"Ciò che siamo è solo ad un passo, da
quello che possiamo diventare."
Fu nella stagione dello Zefiro, alle
prime luci di una fredda alba, che lei giunse al Bosco.
Avevamo sentito i
racconti,
ovviamente, giunti sotto le nostre fronde per bocca dei mercanti e dei
nostri Primogeniti
ambasciatori presso le altre razze: i Campioni degli antichi Draghi
stavano
morendo.
Una guerriera
solitaria era emersa
dalle ombre per affrontarli e perseguitarli, i suoi motivi sconosciuti:
nessuno
sapeva chi fosse.
Passavano gli anni e
i racconti
continuavano: nel gelido nord e nell'est cocente, potenti entità del
ghiaccio e
del fuoco erano già cadute di fronte a lei. L'Artiglio di Jormag, il
Distruttore, gli Orsi Norn... campioni di Draghi più antichi della
memoria e
della lingua, abbattuti uno ad uno dalle spade fiammeggianti di questa
nuova Distruttrice.
Avevamo sentito i
racconti: dove la
battaglia infuriava più disperata, là, lei sarebbe comparsa, senza
riconoscere
alcuna bandiera come propria, senza pronunciare alcuna parola, tingendo
la
terra di rosso al suo passaggio e sparendo subito dopo. Avevamo sentito
i
racconti, ma non li temevamo: perché noi siamo i Sylvari, i figli del
Bianco
Albero, e le paure delle altre razze non hanno presa su di noi.
Fu nella stagione
dello Zefiro, alle
prime luci di una fredda alba, che lei giunse al Bosco, silenziosa e
inattesa
come un incubo.
"...un
elmo come un cupo teschio d'acciaio ne cela il volto, adornato
con lunghe corna di metallo. Un grottesco rosario di teschi attorno al
collo, e
una corazza di lucida tenebra, ornata di spine e spuntoni affilati.
Incrociate
sulla schiena, due grandi spade spinate, dalla forma rozza ed
imperfetta,
brillanti come braci infuocate: quasi che siano state tratte dal magma
fuso di
un vulcano pochi istanti prima..."
Avevamo sentito i
racconti e la
riconoscemmo subito: era impossibile confondersi. E mentre la
Distruttrice avanzava
lungo la via che conduceva sotto le nostre fronde alla nostra sola
città, tutti
le cedemmo il passo: giunse nel silenzio più completo, osservata e
temuta, indifferente
alle occhiate che le rivolgevamo. Ricordo che la piazza del mercato, di
solito
così viva, sembrava essere stata svuotata di ogni rumore: perfino gli
uccelli trattenevano
il respiro. La Distruttrice non si curava di noi: compresi che noi le
eravamo
più indifferenti delle formiche sugli steli. Noi Sylvari, di seconda o
dodicesima
generazione che fossimo, non eravamo importanti per lei, così come non
lo erano
i mercanti giunti dalle altre razze e dalle città più lontane.
La Distruttrice
camminava in una
realtà diversa dalla nostra: una realtà sanguinaria, a cui ancora oggi
non
desidero avvicinarmi.
La guerriera non si
sarebbe fermata nemmeno,
se sulla sua strada non fosse giunta Niamh, capo dei Guardiani, le
nostre
uniche truppe e le prime e ultime sentinelle del Bianco Albero. Fu
Niamh la
Primogenita, imbattuta con le armi fra tutti noi, a sbarrarle il passo:
alle
sue spalle, ricordo un'intera compagnia di arcieri, pronti a scoccare a
comando.
Sotto le fronde del
Bianco Albero,
mentre foglie cadevano leggere a terra e il calore del sole iniziava ad
arrivare fino a noi, ricordo il profumo dei fiori nel freddo di quella
mattina.
Niamh, legno di
quercia e fronde di
betulla, che piantò la sua grande spada di rovi nella terra prima di
rivolgersi
alla Distruttrice:
"Io sono Niamh,
settima
primogenita dei Sylvari, e proteggo il Bosco..." disse come sempre con
voce dolce e calma: "...dichiara i tuoi intenti, tu che giungi a noi
foriera di battaglia."
La Distruttrice non
rispose a Niamh,
non con le parole: alzò solo un braccio, indicando il Bianco Albero che
svettava alle sue spalle e sopra di noi.
"...Sono pochi coloro
a cui è
permesso di comunicare con la madre della nostra razza: io non ti
riconosco fra
coloro che hanno questo privilegio." rispose Niamh a quel gesto.
