Fu un’estate calda, davvero molto calda, quella
che colpì il Wisconsin quell’anno.
Il silenzio della notte veniva spezzato solo dal ritmico cri cri dei
grilli, che insieme alla brezza che scuoteva gli alberi e agli uccelli
notturni che con i loro versi annunciavano al mondo la loro presenza,
conferiva alle notti della contea quell’ipnotica
tranquillità tipica della stagione.
In un’abitazione in particolare, un piccolo ventilatore di
seconda mano che ormai era prossimo alla discarica, cercava
faticosamente di rinfrescare l’aria, mentre nel letto, tra
coperte dismesse e afa insopportabile, un uomo dormiva, girandosi di
tanto in tanto da un lato all’altro del materasso.
Stava facendo un sogno bellissimo, uno di quelli che si vorrebbe non
finissero mai: era tornato a essere ricco e famoso, circondato da
ammiratori e richiestissimo nei party. Non più squallida
casupola di contea, ma sfarzoso attico ai piani alti
dell’elite di Los Angeles, tra fiumi di soldi e feste da
sballo in compagnia dei Vip più cool di Hollywood.
Ma come ogni grandioso sogno che si rispetti, avvolte è
sufficiente il suono di una sveglia (anch’essa di seconda
mano) per spezzare la magia dell’illusione.
Venne ben presto la mattina, e l’apparecchio
cominciò a squillare prepotente dal comodino di fianco al
letto.
L’uomo fu strappato dal suo meraviglioso sonno e costretto ad
affrontare la dura realtà del risveglio. Allungò
una mano per tastare la superficie dell’apparecchio alla
ricerca del dannato tasto che la spegnesse, e quando lo
trovò, la voce di Morfeo lo richiamò a se,
convincendolo a ignorarlo e a tornare a dormire.
“Solo un altro po’”. Un invito che
puzzava di menzogna, ma che diavolo, era così allettante!
Dormire ancora un po’! Come dirgli di no?
Si appisolò nuovamente, ma per poco: La sveglia si
riattivò da sola!
Mugugnò e aprì gli occhi, colto dal dubbio:
l’aveva spenta sul serio? Non poteva aver premuto
accidentalmente la funzione per rimandare l’allarme, anche
perché tale funzione non c’era! La sua era una
sveglia del modello più classico che si potesse immaginare:
meccanica, con le lancette e la coppia di campanellini collegati
insieme da un manico di metallo, poteva solo impostarla o disattivarla!
Complice il sonno che non gli consentiva di ragionare lucidamente, non
diede troppo peso alla cosa e si limitò a spegnerla una
seconda volta, per poi tuffarsi di peso sul cuscino e tornare a sognare
i suoi party pomposi.
Finalmente si illuse di essersi conquistato il diritto di dormire, e
stava già riassaporando i piaceri del sonno, ma ecco che
l’apparecchio tornò di nuovo alla carica,
riattivandosi per la terza volta!
Questa volta volle credere di starselo solo immaginando, pensare che se
lo avesse ignorato, esso si sarebbe disattivato da solo una volta per
tutte, ma ovviamente, era troppo bello per essere vero.
S’infuriò per la strafottenza
dell’apparecchio e senza pensarci due volte lo
afferrò per il manico e lo lanciò con tutta la
sua forza contro la parete di fronte a sé, mandandolo in
frantumi.
“Finalmente!” Esultò in silenzio. Ora
niente si sarebbe frapposto tra lui e il richiamo.
Mentre si rimetteva a dormire, si chiese tra sé e
sé cosa lo avesse spinto, quel giorno, a decidere di
impostare un timer per svegliarsi, anche se non aveva nessun lavoro da
svolgere e alcun appuntamento da raggiungere?
Ad ogni modo, riuscì quasi a prendere sonno, soddisfatto e
trionfale, quando nuovamente e contro ogni aspettativa,
l’indolente sveglia, apparentemente distrutta e indifferente
al fatto di essere oramai in frantumi, ricominciò a drinnare.
L’uomo si mise seduto a letto, fissandola mentre da terra
essa parve quasi burlarsi di lui «D’accordo, hai
vinto te. Mi alzo!»
Non ne aveva alcuna voglia, ma ormai era fin troppo scombussolato per
dormire, e inoltre, a giudicare dalla luce intensa che filtrava dalla
finestra, la mattina era giunta già da un pezzo, quindi
tanto valeva alzarsi. S’infilò le ciabatte ai
piedi e uscì dalla stanza. In quel momento la sveglia
cessò definitivamente si suonare.
“Lasciala perdere, ha avuto quello che voleva, più
tardi le faremo conoscere il Signor Bidone della
Spazzatura.”
Si diresse nella minuscola e fatiscente stanzetta che lui chiamava
“bagno” e guardò l’ometto
calvo e indossante canottiera e boxer che era il suo riflesso sullo
specchietto del lavandino «Buongiorno, Hawke.»
