How Come It Never Rains
Questa
one-shot è dedicata a tutti coloro che custodiscono in sé un
universo.
In
particolare, questa storia è per SilverAlex, il mio bro, perso fra
nebulose alla ricerca della propria stella polare; ti voglio bene. Ma
davvero.
È
anche per Mars, la mia stella gemella, che da pochi giorni ha una
“stellina speciale” che la guarda dal cielo. Twin, sei unica.
Ed
è anche per la mia Testaccia Di Melanzana, la mia costellazione
luccicante e glitterata più bella e calda dell'universo. Daisuki
desu (ma tanto lo sai già).
Katherine
rilesse l'indirizzo sul foglietto e controllò il cartello sopra la
sua testa; sì, la via è questa. Tutto
quello che c'era da fare era trovare il numero 39. Dopo qualche metro
scorse la casa: muri dipinti di rosso, staccionata quasi
inesistente; c'è una Honda appoggiata di fianco alla porta
d'ingresso. È la mia moto. Così
aveva scritto Tyla nella sua lettera; era un tipo un po' all'antica,
odiava scrivere email. Diceva che erano troppo asettiche ed
impersonali.
Katherine
sorrise nell'osservare quello che aveva davanti agli occhi: è
proprio nel suo stile. I muri del suo colore preferito, la
staccionata sgangherata che sembra quasi uno di quegli alberi
scheletrici che dipinge sulle sue tele e... beh, la moto è rock and
roll. Quella piccola porzione di
mondo era così simile alla personalità di Tyla che era impossibile
non notarla: decadente, criptica, zozza, scarna e heartbreaking,
in un certo senso; quella casa, quella staccionata, quella moto ERANO
Tyla. Katherine ripiegò il foglio e se lo rimise nella tasca interna
della giacca mentre imboccava il vialetto che portava all'ingresso di
quella piccola casetta. Quando giunse davanti alla porta, ebbe un
attimo di smarrimento: e se lui avesse dimenticato il mio
viso? Impossibile, era stata la
prima ragazza che lui avesse mai baciato in vita sua. Poi non c'era
mai stato nulla fra di loro, avevano continuato ad essere amici,
eppure in quell'umido pomeriggio di ottobre, quando lui l'aveva
riaccompagnata a casa sua a Notting Hill Gate, dopo aver camminato
per un'ora senza ombrello sotto quella pioggia battente che aveva
inzuppato loro i capelli, sembrava quasi la cosa più giusta da fare
prima di congedarsi. Sull'onda di quel dolce ricordo, la ragazza
picchiò le nocche contro il legno ed attese fiduciosa. Lui non ci
mise molto ad arrivare all'uscio; quando aprì la porta rimase
piacevolmente sorpreso nel ritrovare quella vecchia amica di
quartiere. Gli si illuminarono gli occhi e sorrise: «Kat! Ci hai
messo poco ad arrivare»
«Sei
sorpreso? La periferia di Stoccolma non è così difficile da
girare».
I
due si abbracciarono su quello scalino, mentre il vento gelido che
arrivava dalla Lapponia graffiava loro le guance. Tyla rabbrividì
mentre si staccava dalla sua amica: «Entriamo, sennò rischio di
prendermi un accidente vestito così. Ho appena acceso il camino».
L'uomo la fece accomodare e le fece poggiare la giacca all'ingresso,
poi la invitò con lui in soggiorno. Kat lo seguì, studiando il suo
abbigliamento e i suoi movimenti; nonostante fossero passati più di
vent'anni da quando l'aveva visto l'ultima volta, Tyla era rimasto
sempre lo stesso. Camminava con la stessa andatura decisa, indossava
jeans logori, gilet gessati e maglie un po' vintage; l'unica
differenza con i tempi di Kensington era che aveva tagliato i
capelli. La chioma un po' castana e un po' rossiccia che gli arrivava
fino alle spalle era stata sostituita da un taglio più sobrio e,
soprattutto, nero corvino. La donna si inginocchiò davanti al fuoco
ed allungò le mani infreddolite; Tyla ridacchiò da dietro le sue
spalle: «Cosa ci fai per terra? Ci sono ancora una poltrona e un
divano liberi!».
Lei
gli sorrise di rimando: «Ma solo cinque minuti, fuori fa un freddo
cane»
«Allora
vado a prepararti un tè caldo».
Kat
rimase sola; si sedette per terra con le spalle al fuoco ed osservò
la stanza. Sembrava di essere in uno chalet: le pareti erano in
legno, ricoperte di tele e disegni fatti dal proprietario di casa, e
il tappeto, il divano e le due poltrone erano ricoperte di un
fantastico tessuto cremisi. Sul tavolino al centro della stanza Tyla
aveva appoggiato la sua chitarra acustica e una pila disordinata di
fogli: sicuramente stava componendo qualcosa. Kat
si avvicinò incuriosita per tentare di leggere qualche parola, ma la
voce di lui la richiamò: «Ehi! Non si sbircia fra le mie cose».
Di
tutta risposta lei gli fece la linguaccia: «Ma fammi il piacere! Hai
pubblicato dischi e libri e non vuoi che io, che ti conosco da un
sacco di tempo, legga quello che scrivi?»
«Non
voglio che tu sbirci fra le mie cose quando ancora sono in fase di
stesura» Tyla si affrettò a darle il tè e nascose il plico di
fogli in un cassetto del mobile di fianco al camino.
Kat
bevve un sorso, sentendo il liquido caldo scaldarle il corpo, poi lo
guardò negli occhi castani: «Allora, come si sta in Svezia?».
Tyla
sorrise e fece spallucce: «Non è niente male come posto.
Organizzatissimi, puntuali, precisi; veramente nulla da dire.
Però...»
«Però
ti manca Londra».
L'uomo
abbassò lo sguardo: «Soprattutto Kensington. Ci ho lasciato il
cuore, era il mio quartiere»
«Già»
Kat annuì guardando il suo riflesso nel liquido ambrato «sai, anche
io ho lasciato Kensington»
«Ho
visto che due lettere fa mi hai detto che avresti cambiato indirizzo.
Ora dove abiti?» Tyla fece il giro del tavolo per sistemare la
chitarra nel suo sostegno, di fianco al camino.
«Sono
in zona Oxford Circus, vivo con un'amica».
L'uomo
aggrottò le sopracciglia, curioso: «Ma... scusa se mi permetto,
abitare a quest'età in casa con un'amica non è un po' da zitella?».
Kat
allargò gli occhi a dismisura e gli tirò una cuscinata: «Zitella
un tubo!»
«Dai
che scherzo!» Tyla le restituì il colpo «Che è successo allora?
Sei entrata a far parte della cerchia delle divorziate?»
«Indovinato»
lei fece spallucce e bevve un altro sorso di tè. Per un momento Tyla
si sentì in colpa; sapeva che non era mai piacevole toccare
argomenti del genere. Lui stesso non parlava mai volentieri del suo
matrimonio fallito con Bess; era iniziato in pompa magna ed era
terminato con lui in pronto soccorso che si faceva suturare
il petto con trenta punti dopo esserselo tagliato con una
bottiglia rotta. Guardò Kat ritraendo lentamente il capo,
aspettandosi da un momento all'altro una sua esplosione emotiva;
invece, contrariamente alle sue aspettative, lei gli raccontò
tranquillamente com'era andata: «Te lo ricordi Jack? Quello che
avevo conosciuto in università».
Tyla
alzò gli occhi al soffitto: «Chi? Quello che assomigliava al
principe Carlo?»
