25
Dicembre 2002.
L'atmosfera
natalizia echeggiava nell'aria ed era giunto il momento di scartare i
fatidici regali.
«Il
pacco più grande è il mio! Quest'anno non avrai
la meglio Iris, parola d'onore»
Rise
il più grande avvicinandosi ai regali con un luccichio negli
occhi. La bambina seguì a ruota il maggiore, osservando
attentamente uno ad uno i doni sotto l'albero.
«Zitto Carter!» piagnucolò
lei, incrociando le braccia e socchiudendo gli occhi.
Dalla bocca di lui risuonò una risatina divertita, mentre
osservava la sua amica mettere il broncio.
«Va bene dai, ti concedo il pacco più
grande. Contenta?» e
bastò una semplice frase a far scatenare la gioia di Iris,
che prese a saltellare attorno al suo amico allegra.
«Ti voglio bene Austin!» esclamò
pimpante, avvicinandosi al regalo e aprendolo con poca cura.
Austin intanto scosse la testa esasperato, ma oramai era abituato
all'atteggiamento che assumeva in certe situazioni la sua amica e
infine aprì un'altro pacco, più piccolo, ma pur
sempre un pacco.
«Me l'hai fatto tu?» chiese
lui, osservando in ogni minimo dettaglio il regalo che aveva tra le
mani. Iris si voltò, corrugando la fronte e scosse la testa.
«Uh, no. Il mio è quello al tuo
fianco» rispose
semplicemente, tornando subito al dono. Austin lasciò cadere
il suo giocattolo che aveva ricevuto da -quasi sicuramente- sua madre,
e prese tra le mani il piccolo pacchetto che giaceva al suo fianco.
Tolse la carta che lo ricopriva e così si mostrò
ciò che non si aspettava e ciò che desiderava da
settimane intere; una tela da disegno!
«I-Io, Iris è bellissimo!» e lo
era davvero.
Quante volte era rimasto ad osservare incantato quella tela esposta in
vetrina, con gli occhi che brillavano e le urla di Iris in sottofondo
che dicevano che era tardi.
La bambina sorrise dolcemente, conoscendo la grande passione del suo
migliore amico lo aveva trovato assolutamente un regalo fantastico e
non si era fatta scrupoli a comprarglielo.
«Ora devi aprire il mio!» Austin si
alzò dal proprio posto, raggiungendo Faith e porgendole una
scatola rossa. Lei, curiosa, la rigirò tra le mani cercando
di capire cosa fosse ma senza nessun risultato.
«Oh avanti Sissi, aprilo e basta!» ridacchiò
lui dandole una leggera spinta al braccio.
Lei annuì, poi lo aprì con tutta la calma
possibile e appena vide cos'era la sua bocca si aprì in un
ampio sorriso.
«Mi hai regalato la collana con i nostri
nomi!» si
alzò di slancio e per un attimo perse l'equilibrio e temette
di cadere, ma poi si gettò tra le braccia di Austin e lo
strinse forte, mentre lui sorrise e le accarezzò i capelli.
«E' il regalo più bello che mi avessero
mai fatto, grazie» sussurrò
sul maglione rosso del bambino, che intanto ridacchiava contento e la
stringeva di più.
«Ti voglio bene, tanto» si
limitò a risponderle, prima di ricambiare il sorriso e
lasciarle un bacio all'angolo della bocca.
22 Luglio 2010.
Il sole battente riscaldava la cittadina rendendo l'aria asfissiante
come non mai. Ormai le spiagge erano affollate ed erano in piena
estate, finalmente.
«Alex smetti di fare il coglione e torna
qui!» urlò
Faith, cercando di essere più seria possibile, ma alla vista
del suo amico che tentava di scacciare via la sabbia di dosso
somigliando ad un cane non l'aiutava affatto.
«Invece di ridacchiare, signorina, dammi una
mano» esclamò
in tutta risposta il moro mandandole un occhiata di fuoco che fece
aumentare le risa. Le persone in spiaggia si voltarono verso i due
chiedendosi che problemi avessero ma era normale per loro, lo
chiamavano divertimento.
