Can we go back?
Salii
con fatica anche
l’ultimo gradino di quella vecchia scala in marmo, i tempi erano cambiati. Una figura
minuta, piuttosto bassa, ma
abbastanza veloce e rapida, sfrecciò accanto a me
superandomi. Quando si fermò
riconobbi i lineamenti dolci e rotondeggianti del suo viso, gli occhi
verdi che
brillavano di energia, la bocca rosea e carnosa e i capelli biondi che
le
incorniciavano il volto; quella meravigliosa bambina era la mia piccola
Juliet,
mia nipote.
Le
sorrisi, per poi andare alla
ricerca degli ultimi oggetti rimasti, in quella grande soffitta
polverosa, di
un color bianco sbiadito, che il tempo non aveva di certo aiutato.
-Nonna, penso di averne trovato
uno!-
esclamò la mia principessina.
-Brava tesoro!- mi avvicinai a lei, e le
accarezzai la guancia.
Guardai
quello che era
riuscita a scoprire. Era un vecchio scatolone malridotto che certamente
aveva
visto periodi migliori. Strabboccava di roba, ma una cosa in
particolare colpì
la mia attenzione. Mi allungai ed estrassi la piccola foto ormai
ingiallita.
Raffigurava
una me stessa
più giovane di una cinquantina di anni, su una piccola
spiaggia deserta che la
mia mente collegò subito a Miami, con addosso un costume a
due pezzi, la parte
superiore era a fascia di un giallo fosforescente, mentre quella sotto
era di
un semplice e banale nero; ma non ero sola, infatti le mie braccia
magre ed
abbronzate erano avvolte attorno al bacino di un ragazzo castano scuro
quasi
moro, piuttosto muscoloso, con le iridi di un colore non molto definito
tra il
verde e il marrone, che a sua volta circondava il mio collo con un
braccio*
Pur
essendo passati molti
anni da quando fu scattata quella foto, in un lampo tutta la nostra
storia mi
passò davanti agli occhi.
Ricordai
fosse un lontano
2013, avevo appena diciassette anni, ma avevo già una gran
voglia di esplorare
il mondo. E fu proprio così che lo conobbi.
Avevo
preso in affitto un
appartamento nel sud della Florida, mi sarebbe servito per cinque anni,
giusto
il tempo per completare gli studi, e poi mi sarei trasferita a New
York, la
città dove i sogni diventano realtà, ma non
sapevo che il mio sogno d’amore si
trovava già in quella piccola cittadina.
Conobbi
Austin, così si
chiamava, a metà anno scolastico, quando facemmo il ballo
scolastico aperto a
più college. Indossavo un abito rosso, corto e mediamente
aderente, con dei
tacchi piuttosto alti sempre della stessa tonalità; lui
invece aveva uno
smoking che lo rendeva tremendamente sexy. Lo osservai tutta la notte,
ignorando il mio accompagnatore che, invano, cercava di farsi notare da
me. Verso
la fine mi feci coraggio e andai a parlargli, forse anche aiutata dal
bicchiere
di vodka che avevo bevuto precedentemente. Non chiacchierammo molto, ma
riuscì
a convincerlo a scambiarci i numeri. Le settimane che seguirono nessuno
dei due
si fece sentire, finche non ci incontrammo da Starbucks, il
destino ci aveva chiamati.
Ci
conoscemmo veramente in
quella occasione, e ben presto diventammo amici.
Era
il ragazzo perfetto che
volevano tutte: bello, simpatico, intelligente e perfino talentuoso,
aveva una
voce meravigliosa, ma non inseguì mai la strada del
cantante. Ogni
giorno che passava sentivo che i miei
sentimenti verso di lui divenivano sempre più forti, e mi
accorsi che non
riuscivo più ad essere solamente sua amica.
Nel
lontano dicembre del
2012, decisi finalmente di confessargli tutto.
Nelle
ore precedenti al
nostro appuntamento mi preparai a lungo, e il risultato fu piuttosto
notevole.
Mi venne a prendere a casa con la sua Range Rover rosso fuoco, amava
quel
colore. Andammo in un ristorante italiano, il suo preferito. Avevo
provato di
tutto per conquistarlo se non ce l’avrei fatta con la pizza,
non ci sarebbe
stato nulla da fare.
Durante
tutta la cena
continuavo a ripetermi che quello era il momento giusto per dirgli
tutto, ma
non lo feci. Stupida la mia timidezza.
Il
momento giusto arrivò
quando tornati al mio appartamento mi accompagnò alla porta.