Se sotto il suo elmo
di teschio il
volto della Distruttrice cambiò, nessuno lo seppe mai: ignorando anche
Niamh,
la Distruttrice ricominciò ad avanzare, indifferente al suo
avvertimento.
"La linfa si accende
facilmente in
me, Distruttrice: non fare un altro passo o..." ma la Primogenita non
finì
la frase: con un salto, un balzo d'incomprensibile forza e misura, la
Distruttrice arrivò alle spalle della Primogenita, una delle sue spade
già in mano.
"Così sia." disse
Niamh,
levando la sua grande spada e mulinandola con un grido feroce attorno a
se.
Quella era, ed è
ancora oggi, Niamh: Primogenita
e una dei quattro grandi Luminari della nostra razza, feroce e sempre
pronta
alla battaglia.
Ricordo distintamente
anche quando la
spada della Primogenita cozzò contro quella della Distruttrice, lama
contro
lama. E ricordo come fu fatta in due pezzi: alla nostra Primogenita
rimase solo
l'elsa e un frammento di metallo, mentre il resto le fu tolto,
perdendosi
nell'erba sotto le fronde.
Incontrando lo
sguardo di quell'elmo
senza espressione, io credo che Niamh provò paura: o almeno, questo è
ciò che
provai io.
Ciò che successe
dopo, non so dirlo:
forse la Distruttrice sussurrò qualcosa, o forse Niamh la riconobbe,
perché
subito dopo il suo grido arrivò in ogni angolo del bosco.
"FERMI!" ordinò la
Primogenita agli arcieri.
Per i Sylvari,
l'ordine dato da uno
dei dodici Primogeniti è legge: essi sono per noi quanto di più vicino
le altre
razze abbiano a re o capi.
Nella quiete sotto le
fronde, ricordo
che Niamh fissò il suo sguardo nelle orbite vuote dell'elmo di colei
che
l'aveva sconfitta, cercando un indizio che confermasse i suoi sospetti:
"... Sei proprio tu?"
le chiese.
Per la seconda volta,
la guerriera
non rispose a Niamh: la spada che brandiva però tornò sulla sua schiena
e i
suoi passi la diressero nuovamente verso il Bianco Albero.
"Lasciatela passare."
ci
disse la Primogenita, e il popolo sotto le fronde fece strada alla
Distruttrice.
Nessuno seppe chi
fosse mai la
guerriera che giunse nella nostra città in una fredda alba, nella
stagione
dello Zefiro.
***
Esiste un luogo,
quasi sulla cima del
Bianco Albero, un luogo molto speciale: un luogo dove la madre di tutti
i
Sylvari può prendere forma fisica e parlare ai suoi figli attraverso un
Avatar.
Quando la
Distruttrice arrivò
scalando i suoi rami, il Bianco Albero la stava già aspettando: una
figura di
bianchi petali di pesco, somma dei desideri della madre di tutti i
Sylvari
fatti sostanza, accolse la Distruttrice con un sorriso.
"È passato davvero
troppo tempo.
Cominciavo a pensare di averti perduta... Albien, figlia mia." L'Avatar
della Madre Albero era bella ed eterea quanto un sogno.
Mani corazzate
sollevarono il teschio
di metallo della guerriera, svelando la carne che c'era sotto: carne
verde
pallida, interrotta da corteccia laddove armi spietate del nemico
l'avevano
ferita. Bianchi petali carnosi caddero sulla fronte della Distruttrice,
arricciati come quelli di una rosa.
"... Ho combattuto
nel Nord. Ho
combattuto nell'Est. Ho smesso di crescere la mia corazza dal legno
della mia
carne e ho imparato a plasmare il metallo come gli Uomini ed i Charr. E
oggi,
per la prima volta in venticinque anni, ritorno al luogo che mi ha
generato.
Immagino che lo sguardo di mia madre non possa essere ingannato da
simili
stratagemmi."
"Il mio sguardo può
essere
ingannato Albien. Ma solo tu, l'ultima dei miei Primogeniti, solamente
tu, hai
mai tremato al mio cospetto. Mi sei mancata." disse l'Avatar
dell'albero,
protendendosi verso Albien.
La Sylvari però si
ritrasse,
rifiutando il contatto: l'elmo di teschio tornò a nasconderle il volto,
in modo
da negare se stessa al suo genitore. Se questo ferì sua Madre, l'Avatar
non lo
mostrò.
"C'è una parte di
me... una
parte che io non potrò mai estirpare, Bianco Albero. La canzone del tuo
legno
mentre la mia coscienza prendeva forma... io non potrò mai scordarla:
ancora
oggi, come allora, il suo ricordo mi fa tremare al tuo cospetto."
