CAPITOLO 5
L’insostenibile leggerezza dell’essere
Udì suonare alla porta e si precipitò ad aprire nonostante
fosse ancora claudicante. Dal grande salone che si affacciava sull’immensa
terrazza, si mosse verso l’ingresso e aprì la porta senza accertarsi di chi
fosse.
La vide lì, ferma sulla soglia in attesa che proferisse
qualcosa, che la invitasse ad entrare. La luce alle sue spalle che proveniva dal
lucernaio delle scale scuriva la sua figura snella e ben proporzionata. I
capelli, sciolti sulle spalle erano di un colore così scuro che poteva
confondersi con quello della notte. La cosa che più lo colpì fu il suo sguardo
deciso, risoluto. I grandi occhi nocciola sembravano essersi assottigliati,
divenuti più adulti, e lo scrutavano con circospezione. Gli sorrise e il suo
cuore cominciò a palpitare rapidamente, il sangue scivolare velocemente. Quelle
labbra rosse, ben disegnate, profumate, che più di una volta aveva desiderato
baciare in preda ad una tempesta ormonale che sempre più spesso lo faceva
sentire uomo.
Avanzò di pochi passi tanti quanti bastavano ad avvicinarsi
pericolosamente a lui. Poteva sentire il suo respiro, il profumo esotico e
sensuale della sua pelle liscia e morbida, che inavvertitamente si trovò ad
accarezzare. Le lacrime gli sgorgarono innocentemente e scesero lungo il volto
sorpreso.
- Amore mio, sono tornata per te! - esclamò gettandosi
tra le sue braccia. Aveva un nodo in gola. L’emozione soffocava ogni
sibilo che avrebbe voluto emettere per lei. La strinse al suo petto sentendo
un immane calore sul suo corpo.
- Quanto ti ho aspettato. Non ti lascerò più, te lo
prometto. Ti amo più della mia stessa vita. - le disse poi prendendole il
volto e baciandola con passione e ardore. Lei si staccò da lui e gli prese
le mani tra le sue. Lo guardò con espressione placida, arricciando il naso
in una smorfia divertita. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Sembrava ipnotizzato dal suo sguardo.
- Io non sono Trish…sono Patty! E tu, amore mio, ti sei
innamorato di lei. -
- Ma cosa…stai dicendo. Io ho amato e amerò per sempre
solo ed esclusivamente te. Non mi importa di Trish, io voglio stare con te.
-
- Non mentire. Puoi ingannare la mente, ma non il tuo
cuore. Ti senti attratto da lei, la sogni, il tuo corpo di uomo si eccita al
solo sfiorarla. La desideri come uomo e come amante. E’ il principio dell’amore.
-
- Non dire sciocchezze, Patty. Ti ho atteso per anni e
adesso che sei tornata…
- Io sono tornata per dirti di andare da lei…io sono
solo il tuo più bel sogno e il tuo peggior incubo. Io non ci sono più
Holly. Sono venuta per dirti addio. E’ lei la tua speranza, il tuo
presente e il tuo futuro. -. Impulsivamente si levò verso il suo volto e lo
baciò per un’ultima volta. La guardò mentre inesorabilmente impotente,
lei si allontanava verso il bagliore che l’aveva avvolta al suo arrivo.
- Patty! Pattiiiiiiiiiiiiiiiiy! - gridò in preda all’emozione
travolgente di quell’incubo. Respirando affannosamente cercò di
riprendersi dal sogno scotendo il capo e passandosi le mani tra i capelli
roridi di sudore.
- Maledizione! Era un incubo. Patty, tu..sembravi così
vera, sembravi Trish! - esclamò guardandosi intorno in cerca della sua
ombra. La porta della sua stanza d’ospedale era chiusa. Solo la luce del
corridoio filtrava dalle feritoie della porta. Lo spiraglio illuminava
qualcosa. Era il braccialetto d’argento che portava al suo polso. Il
braccialetto che le aveva regalato Patty prima della sua partenza in
Brasile, lo stesso che lui le aveva fatto riprodurre in Brasile e che le
aveva rispedito con la sua ultima lettera, quasi come un pegno d’amore.
- Sono giorni che penso a Trish e…sento un vuoto...lei
non c’é. Da quel dì non viene più a trovarmi. Forse dovrei cercarla e
scusarmi con lei. Patty. Mi sei apparsa in sogno dicendomi di andare da
Trish, che è con lei che dovrei costruire il mio futuro. Ma come faccio se
lei è tanto simile a te? Ogni qual volta la vedo, mi sembra di vedere te e
questo mi rattrista perché non ho mai potuto dirti veramente quanto ti
amavo.
