“Gli uomini tendono a dimenticare.
Io, personalmente, lo trovo troppo faticoso.”
Perché
mi stava ritornando alla mente quel terribile episodio cui avevo assistito
nemmeno un anno fa? Cosa ci trovava di divertente la mia mente a rivangare cose
che avevo deciso di seppellire nei più profondi meandri del mio
subconscio?
Per
quale ragione si stava spostando su quel nostro scontro?
Quel
giorno… Quel nostro incontro.
Se
devo essere sincero, ancora non ho ben chiaro quello che provai trovandoti
davanti a me dopo così tanto tempo, il mio spirito di rivalità prevaleva sulle altre
emozioni, forse ero semplicemente contento per il fatto di aver avuto la
possibilità di confrontarmi nuovamente con te.
Il drago con un occhio solo di Oshuu…
Date
Masamune.
Probabilmente…
Eravamo destinati a incontrarci, a sfidarci, a diventare
rivali, a collaborare... destinati a combattere a fianco a fianco da un
momento all’altro come se la nostra rivalità non fosse mai esista, destinati…
A
provare tutti quei sentimenti.
“E di conseguenza io… destinato a soffrire.”
Le
nostre armi iniziarono subito a stridere l’una contro l’altra. Non ci fu
nemmeno il tempo di fare la mia solita faccia entusiasta, non feci
nemmeno in tempo a godere del tuo sorriso sarcastico per qualche istante in
più. Averlo saputo allora quello che sarebbe presto successo… Probabilmente
avrei fatto di tutto per godermi quei momenti passati in tua compagnia. Forse,
anche l’esito dello scontro sarebbe stato diverso.
Le
mie lance bloccavano i tuoi sei artigli, le tue sei spade, le spade di cui eri
così fiero.
“Queste sono le armi di un
vero generale di Oshuu.”
Era
così che le avevi definite in uno dei nostri incontri, vero?
Dal
mio canto io, ero troppo sicuro di me quel giorno. Come un ragazzino che pensa
di aver già la vittoria in tasca. Non avevo minimamente ipotizzato che tu
potessi essere migliorato così tanto. Non avevo immaginato nemmeno che io fossi
rimasto al solito livello.
Il
tuo ultimo colpo mi prese alla sprovvista. Non riuscì nemmeno a seguirti con lo
sguardo. Il mio affondo migliore, il mio “Tiger Flames”, il colpo di cui vado
così fiero, venne sconfitto come se ti fosse stato scagliato contro da un
bambino. Ricordo ancora la sequenza dei tuoi movimenti. Il tuo braccio destro
che si alza, le lame nella tua mano che scintillano e poi, di nuovo quel tuo
sorriso sarcastico che vedendomi scoperto si allarga sempre di più. Io, invece,
in meno di un secondo, con ancora quel sorriso nella testa, mi ritrovo
sbalzato indietro, le mie lance volate chissà dove, il mio volto stravolto dal
dolore di quel colpo e le ginocchia che si rifiutano di ubbidirmi, volendo
solo cedere alla forza di gravità che mi attirava giù verso la pianura di
Oshuu.
Mi
ritrovai piegato in due sul campo di battaglia, le mani che si stringevano nel
punto in cui la tua lama aveva trapassato la mia guardia e la mia carne. Un
rivolo di sangue scarlatto scese dalle mie labbra e creò una macchia scura sul
terreno arido della tua terra. Quella stessa terra che il mio venerabile signore
aveva deciso di attaccare. Quella terra che molto probabilmente sarebbe stata
il luogo della mia tomba. Ero preparato a morire. Preparato ad esalare l’ultimo
respiro guardando il tuo volto e la tua lama che si abbassava verso di me.
Ma
non andò come mi ero aspettato.
Ti avvicinasti portandoti alle labbra la spada ancora intinta del mio sangue.
“Un gesto che ti eri ripromesso di non fare più.”
Quel
sorriso che ancora illuminava il tuo volto, quella furia che a stento il tuo
unico occhio tratteneva dentro di te, quella faccia che in quel momento era
dedicata solo a me.
“Sto
per… morire?”
Sussurrai in ginocchio, vedendoti fermo proprio davanti a me con quella spada ancora
alzata a coprire parte del volto.
“Ho paura…”
Non
lo avrei mai ammesso, ma le emozioni che in quel momento attanagliavano la mia mente erano varie
e si susseguivano tra loro. Una di queste era la paura.