Gli
annunciai che gli
dovevo dire qualcosa di veramente importante. Lui ridacchiò
e annuii, noncurante
del fatto che io ero parecchio agitata, e con quel suo gesto non fece
altro che
impaurirmi ancora di più. Ci accomodammo su una panchina
verde e fredda che si
trovava nel giardino condominiale. Girai il mio viso per incontrare il
suo
sguardo, ennesimo passo falso della
serata perché per mia sfortuna, mi incantai ad
osservare i suoi occhi.
Dovetti rimanere a lungo a scrutarlo perché infine scosse la
sua mano davanti
alla mia faccia. Ridacchiai, gli chiesi scusa e pronunciai ogni singola
cosa
che mi ero tenuta dentro per mesi, sul fatto che ero pazza di lui dalla
prima
volta che l’avevo visto al fatto che amavo ogni cosa di lui,
dalla sua
ossessione per il rosso al fatto che fosse così gentile e
premuroso, ma non
feci in tempo ad esprimere tutto ciò che si
avvicinò e posò le sue labbra sulle
mie. In quel momento trovai stupido il detto ‘sentire le
farfalle nello
stomaco’, perché con lui sentii miriadi di
mastodontici elefanti.
La
nostra divenne una
relazione molto stabile, quello che provavamo l’uno nei
confronti dell’altro
sembrava non finire o nemmeno ridursi, ogni volta che stavamo
l’uno con
l’altro, eravamo letteralmente in paradiso.
Fummo
entrambi la prima
volta dell’altro, ma non era sesso, era solo un gesto per
portare il nostro
amore ad un livello superiore.
Ma
quando le cose
sembravano andare per il meglio, arrivò la brutta notizia.
Lui
sarebbe dovuto tornare
in Texas, mentre la sottoscritta sarebbe dovuta trasferirsi a New York,
come
aveva progettato all’inizio.
Eccolo il destino, prima si
diverte a farti trovare
l’anima gemella, e poi a fartela perdere, per sempre.
Quella
che avevo tra le
mani fu la nostra ultima foto insieme, da quel giorno in poi Austin e
Grace** non
sarebbero più stati una cosa sola, ma due
persone diverse.
Non
trovai mai più nessuno
come lui.
Molti
anni più tardi mi
sposai con George, il padre dei miei due figli, perché non
ne potevo più di
soffrire.
-Nonna! Nonna!- mi sentì chiamare
da Juliet.
Tornai
al 2067, avevo gli
occhi lucidi e voglia di piangere, ma promisi a me stessa di non farlo.
-Cosa c’è
tesoro?-
mi strofinai gli occhi con il grembiule da cucina che indossavo in
quel momento.
-Ho fame, mi prepari qualcosa
di buono?- sorrise,
massaggiandosi la pancia per farmi notare
che il suo stomaco doveva essere vuoto.
-Certo, aspettami
giù che arrivo.- ridacchiai, per il suo gesto
insolito.
Quando
sentii dei piccoli
passi agili sulle scale, capii che potevo finalmente rimanere sola per
un
minuto abbondante.
Riguardai
la foto, e mi
maledissi mentalmente per averlo lasciato andare, per non essere andata
con lui
a San Antonio.
Per
sbaglio, la foto mi
cadde dalle mani e si girò.
Solo
allora notai, la
dedica che doveva essere stata scritta da lui in velocità
prima di dirci addio.
“Cara Grace,
grazie per essere stata il mio
passato e ora, il mio
presente.
Perché non puoi
essere anche il mio futuro?
Ti sto lasciando andare e non
immagini per me quanto
sia dura.
Vorrei solo poter tornare
indietro nel tempo per
rivivere questi cinque anni di te e di me.
Chissà, magari fra
cinquant’anni inventeranno una
macchina del tempo che ci riporterà insieme.
D’ora in poi
vivrò solamente in attesa del giorno in
cui ci rivedremo.
Ti amo.
Per sempre tuo,
Austin.”
Ciao belle!
Questa
è la mia prima os su efp
(però
ho una fanfic ‘Innamorata del ragazzo
sbagliato’ sempre su Austin)
e
devo dire che non mi dispiace.
E’
diversa dalle altre, perché è un lontano
flashback.
Se
vi è piaciuta recensite, perché potrei farla
diventare
una
raccolta di os!
Alla
prossima,
-Sofia.
*scusatemi per la ripetizione,
ma non penso esitano
altri sinonimi della parola braccio lol
**se non avete capito,
è il nome della narratrice.
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