L'Avatar di petali di
pesco sospirò
melanconica:
"Dopo tutti questi
anni, figlia
mia, sei rimasta così uguale a te stessa: fin da quando muovesti i
primi passi dal
mio tronco sei sempre stata così... inflessibile e assetata di verità.
In tutti
questi anni, sei mai stata felice come allora?"
"... I ricordi dei
miei primi
duelli con Niahm, quando incrociavamo bastoni spuntati sotto le tue
fronde,
brillano ancora oggi luminosi. Ma ho altri ricordi, altrettanto
preziosi ora:
ricordi di Uomini, Norn, Charr ed Asura che mi hanno accolta. Nuovi
volti, così
tanti da non poterli contare, e ad ognuno di essi corrisponde una nuova
esperienza. Non rimpiango la vita che mi hai dato ma..."
"...Ma non tornerai
da me."
concluse per lei la Madre.
"Non posso... e non
voglio."
"Si parla di te in
ogni mercato,
lo sapevi? Ci sono alcuni che darebbero anche un braccio per scoprire
chi si
celi sotto quella fredda corazza che porti. Alcuni dicono che tu sia
Melandru,
quella dea degli uomini, giunta a Kryta per dare loro giustizia. Altri
dicono
invece che non ci sia nulla sotto quel metallo, solo uno spirito di
vendetta."
L'Avatar del Bianco Albero tacque per un momento, prima di continuare
con un caldo
sorriso:
"...Venticinque anni:
un tempo
davvero troppo lungo senza mai dare notizie: mi chiedo quali esperienze
tu
abbia vissuto, tutta sola, lontana da quelli della tua razza... ma non
importa,
ora sei finalmente a casa: bentornata."
"Sono tornata perché
non avevo
altra scelta. Non intendo rimanere a lungo..."
"No? Eppure sei qui,
di fronte a
me, dopo così tanto tempo, figlia mia. Le tue azioni e le tue parole si
contraddicono..."
"Madre, dove dorme
Mordremoth?"
la interruppe improvvisamente la Distruttrice.
Quel nome... di
fronte a quel nome,
il Bianco Albero si azzittì: l'illusione di petali di pesco appassì in
un
momento rivelando ciò che si nascondeva sotto di essa. L'Avatar fu
scosso da un
brivido, cadendo in ginocchio sul suo stesso legno, tenendosi la testa
fra le
mani e frusciando al vento preda di un acuto dolore.
"Per questo non posso
tornare,
Madre." disse la Distruttrice, posandole una mano sulla spalla, non
senza
pietà.
"... Come? ...
quando?"
sibilò il Bianco Albero: non attraverso il suo Avatar, ma dal legno
stesso su
cui la Guerriera camminava.
"Gli indizi sono
ovunque se si
sa dove guardare: ho appreso come cercarli in questi anni."
"Mostrami." la pregò
l'Avatar: "Ti prego..." sussurrò ancora mestamente il Bianco Albero,
quando la guerriera si ritrasse.
Fu per pietà filiale
che Albien la
accontentò: liberando una mano dalla sua corazza, la Sylvari aprì per
la prima e
ultima volta l'animo a sua Madre. Accogliendo quella mano nella sua, il
Bianco
Albero scrutò per la prima e ultima volta dentro quella figlia del suo
legno. E
la Madre vide e sentì: molte voci, che si inseguivano nella mente di
sua figlia;
molte immagini spezzate, di varie razze e persone, sparse su molti
anni, ma che
assieme formavano una storia sola. La sua. Una storia che il Bianco
Albero
avrebbe voluto tenere nascosta al mondo.
Al
terminare di ogni Era, sei Draghi Antichi sorgono
dal loro sonno millenario per porre termine al mondo...
Sei Draghi, sei
personificazioni di Distruzione: Zhaitan che regna sui
morti...
...Jormag del Nord, che ci
ha
cacciato dalla nostra patria ancestrale...
...Primordus della roccia,
intrappolato nelle viscere
della Terra solo grazie al sacrificio della mia intera razza: per causa
sua, i
nani non sono più carne e sangue, ma pietra e spirito...
...Kralkatorrik, che
domina sul Deserto di Cristallo e il Drago senza
nome delle profondità, da cui fuggono i popoli del mare...
..."Mordremoth è l'ultimo
drago e comanda le
giungle e le foreste!"
"Tu menti
Asura!"...
...Sei Draghi sorgono, e
con loro e da loro sorgono i campioni,
esseri corrotti ed imbevuti del loro antico potere, capaci però di
pensiero e
incaricati di portare in guerra le schiere degli altri corrotti
minori...