«Gettati in acqua, semplice ma efficace» rispose
lei, avvicinandosi a Alex e battendo una mano sulla spalla. Il ragazzo
sobbalzò, contenendo una risata e in men che non si dica
corse verso l'acqua cristallina, inondando i bambini lì
vicino che erano intenti a creare un castello di sabbia. Faith prese a
ridere più forte, cercando di contenersi ma con scarsi
risultati.
«Oh mio Dio, Al!» riuscì
a dire tra le lacrime agli angoli degli occhi, piegandosi in due e
mantenendosi la pancia. Alex risalì a galla col sorriso
più bello che avesse mai fatto e le mando un bacio volante
che venne subito ricambiato.
«Vieni qui, non farmi arrivare da te» urlò
il suo amico che intanto restava a mollo in acqua, beandosi della
freschezza del mare. Lei scosse la testa guardandolo in malo modo.
«Non ci contare bel ragazzone, io in acqua non ci
torno» e
detto fatto; fu un attimo che si ritrovò tra due braccia
familiari grondanti d'acqua. Tentò di divincolarsi da quella
morsa ma -ovviamente- non riuscendoci.
«Iris?» una
voce familiare interruppe il bel momento tra i due, mentre Alex
lasciava andare controvoglia la ragazza e quest’ultima si
voltava, sorridendo alla vista del suo migliore amico.
«Austin! Cosa ci fai qui?» chiese
avvicinandosi a lui e schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui rimase
impassibile, assumendo un espressione contrariata alla vista della
compagnia della sua migliore amica; Tomlinson.
«Sono con i ragazzi» rispose
Austin accennando i suoi amici un po’ più distanti
da loro, intenti a portare una sdraio che –conoscendoli-
avrebbero diviso in quattro. Faith annuì senza degnare di
uno sguardo agli amici di Austin e quest’ultimo intanto, con
un grosso sospiro, la trascinò lontano da Alex reggendola
per il polso.
«Iris, io non voglio spingerti in qualsiasi
situazione o scelta, però, è un periodo dove ci
vediamo così poco e tu sei sempre con Austin, ed
io…» ma
sfortunatamente il suo discorso venne interrotto dai suoi amici, che
una volta raggiunto il loro amico si presentarono con nonchalance alla
ragazza divertita e un po’ confusa.
«Avanti Austin, perdiamo tutti i posti se ti
fermi!» esclamò
un moretto dietro di lui, spintonandogli la spalla e ghignando. Austin
scosse la testa esasperato lasciando un’ultima occhiata
malinconica alla sua migliore amica e avviandosi con i suoi amici.
Faith lo guardò allontanarsi, il suo sesto senso non
prevedeva nulla di buono e sentiva il cuore pulsare più
ritmicamente.
Ma ormai il suo umore era peggiorato.
5 Marzo 2012, giovedì, 17:43.
Quel giorno cambiò tutto.
Iris era seduta su una panchina di uno dei pochi parchi presenti nella
sua città, mentre scossa dai brividi di freddo per il tempo
ancora incerto si rannicchiava sempre più su se stessa. Vide
un'ombra familiare che si avvicinava sempre di più
porgendole la mano.
Era Alex.
«Finalmente Al! Non ne potevo più di
aspettare, hai capito quanti gradi ci sono qui fuori?! Mi raccomando,
prenditi tutto il tempo che vuoi eh. Grazie per la
puntualità, davvero!» balzò
in piedi come una molla e nel giro di pochi secondi sparò a
raffica quelle frasi con una certa ironia che fecero ridacchiare
l'amico di fronte a lei.
«Scusami amore, scusami. Prometto che non lo
farò mai più» sorrise
lievemente stringendola in un abbraccio che venne prontamente
ricambiato. Rimasero così per minuti e Alex si convinceva
sempre più che poteva restare così per anni,
secoli; stringere a sè la ragazza che amava era la cosa che
più adorava fare.
Ne era convinto e sicuro, quel giorno glie l'avrebbe detto, l'avrebbe
urlato al mondo intero che l'amava.
Si staccò di malavoglia da quell'abbraccio e la
guardò negli occhi, rabbrividendo.
«Iris io devo dirti una cosa, è molto
importante davvero»
Iniziò il moro sedendosi sulla panchina trascinando anche
l'amica. Lei corrugò la fronte iniziando a preoccuparsi per
l'eccessiva serietà di Alex, che era conosciuto da tutti per
essere un tipo allegro e spensierato. Si sedette sulle sue gambe
prendendo a premergli l'indice sulla guancia morbida di lui, cercando
di allentare la tensione.