- Vorrei tanto poter capire, sapere se sei scomparsa
perché io trovassi Trish sulla mia strada…ma ogni volta che ci penso,
riesco solo a darmi una risposta: sei scomparsa senza dir nulla, senza
lasciare tracce di te. Vivo con questo rimorso. Se penso a Trish, mi sembra
di poter sentire la sua tristezza, la sua nostalgia, la sua sofferenza. Non
mi era mai capitato prima. Probabilmente ha ragione lei: non si soffre solo
per la perdita di qualcuno che si è amato. Cosa voleva dire quando ha detto
che si può soffrire per la perdita dell’identità? Quello che mi volevi
dire nel sogno era che devo starle vicino? Che devo prendermi cura di lei
esattamente come avrei fatto con te? - si chiese distendendosi nel letto. Si
portò una mano alla fronte e il ciondolo appeso al suo braccialetto brillò
ancora una volta, ricordandogli con quanto affetto Patty glielo aveva
regalato.
Mancava un’ora alle sei e trenta e quel giorno lui sarebbe
stato dimesso. Era rimasto in ospedale per stare con Trish, se ne rendeva conto,
e per pigrizia, per non dover stare a casa, sorvegliato a vista da un infermiere
professionale e dal medico sportivo. Aveva prolungato fin troppo la degenza
ospedaliera e avrebbe dovuto continuare fisioterapia e riabilitazione presso il
centro sportivo della sua squadra. Il medico sportivo del Barcellona l’avrebbe
seguito per una repentina ripresa. Il presidente e l’allenatore gli avevano
detto che lo volevano in squadra prima di Natale per concludere la prima parte
del girone di andata della Liga Spagnola.
Trish Hamilton. Quel nome continuava a martellare nella sua
mente come un marchio indelebile. Aveva ragione Patty. Quando per fermarla le
aveva afferrato il polso o quando inavvertitamente era caduto tra le sue
braccia, aveva provato un fremito che tumultuosamente l’aveva scosso e l’aveva
fatto sentire uomo. Quante donne c’erano state nella sua vita? Alcune, ma solo
per una notte di sesso, non di amore, perché l’amore sublime era destinato
alla sua Patty. Oppure a Trish.
I suoi compagni erano andati a trovarlo a turno e si
sentivano spesso telefonicamente. Ma gli mancavano Benji e Tom, troppo occupati
con i rispettivi campionati per potersi recare da lui; Julian e Amy con i quali
aveva un rapporto di complicità nato fin da quando erano ragazzini. Sarebbero
arrivati entro una settimana. Anche Julian avrebbe dovuto sottoporsi alla
fisioterapia e doveva rientrare in campo entro poco tempo. Le loro assenze
stavano penalizzando la squadra che nelle ultime quattro partite aveva
totalizzato solo due vittorie, una sconfitta e un pareggio. Si sentiva solo,
sempre più malinconico, nell’impotenza di poter fare qualcosa per cambiare il
corso degli eventi.
- Ciao Trish. -
- Buongiorno Luis. Tutto bene? - chiese al collega
procedendo al suo fianco, entrambi diretti al distributore di caffè.
- Starei meglio se accettassi un invito a cena. -
- Alle dieci del mattino? Sono troppo impegnata, dovresti
saperlo. -
- Questo è vero. A che ora stacchi? -
- Il mio turno è finito alle otto ma sono arrivate due
emergenze e sono rimasta qui. Spero di andarmene tra un po’. -
- Da un po’ di tempo a questa parte sembra che ti sia
fatta carico di tutti i turni dell’ospedale. Ti servono soldi? -
- Mi sembra una domanda un po’ indiscreta, la tua! No,
non mi servono soldi, è solo un grande desiderio di lavorare e rendermi
utile agli altri. - mentì rispondendo alla curiosità del collega.
- Così non ti troverai mai un buon marito. -
- E se tu continui a fare il casanova con tutte le donne
di quest’ospedale, dubito che qualcuna ti metterà l’anello al dito. -
- Io desidero solo te. - le disse porgendole il bicchiere
con il caffè fumante e fissandola con sguardo ammiccante. I suoi occhi
erano di un verde scuro ed intenso, ma non riusciva ad emozionarsi, non come
con Oliver Hutton.
Oliver era fermo, sembrava in attesa di qualcosa. Continuava
a girare il capo in cerca di qualcuno mentre i passeggeri in entrata ed uscita
camminavano vorticosamente attorno a lui. All’improvviso scorse un’ombra a
lui familiare e il suo viso si illuminò del più caldo dei sorrisi.
- Capitano…so che ci siamo salutati ieri…ma io…. -
gli disse affannata dalla corsa.
- Non preoccuparti…sono felice che tu sia venuta…mi
fa piacere, davvero! -
- Desideravo darti questo! - gli disse porgendogli una
piccola scatola azzurra. Oliver la aprì e ne estrasse un braccialetto d’argento
con un ciondolo.
- E’ bellissimo…grazie, Patty! -
- Io..é solo un pensiero…un portafortuna. Quando ti
sentirai solo, ed avrai bisogno di sentirti un po’ a casa…-. Non la fece
terminare di parlare che le posò un bacio sulla guancia.
- Grazie, dolce Patty! - le sussurrò. La vide arrossire
per l’imbarazzo mentre stranita si accoccolava tra le sue braccia.
- Trish! Trish, mi senti? - le chiese Luis preoccupato.
- Ehm…sì, Luis, certamente. - rispose scotendo il
capo. Era pallida come un cencio.