...Conosciamo almeno un
caso di un
campione che si è ribellato al suo signore: Glint che ha ripudiato
Klarkattorrik.Ma
è un caso più unico che raro...
Sei Draghi sorgono a Kryta
assieme ai loro campioni....
...E così è sorto il
Bianco Albero e
dal Bianco Albero sono sorti i Sylvari...
I Sylvari sono gli unici
fra tutti gli abitanti di Kryta, che non possono
essere corrotti dai Draghi....
...I Sylvari che non
invecchiano,
come i corrotti: i Sylvari che sono sterili, come i corrotti...
...Quando due oggetti si
assomigliano così tanto deve
esistere per forza una relazione fra i due.
"I Sylvari che non
sono persone,
ma emanazioni di un campione dei Draghi, dotati di intelletto. I
Sylvari, che
sono stati salvati dall'influenza dei Draghi per un miracolo: perché tu
madre
sei cresciuta bevendo le lacrime e il sangue di un uomo pentito e hai
ascoltato
la saggezza di un centauro che ha ripudiato la violenza della sua
razza."
"...Se loro sono
riusciti a
cambiare la loro natura, perché io non posso fare altrettanto? Perché
invece di
distruttore, io non posso essere invece un creatore? Una Madre, invece
di un
campione? Eppure... eppure non tutti i miei figli seguono il mio
cammino:
alcuni ricadono nella tenebra del loro scopo originario, alimentati
dalla sete
di distruzione che dorme in me."
"La Corte
dell'Incubo.
Faolain."
L'Avatar della Madre
annuì piangendo
e battendosi il petto:
"Miei figli. Miei
figli anche
loro, ma nemici dei Sylvari e di ogni razza. Eppure non posso fare a
meno di
amarli."
La Guerriera sospirò:
non riusciva ad
immaginare cosa potesse significare vivere vedendo i propri figli
combattersi
fra loro. Non l'avrebbe mai saputo. Ma questo non le impediva di
provare ad
immaginarlo: solo la speranza può sostenere una simile e dolorosa
esistenza. La
speranza e forse una segreta ambizione.
"Madre dov'è
Mordremoth?" ripeté
Albien: se c'era la possibilità di individuare uno degli antichi Draghi
prima
che si ridestasse, essa doveva essere colta al volo. Il futuro stesso
di Kryta poteva
dipendere da questo.
"...Io... io non lo
so. Io ho
ripudiato la parte di lui che è in me, ma non posso estirparla. Io non
so dove
riposi, ma so che il risveglio si avvicina. Cercalo... cercalo a ovest.
Non so
più di questo."
La Guerriera sospirò:
aveva scosso la
coscienza del BIanco Albero. Quanti dei suoi simili non ancora nati
avrebbero
pagato per le sue domande?
"Povera Madre mia.
Siamo così
simili." disse infine.
"Così come ogni madre
e ogni
figlia..." rispose il Bianco Albero, attraverso il suo Avatar: "Albien,
io non so cosa potrebbe accadermi quando lui si sveglierà: io sono
parte di lui
e lui di me. Se anche venisse abbattuto... non so se la distanza che ho
posto
fra me e lui in questi anni sarà abbastanza da proteggervi."
"...Io non rimpiango
la vita che
mi hai dato, madre." ripeté di nuovo Albien: "E se anche noi tutti
dovessimo
cadere assieme a Mordremoth, io credo che ne sarà valsa la pena, se
avremo
vissuto le nostre vite con pienezza."
"E ti basta?"
"... Un tempo no.
Quando ero
giovane ed ho cominciato ad avere questa consapevolezza... per questo
motivo ho
dovuto lasciarti: avrei trascorso la mia vita chiedendomi se ognuna
delle mie
scelte potesse mai essere davvero mia, o il prodotto della tua
influenza. O
quella di Modremoth."
La Guerriera osservo
l'orizzonte per
un attimo, raccogliendo i suoi pensieri:
"...Ma oggi comprendo
che questa
mia vita è un regalo prezioso: avrei dovuto essere un'arma senza
emozioni, al
servizio di una delle forze che desiderano mettere fine a questo mondo.
Tu ci
hai dato una scelta e una possibilità: non ho ragione di chiederti
altro."
Albien inspirò a grandi polmoni l'aria profumata del mattino:
"...Mi piace questo
mondo e non
desidero che finisca con la mia morte: combatterò per esso fino a
quando la vita
che mi hai dato mi sosterrà. Questa è la mia decisione."
"Ma non puoi farlo
qui..."
Albien scosse il suo
elmo.