«Lui»
a Kat scappò una risatina «siamo stati fidanzati per cinque anni»
«Ricordo
vagamente qualcosa. Poi io ho cambiato giro di amici e ci siamo un
po' persi di vista»
«Vero,
però ci siamo sempre tenuti in contatto» Kat gli fece l'occhiolino
«Quando poi ci siamo sposati nel 1988, tu non eri potuto venire
perchè eri in tour con i Dogs D'Amour. Beh, ad ogni modo, la nostra
storia da sposi è durata per otto anni».
Tyla
osservò Kat poggiare la tazza vuota sul tavolo e fare un respiro
profondo; cercò di guardarla dritta negli occhi, pronto a trovare
anche solo una piccola lacrima che premeva contro le sue ciglia per
scorrerle lungo la guancia. Cercò di sollecitarla: «Poi cos'è
successo?»
«Nulla,
a dire la verità» la donna poggiò la testa contro lo schienale del
divano «un giorno, guardandolo mentre tagliava l'erba del giardino
sul retro, mi sono resa conto che non lo amavo più. Non mi aveva
tradita, non mi aveva fatto del male; Jack è sempre stato
estremamente corretto nei miei confronti. Eppure qualcosa in me era
cambiato; gli voglio bene, gliene voglio ancora. Ma non voglio più
farci l'amore». Tyla annuì in silenzio. Kat continuò: «Quando
gliel'ho detto, lui è rimasto inizialmente spaesato; poi mi ha preso
la mano e mi ha confidato che anch'egli era nella mia stessa
situazione. Tutto sommato è stato un divorzio pacifico; ci parliamo
ancora»
«Nella
sfiga sei stata fortunata» scherzò l'uomo
«E
tu invece?» Kat lo punzecchiò con l'indice «Anche tu, ad un certo
punto, ti sei sposato».
La
stomaco di Tyla diventò piccolo come un granello di sabbia; il solo
ricordare Bess gli dava una schifosa sensazione di nausea: «Cazzata
più grande non potevo fare».
Kat
si mordicchiò il labbro; non voleva metterlo in difficoltà. Si
guardò nervosamente intorno, cercando un particolare su cui poter
dirottare l'attenzione dell'amico; dopo aver passato velocemente in
rassegna le pareti della stanza, sentì un piccolo tuffo al cuore
quando, nel guardargli le mani callose da chitarrista, notò che
portava ancora quell'anello: «Ehi! Ma quella è la fedina d'argento
con le rune che ti avevo regalato io».
L'uomo
si guardò la mano sinistra e sorrise: «Mai tolta in vita mia. Mi
porta fortuna, sai?»
«Era
stato il mio regalo per i tuoi diciotto anni» Kat gli prese la mano
e gli sfilò il gioiello per guardarlo più da vicino. Thorn,
winn, mann, feoh; ancora si ricordava la sequenza dei caratteri.
Un senso di felicità le colmò la mente; nonostante lei e Tyla non
si fossero visti per circa vent'anni, lui non si era mai dimenticato
della sua amica. «Devi solo pulirla un po', si è leggermente
annerita».
L'uomo
ridacchiò scuotendo il capo: «Queste erano tutte quelle robe strane
che trovavi solo tu a Camden»
«Cavolo,
Camden Town! Quanto tempo è che non vado più lì» Kat si passò le
mani fra i capelli biondi sorridendo euforica «Mi ricordo che ci
spendevo tutte le mance che mi davano i miei. Dischi, libri strani,
anelli, orecchini...»
«Ci
andavamo sempre insieme, ti ricordi? Sempre il primo sabato di ogni
mese» Tyla si avvicinò leggermente a lei, con la mente che tornava
indietro a quel periodo fra gli anni settanta e gli anni ottanta,
quando ancora lui e Katherine erano parte dello stesso gruppo di
amici a Kensington. Erano i più scapestrati di tutto il quartiere;
nonostante fossero tutti benestanti, adoravano vestirsi con abiti
estrosi e particolari. Erano un po' tutti artisti, lui in primis; era
il rocker semialcolizzato che sapeva suonare chitarra e basso e
scrivere delle poesie meravigliose. Anche Katherine scriveva, ma lei
si dedicava alle storie in prosa.
«A
proposito, ti ricordi di quella giacca fighissima che avevi
comprato?» la donna battè velocemente le mani fra loro, quasi
volesse spronare l'amico a richiamare alla memoria quell'indumento
bizzarro.
«Quella
che tu mi avevi costretto a comprare» precisò Tyla «dev'essere da
qualche parte, non ho avuto il coraggio di buttarla via. Ci ho fatto
un sacco di concerti durante il tour di “In The Dynamite Jet
Saloon”». L'uomo chiuse per un istante gli occhi, sentendo
un'accozzaglia di emozioni iniziare a stringergli le viscere; quella
giacca l'aveva comprata con Kat proprio quel sabato di ottobre. Il
primo sabato di ottobre del 1980.
*
* *
Kat
uscì di casa in tutta fretta, salutando a gran voce la madre; balzò
giù dall'ultimo scalino e respirò l'aria a pieni polmoni guardando
il cielo. Era insolitamente soleggiato e c'era una temperatura
gradevole. Niente male per essere il primo sabato di ottobre.
Controllò di aver preso sufficienti soldi con sé e poi si diresse
spedita verso la stazione di Notting Hill Gate, dove si era data
appuntamento con Tyla e gli altri amici per l'una e mezza spaccata.
La sedicenne saltellava contenta sul marciapiede, non vedeva l'ora di
comprarsi il vinile di “British Steel”; era da aprile che lo
desiderava, ma ancora non era riuscita ad averlo. Scese a tutta
velocità le scale della tube, canticchiando fra sé una canzone, ed
arrivò con il fiatone al binario della Central Line, destinazione
Ongar. Non c'è nessuno. Guardò l'orologio sopra una
panchina; segnava l'una e trentacinque: in ritardo come al solito,
ho corso per niente. Abbassò lo sguardo per dare un calcio ad un
foglio del Times, quando si sentì chiamare per nome; si voltò di
scatto e vide arrivare di corsa tutti i suoi amici, Tyla in testa.
«Alla buon ora!»
«C'è
stato un problemino sulla District, abbiamo perso un po' di tempo»
si scusò il ragazzo sistemandosi la bandana violacea
«Non
dire cazzate Timothy! Dovete fare una fermata sola per venire qui;
dimmi piuttosto che avete dovuto aspettare Anne perchè non trovava
il biglietto»
«Oh,
non mi chiamare Timothy che mi dà fastidio» Tyla, piuttosto
indispettito, le tirò un pizzicotto «e comunque abbiamo fatto tardi
perchè ho sentito Spike al telefono prima e mi ha detto che si fa
trovare direttamente a Camden».
Kat
gli fece la linguaccia e lo spinse sul treno che stava arrivando: «E
allora muoviamoci, che abbiamo perso già abbastanza tempo».
Dopo
mezz'ora di metropolitana la combriccola stava salendo le scale della
stazione di Camden Town in tutta fretta, ansiosa di fare il giro del
mercato degli alternativi; Tyla, il più grande ed il più esperto
della compagnia, camminava davanti a tutti, seguito da Kat che
chiacchierava con l'amica Anne e altri tre ragazzi. Il giovane si
bloccò per un secondo, poi scorse l'amico Spike appoggiato ad un
palo che fumava tranquillo; lo chiamò per nome ed agitò la mano per
salutarlo. «Ehi!» Spike gettò via la sigaretta e si avvinò al
gruppo, seguito dallo svolazzare della sua bandana blu e dai polsini
rivoltati della camicia bianca.
Kat
strabuzzò gli occhi nel vedere quel ragazzo; si mise dietro Tyla e
gli sussurrò all'orecchio: «Dio, ma siete uguali!».
Il
ragazzo la fissò con gli occhi fuori dalle orbite: «Ma che cazzo
stai dicendo? Lui ha i capelli quasi neri e gli occhi blu e io sono
castano con gli occhi scuri».