- Sicura di star bene? - le domandò cercando di capire
cosa la angosciava tanto.
- Sì, è stato solo un giramento di testa! - rispose
mentendo per occultare il flashback che aveva appena avuto. Non solo era
impallidita, ma soprattutto tremava come una foglia. Aveva visto la ragazza
che spesso le era apparsa in sogno insieme a Oliver Hutton.
- Scusami Luis, vado a sciacquarmi il viso. -
- Sarebbe il caso che tu andassi a casa e non alla
toelette. Ti chiamo un taxi? -
- No, non preoccuparti. Sto bene. Forse…lavoro troppo,
hai ragione tu! - esclamò accennando un timido sorriso per tranquillizzare
il collega.
- Ti accompagno io, se vuoi. -
- Ti ringrazio davvero Luis, ma non è necessario. Mi
sciacquo il viso, mi bevo il caffè e termino le mie cose prima di andar
via. -
- Perché sei così testarda? Non pensare a quello che
devi fare, posso finire io il tuo lavoro. Va a casa a riposarti, anzi,
prenditi qualche giorno di ferie. -
- Certo, e dove me ne vado? - pensò tristemente. Era
sola in quella città e non aveva amicizie al di fuori dei colleghi di
lavoro con i quali usciva di rado.
- Andrò a casa, ma non penso di prendermi delle ferie. -
rispose con tono accondiscendente nell’intento di accontentare il collega
insistente. Si allontanò da Luis ancora in preda all’ansia procuratale
dal flashback. Entrò nella toelette richiudendo a chiave la porta alle sue
spalle. Si guardò allo specchio. Posò il bicchiere del caffè sul
lavandino e si tolse gli occhiali. Si sciolse lo chignon smovendo il capo
facendo ondeggiare i capelli sulle sue spalle. Le lacrime cominciarono a
rigarle silenziosamente le gote lievemente arrossate dallo sbalzo di
pressione. Accennò un sorriso alla superficie argentata posta di fronte a
lei. Fu colta dal panico. Si portò le mani al volto coprendo quei tratti
tanto somiglianti a quelli della ragazzina vista nel flashback…e nei suoi
sogni. Identiche. In preda allo sconforto e ai singulti si lasciò scivolare
lungo la porta. Afferrò le ginocchia tra le gambe e accoccolò il capo su
di esse. I brividi seguitavano a percorrerla mentre le ombre del passato
sembravano essersi impossessate di lei. La ragazza del sogno: le somigliava
molto. No. Erano due gocce d’acqua. Patty. Le venne in mente quel nome che
più di una volta Oliver aveva ripetuto, il nome con cui lui l’aveva
chiamata al suo arrivo e anche successivamente. Era forse questa la ragione
della confusione del ragazzo? La loro somiglianza?
- Cosa mi sta succedendo! Queste immagini che si
sovrappongono, i mal di testa, lo stato ansioso. Mi sento di impazzire. Devo
andare da un medico, non posso continuare così. No, forse ho solo bisogno
di riposo, di riordinare le idee e capire perché il pensiero di Oliver
Hutton è diventato tanto assillante. -. Si rialzò lentamente e cercando di
riacquistare l’autocontrollo, si sciacquò il volto, si risistemò i
capelli e inforcò gli occhiali. Titubante e incerta su quello che avrebbe
fatto, uscì lentamente e si avviò verso l’ufficio accettazione del
pronto soccorso. Silenziosa, smise il camice bianco e andò oltre il
bancone, afferrò le cartelle di sua competenza con l’intenzione di
terminare di compilarle prima di andare via.
- Dottoressa Hamilton! - esclamò una voce alle sue
spalle. La stessa del sogno, la stessa che oramai aveva avuto occasione di
sentire più volte. Si voltò e vide un ragazzo alto e bruno di fronte a
lei. Istintivamente gli sorrise. Avrebbe dovuto essere adirata con lui per
il comportamento avuto durante l’ultimo incontro. Tutt’altro. Si
riscoprì felice di vederlo. Mentre il cuore le batteva forte in petto, ebbe
l’impulso di correre tra le sue braccia. Le gote si colorarono di quell’imbarazzo
adolescenziale, che non ricordava aver mai provato.
I capelli scompigliati, il fisico atletico, quel suo sguardo
quieto, il sorriso dolce, l’aria sicura che infondeva. Era quello Oliver
Hutton. L’aveva fermata per salutarla. Dietro di lui riconobbe il suo
procuratore e il dottor Velasquez.
- La stanno dimettendo signor Hutton? - gli chiese
tralasciando il tono confidenziale che si erano scambiati in precedenza. Lui
le sorrise divertito chinando il capo in segno di assenso. Era bella Trish
Hamilton. Indossava un dolcevita nero aderente che sottolineava le forme
generose e perfette del suo essere donna. Le gambe lunghe e ben tornite
erano fasciate da un pantalone dello stesso colore della maglia, sulla quale
riverberava una catenina con appesa una perla. Nella sua semplicità, era di
una raffinatezza ed eleganza disarmanti.
