò che provo… è l’Olimpo.
*
Allora è questo, l’oblio…?
Ciò che ha affrontato Ares prima di me…?
Vedo la Spada degli Dei sporgere dal mio ventre, mentre attimo dopo attimo tutta
l’eternità che ho vissuto gocciola via da me. Tra le sue braccia…
Kratos… non mi pento di averti fatto tutto ciò che ti ho fatto, poiché l’ho
fatto solo per salvare l’Olimpo. Ora Zeus, sebbene ferito, potrà recuperare le
forze e sconfiggerti… Tu, che sei stato tanto folle da sfidarlo…
Estrai la spada da me, ma accompagni con dolcezza la mia caduta verso il suolo.
Non ti avrei mai creduto capace di un simile gesto, Kratos… Chissà se è questo
ciò che provava tua moglie quando la abbracciavi… Oppure quando l’hai uccisa…?
Io muoio, Kratos… ma vedo che nei tuoi occhi non c’è più dolore di quanto non ci
sia sempre stato. Per te io sono stata solo un’utile alleata, e poi una nemica;
nient’altro.
Ed una sciocca.
Nei tuoi occhi c’è la determinazione di chi sa che non si fermerà mai, neppure
di fronte al destino.
Forse è per questo che ti ho amato… da stupida…
Per due volte sei tornato dall’Ade, da umano… Se c’è un Ade anche per noi dei…
io ti aspetterò là…
*
La vita di Atena si spegne fra le mie mani. Zeus scompare, quel codardo: va a
leccarsi le ferite nel suo letamaio.
Mentre gli occhi brillanti di colei che mi ha protetto finché ha potuto si
spengono, sento qualcosa dentro di me: un’emozione che da tanto tempo non
provavo.
Non è pietà… Ma ora so che anche il suo volto affollerà i miei incubi.
Zeus… padre…
Ora ce n’è uno in meno a proteggerti.
Ora c’è un motivo in più per ucciderti.
Il sangue di Atena si aggiunge a quello che ho già versato, e richiama il
vostro, fratelli Olimpici…
Atena… la tua morte mi ha aiutato. Ora avrò bisogno di molto più sangue per
soffocare i miei ricordi, e so benissimo dove trovarlo.
Ti ringrazio.
Che tu sia maledetta.
Mentre il tuo corpo scompare, divorato dall’oblio, alzo verso il cielo la mia
spada.
Avrò la mia vendetta su di voi, maledetti dei. Sommergerò il mondo delle vostre
viscere e lo sprofonderò nel caos, proprio come avevate predetto. Allora,
anch’io sprofonderò nell’oblio. Allora, troverò la pace.
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