La
ragazza alzò lo sguardo al cielo, guardando una nuvoletta bianca
passare sotto il sole: «Intendevo, siete uguali nello stile! Vi
vestite allo stesso modo»
«E
allora di' “Avete gli stessi gusti”» Tyla fece un passo in
avanti ed abbracciò Spike dandogli una pacca sulla spalla. Kat li
osservò incuriosita: entrambi portavano la bandana, una giacca
gessata nera con delle catene fini, pantaloni neri e stivali texani.
In mezzo ai punk che popolavano quella zona della città, sembravano
due esseri umani a metà fra un pirata e un cowboy. Pittoreschi
davvero. Tyla presentò Spike al gruppo: aveva diciannove anni
come lui e veniva da Newcastle, ma al momento era a Londra a trovare
un cugino.
«E,
giustamente, non si va via da questa città senza aver visto Camden
Town» Kat gli si avvicinò per stringergli la mano; già a pelle le
stava simpatico. «Possiamo farti strada io e Tyla, ti portiamo a
vedere i posti migliori».
Spike
le sorrise ed i ragazzi si diressero lungo la A502, verso l'ingresso
del mercato. Inizialmente si spostarono in gruppo, ma dopo poco Anne
e gli altri decisero di entrare in un negozietto che vendeva abiti
cyber e futuristici, staccandosi da Kat, Tyla e Spike che
proseguirono dritti verso il negozio di dischi, dove finalmente la
ragazza riuscì a comprarsi il vinile che tanto desiderava. Kat si
rigirò estasiata fra le mani la custodia dove campeggiava una mano
che stringeva una lametta con inciso sopra “Judas Priest”:
«Finalmente!».
Spike
le mise una mano sulla spalla e si fece passare il disco; lo studiò
scettico, inspirando boccate profonde dalla sua sigaretta, poi si
avvicinò a Tyla, indicandogli con la testa la ragazza: «Ma che
musica fai ascoltare alle tue amiche?».
Il
ragazzo scosse sconsolato il capo: «Io le ho detto di cambiare
gusti, ma quella non mi ascolta»
«Ehi!»
Kat si allungò verso Spike per riprendersi il disco, ma lui lo passò
prontamente all'amico; la ragazza fissò Tyla negli occhi:
«Ridammelo».
Il
chitarrista fece una risatina, poi iniziò a correre trascinandosi
dietro Spike: «Ok, vieni a prenderlo!»
«Timothy,
stronzo, restituiscimelo! Il mio disco nuovo!».
Fortunatamente
i due non riuscirono ad andare lontano; sia Tyla che Spike non erano
dei grandi atleti, bevevano alcol e fumavano a sufficienza per avere
il fiato mozzato dopo soli duecento metri. Non fu un problema per
Katherine riagganciarli e strappar loro di mano il vinile: «Se avete
qualcosa da ridire sui Priest, vi conviene smettere di fumare e bere,
almeno potete scappare un po' più lontano senza che io riesca a
prendervi».
Tyla
e Spike, aggrappati ad un palo della luce come se stessero stringendo
la loro ancora di salvezza, cercarono di biascicare qualcosa, ma il
fiato troppo corto impedì loro di parlare.
«Vi
conviene non replicare; anzi» il tono di voce della ragazza si fece
più cupo «ora per punizione fate quello che dico io» e senza
lasciar loro la possibilità di ribellarsi, li prese entrambi sotto
braccio e li trascinò nel vicino negozio di abbigliamento.
«No,
ti prego, non ce la posso fare Katherine» la supplicò Tyla appena
varcata la soglia «i vestiti no»
«Zitto.
Ora sia tu che Spike diventerete le mie bamboline» la ragazza si
voltò verso l'angolo più nascosto del negozio «La vedete quella
giacca?».
Su
un manichino era poggiata una splendida giacca in tessuto pesante
indaco con decorazioni floreali, lunga fino alle ginocchia, con tutti
i polsi ricamati e i bottoni doppi dorati; entrambi i ragazzi
spalancarono la bocca: «Che figata»
«Ci
avrei scommesso che vi sarebbe piaciuta».
In
quel momento sopraggiunse la commessa: «E' l'ultima che mi è
rimasta»
«Allora
la cosa si fa più interessante» Kat guardò Spike e Tyla negli
occhi «la provate tutti e due. Quello che sta meglio con addosso la
giacca se la compra»
«Ok
ma...» i due si chinarono per prendere il cartellino che penzolava
da una manica «NON VORRAI MICA FARCI SPENDERE CINQUANTA STERLINE!».
Kat
fece l'indifferente: «Dopo quello che avete combinato, è il minimo»
«Ma
così mi secco tutti i miei risparmi di una settimana in cinque
minuti!».
Tyla
cercò di smuovere la ragazza dalle sue idee, ma Kat non gli diede
minimamente ascolto: «Non è detto che debba comprarla tu, testone;
nel caso toccasse a te, troverai il modo per pagarla» e mentre
diceva quelle parole, gli porse l'indumento. Tyla studiò la giacca
per qualche secondo; la trovava fantastica, anche se non aveva
nessuna intenzione di acquistarla. Si guardò allo specchio e se la
infilò; gli stava divinamente: quell'indaco contrastava brutalmente
con il colore dei suoi capelli e le maniche erano della lunghezza
giusta.
«Uau»
si guardò dietro, controllando il tessuto «arriva appena sopra le
ginocchia. Manca un jolly roger ed è perfetta»
«Sì,
ma non innamorartene troppo» Kat gli arrivò alle spalle,
abbassandogli il vestito «adesso se la prova Spike»
«Ah,
guarda, per me può innamorarsene quanto vuole».
Spike
cercò di correre ai ripari, ma Tyla gli lanciò addosso la giacca:
«Zitto. Fa' vedere come ti sta».
Il
moro entrò nell'indumento, ma fu chiaro fin da subito che qualcosa
non andava; Spike si guardò allo specchio, arricciando le labbra:
«Non mi si vedono le mani. È gigante».
Kat
ridacchiò e si sfregò le mani soddisfatta, mentre Tyla si prendeva
il viso fra i palmi: «Ti tocca».
Il
ragazzo pronunciò qualcosa di incomprensibile mentre Spike gli
restituiva la giacca: «Dai loser, quanti soldi hai con te?»
«Cinquantacinque
sterline» lo disse parecchio dispiaciuto
«E
hai già in mano il biglietto di ritorno della metro» Kat lo
spintonò dolcemente verso la cassa «non fare lo spilorcio, Tyla».
Il
ragazzo pagò con una smorfia dipinta in viso ed uscì accompagnato
da uno Spike giulivo, perchè aveva evitato un acquisto troppo caro
per le sue tasche, e una Kat contenta, dato che la sua “vendetta”
era andata a buon fine. Ma, come ritornarono sulla via principale, un
tuono fece alzar loro la testa; nel giro di poco meno di un paio
d'ore il sole era stato coperto da uno spesso strato di nuvole
plumbee. «Ragazzi, qui va a piovere» Tyla scrutava il cielo,
cercando invano uno squarcio azzurro.
«Se
non ci spicciamo, la prendiamo tutta» Spike mise le mani sulle
spalle dei due per spingerli verso la metropolitana, ma Kat non fece
un passo: «E gli altri?»
«Gli
altri si arrangiano» Tyla la prese per il polso «sono grandi
abbastanza». Mentre scendevano le scale della tube, Spike disse loro
che sarebbe sceso a King's Cross St. Pancras, poiché avrebbe
trascorso la serata con suo cugino; Kat e Tyla si offrirono per
accompagnarlo e lo salutarono vedendolo sparire fra la folla mentre
saliva le scale.