- Sì. Vado via. - le disse sempre a capo chino. Era
dispiaciuto perché in quelle quasi quattro settimane trascorse in ospedale
non aveva avuto il coraggio di avvicinarla, di conoscerla. In fondo, era
rimasto sempre il solito timido Holly imbranato con le donne. Dov’era
finito il coraggio con il quale avrebbe voluto confessare a Patty il suo
amore?
- Spero che possa riprendere a giocare al più presto. -
esclamò continuando a guardarlo negli occhi incurante del rossore che le
procurava. Era dispiaciuta. Andava via, forse per sempre.
- Me lo auguro anch’io. L’inattività mi impigrisce.
-. Era una conversazione sterile, priva di sentimento eppure, doveva esserci
e per questo Oliver l’aveva intavolata.
- Allora, buona fortuna! - gli disse tendendogli la mano.
Holly protese la sua verso quella della dottoressa. Dal polsino della
camicia pendeva il ciondolo del braccialetto che aveva visto nel suo
flashback. Lo guardò intontita e quasi ipnotizzata. Aveva l’impressione
che lui la stesse guardando esattamente come nella visione che aveva avuto
poco prima, nella stessa maniera in cui aveva guardato Patty.
- Grazie per quello che hai fatto per me, Trish. - le
disse comprendendo il disagio del momento. Lei distolse lo sguardo dal
bracciale e fissò i suoi occhi scuri. Erano nostalgici. L’aveva chiamata
per nome e il suono della sua voce le era sembrato dolcissimo, le aveva
riempito il cuore e la mente come un raggio di sole che prorompente era
entrato di lei per splendere con tutto il suo bagliore.
“Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente
se stessa e percepisce la propria vita.
La felicità è amore, nient'altro. Felice è chi sa amare.
Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca
la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e
desiderare non è la stessa cosa. L'amore è il desiderio fattosi saggio;
L'amore non vuole avere; vuole soltanto amare.”
Quelle frasi di Herman Hesse echeggiarono nella sua mente
accompagnate dalla voce di Oliver. Quel nuovo contatto l’aveva fatta fremere.
Era forse stato un attimo di felicità? Quello strano sentimento, l’amore, che
lei ricordava di non aver mai vissuto? Ripensò a quanta passione Oliver avesse
esternato nel parlare di Patty. Il suo amore verso quella ragazza era tale da
portarlo a soffrire in quel modo? Pensò a lei. Non riusciva a non pensare a
Oliver, desiderava percepire la sua malinconia, far propri i suoi dispiaceri ed
aiutarlo a risorgere. Era questa la felicità? L’amore incontrastato verso una
persona, fatto di rinunce e sofferenza pur di veder realizzata la sua felicità?
- Ho fatto quello che dovevo, Oliver…anzi…devo
scusarmi per quello che è successo…
- No. E’ colpa mia. Mi sono lasciato trasportare
egoisticamente dalla mia sofferenza, senza tener conto dei pensieri o dei
problemi altrui. Dovrei essere io a scusarmi…per non averti capita! -
aggiunse quasi con un sussurro.
- Allora ci scusiamo reciprocamente dimenticando quello
che è successo! - gli disse sorridente. Le loro mani erano ancora una
dentro l’altra. Il procuratore di Holly lo riportò alla realtà
esortandolo ad andar via.
- Buona fortuna Oliver. -
- Trish…io…-. Dalle sue labbra avrebbe voluto far
uscire frasi ben definite, parole che le avrebbero accarezzato la mente,
sciolto il ghiaccio che incatenava il suo cuore ad un nostalgico passato.
Nulla. Riuscivano solo a guardarsi profondamente negli occhi. Desiderava
avere quella donna. In quel momento ne fu certo. Lei era il completamento
della sua amata Patty.
Patty era la cara amica di cui si era innamorato, la presenza
incontrastata della sua vita, la persona che maggiormente aveva contribuito alla
realizzazione del suo sogno di calciatore. Trish era la parte adulta che avrebbe
dovuto sbocciare in Patty, la donna che non aveva visto formarsi dinanzi i suoi
occhi. Lei era colei che con un semplice sguardo risvegliava l’uomo che era in
lui creandogli un fermento e un’eccitazione tali che non aveva mai provato
prima. Non solo era inverosimilmente somigliante a Patty, ma era come lei, senza
la sua evanescenza da adolescente ma con una passione dormiente che attendeva
solo di essere risvegliata. Ne era certo.
- Allora…addio Oliver. - gli disse mentre il
procuratore continuava a richiamare il suo assistito.
- E’ un arrivederci, Trish. - rispose staccando la mano
dalla sua. La guardò ancora una volta e la oltrepassò varcando l’uscita
dell’ospedale.
- Oliver! - pensò voltandosi verso l’uscio. Era lì,
oltre la porta a vetri, che attendeva solo di ricevere un suo ultimo saluto.
Salì sull’auto del suo accompagnatore alzando la mano in segno di saluto.