Paura
di morire? Sì. Ma, soprattutto la paura di non riuscire più a parlarti, di non
sentirti, di non poterti più vedere, di non poter più confrontare le nostre
lame. Di non poter più mettermi in gioco. Di non poter più dimostrare di essere
il migliore. Di non poter fare la storia. Di venire… Dimenticato.
“Dimmi.
Chi ci ricorderà?”
Domandasti
lapidario. Secco, come se tutto quello che avevi appena detto potesse spiegare
le tue precedenti azioni. Come se avessi appena letto nel mio pensiero. Il mio
sguardo si alzò verso di te, e subito i miei occhi si sorpresero per quello che
lessero sul tuo viso.
“Che fai adesso? Mi regali… un sorriso? È forse compassione la tua? Il
drago con un occhio solo che prova compassione per uno come me? Non devi. Non
puoi. Eppure…”
Perché
quella rabbia che poco prima c’era nel tuo occhio scomparve in quel modo? Perché lasciò il posto a quella strana espressione?
Non
avevo mai visto quel lato di te. Quella,
forse, fu la prima volta in cui mi accorsi della tristezza che ci accomunava.
Quegli stessi sentimenti che da me stesso, ora ritrovavo riflessi perfettamente
dentro al tuo sguardo. Era come se stessi guardando uno specchio…
“Ma
non volevo questo. Non volevo lasciare quel mondo con un’espressione del
genere.”
Rimasi
in silenzio. Nonostante mi aspettassi che anche tu provassi simili emozioni,
sentì ugualmente qualcosa rompersi, dentro di me, dopo aver visto quel tuo lato.
Un uomo così potente, così fiero, così meraviglioso... E al contempo fragile,
tormentato, senza
pace. In quel momento pensai di desiderare la morte fatta dalle tue
stesse mani. Preferivo la morte piuttosto che quella sensazione che pian piano
si stava facendo strada dentro di me. Cos’era? Colpevolezza? Mi sentivo
colpevole davvero? E per cosa? Per averti fatto mostrare quel tuo lato? Oppure
per aver perso in quel modo? Forse per entrambe le cose.
Stavo
morendo tra i sensi di colpa, ma non era il caso. Non in quel momento. Quando
la lama sarebbe finalmente giunta sul mio corpo e sulla mia anima, mi sarei
crogiolato in quelle emozioni.
“Tu hai fatto la storia, hai le tue gesta, la tua forza, i
tuoi uomini. Di te non ci si può scordare,
neanche in sogno.”
Dissi
scacciando le sensazioni che provavo cercando invece di mostrare sul mio volto
un sorriso che avrebbe dovuto rassicurare chi mi stava fissando. Certo, sapevo
che colui che mi era di fronte in quel momento poteva perfettamente essere il
mio assassino. Volevo solo… Consolarti? No. Non avevi bisogno di essere
consolato, l’espressione che mi avevi mostrato era durata non più di dieci
secondi. Eri sempre il solito drago. Maestoso e fiero. Avevo solo bisogno di
ripeterlo a me stesso. Di marcare la nostra profonda differenza. Di mettere il
dovuto spazio tra me e te. Non volevo che quell’espressione mi accomunasse con
il Drago di Oshuu più di quanto non fossimo già legati. Non volevo accorgermi
del legame che ci univa saldamente sin dal nostro primo incontro.
“Shit.”
Una
semplice parola che mi fece capire quanto stupido dovevo essere stato a
risponderti in quel modo. Ti sarò sembrato patetico in quel momento, vero? Il patetico
Sanada Yukimura. La giovane tigre del Kai, che si metteva a parlare in quel
modo al proprio nemico. Forse avrei dovuto vergognarmi. Potevo sentire la voce
di Sasuke rimbombare nella mia testa… Sicuramente in quel momento era da
qualche parte che osservava quello che stava accadendo tra di noi biascicando
parole come:
“Vergognati generale, parlare
in questo modo, sei veramente senza speranza…”
Solo
allora mi resi conto che la pozza di sangue ai miei piedi si era allargata.
Tossì per la seconda volta e quella scura macchia sul terreno si estese ancora
di più.