«Forte
quel tuo amico» la ragazza si voltò, scrutando il viso di Tyla.
Il
ragazzo le sorrise: «Ci assomigliamo molto, per quello che è forte»
«Autostima
a mille, eh?».
Tyla
le diede un buffetto: «Ascolta, mi accompagneresti a Hyde Park
Corner prima di tornare a casa?».
Kat
corrugò la fronte: «Sta per piovere. Cosa devi fare?».
Il
ragazzo la prese per il polso e la trascinò sul primo treno della
Piccadilly Line in direzione Heathrow: «Devo passare in libreria,
ieri mi è arrivato il libro di Bukowski che avevo chiesto»
«Ma
è proprio necessario andarci oggi?» Kat cercò di opporre
resistenza, ma Tyla era più forte di lei e non ebbe problemi a
caricarla sulla metro.
«Sì,
perchè il proprietario è uno stronzo e, se non glielo compro entro
stasera, ha il coraggio di venderlo alla prima persona che gli entra
in negozio, così sono costretto a riordinarlo e ad aspettare ancora
una settimana».
Kat
fece spallucce: «Capirai che disastro».
«Lo
è»Tyla scosse il capo e si portò la mano al petto «Bukowski è
come un arpione che ti trapassa il cuore da una parte all'altra. Io
ho bisogno di queste sensazioni».
Kat
lo fissò stranita: Tyla era davvero un bravo ragazzo, anche se a
volte era difficile rimanere sulla sua lunghezza d'onda. Quando
cominciava a parlare dei suoi poeti o del mondo che lo circondava,
diventava davvero difficile stargli dietro. Non appena salirono le
scale della stazione di Hyde Park Corner, Tyla le indicò la libreria
all'angolo della strada: un negozio minuscolo, buio, con una sola
vetrina posta sotto un balcone. La ragazza ebbe un attimo
d'incertezza: «Che posto spaventoso».
Tyla
la guardò stranito, poi scoppiò in una fragorosa risata: «Allora
aspetta di vedere lui, un vecchiaccio antipatico e burbero che puzza
di muffa».
Kat
rabbrividì: «Bene. Vorrà dire che ti aspetterò fuori, qui, sotto
il balcone».
Il
ragazzo rise ancora più forte e la prese in giro chiamandola
“fifona” mentre apriva la porta del negozietto. Di tutta
risposta, Kat gli alzò il dito medio da dietro il vetro con
l'intenzione di farlo arrabbiare: zitto, scemo. Dal canto suo,
Tyla le fece l'occhiolino e sparì dietro una montagna di volumi
polverosi. La ragazza ridacchiò fra sé – sì, è proprio scemo
– e si appoggiò a lato della vetrina ed iniziò a fissare il
cielo; più si sforzava di scorgere una pennellata d'azzurro, più la
pioggia aumentava d'intensità. Si voltò leggermente e scorse
l'amico che sfogliava esaltato il libro che il vecchio gli aveva
procurato; chissà se, il giorno che io pubblicherò un mio
romanzo, farà la stessa faccia quando glielo regalerò. Proprio
mentre cercava di immaginarsi un Tyla trentenne con indosso la giacca
che gli aveva fatto acquistare quel pomeriggio, un tuono le fece
drizzare i capelli sulla nuca; stava arrivando un bel temporale e
loro non avevano nemmeno un ombrello. Sbuffò, soffiandosi la frangia
verso l'alto, mentre le auto si allineavano disciplinate al semaforo
rosso: ma quanto ci vuole per comprare un libro? Non fece in
tempo a terminare la frase che un fulmine squarciò il cielo sopra il
parco e la pioggia si fece scrosciante; cazzo. Nervosa, aprì
la porta del negozio: «Tyla, muoviti che piove a catinelle!»
«Sto
pagando» cercò di scusarsi lui, ma la ragazza lo assalì:
«Paga
più in fretta!».
Tyla
snocciolò sul bancone quel poco che gli era rimasto in tasca e si
affrettò verso l'uscita; quando varcò la soglia, rimase a bocca
aperta: «Cacchio, viene giù secca».
Un
altro fulmine, ancora più vicino del precedente, li fece sobbalzare;
Kat deglutì rumorosamente e fece un passo verso il ragazzo: «Andiamo
a casa, per favore»
«Siamo
anche senza ombrello, sbrighiamoci».
I
due corsero a perdifiato verso il lato opposto della strada e scesero
le scale rischiando di scivolare diverse volte ed investire le
persone davanti a loro; proprio nel momento in cui stavano per
svoltare l'angolo per imboccare le scale che portavano al binario, un
funzionario della TFL bloccò loro il passaggio: «Mi spiace ragazzi,
ma al momento non ci sono treni. Ci sono stati dei problemi in altre
stazioni dove è saltata la corrente».
Kat
guardò l'orologio: le cinque meno un quarto... per le sei devo
essere assolutamente a casa, sennò mia mamma mi strozza: «Quindi?»
«Dovrà
prendere l'autobus, signorina».
La
cosa non la entusiasmava; sul bus tutti avrebbero avuto degli
ombrelli e il suo vinile di “British Steel” ne sarebbe uscito
alquanto inzaccherato. Tyla le fece segno con il capo: «Torniamo su,
il primo autobus che arriva si prende»
«Aspetta
un secondo» Kat rovistò nelle proprie tasche e tirò fuori una
sterlina «questo è tutto quello che ho».
Il
ragazzo si mordicchiò il labbro; non aveva messo in conto che
avrebbe avuto bisogno di soldi per una corsa extra. Gli erano rimasti
solo cinquanta pence, non erano nemmeno sufficienti per un pacchetto
di caramelle. Tyla sospirò e guardò le scale affollate: «Dobbiamo
farcela a piedi»
«Stai
scherzando!» Kat strinse a sé il disco «Io e “British Steel”
non possiamo rientrare a casa zuppi»
«Non
fare la bambina, non c'è alternativa».
Kat
iniziò a piagnucolare: «Ma non possiamo aspettare qui sotto che
rimettano in funzione la metro?».
Tyla
alzò gli occhi al cielo; quando la sua amica si intestardiva, era in
grado di far scappare la pazienza anche ad un santo: «La cosa si sta
facendo lunga e, dato che tu alle sei deve essere a casa, ci conviene
muovere il culo e andare a piedi».
Fece
per afferrarle il polso ma lei si ritrasse: «No. Io il mio disco
nuovo non lo bagno».
Tyla,
arrabbiato, fece cadere la propria borsa a terra e le tolse di mano
l'album: «Lo avvolgo nella giacca che mi hai fatto comprare, così
non si rovina» poi l'afferrò nuovamente per il polso e la trascinò
su in strada, dove infuriava il temporale.
Come
Kat sentì i primi goccioloni insinuarsi fra i suoi capelli, iniziò
a dare sfogo alla propria rabbia: «È tutta colpa tua, cazzo! Tutta
colpa tua, Tyla!».
Intanto
lui si guardava intorno: «La via più veloce è quella che
attraversa Hyde Park»
«Se
tu non ti fossi ricordato del tuo libro, a quest'ora potevamo già
essere a casa, con un tetto sulla testa e senza il bisogno di
comprare un biglietto in più»
«Fidati,
non sarebbe cambiato niente» le rispose lui con indifferenza mentre
la trainava all'interno del parco.
«E,
come se non bastasse, mi fai perfino passare per Hyde Park! In mezzo
a tutti questi cazzo di alberi che fanno ancora più umidità».
Tyla
le lasciò il polso in malo modo: «Senti, se non vuoi che ti aiuti
basta dirlo! Altrimenti vienimi dietro e smetti di lamentarti».