Trish sperava in cuor suo che quello era stato solo un arrivederci, prologo
forse di un incontro non troppo lontano. Incapace di non pensare ad altri
che a Oliver e ai flashback, Trish consegnò a Luis le cartelle e andò via
in preda ai tumulti del cuore.
Nonostante si fosse già a metà novembre, il clima era mite
e la temperatura sembrava essersi stabilizzata sui venti gradi centigradi. Le
giornate di sole si alternavano a quelle variabili e la pioggia pareva esser
scomparsa dalle previsioni meteo. Era trascorsa una settimana dacché Oliver
Hutton aveva lasciato l’ospedale e soprattutto aveva inferto una dura ferita
al cuore di Trish Hamilton.
Correva lungo la passeggiata che costeggiava la Barceloneta
mentre il sole intrideva dei suoi più caldi colori il mare del crepuscolo. Toni
dorati e vermigli si alternavano a quelli purpurei trascinati da un ondeggiare
lucente che sembrava percorrere il lungomare. Coppie di innamorati, famiglie,
amici, passeggiavano felici nel parco e lungo il viale che dalla ramblas
conduceva alla piazza intitolata al navigatore Cristoforo Colombo.
Il capo incurvato coperto dal cappuccio del giubbino che la
abbracciava, mentre le gambe flessuose vestite di un morbido pantajazz si
rincorrevano sull’erba fresca adombrata dall’incedere della sera.
Una pietra rimbalzò vicino i suoi piedi facendole perdere l’equilibrio.
Il cappuccio ricadde all’indietro e i capelli lunghi si distribuirono lungo la
schiena. Respirò l’aria della sera a pieni polmoni, sentendo una ventata di
libertà. Un pastore tedesco di media taglia, evidentemente giovane, le si
avvicinò per recuperare l’oggetto del lancio. Divertita dal cane, afferrò il
sasso mostrandoglielo e cercando di attirare la sua attenzione. Le erano sempre
piaciuti i cani. Il pastore tedesco continuava a scodinzolare la coda in segno
di amicizia, fino a ché, palesemente catturato da quell’incontro casuale, non
prese a mordicchiarle le scarpe da ginnastica.
- Ehy, che fai birbante. Vuoi il tuo sasso, ed io non te
lo do. No…aspetta, hai vinto tu! - disse ridendo e rilanciando il sasso
verso una panchina deserta.
- Tutto bene signorina? - le chiese una voce
sopraggiungendo alle sue spalle. Si voltò e guardò in alto verso l’interlocutore.
Il ritmo cardiaco era accelerato. Un nodo in gola le impediva di parlare. Il
sorriso scomparve dal suo volto lasciando spazio alla meraviglia. Il
pensiero che le aveva risvegliato tristezza e malinconia in quei giorni, l’oggetto
del suo desiderio era lì dinanzi a lei spinto da un destino che sempre più
spesso li faceva incontrare. Lui la guardava stranito, catturato dalla sua
bellezza e dalla sua strabiliante somiglianza.
- Patty! - pensò tra sé prima di proferire quel nome.
Vide la catenina con la perla che circondava il collo nudo. Parve
risvegliarsi dal sogno e tornare ad una dimensione in cui lei era sempre
più spesso presente. Era Trish, la sua amica Trish.
- Trish! - esclamò cercando di imprimere nella mente
ogni singolo particolare di quel viso dipinto dalla penombra della sera. Il
sole sembrava una grande lampada dalla luce soffusa che aveva creato intorno
a loro una romantica atmosfera.
- O…Oliver! - rispose incredula balbettando il nome del
ragazzo. Era dinanzi a lui, come non gli si era mai mostrata, sempre più
identica al fantasma del suo passato.
- Ma cosa ci fai qui? - le chiese cercando di rompere il
ghiaccio.
- Mi faccio atterrare da un cane! -. Lui la guardò e poi
scoppiò a ridere divertito da quella battuta ironica. Fintamente offesa,
voltò il capo dal lato opposto per poi guardarlo nuovamente e ridere anche
lei. Il ghiaccio si stava sciogliendo riscaldando i loro cuori.
- E tu? -
- Porto a spasso il cane che ti ha atterrato. Abito
lassù. - le disse indicandole un attico in un palazzo ben visibile dal
parco.
Senza neppure chiederglielo, Holly si sedette sull’erba
accanto a lei e così, rimasero in silenzio a guardare il sole infuocare il mare
e il cielo in un unico dipinto.
- Le somiglio così tanto da destare sempre tanta
meraviglia in te? - gli chiese non sorprendendolo.
- Più di quanto tu non possa immaginare. Con i capelli
sciolti e senza occhiali…sembri lei…e per un attimo ho pensato di averla
dinanzi ai miei occhi. -
- Allora sei rimasto deluso di aver trovato me…
- No.…ma cosa dici? Lei è Patty e tu sei Trish! -
sentenziò con un velo di tristezza facendo assumere ad ognuna di loro la
rispettiva identità.
- Parlami di lei…così potrò capire la tua sofferenza.
- gli disse posando la sua mano su quella del ragazzo. Seguitava a guardare
lo spettacolo di colori che si offriva ai loro occhi.