“Sto davvero per morire allora”
Pensai,
questa volta privo di qualsiasi emozione, osservando un ultimo istante il tuo
volto. Durò un attimo. Non riuscì nemmeno a incrociare il tuo sguardo che
qualcuno interruppe il nostro momento. Quell’uomo. L’uomo che ci avrebbe
portato sull’orlo della catastrofe. Mi abbandonai pesantemente a terra ormai
privo di conoscenza, cercando forzatamente di aggrapparmi a quel briciolo di
vita che ancora stavi concedendo di brillare dentro di me.
Una
pioggia di frecce piombò verso il campo di battaglia e poi quello che ricordo
fu soltanto il buio.
Voleva…
Ancora continuare? La mia mente voleva ancora andare avanti nel ricordarlo?
Perché? Perché mi faceva questo? Perché dopo tutto questo tempo dovevo ricordarlo?
Perché quei suoi ricordi non mi lasciavano in pace?
Sembrò
non ascoltare le mie lamentele e continuò a perdersi nei ricordi… Così vana era
la mia forza di volontà, così forte era quel sentimento che ancora provavo dopo tutto quel tempo?
Il
sole passò dolcemente tra i pannelli della mia stanza, nel Kai. Mi risvegliai
quattro giorni dopo il nostro combattimento. Ero nel mio letto e accanto a me,
c’era lui… Il mio signore. Lord Shingen.
Erano
passati troppi giorni da quando avevo fatto ritorno in fin di vita nel nostro
campo.
“Masamune-dono… Lui… Dov’è?”
Fu
la prima cosa che dissi dopo aver aperto gli occhi. Il successivo colpo da
parte del mio venerabile signore mi costrinse a non rifare la domanda.
Scoprì
quello che era accaduto sul campo di battaglia pochi giorni dopo. La comparsa
di un nuovo potente generale che aveva intenzione di combattere per unificare
sotto il suo controllo la terra del Sole… mi dissero che Masamune stesso era stato
sconfitto da quest’uomo. Che ormai il suo esercito era in grossi guai e che persino lui aveva rischiato grosso.
Dentro
di me, provavo ancora le stesse emozioni del nostro ultimo incontro. Quella
paura di morire, quella colpa che il suo sguardo aveva fatto crescere in me e quella
vergogna di non essere stato alla sua altezza. Se non ero riuscito a vincere
contro di lui… Come avrei potuto sperare di combattere questo nuovo generale?
“E ora? Dimmi, cosa è cambiato dopo tutto
questo?”
“Niente,
ancora, era cambiato.”
Ero
ancora troppo debole per confrontarmi con una persona come lui. O meglio, la
mia anima era ancora troppo debole perché potesse confrontarsi con lui. Lui non
aveva niente da perdere, andava unicamente avanti sulla sua strada. Non si
voltava indietro. Pensava solo al futuro che presto avrebbe realizzato. Almeno,
io a quel tempo lo vedevo in questo modo.
“Sei troppo debole. Se ti
ripresentassi un’altra volta davanti al drago di Oshuu in queste condizioni, di
certo non te la caveresti con queste semplici ferite.”
Aveva
ragione.
Il
mio signore aveva ragione nel dirmi quelle parole. Aveva ragione a mandarmi ad apprendere
quello che in realtà avrei dovuto avere scolpito nella mia mente da troppo
tempo. Capire come essere un generale.
Non
mi voltai mai indietro.
Nemmeno
quando seppi della successiva sconfitta del drago di Oshuu. Nemmeno quando le
notizie che mi arrivarono non seppero confermarmi la tua sopravvivenza.
“Dove
sei in questo momento? Ci potremmo mai rincontrare? Sono sicuro che sei ancora
vivo.”
Erano
questi i pensieri che mi passavano per la testa durante il viaggio fino alle
coste dell’ovest dove abitava l’antico compagno del mio maestro. Pensavo
soltanto al nostro prossimo incontro, incurante del fatto che potesse essere
l’ultimo per me o per te.
Qualcuno
mi disse tempo prima che i ricordi non potevano essere controllati. Che la
memoria scavava e scavava all’interno dell’anima e della mente per cercare
qualcosa che in un determinato momento ci potesse appagare. Ricordi che ci
tormentano, ricordi piacevoli, ricordi dolorosi, tutti i ricordi che la nostra
mente rivanga, sono dei ricordi che noi stessi non riusciamo a dimenticare per
un motivo o per un altro. Un sospiro esce dalle mie labbra, mentre, appoggiato
al ponte del Kai, fisso il sole che pian piano cala sempre più profondamente. Nonostante
tutto, le mie domande rimanevano, perchè dovevo ricordarmi di quel momento?