Kat
rimase sbalordita dalla sua reazione; non aveva mai visto Tyla
arrabbiato. O meglio, lui non si era mai arrabbiato così con lei.
Avevano bisticciato innumerevoli volte, ma mai lui l'aveva lasciata
sola, dietro le sue spalle. Lo guardava camminare, lentamente, sotto
quelle gocciolone fitte che cadevano inesorabilmente dal cielo e si
mescolavano ai suoi capelli. Si allontanava da lei, con la chioma che
sempre più gli si appiccicava alla testa e lo sguardo rivolto dalla
parte opposta del parco; adesso si gira e mi dice: scema, stavo
scherzando. Ma Tyla proseguì nel suo cammino, senza voltarsi
minimamente. Kat si portò la mano alla bocca, sentendo un forte
senso di smarrimento che si faceva largo dentro di lei; le sembrava
di essere tornata bambina, quando faceva i capricci con i suoi
genitori mentre era ai grandi magazzini Harrods e loro, per ripicca,
la lasciavano indietro. Si sentì infinitamente in colpa: ho
esagerato. Iniziò di soppiatto a muovere i primi passi verso
l'amico, stando attenta a non finire nelle pozzanghere e a non
muovere sassolini o ramoscelli; voleva andare silenziosamente verso
di lui, mettergli la mano sulla spalla e scusarsi. Camminava con il
capo chino sia per il senso di colpa, sia per evitare qualsiasi cosa
che potesse fargli capire che lei si stava avvicinando; desiderava
che il suo “scusa” fosse una piacevole sorpresa.
Ma
sarebbe bastato dirgli “scusa”? Non ci sarebbe voluta qualche
parola in più? O magari era meglio uno sguardo profondamente
contrito invece che inutili sillabe sparse nel vento? Non fece in
tempo a darsi una risposta perchè un forte dolore alla testa la fece
retrocedere di qualche passo ed, infine, cadere a terra.
Tyla
si voltò di scatto: «Kat, ma cosa fai?»
«Maledizione»
la ragazza si premeva la mano sulla fronte «che botta»
«Ma
non hai visto che mi ero fermato?». La ragazza scosse il capo
continuando a tenerselo fra le mani. Tyla sospirò e si chinò,
porgendole la mano: «Dai, vieni su».
Kat
si fece alzare senza opporre resistenza; quando ritornò al livello
del ragazzo, lo guardò negli occhi castani, avvertendo un senso di
pesantezza al centro del petto: «Tyla, io...»
«Cosa?».
La
ragazza sospirò, cercando di levarsi quell'incudine dall'animo:
«Scusami. Sono stata una stronza. Non dovevo comportarmi così
e...».
Non
riuscì a terminare la frase perchè Tyla la strinse con dolcezza a
sé, inaspettatamente: «Non fa niente, tranquilla».
Kat
rimase con il fiato sospeso per qualche secondo, non sapendo che fare
di preciso; l'unica cosa che le era chiara, era che non avrebbe
potuto rimanere in apnea a lungo, così fece un respiro profondo. Un
profumo di uomo misto a tabacco le si insinuò nella mente, facendola
rilassare; non aveva mai immaginato che Tyla avesse un odore così
gradevole. Le dava un senso di protezione e benessere mai provato
prima. Respirò di nuovo a fondo, questa volta premendo il naso ancor
di più nei suoi vestiti; il ragazzo si accorse dei suoi deboli
movimenti e le accompagnò delicatamente il capo verso il suo collo,
facendole percepire un brivido di piacere lungo la schiena. Con gli
occhi semi chiusi, Kat si allontanò da lui, per guardarlo nuovamente
in viso: «Mi dispiace per come ti ho trattato».
Il
ragazzo le sorrise e fece spallucce: «Non importa. Succede» poi la
prese per mano «Adesso però andiamo, ci stiamo bagnando mica male».
Kat
annuì e lo seguì per la strada principale di Hyde Park, con le dita
legate alle sue. Guardò le falangi intrecciate fra di loro, provando
una sensazione molto simile a quella che aveva sentito pochi istanti
prima mentre lo annusava; non aveva mai pensato che un odore avrebbe
potuto farle un effetto del genere. Soprattutto l'odore di Tyla, il
suo amico da una vita. Ed il fatto che lui l'avesse presa per mano la
scombussolava non poco; più osservava le loro mani, più si sentiva
il fiato corto. Fece per sfilare l'indice dalla sua presa, ma, a
sorpresa, lui la legò ancor di più a sé. È come se non volesse
che me ne vada, o che rimanga indietro. Si stava dimostrando
premuroso e dolce; ma non in senso fraterno, come, ai suoi occhi,
aveva fatto fino a pochi istanti prima. Era diverso, con lei non era
mai stato così. E un po' le faceva paura. Forse era per quel motivo
che aveva iniziato a sentire il proprio cuore pompare in modo più
frenetico. Devo distrarmi, non devo pensare alle mani... non devo
pensare alle mani. Alzò gli occhi dalla loro presa e notò che
lui la stava fissando; arrossì violentemente, come se fosse stata
colta con le mani nel sacco a rubare il cioccolato dalla dispensa.
«Che
colore strano che hai» Tyla voleva capire cosa le stava balenando
nel cervello, ma lei non gliene diede l'opportunità.
Alzò
gli occhi al cielo, sentendo la pioggia bagnarle gli zigomi: «Si può
sapere perchè prima ti sei fermato nel bel mezzo della via?».
Il
ragazzo smise di camminare e le lasciò la mano, mettendosi di fronte
a lei: «Davvero lo vuoi sapere?»
«Non
so; è una cazzata delle tue? Una delle tue riflessioni da poeta
romantico?».
Tyla
ridacchiò: «Può darsi»; le mise le mani sulle spalle e la fissò
negli occhi azzurri: «Ora chiudi le palpebre». Kat non se lo fece
ripetere due volte; chiuse gli occhi e si immerse nella dimensione
della realtà dell'amico. La voce di Tyla le sfiorava le orecchie in
modo dolce: «Senti? La pioggia è musica». Stette per un attimo in
silenzio, per farle assaporare quella fragorosa melodia, poi riprese:
«Hai mai provato a svegliarti presto la mattina? Circondato dal buio
della tua stanza, chiudi gli occhi ancora intorpiditi dal sonno e
ascolti questo ritmico picchiettare sul vetro nascosto dalle tende
pesanti. Quasi trattieni il respiro per non perdere nemmeno una nota.
È una delle musiche più belle al mondo. Come il fuoco che brucia il
legno. O il vento che sibila fra le foglie. O il battito del tuo
cuore. Quella è vera musica».
La
ragazza aprì una palpebra e fissò l'amico; anche lui aveva chiuso
gli occhi e aveva il viso rivolto al cielo scuro. Sembrava che stesse
facendo la doccia in quella pioggia torrenziale. Per un momento le
venne da ridere, sembrava incredibilmente buffo e pazzo; ma già un
istante più tardi, aveva realizzato quanto potesse avere ragione.
Lui, musicista e poeta, che aveva visto infinite volte seduto davanti
ad un fuoco con una chitarra in grembo a tentare di scrivere testi
contorti, era in grado di cogliere l'essenza delle cose. Chissà,
forse era proprio lo scoppiettare dei tizzoni ardenti a suggerirgli
cosa comporre. «Tyla?».
Sentendosi
chiamare per nome, il ragazzo ritornò alla realtà. Kat gli studiò
il viso: non si poteva dire che fosse bello, anzi, Tyla non faceva
certo colpo per il suo aspetto esteriore; il suo corpo non era
malvagio, ma era la faccia che non era un granchè armoniosa. Eppure,
dietro quegli occhi castani, si nascondeva un mondo particolare ed
affascinante e lei aveva appena avuto l'opportunità di sfiorarlo con
la punta delle dita. Di nuovo un brivido, di nuovo il cuore che le
batteva un po' più veloce. Tyla le fece l'occhiolino: «Sì, hai
ragione, ora andiamo»
«Ormai
abbiamo i capelli talmente bagnati che possiamo metterci sotto un
albero e farci lo shampoo» lei fece due passi in avanti e, subito,
lui le riprese la mano.