- L’ho conosciuta al mio arrivo a Fujisawa, circa
quindici anni fa. Era la mia prima fan, la manager della squadra in cui
giocavo e della nazionale juniores, la mia migliore amica, la mia ombra,
colei che sognava insieme a me, colei che c’era sempre…quando la cercavo
o quando ne avevo bisogno. Ho sempre creduto che vivesse in funzione mia,
per l’amore tanto declamato dai miei compagni e del quale fingevo di non
accorgermi. La verità l’ho capita quando a quattordici anni mi trasferii
in Brasile realizzando il mio più grande sogno. Imparare a giocare a calcio
da professionista. Sebbene ci fossimo salutati il giorno prima, lei venne
all’aeroporto, e mi regalò questo braccialetto, che ho sempre portato con
me, come un portafortuna…come una parte di lei. -. Trish sbarrò gli
occhi. La scena dell’aeroporto l’aveva vista poco prima che fosse
dimesso. Tolse la sua mano da quella del giovane, completamente assorbito
dai ricordi.
- Mi resi conto dei miei sentimenti solo al mio arrivo in
Sud America. Lei era la parte migliore di me…il mio completamento, la
persona che più di tutte mi mancava. Compresi allora che ero io che ero
vissuto in funzione sua e non il contrario. Costantemente cercavo la sua
immagine tra i tifosi sugli spalti, o la vedevo in panchina mentre prendeva
diligentemente appunti sugli schemi della partita. E quando mi arrivavano le
sue lettere o sentivo la sua voce…mi emozionavo come un bambino. Mi ero
innamorato di lei e decisi di dirle tutto. Sono sempre stato timido nell’esternare
i miei sentimenti, così decisi che le avrei fatto una sorpresa. Le feci
riprodurre lo stesso braccialetto che lei mi regalò due anni prima come
pegno della nostra amicizia e le scrissi una lettera nella quale la
informavo che sarei arrivato per Natale. Quando rientrai in Giappone
purtroppo, ebbi una cattiva sorpresa. Patty era scomparsa, con lei la sua
famiglia. Da allora non l’ho più ne vista ne sentita e ogni giorno vivo
con il rammarico di non averle mai detto quanto la amavo. - disse chiudendo
gli occhi. Trish aveva ascoltato silenziosamente il suo racconto,
profondamente toccata dalla storia che aveva udito. Comprendeva solo adesso
perché accusasse tanta nostalgia di quella creatura che timidamente l’aveva
accudito vivendo il suo sogno d’amore e il motivo della sua immane
sofferenza. Avrebbe voluto amare quella ragazza ma il destino li aveva
separati ancor prima di farli rincontrare, prima che potessero scoprire
insieme la grandezza del loro sentimento, prima che potessero essere felici.
- La ami ancora? - gli chiese cercando di sincerarsi su
quali fossero i reali sentimenti nei suoi confronti. Era una domanda diretta
e l’eventualità di una risposta positiva la spaventava.
- Non lo so più. - rispose sinceramente confuso da tutti
i sentimenti e le emozioni che contrastanti turbinavano nel suo cuore
dacché aveva incontrato Trish. Si sentiva molto attratto da lei ma aveva
quasi l’impressione di tradire il suo amore per Patty.
- Una volta forse avrei risposto di sì, e per quanto
dolce sia il suo ricordo…adesso sono confuso…non so più cosa fare e
cosa desiderare! -. Ancora il silenzio che adagio scese tra di loro mentre i
lampioni illuminavano timidamente il parco. I colori caldi del crepuscolo
avevan lasciato il turno a quelli più freddi della sera che aveva avvolto
quasi del tutto la città ricoprendo la superficie del mare di un velo scuro
e setoso.
- Perché soffri tanto Trish? - le chiese di soppiatto
destandola dai pensieri. Non rispose non sapendo da che parte cominciare. Si
sentiva a suo agio con lui. Sapeva che poteva aprirsi con quel giovane che
le aveva ispirato subito tanta fiducia. Era diverso da Jason, somaticamente
e caratterialmente. Oliver aveva in se una grande passione a cui era stato
impedito di crescere sottoforma di travolgenti emozioni. Era più uomo di
lui, aveva più cuore di lui.
- Perché non ho una mia identità. I miei ricordi
partono da meno di dieci anni fa. Il resto è rinchiuso nel buio più scuro
e lontano della mia mente. -. Erano vicini, pericolosamente richiamati da
una strana eccitazione che prendeva forma nei loro corpi.
- Non capisco. - le disse guardandola incuriosito.
Lentamente, con la mente ne disegnò il profilo incorniciato dai capelli
vellutati che si muovevano leggermente sospinti dalla brezza. Sentiva il suo
profumo, scorgeva i seni maturi sollevarsi al ritmo del suo respiro.