Il riflesso non rispose, ma non aveva importanza. Dopotutto i riflessi
sono dei gran volponi: si prendono gioco di te imitando ogni tuo
movimento del corpo e del viso, ma mai una volta che si degnassero di
augurarti spontaneamente la buona giornata, o che ti dessero dei
consigli sull’aspetto e sul vestire. Mimano e basta,
credendosi simpatici.
Ian si lavò il volto con un paio di gettate di acqua sul
viso e tornò in camera da letto per recuperare gli occhiali.
Dopo di che partì alla volta della cucina.
Voleva un caffè, ne aveva bisogno, sarebbe impazzito se non
ne avesse bevuto una tazza!
Già se lo pregustava: bello freddo, così da
contrastare la calura di quella giornata.
Prese in mano la caraffa dalla caffettiera, ma si rese conto con orrore
che anche un altro timer aveva deciso di gustargli la festa, quello
automatizzato che quella mattina avrebbe dovuto attivarsi per farglielo
trovare pronto da bere, e che invece, inspiegabilmente e al contrario
della sveglia, non era scattato.
Ian avrebbe voluto imprecare, prendersela con qualcuno, sfogarsi dalla
frustrazione e maledire la iella che quel giorno aveva evidentemente
deciso di giocare d’anticipo! Ma con chi? Era solo in casa,
non aveva nessuno a parte il telecomando della sua vecchia TV a tubo
catodico, che era appoggiato su uno dei braccioli del divano in
soggiorno. A proposito del telecomando, lo prese e mise su un canale a
caso, sperando che qualche giornalista del meteo o qualche televendita
gli facessero compagnia intanto che reimpostava manualmente la
preparazione del caffè. Gli capitò invece un
video musicale dei Chipmunks che alimentò la sua
frustrazione.
Qualche minuto dopo.
Dopo aver recuperato la sua copia odierna del Milwaukee Journal
Sentinel dal giardino ed essersi seduto scomposto al tavolino da pranzo
in soggiorno, stava sfogliando con disinteresse le notizie della
giornata mentre con la mano libera reggeva la tazza gialla del
caffè. L’unica cosa buona di quella situazione era
la piacevole carica d’energia che la caffeina in circolo dava
ai suoi muscoli, quanto al gusto, invece, quello faceva schifo:
bollente, amaro (non aveva in casa dello zucchero) e annacquato, come
solo le peggiori caffettiere d’America sapevano preparare.
Era arrivato alle ultime sorsate quando il cellulare gli
squillò. Dall’altro capo della linea una persona a
lui familiare attendeva la risposta: «Pronto. Ti prego, dimmi
che una di quelle sei palle di pelo ha perso la voce e per questo avete
deciso di annullare il tour»
L’interlocutore fu colto alla sprovvista, e tacque un
po’ prima di reagire «E’ bello sentire
che anche oggi sei di buon umore, Ian.»
«Dave. Sono talmente di buon umore oggi, che sono indeciso se
trapassare con un nodo a scorsoio o con un incontro di boxe con un tir
di passaggio.»
«Bé, quando hai finito di suicidarti fammi
sapere.» Disse Dave, sarcastico. Ma Ian non lo
trovò affatto divertente «C’è
un motivo per cui mi hai chiamato o chiudiamo questa discutibile
conversazione?»
«A dire la verità mi andava di sentirti, sai
com’è? Sapere come ti andavano le cose, se ti
stavi riprendendo, eccetera.»
Ian sbuffò. «Come vuoi che vada? Quei non
è male. Fa caldo. La gente lavora, i bambini giocano. Quanto
a me invece… credo che lo sai già.»
«Ho saputo che ti hanno sottratto i diritti per la
sceneggiatura sul film di Zoe.»
«Già, a quanto pare “non ero in possesso
dei diritti di sfruttamento” della storia!» Fece il
verso ai produttori dai quali se l’era sentito dire
«Come se non fossero mie quelle 10 pagine di bozza del
soggetto che avevo mandato!»
«Cavolo, brutta storia... e per il libro? Non
c’è speranza, vero?» Dave in quel
momento si stava riferendo a un’autobiografia che Ian aveva
scritto e mandato in pubblicazione un semestre prima.
«Non mi parlare di quel dannato libro, Dave!»
sbottò «Me la sento ancora in testa la voce
dell’editore! “Scrivi un libro sulla tua storia,
Hawke” diceva. “Farai soldi e potrai
redimerti” diceva. E invece sono diventato lo zimbello dello
Zio Sam!»
La conversazione s’interruppe brevemente.
«Ho scelto il momento sbagliato per chiamarti, mi
sa.»
«Decisamente.» La fece breve Ian.
«Lo sai, però, che puoi contare su di me nel caso
ne avessi bisogno?»
«Già, come no. Me lo segnerò
sull’agenda. Grazie.» Rispose aspramente.
«Ok, allora… chiudiamola qui. Ma fatti sentire di
tanto in tanto. Isolarti dal resto del mondo e chiudere i rapporti con
l’umanità non ti aiuterà a stare
meglio.» Gli consigliò.