Camminarono
per qualche metro in silenzio, poi lui, dal nulla, si scusò: «Kat,
non volevo turbarti».
Lei
corrugò le sopracciglia: «Riguardo cosa?»
«I
miei discorsi strani. Sai, di solito riesco ad esternare pensieri del
genere solo dopo la terza bottiglia di birra. E vengo preso sempre
per il culo, mi chiamano Schopenhauer o cose simili».
La
ragazza sorrise; per quanto desse l'impressione di essere imbecille e
superficiale dall'esterno, il suo amico nascondeva in sé una
sensibilità fuori dal comune: «Sai perchè? Non si aspettano che un
assiduo frequentatore di pub possa articolare pensieri complicati
come quelli».
Tyla
cercò di mettere le cose in chiaro: «Ma non è la sbronza che mi fa
parlare così»
«Lo
so» Kat gli strinse un po' di più la mano «per questo è molto
piacevole sentirli. Significa che sono veri».
Continuarono
la loro strada verso casa attraverso il parco, chiacchierando di
quanto fosse affascinante Londra sotto la pioggia; quella stessa
pioggia che aveva reso i loro capelli crespi e appiccicosi e stava
lavando loro il viso. Dopo quasi un'ora, Tyla accompagnò l'amica
sugli scalini di casa e le porse il suo disco: «Visto? Non ha
nemmeno preso una goccia».
Lei
annuì e lo poggiò alla porta d'ingresso del condominio: «Grazie»
«E
di cosa?».
Già,
grazie di cosa? Di tutto e niente. Nemmeno lei lo sapeva.
L'unica cosa che realizzava chiaramente in quel momento era una
sensazione mai provata prima. Non era in grado di parlare e di
articolare pensieri. Solo il fatto che Tyla era lì, davati a lei, a
pochi centimetri, la mandava in tilt; lui con il suo profumo, i suoi
vestiti estrosi, il suo viso strano e la sua mente fantasticamente
contorta. In silenzio fece un passo verso di lui e si alzò in punta
di piedi per dargli un timido bacio sulla guancia. Rimasero immobili
per qualche secondo, a fissarsi negli occhi, con la pioggia che
accarezzava i loro profili.
Tyla
rimase spiazzato da quel contatto; sì, Kat l'aveva già baciato
sulle guance infinite volte nei dieci anni e più che si conoscevano.
Ma mai con quella delicatezza; sembrava quasi che l'avesse sfiorato
con dei petali di rosa. Deglutì a fatica e trattenne il fiato. Si
sentiva tremare. Era come se avesse la febbre alta: aveva i muscoli
rigidi ed il cuore che cercava in tutti i modi di balzargli fuori dal
petto; eppure si sentiva bene. Se ne avesse avuto la possibilità,
avrebbe fermato il tempo in quell'istante preciso, per continuare a
percepire quel groviglio di emozioni così forti. Si avvicinò alla
ragazza, mentre la sua mente pensava “Ti prego, stai qui ancora un
po'” e le accarezzò lo zigomo.
I'll
love ya till you're... gone
Kat
arrossì e scostò leggermente il viso: «Salgo. Sono quasi in
ritardo»
«Aspetta»
Tyla lo sospirò vicino al suo orecchio, prendendole la mano e
cominciando a giocare con le sue dita. Poi se le portò alle labbra,
sfiorandole tutte, una dopo l'altra. «Domani sera ti va di vederci?
Solo io, te e una birra».
Kat
annuì in silenzio, avvicinando la propria fronte al viso di lui.
Tyla
le sorrise, giocando con il suo naso: «Ho ancora tante cose da
raccontarti sulla pioggia». Respirò a fondo il dolce profumo della
sua pelle, poi si chinò sulle sue labbra.
How
come it never rains
La
baciò piano e delicatamente, assaporando ogni secondo, sentendola
sempre più vicina al proprio corpo.
It
only pours
Lo
stava cercando; stava cercando il contatto con lui. L'abbracciò
ancor più stretta, rendendo il proprio bacio più sensuale,
allacciandola al proprio petto, dove il cuore gli aveva letteralmente
preso fuoco.
They
fell into each other's eyes, is this the right thing for sure?
Kat
fu la prima a riaprire gli occhi; si sentiva scombussolata ma felice.
Guardò Tyla; sembrava quasi che splendesse. «Ci conto... a domani
allora»
«Ti
chiamo io» la salutò lui sottovoce mentre scendeva le scale.
«E
poi non ci siamo mai più rivisti soli» Tyla giocherellava con il
bicchiere ormai vuoto
«Già»
Kat si alzò dal divano, allungando le braccia «sembrava che ci
fossero i presupposti per una gran storia d'amore e invece niente!».
Rise guardando l'amico che, al contrario, era rimasto serio e
concentrato sul suo viso. Oh... c'era qualcosa che non andava;
era roba vecchia quella, di quasi vent'anni. Doveva essere stata
sepolta nei meandri della sua mente chissà per quanto tempo; roba
per cui non si porta rancore. Roba da adolescenti londinesi alla
scoperta del mondo e della vita. E invece, Tyla non ci trovava nulla
da ridere. «Qualcosa non va?».
L'uomo
ebbe un sussulto, come se fosse improvvisamente caduto dalle nuvole:
«Che?»
«Ma
mi stai ascoltando?».
Lui
non le rispose e le parlò sopra: «Comunque sia, quanto pensi di
fermarti?»
«Beh»
Kat si portò un dito alle labbra «una settimana è ok per te? Anche
perchè poi ho in programma dieci giorni alle Baleari con un'amica»
«Ibiza?»
Tyla scosse il capo «Vacanza da single a tutti gli effetti»
«No,
scemo» Kat gli tirò un'altra cuscinata «Formentera. Non ho più
vent'anni».
L'uomo
ridacchiò alzandosi in piedi e sistemando il cuscino: «Allora per
questa settimana ti porto a fare il giro di Stoccolma. Vedrai, è una
città molto interessante».
*
* *
Kat
continuava a rigirarsi nel letto della stanza degli ospiti, fissando
ad intervalli intermittenti il soffitto su cui danzavano ombre
allungate. Era a letto da circa un paio d'ore e, ancora, non era
riuscita a prendere sonno; nel silenzio e nell'immobilità della
stanza, l'unica cosa che scandiva l'avanzare del tempo era il suo
Medici's. Cercò di capire che ore erano, ma non c'era luce
sufficiente per individuare le lancette sul quadrante; sbuffò:
l'unico orologio del negozio senza inserti fluorescenti.
Si sentiva stranamente inquieta; a dire la verità, è da
dopo che abbiamo ripescato quel ricordo che mi sento così.
I quattro giorni passati insieme a quel vecchio amico erano stati
divertentissimi; avevano visto posti strani, mangiato insieme carni
di renna e riso dall'inizio alla fine della giornata. Stava andando
tutto fin troppo bene; ed era strano. Quando si ritrovava sola nella
sua stanza degli ospiti, non faceva altro che pensare a quello che si
erano detti durante il giorno, a sorridere ripensando alle situazioni
strane che erano capitate nelle ventiquattr'ore precedenti e,
puntualmente, sentiva al centro del petto uno strano vortice. Una
sensazione mai provata prima, piacevolissima, ma senza nome. E questo
la spaventava. Erano quattro giorni che quella spirale le pesava
sullo sterno, specialmente quando ripensava a Tyla, al suo viso, al
suo dito su cui portava ancora il suo anello e a quello che diceva e
raccontava. Non è possibile.