«Così non mi aiuti
sai?» le disse tenendo lo sguardo basso e
tendendo gli angoli della bocca. La ragazza si sedette sulla panchina
affianco a lui prendendogli la mano e sorridendogli.
In quel momento Alex si sentì lo stomaco contorcersi e il
respiro diventare sempre più ansimante. Avrebbe potuto
scommetterci, lo sapeva, le sue guance erano diventate rosee. Il
cervello era andato in tilt e quando vide il suo sorriso a pochi
centimetri dalle sue labbra, i suoi capelli color cioccolato che si
muovevano per via del vento, i suoi occhi di un verde intenso, non
riuscì a fare nient'altro che azzerare le distanze tra le
loro labbra, per assaporarne il sapore.
Cercò lentamente di farsi spazio tra la bocca dell'amica
lasciandosi trasportare sempre di più da quel bacio, che era
ricambiato seppur timidamente, prendendo ad accarezzarle i capelli e ad
avvicinare i loro corpi.
Iris era come paralizzata, non se l'aspettava quel bacio, ma non voleva
ferire i sentimenti di Alex, non voleva. Dentro di se sapeva che non
l'amava, per lei era come un fratello maggiore e avrebbe cercato di
dirgli i suoi sentimenti nel modo più calmo e meno
struggente possibile. Lo amava, ma come amico.
Una voce fin troppo familiare fece interrompere quel bacio, Austin.
«Iris allora sei qui, dev...oh» Il moro
si irrigidì di colpo, serrò la mascella alla
vista della sua migliore amica che si stava baciando con quel
rompicoglioni. Non l'aveva mai sopportato, da quando era entrato a far
parte della vita di Iris le aveva rubato il tempo, passavano i
pomeriggi assieme e si vedeva che per lui era più di
un'amicizia. Non gli era mai andato giù e ora, vederlo
lì stretto alla sua amica, alla sua migliore amica, lo fece
andare in bestia, specie se in quel giorno si era ripromesso di
confessargli tutto.
Quello era il giorno in cui doveva dichiararsi a Iris.
Il giorno in cui le avrebbe detto di amarla, ma tutto era andato in
fumo per colpa di uno stronzo.
I suoi occhi smeraldo iniziarono ad inumidirsi, non reggeva quella
scena, la sua bambina, la stessa che amava da sempre, quella a cui
lasciava sempre i pacchi più grandi di Natale, che portava
sulle spalle tutte le volte che voleva si stava baciando con un altro.
La testa prese a pulsare velocemente e l'istinto di prendere a pugni il
ragazzo che le aveva rubato la sua migliore amica prese possesso del
suo corpo che a grosse falcate si avviò verso la panchina
dov'erano seduti i due.
Ignorò tutti i tentativi che fece Iris per calmarlo e prese
per il colletto della felpa un Alex sconvolto che venne catapultato
sulla terra fredda del parco.
«Non ti bastava vero portarmela via come amica? No,
dovevi anche rovinare tutto, dovevi anche ficcarle la lingua in gola
per essere felice» urlò
quasi, e per un attimo Iris credette di non riconoscere più
il suo migliore amico. Si alzò cercando di rimanere stabile
mettendo una mano sulla spalla del Texano.
«Austin che ti prende? Ti prego smettila» sbiascicò
con la voce strozzata. Vederlo con i pugni tesi, gli occhi pungenti e
lucidi la fece stare male e la situazione peggiorò
quando a terra c'era un Louis infreddolito e impaurito che si stava
alzando stringendo i denti. Sapeva che non era un tipo da farsi mettere
i piedi in testa ed aveva paura per quello che sarebbe potuto succedere.