Perché proprio quella notte era tornata alla mia memoria? Perché la mia mente
non decideva di smetterla di tornare indietro nel tempo e farmi soffrire
rivangando quei ricordi?
Quella
notte, la Luna s'ergeva silenziosamente, senza perdere tuttavia la sua
romantica solennità e potenza. Dall'alto, dava quel luminoso tepore coperto sì
dal freddo della notte, ma comunque presente. Non percepito da tutti, ma
presente. Un dolce scenario. Degli uccelli continuavano a volare, godendosi la
loro "passeggiata" notturna... senza fare rumore. Era come se la Luna
cantasse un'ode alla Terra. Era come se il mondo imponesse, sovrano, il suo
rigido ma desiderato abbraccio. Uno scenario probabilmente che non si addiceva
al momento che entrambi stavamo vivendo…
Di
certo non mi aspettavo di rivederti così presto. Non credevo che il
nostro futuro incontro potesse essere così vicino nel tempo. Non ero… preparato.
“Ci incontriamo di nuovo, Sanada
Yukimura!”
Quelle
parole caddero in un baratro fin troppo grande per la mia percezione. Fu come
far cadere un sasso in un pozzo senza fondo con una mano non propria. Sentivo
ancora la vergogna che indelebile calcava il mio spirito. Sentivo nuovamente le
emozioni che avevo tentato di sopprimere durante quei giorni di viaggio. Ma,
sarebbero bastate per quella sera, non ne avrei avute di nuove. Continuavo a
usare quelle risorse interne, quel carburante di emozioni, piano piano, come
fossero energia vitale. Attingevo, continuavo ad attingere per rimanere con i
piedi per terra.
Quando
ti guardai però, mi persi.
Sembravi
il solito drago di sempre. Come se l’espressione che ti avevo visto in volto
non fosse mai esistita. La malinconia di quegli occhi ancora riempiva la mia
mente, ancora potevo scorgere, al bagliore del tiepido fuoco che ardeva nella
zona in cui mi ero ritirato per avere un po’ di tranquillità, la profondità di
quegli occhi e di quelle tue parole. Pozzo non senza fondo, ma molto, molto
profondo.
“Perché mi hai lasciato in
vita?”
Almeno,
questa frase da qualche parte cadde.
Il
solito sorriso sarcastico s’infiammò sul tuo volto mentre ti sedevi accanto a
me. Sembrava irreale la tua presenza in quel posto. Così lontano dalle tue
terre, così lontano dalla tua prossima battaglia mortale. Quello che ci facevi
lì in quel momento non lo seppi mai. Nemmeno te lo chiesi… Quello che uscì
dalle mie labbra fu unicamente la domanda che mi attanagliava sin da quando mi
ero risvegliato nel mio letto.
“Perché
ero ancora in vita?”
Poi
attesi. Ti guardai. Rimasi in totale silenzio, ma quella stasi sarebbe stata in
ogni caso più eloquente di mille parole.
Attendevo
solo la tua risposta. Una qualsiasi risposta.
“Non valeva la pena dopo
essere stati interrotti in quel modo.”
Non
so quello che successe dopo quel responso. Forse non m’interessava poi così
tanto la ragione, forse aspettavo una qualsiasi risposta per poi continuare a
conversare con te, forse già sapevo che non mi avresti mai rivelato gli oscuri
motivi dietro la tua decisione. Mi accorsi che le nostre labbra erano unite soltanto
quando sentì il sapore metallico in gola. Quello che stava succedendo non sarebbe
dovuto accadere. Non avrebbe dovuto nemmeno passare per la nostra mente.
Eppure… Mi ritrovai separato da te con il labbro sanguinante e con il tuo
sguardo divertito puntato nel mio forse anche troppo sorpreso.
Fu
probabilmente quel tuo sguardo, quel tuo sorriso soddisfatto, o
quel tuo modo sensuale di leccare le gocce di sangue, del mio sangue, che
ancora avevi sulla punta delle labbra, che mi spinsero ancora una volta verso
di te, per ritrovare quel contatto, per ritrovare quelle emozioni che avevo
appena provato.