Era sicurissima di aver sepolto quella “mancanza” nelle
profondità più nascoste della sua mente già dal giorno dopo che
lui non si era presentato. Quello che avevano fatto insieme, quel
fottuto bacio, era stato un
errore madornale; come era potuta succedere una cosa del genere fra
due amici che si conoscevano da quasi dieci anni? Quel giorno lei ci
aveva scherzato su, aveva riso pensando che avrebbe veramente potuto
essere una gran storia d'amore; ma non era forse ciò che, in fondo,
aveva sempre desiderato? Anche se negli anni aveva frequentato altri
ragazzi e si era addirittura sposata, Tyla aveva sempre avuto un
ruolo importante per lei; quell'uomo era l'unica persona della
vecchia compagnia di Kensington con cui era rimasta in contatto.
Ovunque lui si trovasse, le aveva sempre scritto lettere o cartoline.
E mai lei non gli aveva risposto. C'era sempre stato affetto fra di
loro. Affetto? E se così non fosse? Se inconsciamente
fosse qualcosa di più importante?
Kat si mise a sedere sul letto, bevendo d'un fiato tutto il bicchiere
d'acqua che era solita tenere sul comodino. Tutto quel pensare le
stava provocando un gran mal di testa. Per un istante guardò fuori
dalla finestra qualche luce lontana, poi si alzò e, senza pensare,
si diresse verso la camera da letto dell'amico; doveva parlargli
assolutamente. Probabilmente l'avrebbe presa per pazza, ma non le
importava; in fondo, Tyla, per primo, era un po' fuori dagli schemi.
Con il fiato quasi sospeso, Kat avanzò con cautela nella penombra
del corridoio, appoggiandosi con la mano destra al muro; dopo poco
sentì il freddo legno dello stipite della porta della camera da
letto di Tyla. Guardò per un attimo davanti a sé con il respiro
quasi sospeso, poi bussò; non mi sente. Picchiò
di nuovo le nocche sul legno, un po' più vigorosamente, ma non ci fu
ancora risposta. Iniziò ad innervosirsi: non può essersi
addormentato come un sasso! Appoggiò
il palmo alla maniglia in ottone e provò ad abbassarla; la porta era
aperta e scivolò silenziosamente sui cardini sotto la spinta gentile
della donna. Kat fece capolino e, sorpresa, trovo il letto
perfettamente ordinato; si grattò il capo pensierosa: vuoi
dire che è ancora in salotto? Chissà che cavolo starà combinando.
Ritornò in corridoio e tese l'orecchio verso le scale; l'aria era
quasi immobile, le uniche vibrazioni che l'attraversavano erano lo
scoppiettare dei tizzoni ardenti del camino ed un leggerissimo
arpeggio. In punta di piedi scese, cercando di limitare al minimo i
rumori che poteva produrre, perfino il leggero strisciare del
pigiama. Tyla era seduto sul divano di spalle a lei, con la chitarra
in grembo, che canticchiava una canzone sottovoce; si concentrò per
cercare di capire di che brano si trattava, ma l'amico cantava così
piano che distingueva a stento le parole. Di soppiatto fece qualche
passo in avanti e si mise esattamente dietro di lui; chiuse gli occhi
ed ascoltò la sua voce. Profonda, roca, maschile. Le
dava i brividi. Per un secondo trattenne il fiato e lo ascoltò
cantare: «You're between the sheets, lyin'
in the shit I used to be, when I was you and you were me, oh, does he
say the things I said, when he's lyin' on your bed». Ecco, stava per
arrivare la parte che preferiva, quella che tutte le volte le faceva
provare un piccolissimo tuffo al cuore: «I never will. Your love
brings me down like a heroine, Who don't love the hero in the end, in
the end of the film». Respirò appieno quella canzone dei Dogs
D'Amour che tanto le piaceva ed iniziò a seguire la voce di Tyla.
Come l'uomo si accorse che qualcuno stava canticchiando dietro le sue
spalle, bloccò le corde con la mano aperta e si girò con la peggior
espressione che poteva sfoggiare; odiava a morte essere interrotto
durante i suoi momenti di solitudine e creatività.
Tyla
la scrutò, parecchio irritato: «Pensavo stessi dormendo».
Kat,
nervosa, si mordicchiò il labbro: «Ti stavo cercando...»
«Quanto
tempo è che sei lì, dietro le mie spalle?»
«Un
paio di minuti» annaspò lei «forse anche un po' meno».
Tyla
scosse la testa e mise da parte la chitarra: «Dai, vieni qui». Kat
abbassò lo sguardo, iniziando a sentire un crescente senso di
disagio gravarle sul diaframma. Era ora di parlare e non sapeva
davvero da dove iniziare.
L'uomo
la studiò: qualcosa in lei si era bloccato, Kat non aveva
quell'espressione quando se n'è andata a dormire due ore fa.
La guardò mentre si sedeva e cercava di nascondergli i suoi occhi
chiari; cosa vuole che io non capisca?
Kat
voltò il viso verso il fuoco, accorgendosi che quella
questione che voleva mettere in chiaro era fin troppo delicata. In
quel caso, era molto meglio lasciare cadere il tutto e fuggire; sia
fisicamente che metaforicamente: «Domani mattina parto».
«Come,
parti?» Tyla sgranò gli occhi, cercando di attirare la sua
attenzione, ma Kat tenne lo sguardo fisso sulle fiamme, come se fosse
ipnotizzata.
«Ho
un impegno di lavoro imprevisto. Mi tocca rientrare a Londra».
L'uomo
si sentì come se fosse stato investito da un tir; ma che cazzo,
proprio ora che mi stavo divertendo tanto con lei, dopo tutto il
tempo che abbiamo passato a scriverci ed era arrivata l'occasione
giusta per rivederci...Si
bloccò. Forse era proprio quello il motivo. Kat aveva paura o si
sentiva a disagio di fianco a lui. Perchè? Dannazione, non
capisco. Sentendosi la bocca
amara per le parole appena sentite, Tyla respirò a fondo e poi le
disse lapidario: «Non hai impegni imprevisti».
Kat
si irrigidì: no, non può aver capito che sto mentendo.
Si girò lentamente, con la voce finita chissà dove per il disagio,
pronta a trovarsi di fronte ad un Tyla livido di rabbia; ma non
appena incrociò i suoi occhi, il cuore le si spaccò a metà. Non
erano rossi ed iniettati di sangue, al contrario parevano quasi
lucidi e parecchio tristi.
«Tu
non hai impegni imprevisti» ripetè lui, più debolmente. Abbassò
lo sguardo sulle proprie mani, guardando per l'ennesima volta la
fedina che lei gli aveva donato, e sentì il proprio animo
sbriciolarsi: «Vuoi solo andare via».
Kat
si sentì soffocare; anche se era passato un sacco di tempo
dall'ultima volta che si erano visti e sebbene gli unici contatti che
avevano avuto nei vent'anni passati erano stati cartacei, Tyla
riusciva ancora a leggerla come un libro aperto. Iniziò a respirare
più faticosamente, percependo un nodo che cresceva sempre di più
nella sua gola; voleva dirgli un sacco di cose, ma non era in grado
di farlo, i suoi pensieri si stavano decomponendo alla velocità
della luce.
Fu
l'amico a parlare per lei: «C'è qualcosa che ti fa star male. E
credo di aver capito anche cosa». Fece per avvicinarsi all'amica, ma
lei, di riflesso, scivolò qualche centimetro più in là; sulla
bocca di Tyla spuntò un sorriso amaro: «Tu ce l'hai ancora con me»
«Ma
che stai dicendo?» Kat sentiva che il nodo stava diventando sempre
più insopportabile.