«No Iris, non chiedermelo. Non puoi farmi questo, io
ti amo, mi sono innamorato di te dal primo giorno che ti ho parlato, ti
amo da quando eri una bambina, ti amavo ancora prima di sapere cosa
fosse il vero amore! Sei stata il mio primo ed unico amore, sei sempre
stata con me, al mio fianco, pronti ad affrontare tutti i nostri
problemi assieme. Ti ho sempre amata in silenzio, ho sopportato tutto
anche i tuoi fidanzatini delle medie, ma non ce la faccio a vederti
allontanata da me. Ho cercato in tutti i modi di reprimere il
sentimento che provo per te, nonostante abbia cercato di ignorare Alex,
comparso chissà quando e come. Non riesco a capacitarmi di
vederti nelle sue braccia. Lui non sa delle cose che abbiamo fatto
insieme, di tutte quelle volte che scherzando progettammo il nostro
futuro, quando da piccoli decidemmo che il nostro primo bacio sarebbe
stato il nostro. Iris guardami, io ti amo, per favore, lui non ti
merita, lui non ti ama come ti amo io, credimi Iris»
Le lacrime erano iniziate a scorrere sui visi dei due migliori amici e
Faith si sentiva in colpa, anche se non avrebbe dovuto.
Alex d'altro canto continuava a guardare fisso la sua amica
completamente apatico, non sapeva cosa dire o cosa fare.
«I-Iris, io credo di essermi innamorato perdutamente
di te...» fu
l'unica cosa che riuscì a dire.
Iniziò a piovere, e le lacrime sulle guance dei due ragazzi
si mescolarono con le gocce di pioggia che battevano violentemente a
terra. La ragazza alzò lo sguardo e guardò negli
occhi entrambi i suoi amici di fronte a lei grondanti d'acqua. Lei non
li amava e la cosa la consumava dentro, si sentiva terribilmente male e
in colpa.
«Scusatemi, sono una stupida» riuscì
a sussurrare e per un attimo credette che la sua voce non fosse
arrivata alle orecchie dei ragazzi.
Iniziò a correre per lasciarsi alle spalle tutto, per
chiarire ciò che c'era nel suo cuore, per trovare un modo di
salvare quelle amicizie a cui teneva più della sua stessa
vita.
Il cuore le batteva fortissimo, le lacrime non cessavano di scendere e
i suoi vestiti che erano diventati aderenti non la proteggevano
più da nessun freddo, e si sentì male per tutto
quello che stava facendo alle persone più importanti della
sua vita, quelle che l'amavano. Teneva lo sguardo basso e correva
sempre più lontano, non sapendo dove si dirigeva. Le
orecchie erano sorde e non le permisero di sentire il clacson di un
camion che veniva dalla sua parte.
Slittava perchè l'asfalto era bagnato.
Non riusciva a frenare.
Fu questione di un secondo che tutto cambiò.
Un sordo tonfo e la vita di una diciannovenne venne stroncata.
Quella di Iris-
Non capì più nulla, si trovò distesa a
terra in una pozza di sangue senza fine, mentre sentiva voci
sconosciute avvicinarsi a lei, sirene di ambulanze, troppi, troppi
suoni per una mente troppo confusa.
Le palpebre si facevano sempre più pesanti e le forze
svanivano sempre di più. Ma ce ne furono sufficienti per
permettere alla ragazza di distinguere due voci tremanti che le erano
accanto. Quelle dei suoi migliori amici, dei ragazzi che l'amavano.
Aveva la vista sfocata, ma le ultimi immagini che portò con
lei furono quelle dei volti del ragazzo con cui era cresciuta e quella
del ragazzo che sapeva farla ridere come pochi, Austin e Alex, che
piangevano come non aveva mai visto fare in vita sua, e riapparve la
morsa allo stomaco, il senso di colpa persino mentre moriva.
«Vi voglio bene» sussurrò
con un fil di voce ai due ragazzi. Era un 'vi
voglio bene' sincero,
pieno d'amore, di affetto, d'amicizia.
Le palpebre si chiusero definitivamente e non sentì
più nulla: le urla, i pianti, le sirene, le scosse del corpo
che veniva trascinato su una barella, le mani che i suoi migliori amici
avevano intrecciato nelle sue, nulla più.
Irisera morta.
Era un freddo 5 Marzo quando due ragazzi persero la loro migliore
amica, la ragazza che amavano e la loro ragione di vita.
11
Novembre 2015.
Austin camminava svelto tra le stradine deserte di Londra mentre
calpestava la bianca neve che posava leggiadra al suolo. Si strinse
nella sua sciarpa blu e il suo giaccone nero, mentre tentava di
riscaldarsi le mani strofinandole sul pantalone. Nonostante il freddo e
il deserto che regnava a quell'ora e soprattutto in quel periodo lui
aveva deciso di andarla a trovare perché si, non ci andava
da un mese esatto e forse sembrava stupido ma si sentiva in colpa.