"Ho passato troppo
tempo lontana
da questo luogo: ora ho una casa e responsabilità. Persone che
dipendono da me:
come Arconte del Priorato di Durmand, posso fare di più che come Albien
dei
Sylvari..."
"Mi mancherai."
l'interruppe sua Madre: sua figlia era convinta della sua strada. E
nemmeno lei,
o forse soprattutto non lei, avrebbe potuto convincerla a considerarne
altre.
"... Anche tu. Ma noi
siamo
legate: se e quando tutto questo sarà finito, ci rivedremo."
"Ti auguro buona
fortuna nei
tuoi viaggi, Guerriera."
"Addio, Madre Albero."
Si salutarono così,
come estranee,
perché il peso di quella consapevolezza era troppo grande per tenerle
unite.
Fu nella stagione
dello Zefiro che Albien
lasciò per la seconda volta il luogo in cui era nata. Mentre discendeva
le pendici
del Bianco Albero, nessuno osò mettersi sulla sua strada: scomparve,
lasciandosi alle spalle molte domande senza risposta. I suoi racconti
però continuarono:
battaglie vinte, campioni sconfitti.
L'epoca degli Antichi
Draghi sembrava
volgere al termine.
Mentre comunicava con
sua madre, Albien
non si era accorta però, dell'ombra che aveva continuato a spiarla: non
se ne
era accorta, oppure non le era importato.
"Avresti potuto
almeno
salutarla, Caithe..." sussurrò l'Avatar del Bianco Albero.
Dalle ombre,
diventando di nuovo
visibile, avanzò un'altra Sylvari, un'altra Primogenita: Caithe, fiore
di loto.
"... dopotutto è tua
sorella
minore."
"Io e lei non siamo
mai andate
d'accordo, Madre. Se mi fossi rivelata, avremmo finito senza dubbio per
litigare: non volevo lasciarle questo ricordo della sua prima visita
da...
sempre. Anche se rimango convinta che stia sbagliando."
Caithe sospirò:
"... Almeno sembra
stare bene. E
sembra felice: hai saputo madre? Ha spezzato la spada di Niamh con la
sua."
Caithe scosse la
testa:
"È davvero rimasta
uguale a se
stessa in tutti questi anni..."
Madre Albero strinse
a se sua figlia:
"Dei miei
primogeniti, siete ora
in quattro a conoscere la verità: tu e Treaharne siete rimasti. Albien
e Atreus
hanno scelto strade diverse. Possiamo solo augurarci fortuna a vicenda
e credere
nel nostro successo..."
"Madre?"
"Sì, Caithe?"
"Ti voglio bene."
"Ti voglio bene
anch'io, figlia
mia."
Ben arrivati!
Prima le cose importanti: che cosa avete appena letto? Questo pezzo è
basato su una possibile interpretazione sull'origine dei Sylvari:
non è la verità assoluta, ma dopo aver ascoltato la teoria di partenza
(non è mia, ma mi ha sedotto, lo ammetto), sono stato spinto a scriverci sopra questo capitoletto, che scava in profondità
nel Lore cercando di attenervicisi il più possibile.
Per esempio, dei dodici primogeniti Sylvari, 3 non sono mai nominati,
una ghiotta occasione che mi ha permesso di creare ad hoc Albien, la
rosa bianca.
Perché la Rosa Bianca? Perché le rose bianche significano morte nel
linguaggio dei fiori, e quando ho immaginato Albien per la prima volta
era mooolto più sadica: un'emofila praticamente, che ama tingersi di
rosso coi suoi nemici.
Sono felice che (de)scrivendola sia venuta fuori meglio di quanto
avessi inizialmente immaginato... molto felice.
E se vi interessano armi e corazze che mi hanno ispirato visivamente,
cercatevi sulla wiki di Guild Wars "Destroyer sword", ed "Exotic Karma
Armor" (ma cosa prendono quelli che curano il design? O_o')
Terza domanda: vi è piaciuto quello che avete letto? Spero di sì!
In questo caso recenite, recensite, recensite! ( In ogni caso, penso di
non essere dato poi così male per qualcuno che non possiede una copia di
GW2, non credete? ;-)
Quarta e ultima: ho intenzione di scrivere altro su Guild Wars? NOOOOOO
(forse)!
Infine, sono solo felice di aver preso a picconate il mio ennesimo
blocco da scrittore: ci sono stati giorni in cui credevo di avere a che
fare con una piramide di granito da abbattere con un pennino. Uno
ziggurat. Un tempio maya. Bah, spero di aver reso l'idea.
Bye,
HI Fis |