Mille,
indescrivibili sensazioni percorsero il mio intero corpo, ora al cuore, ora
alla testa, annebbiando tutto quello che di razionale ancora albergava dentro
di me. Sentivo il tuo corpo premuto contro il mio, con perfetta aderenza, come se
fossero due parti d'uno stesso, grande e perfetto organismo che era stato
separato troppo tempo prima... Persone totalmente differenti. Eppure, stessa
materia.
Potevo
sentire il sapore delle tue labbra. Potevo sentirle sulle mie. Erano delle
labbra terribilmente calde, per essere quelle di un uomo. Lo stesso corpo era
pervaso da... Calore? Come era... umanamente possibile? Cercavo di trattenere la
sopita coscienza. Oscuri impulsi m’imponevano di fermarmi, ma non feci altro
che abbandonarmi al vento del caso, danzando.
“Danza!”
Come...
di già? Ti allontanasti per la seconda volta da quel nostro contatto. Così era
come una sigaretta a metà... Una battaglia troppo veloce... Un abbraccio troppo
fugace per essere anche solo ricordato. O immaginato.
Ti
seguì con lo sguardo, ancora stupidamente sgranato. Sorpreso che i nostri corpi
potessero tornare a essere separati, sorpreso di non sentire più il sapore
delle tue labbra sulle mie, sorpreso per ritrovare ancora una volta nel tuo
sguardo quella sottile vena di malinconia.
“Perché
ti trovavi lì? Perché mi avevi concesso di arrivare fino a quel punto?”
Nessuno
dei due emetteva un fiato. La debolezza di quel momento rendeva il momento
stesso immortale. Quella stessa solitudine di coppia e quell'inadeguatezza
estirpata con una meravigliosa incognita s'avvicinavano al senso puro e
irraggiungibile di bello, con quel pizzico d'assurdità dall'effetto dolceamaro.
“Aspetta.
Non puoi andare avanti…”
Ma
i ricordi non si fermavano. Appoggiato alla balaustra, mi sembrava di nuovo di
essere in quel campo con te, il fuoco che dopo un momento fu spento, la luna
che, come a volerci dare il suo benestare, si oscurava dietro una nuvola. I
miei soldati che, ignari di quanto accadeva a pochi passi da loro continuavano
a dormire o a fare la guardia. E infine tu…
Non
parlò nessuno di noi due, ci ritrovammo semplicemente a terra, sdraiati, come
se fosse la cosa più naturale del mondo continuare ciò che avevamo iniziato.
Vedevo il tuo volto sopra il mio, ma era come non vederlo affatto. L’unica cosa
che ero sicuro di sentire era quel calore.
“...
Calore?”
E
tu, provavi calore? Sentivi quello che sentivo io? Me lo domandavo ancora
adesso, speravo che sentissi le mie stesse emozioni. Avrei preferito essere
completamente cieco, piuttosto che rimanere privo di calore. Privo di quel
primo, indiretto contatto non solo tra gli uomini, ma tra l'uomo e il mondo, il
mondo e il mondo stesso. L'energia che si fa materia di scambio, informazione,
complicità e competizione. Come ci si poteva negare tale piacere?
E
tu, di calore, abbondavi. Forse non lo sentivi, ma lo sentivo contro di me e
sentivo i tuoi stessi sentimenti passare attraverso il mio corpo e arrivare
dritti nella mia anima. Sapevi benissimo come entrare in contatto con la tua
energia ed esserne padrone. Io invece, non ne ero così sicuro. Pensai che forse
quello che passava da me a te non fosse abbastanza, così, mentre mi muovevo
seguendo il tuo ritmo, aumentai il mio calore...
...
sperando che, in quel contatto, ti giungesse più calore possibile.
Il
ritmo dei miei pensieri non voleva interrompersi. Continuava, ancora e ancora,
con il susseguirsi delle immagini, con gli attimi che avevamo passato insieme,
oppure i miei lunghi minuti a pensarti.
Dopo
quella sera non ti rividi per molto tempo. Mi sembrava come un sogno ciò che
avevamo passato insieme; quella notte, quelle sensazioni, quei sentimenti
traboccanti, era come se fossero stati scolpiti con colori delebili. Come se
fosse passato troppo tempo e il colore fosse andato pian piano a sciogliersi.
Tu
non eri con me.
Io
ero impegnato nella mia battaglia, tu, nella tua.