- Ho avuto un incidente a causa del quale ho perso la
memoria. Non ricordo più nulla della mia adolescenza e tanto meno della mia
infanzia. Ho perso tutti quelli che erano i miei ricordi, gli affetti e i
sogni che avevo coltivato per il mio futuro. Ho dovuto ricominciare tutto
daccapo, cercando di ricostruire me stessa, con l’aiuto della mia
famiglia. -. Un sospetto prendeva sempre più piega nella sua mente e nel
suo cuore. Doveva sapere.
- Come hai avuto l’incidente? -
- Mia madre mi ha detto che è successo mentre eravamo in
visita presso dei parenti. Uscita dal coma e dimessa dall’ospedale siamo
tornati nella nostra casa a Chicago. Lentamente ho ripreso gli studi e mi
sono laureata in medicina. Ho scelto di studiare medicina per potermi
dedicare a coloro che avevano bisogno, tutte quelle persone che avevo visto
soffrire durante la mia degenza in ospedale. Volevo rendermi utile al
prossimo, fare quello che qualcuno aveva fatto per me, per salvarmi la vita.
-. Deluso dalla sua spiegazione, Holly annuì e la guardò ancora. Era così
triste che poteva sentire la sua malinconia.
- Come mai sei qui in Spagna? -
- Non ne potevo più di stare con loro: mi avevano fatto
vivere in una campana di vetro. Iperprotetta, una ragazza di porcellana, che
al minimo urto avrebbe potuto rompersi. Ma io non ero così. Mi ero ripresa
dall’incidente, almeno fisicamente. Desideravo solo poter vivere come le
mie coetanee, correre con loro, respirare la mia adolescenza. Loro mi
impedivano di fare tutto questo. Dovevo essere protetta da qualsiasi cosa
che avrebbe potuto ledere il mio fragile stato psico-fisico.
- Durante il mio tirocinio a Chicago, feci domanda per un
concorso interno vincendo una borsa per studiare all’estero. Tra le città
proposte scelsi Barcellona perché c’era il mare. -. Anche a Patty piaceva
il mare. Lo adorava. - Ricordo di aver sempre vissuto in loro funzione,
cercando di non deludere le loro aspettative, di essere una studentessa
modello, una figlia per bene. Ero esasperata. Dovevo andar via per non
continuare a vivere succube della loro volontà. Non li vedo da due anni. A
mia madre ho dato solo l’indirizzo e-mail perché ogni tanto potesse
scrivermi. Sono caduta nel loro dimenticatoio. Sterili auguri di buon
compleanno o di Natale per la figlia fedifraga fuggita all’estero dalle
grinfie di una famiglia asfissiante. -.
- Hai avuto molto coraggio. -
- Non so se fosse stato più forte il coraggio o l’esasperazione.
Volevo vivere la mia vita, cercare me stessa e costruire un futuro….ma gli
incubi continui del mio passato, mi hanno sempre impedito di vivere
serenamente i giorni avvenire.
Avevo un amico negli Stati Uniti, un mio compagno di studi,
un bravo ragazzo, figlio di una ricca famiglia di Chicago, il fidanzato tanto
sospirato e sognato da ogni madre. Non siamo mai stati insieme. Ogni tanto ci
trovavamo nello stesso letto ed ogni volta, me ne andavo in preda alla
tristezza e a un senso di sgomento verso la mia vita vuota. Mi mancava l’amore.
Non ho mai amato Jason…e forse, non ho mai amato nessuno. -. Era
rammaricata, crucciata verso quel passato vuoto che non le aveva permesso di
vivere al meglio i migliori anni della sua vita. Oliver non aveva distolto lo
sguardo da lei e nel buio della sera vide i suoi occhi umidi e gonfi di quelle
lacrime che chissà quante altre volte aveva versato. Per un attimo, un lungo
istante, aveva sperato che le dicesse di essere Patty, che aveva perduto la
memoria e che qualcuno, inspiegabilmente le aveva dato una nuova identità. In
quel momento, era cosciente che lei era Trish, una donna che l’aveva colpito
al cuore, le cui confessioni adesso echeggiavano nella sua mente ricordandogli
che era una creatura fragile ed indifesa. Erano soli loro, con i rispettivi
fantasmi, così differenti eppure così simili, bisognosi di un amore che li
aveva sfiorati ma mai travolti. Impulsivamente le mise un braccio intorno alla
spalla e l’accolse in un abbraccio tanto d’amore quanto di speranza.
- Mi sento sola, Oliver, ed ho paura di restarlo per
tutta la vita. -
- Ora…non sei più sola. - le sussurrò stringendola
ancor più forte a se. Diceva seriamente. Voleva rassicurarla, tenerla
stretta al suo petto e…amarla.
Lo squillo del telefono cellulare di Oliver irruppe spezzando
l’incantesimo di quell’attimo.
- Pronto? -
- Oliver, ciao sono Edoardo. Come stai? - chiese il
compagno di club calcistico.
- Bene grazie, Edo. Mi sto riprendendo dall’incidente e
molto presto tornerò ad allenarmi. -
- Senti, sono nei pressi di casa tua. Dovrei lasciarti un
pacco da parte dei ragazzi. -
- Sono al parco. Arrivo subito. Grazie Edo. -
- Ti aspetto giù al portone. -
- Okay, ci vediamo tra un po’. - concluse spegnendo il
cellulare.
