Nella cattiva sorte

di Mendori
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Alle parole ho rinunciato, ché il mio dolore non ha suono.
Colore sì: ha il bianco tagliente di zanne nuove, intonse, e il rosso d'un sangue prima versato solo in goccia, giocando tra i rovi – e oltre non spingerò il pensiero.
Il mio cuore l'han masticato tutti gli Asi miei fratelli, e non voglio più contrarlo nel ricordo.
A quello di cuoio di mio marito offro le lacrime che non può piangere, e quell'infelice a me presta la voce, l'urlo senza perdono.
Com'è bravo a odiare lo sposo mio, e io a soffrire: ecco l'ultima nostra disperata comunione, d'amore.














Mi son sempre chiesta come abbiano potuto gli Asi pensare a una punizione tanto efferata per imprigionare Loki: trasformare il figlio Vali in lupo e lasciare che sbranasse suo fratello Narfi, per usare le sue budella come catene.
Da una parte perché far ricadere le colpe del padre sui figli è terribile, dall'altra perché la madre, Sigyn, era una di loro.
Con che cuore fare qualcosa del genere?






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