Quando
seppi ciò che ti era accaduto per colpa di Hideyoshi mi ritornò nuovamente in
mente quella sera. Ti sentivi per caso solo quando venisti da me? Senza Kojuro,
ti sentivi perso? Avevi bisogno di ritrovare la via? Oppure era stato un
capriccio spinto dall’assenza di quest’ultimo che per te era come una
coscienza? Ripensandoci, volevo sapere se eri, effettivamente, così solo come
sembravi. Se anche tu soffrivi. E di cosa. E qualunque cosa essa fosse stata,
gradevole o sgradevole all'udito, avrei voluto contribuire a fare breccia in
quel velo. Quel velo da squarciare.
Scossi
la testa tornando alla realtà.
Il
successivo ricordo era troppo duro da mettere a fuoco. Troppo violento da
sopportare ancora una volta, troppo umiliante, troppo terrificante, troppo
infamante. L’avrei distrutto se avessi potuto. Avrei voluto cambiare la storia.
Cambiare quello che era successo.
“Il
tuo spettro è inciso sulla mia retina, e ti guardo anche quando chiudo gli
occhi. Così, dopo… il fatale evento, continuerò a guardarti grazie ai miei
ricordi.”
Ancora
adesso, i contorni del tuo viso sono incisi con un piccolo, minuscolo coltello
incandescente sul mio cuore. Ricordare il tuo volto mi provoca sensazioni
diverse, e il dolore per la tua perdita è sempre inevitabilmente presente.
Immaginare il tuo volto è come un’impressione istantanea, questione d’un
attimo, una rivelazione, ma frutto di un lavoro minuzioso e attento.
Un
sospiro esce flebile dalle mie labbra, il sole ormai è sul punto di essere
inghiottito in quel blu accecante che si espande a macchia d’olio, inglobando
il rosso del cielo e la luminosità del sole. Mi ricorda la nostra situazione.
Mi hai incantato nello stesso modo.
“Non
sei il primo che passa. Il mio sentimento non è stato certo un colpo di
fulmine. Definirlo in questo modo sarebbe solo un eufemismo.”
La
battaglia finale.
I
soldati si sfidavano senza tregua, i generali cercavano di fare il loro meglio
per vincere contro Hideyoshi, un’alleanza forse troppo azzardata, ma l’unica
soluzione che poteva essere presa. Io sembravo ritornato come un tempo, il mio
pensiero nei tuoi confronti era, se possibile, più forte dopo la notte che
avevamo trascorso, ma il mio spirito combattivo si era ridestato. Il bozzolo si
era schiuso. Se fossi diventato una farfalla ancora non lo sapevo, ma mi piaceva
pensare che effettivamente lo ero. Più forte, più coraggioso, più determinato a
vincere. Le emozioni che avevo provato, la paura, la vergogna e la colpevolezza
si erano come assopite dentro di me, sostituita da qualcosa di più forte che mi
faceva andare avanti.
E
questa volta quello che provavo non era per il mio signore. Ma per me stesso.
Ci
ritrovammo separati sul campo di battaglia. Tu come ovvio che fosse, ti
gettasti in prima linea, contro Hideyoshi. Contro quello spaventoso generale
che sembrava invincibile, che, nonostante ti avesse sconfitto già una volta t’impuntasti
a sfidare nuovamente.
Avrei
voluto trovarmi insieme a te, come con Oda. Ma avevo un compito anch’io,
Motonari Mori andava fermato. Le sue armi erano troppo potenti per lasciarlo
agire indisturbato. Le sue motivazioni troppo egoistiche.
Lottai.
Lottai con tutte le mie forze.
Fu
una dura battaglia la nostra. Alla fine riuscì a conquistare la mia vittoria.
Mori venne sconfitto e la sua strana arma solare distrutta. Riuscì però a
scappare, e io mi ritrovai sul campo di battaglia, circondato dai miei uomini,
dalla loro gioia per aver vinto e dall’entusiasmo generale.
Non
rimasi con loro. Sapevo già dove mi sarei diretto.
Non
ti avrei lasciato solo a combattere contro Hideyoshi. Avrei unito nuovamente il
mio e il tuo destino. Avremmo combattuto insieme, e poi avrei avuto la mia
rivincita, avrei avuto il tuo sorriso. Il tuo entusiasmo, le tue parole, la
brillantezza del tuo sguardo. Mi sarei preso tutto di te.