L'uomo
si accese una sigaretta: «Sei ancora arrabbiata con me perchè quel
“domani” fra noi non c'è mai stato. E dire che ci hai anche riso
sopra».
Centro.
Era così. O, almeno, inconsciamente; lei pensava di esserci
tranquillamente passata sopra, invece era ancora arrabbiata con lui.
Senza che lo volesse, una lacrima le rotolò silenziosa per la
guancia: «Avevi parlato al telefono con mia madre la domenica
mezzogiorno; io ero fuori casa. E lei mi aveva detto che tu non stavi
bene. Mi sono sentita così male, così...» deglutì a fatica «così
rifiutata che ho pianto sola per un'ora. Poi mi sono detta: “Beh,
dopotutto non è nulla. È stato solo un incidente”. E la settimana
dopo stavo già con Edgar e cercavo di comportarmi con te come se
nulla fosse».
Edgar...
Tyla digrignò i denti; se lo ricordava ancora nitidamente, come se
l'avesse visto cinque minuti prima: quel pugile figlio di
puttana con delle braccia grosse come me che me l'aveva portata via.
Se fosse stato per lui, l'avrebbe massacrato di botte per insegnargli
il concetto di “proprietà”, ma non l'aveva mai fatto, era
cosciente del fatto che avrebbe fatto una bruttissima fine.
Quell'energumeno l'avrebbe steso con un sinistro e sbriciolato come
un cracker senza problemi. L'uomo si accese una sigaretta, sentendo
il sangue ribollire: «Io la febbre l'avevo sul serio»
«No»
sospirò lei di rimando.
La
rabbia repressa di Tyla si riversò verso di lei come un pentolone di
olio bollente: «Invece sì, vacca troia, sì! Avevo la bronchite,
cazzo!».
Kat
lo fissò con la bocca aperta e nuove lacrime che le rigavano il
viso.
Tyla
si rese conto di aver alzato troppo la voce; posò la sigaretta nel
portacenere e le accarezzò il viso, bagnandosi i polpastrelli con la
sua sofferenza: «Te lo giuro, avevo la bronchite. È perfino dovuto
uscire il medico per darmi gli antibiotici».
Kat
si sentì infinitamente colpevole: «Pensavo che non volessi più
vedermi» cominciò a singhiozzare «ti ho dato del codardo infinite
volte».
Tyla
premette ancor di più il suo palmo sulla guancia di lei: «No,
Katherine. Ero solo molto malato. E il fatto di averti vista poi fra
le braccia di altri ragazzi, mi ha veramente dilaniato».
Sempre
più spaesata, lei si appoggiò alla sua mano; era calda. Calda come
il fuoco che aveva fissato fino a pochi istanti prima. Era calda come
quando l'aveva stretta quel pomeriggio sotto la pioggia. Già, la
pioggia... diede un'occhiata fugace fuori dalla finestra;
pioveva. Un debole sorriso le comparve sul volto; sembrava davvero
che lei, Tyla e la pioggia fossero legati inesorabilmente da un filo
rosso: «Era stata la camminata fino a casa mia a ridurti così?»
«Quella
e non solo» Tyla sorrise. Guardò Kat negli occhi e si rese conto
che il cuore gli stava battendo forte tanto quanto quel sabato di
ottobre; gli faceva ancora quell'effetto. Si sentiva infantile e,
allo stesso tempo, adulto. Con le dita le sfiorò il profilo e poi
incrociò le sue dita con quelle della donna, avvicinandola al
proprio corpo: «La vera stangata l'ho presa dopo che tu sei salita
in casa».
Kat
si appoggiò al suo petto, mentre Tyla si stendeva sul divano
tenendola legata a sé; era ancora più caldo delle sue mani, più
piacevole di qualsiasi altra cosa al mondo. Tremando, chiuse gli
occhi e si concentrò sulla sua voce: «Cos'hai fatto?». Lo sentì
espirare dolcemente, con il cuore che premeva per uscirgli dalla
cassa toracica; Kat fece pressione con le proprie dita sul suo corpo:
così dolce, così vulnerabile, così... umano. Tyla...
«Mi
sono messo sul marciapiede di fronte e mi sono acceso una sigaretta.
Ho osservato la tua ombra, dietro quelle tende leggere e bianche,
muoversi per asciugarsi i capelli e mettersi dei vestiti asciutti.
Poi tu sei andata a mangiare. Ho atteso per una buona mezz'ora sotto
quella pioggia battente per rivedere il tuo profilo, ma tu ti eri
soffermata con i tuoi in sala da pranzo. Così me ne sono tornato a
casa, infreddolito ed indolenzito. Il giorno dopo avevo quaranta di
febbre; bloccato a letto con mia madre che mi dava del coglione per
essere uscito senza ombrello». Ridacchiò. Era veramente assurdo
quello che aveva appena raccontato, eppure era la sincera verità. E
Kat se n'era accorta. Staccò il capo dal suo petto per guardarlo
negli occhi; lui le sorrise e le accarezzò i capelli: «Mi è
davvero dispiaciuto tanto non aver mai trascorso quel “domani”
con te. Ho cercato di metterci una pietra sopra innumerevoli volte,
ma senza successo. Quando ho girato l'America con i Dogs D'Amour sono
andato a letto con un sacco di donne; ho perfino provato a sposarmi.
Pensavo che Bess avesse una marcia in più» e mentre diceva queste
parole, strinse Kat ancor più forte a sé «ma quella puntava solo
al mio portafoglio».
Kat
fece forza sui propri gomiti e si avvicinò alla guancia ispida
dell'uomo, per sfiorarla dolcemente con le proprie labbra. E proprio
in quell'istante, anche lei si rese conto che, nonostante ci fossero
stati altri ragazzi e un marito nella sua vita, Tyla era davvero
speciale. Il fatto che avessero continuato a rimanere in contatto per
tutto quel tempo, non era altro che un segno che lei, in fondo,
provava qualcosa di veramente unico nei suoi confronti. Un amore
stranissimo. Si appoggiò alla sua fronte, proprio come aveva fatto
quel pomeriggio di ottobre, respirando appieno il suo profumo; non
era cambiato quasi per nulla, forse era solo diventato più virile.
Tyla
le baciò la punta del naso: «Non è passato un giorno che io non
pensassi a te. So che questi possono sembrare i miei soliti deliri da
alcolizzato romantico, ma ti giuro sulla mia testa che è così. Sai,
il giorno del tuo matrimonio non c'ero, perchè non volevo vederti
legata insolubilmente a quel» lo disse sprezzante «COSO di Jack.
Volevo esserci io al suo posto. Così ho preferito stare a casa a
sfondarmi di whisky e gin. Ci immaginavo insieme, nelle situazioni
più disparate»; con il cuore al limite dell'esplosione le sfiorò
le labbra: «Ogni canzone dei Dogs è dedicata a te».
Kat,
che aveva appena smesso di piangere, gli sorrise con gli occhi che le
luccicavano: «Anche “How Come It Never Rains”?».
Tyla
non le rispose subito. La avvicinò lentamente al proprio viso e la
baciò, con una passione che lui stentava a credere gli appartenesse;
alla fine le disse: «Quella è stata la prima che ho scritto per te.
Pensavo a noi, alla pioggia che ci cadeva sui capelli e al fatto
che...».
«Shh»
Kat gli chiuse la bocca con l'indice «è la mia preferita».
Tyla
toccò il cielo con un dito. Strinse Kat per la vita e la fece
rotolare sotto di sé per baciarla ancora con passione. E ancora. E
ancora. Infinite volte. La baciò per tutta la notte.
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