Varcò il cancello di metallo battuto del cimitero che emise
un suono sbiascicato e sgradevole, di ruggine ormai invecchiato. Si
guardò attorno prima di percorrere quella poca strada che
divideva Iris e Austin e che ormai conosceva troppo bene per abitudine.
Si ritrovò così in due minuti di fronte a quella
lapide segnata dai pochi anni, dove possedeva una foto, una dedica e un
corpo ingiusto.
«Ehi, Ir» sussurrò
al vento Austin, sentendosi minimamente rimbecillito; stava parlando ad
una lapide d'altronde.
Si sedette sul terreno bianco, scoprendo dalla neve la lapide per
intera.
‘E’ da quando te ne sei andata che mi sono
chiesto; se la mia vita eri tu che senso ha vivere adesso?’ una
frase incisa, sotto la piccola foto di Faith che la ritraeva solare,
sorridente e viva.
Era da quel 5 Marzo che Austin non era più lo stesso; meno
allegro, sorrisi quasi spenti e gli occhi oramai non donavano
più la lucentezza di anni prima. Iris era andata via senza
neanche salutarlo, senza neanche un bacio mancato o un ‘Ti
voglio bene’ sussurrato
impercettibile, era svanita via senza crearsi problemi, senza chiedersi
come sarebbe stato il mondo di Zayn senza di lei.
Ogni sera ripensava a quella scena, l’orrore negli occhi e la
paura di quella sera, i fari del camion e la strada bagnata, infine una
frase che aveva fatto crollare l’universo sotto i piedi di lui ‘Mi
dispiace, non ce l’ha fatta’.
Si era sentito inutile, aveva pregato tutti i giorni, tutte le ore e
tutti i minuti che il suo cuore tornasse a battere con
l’energia di sempre, che ritornasse il suo sorriso sul suo
volto sciupo e pallido, ci aveva creduto ma aveva ceduto, e poi il
giorno del suo funerale era arrivato come un battito di ali; troppo
nero in torno, troppe lacrime, un corpo troppo pallido e troppo giovane
per stare in una bara che sapeva di morte, priva di vita, ormai vuota
di speranze andate perse. Austinn vedeva i cari di Iris disperarsi per
lei, chi si abbracciava con una pacca sulla spalla e un ‘Mi
dispiace’sbiascicato, chi aveva le spalle in
giù e tratteneva i singhiozzi con un fazzoletto tra le mani
e poi c’era lui, in disparte da tutti, con la mente altrove e
la bocca piena di parole che avevano voglia di uscire, di essere urlate
ma bloccate. Doveva starci lui, non la sua migliore amica, pensava,
mentre si rigirava nel letto senza pace cercando di trovare un
po’ di sonno ma con scarsi risultati –se non delle
enormi occhiaie in compenso.
Si era ripromesso di non piangere più, di essere forte per
lei perché sapeva che avrebbe voluto questo, quando gli
ripeteva ‘Tu
sei forte,
Zayn’ dopo
una delusione in certi casi, o quando lo abbracciava semplicemente e
non c’erano bisogno di parole.
«Mi manchi terribilmente» parlò
di nuovo, giocherellando con un filetto di erba che si intravedeva
sotto la bianca neve. Si passò una mano sul viso e dopo nei
capelli stancamente, mentre distoglieva lo sguardo il più
lontano possibile.
«Ora ce l’avrai con me perché
non sono venuto un intero mese» sorrise
a quella frase, ricordando il volto della sua migliore amica
imbronciato ogni qual volta Austin non si facesse sentire per uno o due
giorni. Lo trovava sempre buffo, il modo in cui corrugava la fronte e
si formavano delle piccole rughe o sporgeva il labbro inferiore
mostrandolo mordicchiato all'interno. Era sempre bellissima,
però.
«Oggi in ufficio ho dovuto consegnare in fretta
delle pratiche per il capo. Elizabeth insiste al voler uscire con me
nonostante io le faccia capire che non è affatto il mio
tipo» spostò
di nuovo lo sguardo su un albero che distava poco dalla sua posizione.