“E
tu cosa volevi?”
Quando
arrivai sul campo di battaglia avevi già trionfato. Era quasi impossibile da
credere che tu, un singolo piccolo uomo, fossi uscito vittorioso contro un
simile mostro, grande quasi il doppio di te. Ma la realtà era innegabile. Eri
in piedi, il volto rivolto verso il cielo, i capelli che ti sferzavano il viso,
e il tuo occhio sinistro chiuso, come ad assaporare il momento.
“Masamune-dono!”
Chiamai,
facendoti voltare e beandomi del tuo viso.
Ricordavo
ogni tuo singolo tratto.
“La
tua bellezza nei miei ricordi, è rimasta la stessa. È così bella, allora, l’immortalità?
Porta il tuo stesso volto?”
Fu
improvviso. Come per uno scherzo del destino, nessuno dei due si accorse di
quello che stava accadendo. Io, che lentamente mi avvicinavo verso di te, trepidante
d’attesa. Cosa mi aspettassi non saprei dirlo con esattezza. Il tuo abbraccio?
Un nostro scontro? Il tuo sorriso?
Il
tuo sapore aspro e caldo allo stesso tempo.
Una
freccia perforò quel poco che rimaneva della tua corazza in un semplice
istante. Entrò nella tua schiena e uscì dall’addome, lacerando la tua carne e
sibilò verso di me, colpendomi al fianco sinistro e rimanendo bloccata, come se fosse stata lanciata da una furia in persona che non sarebbe
stata contenta fino a quando tu non fossi morto. Il mio lamento si fermò in
gola, mentre ti guardavo lentamente cadere a terra, senza emettere un fiato,
portandoti le mani sulla ferita appena inflitta.
Incespicai.
Non
volevo cadere a terra e cercai in tutti i modi di portarmi avanti, di camminare
verso di te. Di raggiungerti. Non pensai nemmeno a cercare colui che ti aveva
colpito. Non mi curai della freccia conficcata nella mia carne. Del sangue che
usciva dalla mia ferita.
Mi
buttai disperato verso di te. Le mie lance furono abbandonate lungo la distanza
che ci teneva separati. Caddi in ginocchio raggiungendoti. Guardando il tuo
viso. Toccando il tuo volto.
“…”
La
tua voce mi arrivò alle orecchie, ma il mio cervello non elaborò subito quelle parole,
troppo sconvolto da ciò che stava scivolando via dalle mie mani. La tua vita
che si spegneva lentamente contro il mio respiro. Le tue labbra erano a un
soffio dal mio orecchio e poi magnificamente vicino alle mie. Sentivo ancora il
tuo flebile respiro. Un soffio, un altro e poi…
Le
mani si strinsero disperate sulla tua armatura perforata, cercando di far smettere
al sangue scarlatto di fuoriuscire dalla tua ferita, ignorando completamente
quello che stava uscendo dalla mia. Non pensavo a niente. Non m’importava di
niente. Volevo solo che il tuo sangue smettesse di uscire, che tu riaprissi
nuovamente il tuo occhio chiaro e mi guardassi, carico d’entusiasmo.
“Masamune-dono!”
“Non era rimasto altro. Avevo tutto, tra le mani... Ma non rimase altro
da dire. Non rimase altro che potessi fare.”
Di
nuovo il tuo nome. Il mio richiamo era disperato, il mio volto trasmetteva la furia.
“Rialzati.
Rialzati ti prego. Permettimi nuovamente di incontrare il tuo sguardo.
Per
favore.”
Fu
inevitabile, mentre alcuni i soldati inseguivano la figura che ci aveva colpito
e altri si avvicinavano a noi, le lacrime cominciarono lente a riempire le mie
palpebre. A traboccare al di fuori e a scendere lungo il mio volto, scavando
l’espressione di dolore che accumunava così tante persone.
Troppo
veloci. Troppo numerose. Troppo dolorose.
“Perché…?”
Il
tuo volto fu inumidito dalle mie lacrime, ma tu non ti muovevi, non mi regalavi
nessun sorriso, non dicevi più nulla, non respiravi. Eri…
Morto.
“Lasciate che muoia.