Trish lo guardò dispiaciuta. Sarebbe andato via entro pochi
minuti per raggiungere l’amico. Cosa sarebbe successo tra loro?
- Ti accompagno a casa! - le disse dolcemente. Lei scosse
il capo e gli sorrise. Sembrava più tranquilla.
- Va pure. Non preoccuparti. Resto qui ancora un po’. E’
una bella serata. - rispose con il cuore ansioso di ricevere il suo amore.
Avrebbe voluto che restasse lì con lei, accoccolati sotto le stelle, nel
silenzio del loro amore che lentamente stava sbocciando, ma forse era troppo
presto. Il cane corse verso di loro richiamato dal fischio di Oliver. Gli si
buttò addosso per giocare e non smise fino a quando Trish non lo richiamò
verso se. Oliver si alzò e la guardò ancora. Fischiò nuovamente al suo
cane e si allontanarono. Non si diedero appuntamento ne si scambiarono i
numeri di telefono. Erano consapevoli che in un modo o nell’altro, si
sarebbero ritrovati.
Il faro acceso di una bicicletta di passaggio, illuminò un
oggetto nell’erba. Trish lo cercò con la mano sentendo subito un brivido
percorrerla. Era un oggetto metallico, freddo, non pesante. Comprese subito di
cosa si trattasse. Lo rigirò tra le mani e se lo portò più vicino agli occhi
cercando di scorgere in esso i più intimi segreti che ne erano contenuti.
- Il braccialetto che Patty regalò a Oliver prima della
sua partenza. - pensò stringendolo nel suo pugno. - Devi averlo amato più
della tua stessa vita. Eri solo un’adolescente eppure eri capace di vivere
il tuo sentimento in silenzio senza sapere di essere profondamente
ricambiato. Patty, mi sto innamorando di Oliver, del tuo amato. Sei uscita
drasticamente dalla sua vita e adesso che lui mi ha teso la mano, io non
posso ritirarla. Perdonami se provo qualcosa per lui, ma…ho bisogno del
suo affetto, della sua amicizia, del suo amore. Ho bisogno di sentirmi
donna. Ti posso fare solo una promessa: cercherò di renderlo felice. Non
farò in modo che ti dimentichi, sei una parte di lui, e non potrei
portargliela via. Cercherò di donargli il mio amore…è l’unica cosa che
ho e di cui ho bisogno. - pensò sollevandosi. Strinse ancora il
braccialetto e decise che doveva andare a restituirlo al legittimo
proprietario. Immediatamente.
Corse verso il palazzo indicatole da Oliver. Si sentiva
libera e desiderosa di avvertire ancora sulla sua pelle il calore delle sue
braccia.
Ansimante lo trovò e scorse velocemente i cognomi sul
citofono. Ultimo piano. Non fu necessario suonare. Il portone era aperto. Fece
un respiro profondo cercando di attenuare l’ansia che l’attanagliava.
Gli avrebbe lasciato il braccialetto sotto la porta e sarebbe
andata via. Rise di se pensando a quello che stava facendo. Aveva timore di
suonare a quel campanello, di rivederlo.
Quando l’ascensore si fermò, spalancò le porte e si
ritrovò su quel pianerottolo dove c’era solo una porta. La targhetta esterna
riportava il suo nome. Riprese fiato e si avvicinò all’uscio. Il cuore le
batteva così forte che temeva potesse sentirla. Guardò il braccialetto che
aveva stretto fino a poco prima. All’improvviso la porta si aprì e si sentì
mancare per l’imbarazzo. Di fronte, l’uno all’altra, ancora una volta.
- Trish…! - esclamò sorpreso di vederla.
- O..Oliver..io…hai perso questo! - gli disse
porgendogli il braccialetto. Non smetteva di guardarla. I capelli
leggermente scompigliati, il rossore sul suo viso, i lineamenti perfetti, i
suoi occhi che vibravano, il suo corpo sinuoso di donna. Senza proferire
alcuna parola, le si avvicinò, le prese il volto tra le mani e la baciò
spinto da un’irrefrenabile passione. Lei ricambiò subito, non colta di
sorpresa da quel gesto ma vogliosa e ansiosa di quel giovane incontrato per
caso, che aveva aperto il lei lo spiraglio di un futuro più luminoso.
Senza lasciarla, la trascinò all’interno dell’appartamento richiudendosi
la porta alle spalle. Seguitava a baciarla prima sul volto e poi sul collo fino
a percorrere con le labbra i movimenti sicuri delle sue mani sul corpo di lei.
Carezze dolci, intense che si scambiavano reciprocamente esplorando i loro corpi
prima vestiti poi nudi, che caddero sul letto stretti nella morsa di un
sentimento troppo a lungo represso e in attesa solo di respirare. Stanchi solo
quando i loro cuori e i loro corpi furono sazi, si addormentarono l’uno nelle
braccia dell’altra attendendo di vedere insieme l’alba di un nuovo giorno.
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