Ricordò ancora quando ci provò spudoratamente con
una delle ragazzine del liceo davanti agli occhi frustrati e infuocati
di Iris, che non si lasciò sfuggire il ghigno divertito di
Austin, infatti una volta tornati a casa non si risparmiò la
predica cercando di non ammettere che fosse gelosa, e Austin sorrideva
e l’abbracciava: lui non aveva mai guardato veramente una
ragazza al di fuori di Iris.
«Poi sono passato all'ospedale, ho parlato con la
dottoressa Collins e mi ha detto che Luise sta molto meglio,
è una ragazzina forte» ogni
mercoledì della settimana passava a salutare i pazienti del
Central Hospital, salutava i bambini con gravi malattie e ricordava
loro che non dovevano mai mollare perché ce
l’avrebbero fatta, perché lui credeva in loro
sempre. Luise era una ragazzina di 12 anni con la leucemia, adorava
Austin e ogni volta che si incontravano lei gli chiedeva di cantargli
delle canzoni perché sì, Austin aveva una voce
bellissima ed era sempre un piacere ascoltarlo.
«E poi ho incontrato una ragazza. Si chiama Eveline,
ha i capelli biondi e gli occhi verdi, ed è terribilmente
bella. Ci siamo incontrati per caso e abbiamo chiacchierato sulle cose
comuni e su noi stessi, e sai che ho scoperto?» si
fermò riprendendo fiato, calando lo sguardo sulle sue mani
infreddolite mentre l’ombra di un sorriso compariva sul suo
volto.
«Ti verrò a trovare ogni domenica mattina
e ti porterò i tuoi fiori preferiti. Prometto che
chiamerò mia figlia col tuo nome, ma è ora di
guardare avanti, nel futuro e nel presente dove tu, ormai, non ci sei
più. Il mio amore per te sarà eterno, sempre, sei
stata la ragione del mio sorriso per 19 anni, ma questo sorriso ormai
è ricomparso grazie ad un’altra donna, e sto bene
insieme a lei quindi non voglio rovinare tutto» Austin si
sforza di non piangere e ce la fa, ma lui non vede che
c’è una ragazza seduta di fianco a lui che lo
guarda con occhi innamorati e pieni di compassione; Iris aspettava
questo momento da tempo, era felice ogni qual volta il suo migliore
amico la andasse a trovare e le raccontasse le sue giornate migliori o
peggiori quel che siano. Si divertiva quando Austin assumeva
espressioni buffe troppo preso dal racconto per accorgersene e stava
male ogni qual volta andava via, lasciandola sola tra una marea di
anime perdute. Austin non poteva vederla perché Faith era
un’anima trasparente, avrebbe voluto urlargli che lei stava
bene, le mancavano i vecchi momenti e avrebbe voluto accarezzarlo e
tenerlo ancora un po’ con sé, ma era andata via
troppo presto ed ora doveva cedere il suo posto a
qualcun’altra. Anche se con un pizzico di gelosia Iris era
pronta a lasciarlo andare definitivamente perché Austin si
era crogiolato per troppo tempo nei ricordi e nei rimpianti ed ora
toccava a lui essere felice con una nuova donna che non sia lei.
Se fosse stato possibile Iris avrebbe pianto davanti all'innocenza e
l’imbarazzo del suo migliore amico mentre le raccontava di
Eveline, avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che era bellissimo e non
avrebbe avuto problemi a conquistarla, ma si limitava ad ascoltarlo in
silenzio come tutte le anime facevano.
Austin d’altro canto si alzò, pulendosi il
pantalone con una mano e osservando finalmente quella lapide grigia.
Sentì un fruscio del vento carezzargli la guancia, e
capì che era la sua migliore amica che gli stava dando
l’addio. Capì che lei era sempre stata
lì ad ascoltarlo in silenzio e capì che oramai
era il tempo di lasciare quel posto e guardare Austin dall'alto.
Portò istintivamente una mano sulla guancia colpita dal
vento e scoprì una lacrima solitaria scendere silenziosa.
«Ti amo, Iris» sussurrò
al vento, facendo un passo indietro e sorridendo malinconicamente.
«Ti amo, Austin» fu la
risposta di Iris, mentre accompagnava il ragazzo al cancello. Sorrise
dolcemente, mentre il suo sguardo veniva rapito da una luce abbagliante
e la seguì, ritrovando la pace e lasciando finalmente quel
posto che non le apparteneva più.