Lasciatemi morire insieme a lui”
Una
preghiera silenziosa che continuava a riecheggiare nella mia testa. Avrei
voluto congiungermi a te immediatamente, avrei preferito morire che continuare
a vivere senza il tuo sorriso, senza la tua voce che mi chiamava…
“Sarebbe
stato un gradevole modo di concludere la mia vita se quella freccia si fosse conficcata qualche centimetro più in alto, trafiggendo il mio cuore.”
Le
lacrime raggiunsero il presente. Mi accorsi di stare piangendo probabilmente
molto più tardi di quando avevo cominciato. Ancora adesso, nonostante tutto
desideravo la morte. Ancora oggi vorrei riconciliarmi con te, arrivare nel
luogo in cui ti trovi, vederti di nuovo. Smettere di ricordare il tuo viso, smettere
di provare quei miei sentimenti.
“Sì,
mi piacerebbe morire.
Pace,
insomma.”
Il
Sole era scomparso e la notte regnava sovrana. C’eravamo unicamente io e il
cielo oscuro ormai trapuntato di stelle.
“Vedi quella stella? Le mie
gesta sicuramente supereranno la sua fama!”
Non
riesco a fermarmi. I ricordi non la smettono di ritornare. I singhiozzi escono
sempre più strazianti dalle mie labbra, le gambe cedono al peso di quel dolore
ritrovato. Gli occhi continuano a stillare senza tregua lacrime. E intanto,
nella mia testa, la tua voce continua a ripetere il mio nome.
“Sanada Yukimura, ci
rincontriamo.”
Il
tuo corpo rimaneva a terra immobile, ma le tue labbra erano ancora vive, unite
alle mie, il tuo tocco sulla mia pelle m’inondava di fiamme, la tua passione pervadeva
ancora i miei occhi. Il calore che percepivo nel mio corpo era il tuo. Soltanto
tuo.
La
mia mente non sapeva mettersi d’accordo. La tua voce, la tua immagine e il tuo
sapore si alternavano, più vivide che mai.
“Che cosa hai fatto su di
me? Che effetto che trascende i tuoi poteri hai scatenato?”
Ti
amo.
L’avevo
realizzato solo una volta che ti avevo perso. È così facile pensare queste
parole, ma allora perché dirle, è così dannatamente arduo?
Sorrido
rialzandomi per l’ennesima volta, asciugandomi il volto umido di lacrime,
cercando di darmi un contegno degno di un generale quale ora sono.
Sperando
che nessuno abbia visto la parte più segreta che ormai non faccio altro che
nascondere dietro l’irruenza delle mie azioni, e la vendetta che mi spinge
verso Mitsunari Ishida. La ferita che mi ha inferto mi ricorda il mio dolore e
la mia rabbia. Di tanto in tanto la guardo, ricordandomi quanto ho perso a
causa di quell’uomo, ed è allora che la tua voce, con le tue ultime parole mi
arriva prepotente alla testa, facendomi ricordare perché sono ancora vivo. Perché sto ancora lottando.
Quello
che ancora continuo a domandarmi, è se le parole che si pronunciano alla fine
della propria vita sono le più vere, o al contrario le più false.
“Vivi
Yukimura, vivi anche per me.”
Le
tue sono ancora incise dentro di me, ed era solo grazie a quelle che continuo
ad andare avanti. Solo grazie a quelle che ho deciso di sopravvivere.
Quelle
parole erano diventate la mia nuova base. La mia nuova esistenza di vita.
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Ok.
Non so cosa sia questa fan fiction. Mi sono spinta oltre ciò che volevo
veramente fare in realtà. La mia solita metodologia d’impostazione è andata a
farsi benedire e non so come mai ho optato per una parlata in prima persona, o
quello che è. Cose da pazzi dato che è la prima volta che mi cimento in una
cosa del genere. Inoltre, ho scoperto di essere dannatamente tragica. Mi sono
sentita male io stessa nello scrivere queste parole e le situazioni che sono
accadute a Yukki (<3). Non è poi tanto una fan fiction, ma una rievocazione
di ricordi. Non so se possa piacere. Non so nemmeno se piace a me, quindi
pretendere di sapere se piaccia a voi è assurdo, ma, spero che almeno un po’ vi
sia stata gradita. Se ci sono errori di battitura e cose simili mi dispiace ancora di più, ho controllato, ma può sicuramente essermi sfuggito qualcosa! Vi ringrazio per essere arrivati fino qui nella lettura. |