«Ci penserò su. Alla prossima, Dave.» Lo
salutò chiudendo così la conversazione.
Tornò alle sue attività con l’amaro in
bocca, e non per colpa del suo pessimo caffè, ma per
ciò che lui e Dave si erano appena detti per telefono.
Non gli andava di parlare con qualcuno di ciò che stava
passando, tanto meno, non gli andava di parlare di
quell’accidenti di libro.
Vuotò la tazza dal caffè e decise di non averne
ancora abbastanza, perciò andò a riempirla
nuovamente e riprese a bere. Questa volta, la bevanda era
già più fredda e piacevole, anche se sapeva
ancora di acqua sporca.
Interruppe ciò che stava facendo quando gli parve di sentire
qualcuno bussare alla porta. Fu un suono quasi impercettibile, di
quelli per i quali la prima cosa che si pensa è che siano
solo frutto dell’immaginazione, ma malgrado ciò,
appoggiò ugualmente la tazza sul bancone della cucina
è andò a controllare.
Si fermò a due passi dalla soglia dell’ingresso e
lì pensò: “Beh, me lo sarò
immaginato”. Decise di provare a chiedere «Chi
è?» e attese.
«Hawke, sono io!»
La voce era inequivocabile, suo malgrado, anche se era ovattata dalla
porta che li separava.
“Oh no…” esclamò in silenzio.
«Ehm… Hawke non è in casa!»
«Ah sì? E chi è che sta parlando
allora?»
«L’uomo delle pulizie!»
«Balle! Tu non te la puoi permettere la donna delle pulizie,
tanto meno l’uomo! Dai fammi entrare!»
Ian sbuffò e di malavoglia tolse i lucchetti
all’entrata, per poi aprirla.
All’apparenza sembrò non esserci nessuno, ma il
suo visitatore non era ad altezza uomo. Abbassò lo sguardo e
si trovò di lì a poco a osservare un chipmunk dal
manto scompigliato color marrone pastello, imbrattato di qua e
dì la da chiazze di fango e polvere, e senza alcun
vestito addosso, che gli sorrideva con fare entusiastico.
«Buon giorno, amico mio!» Lo salutò il
chipmunk.
«Randal… tra tutte le persone che non mi va di
vedere questa mattina, tu occupi un posto d’onore nella
lista.»
«In questo caso non hai di che lamentarti: io non sono una
persona!»
La logica aveva un suo senso in effetti.
«Beh, l’ho estesa anche ai chipmunk ora!»
«Sai, se soltanto mi apprezzassi un pelino pochinino di
più, le mie visite ti sarebbero molto più
gradite. Allora? Vero che posso entrare in casa?»
Ian volle dirgli di no, ma sbattergli la porta in faccia per poi
tornarsene al suo caffè non sarebbe servito a niente con
lui. Avrebbe insistito fino allo sfinimento, quindi tanto valeva
assecondarlo.
«Uff, entra.»
«Lo sapevo!» Gioì «fai tanto
l’antipatico ma in fondo non puoi resistere al tuo vecchio
amico Randal!»
«Da quando ti sei auto-promosso mio
“amico”?» Gli chiese mentre si dirigevano
in cucina. Randal saltò sul banco dove era appoggiata la
caffettiera «Uhm, da circa una settimana a dire il vero. Da
quando mi hai quasi preso sotto con la tua auto. Ricordi?»
«Oh sì» rispose scontento «ma
ora come ora, vorrei non aver frenato all’ultimo
secondo.»
«Però l’hai fatto. E ciò,
Hawke, dimostra l’inequivocabile!»
Ian non lo seguì «Randal, di che accidenti stai
parlando?»
«Ma del fatto che ci tieni a me, no? Avresti forse frenato se
non mi considerassi tuo amico?» Il chipmunk annusò
l’aria, fino a quando il senso dell’olfatto non lo
guidò alla tazza. «E’
caffè?»
«Così dice la confezione.»
«Ti dispiace se ne approfitto?»
«Serviti pure.» Disse disinteressato.
Randal, quindi, si tuffò con tutto il corpo nella tazza,
compiendo un avvitamento degno di un atleta olimpionico e ritrovandosi
con la testa sommersa da capo a collo nella caffeina. Una visione,
questa, che a Ian fece tornare in mente il ricordo di quando fece
assaggiare per la prima volta ad Alvin e ai suoi fratelli
l’Espresso, con le conseguenze disastrose che ne seguirono.
Arretrò di qualche passo, pronto a defilarsela
nell’eventualità che Randal cominciasse a
saltellare di qua e di là in preda all’euforia.
In effetti poi andò più o meno così,
ma con conseguenze meno catastrofiche del previsto: il chipmunk
bevé tutto d’un fiato il caffè rimasto
e, con l’agilità di un felino, balzò
fuori con la testa inzuppata e grondante sul bancone. Per fortuna,
subito dopo si limitò solo a un esuberante strillo, che
ricordò molto da vicino quello dei cowboy al galoppo, ma non
saltellò di qua e di là come una trottola
impazzita.
«Ahah! Io lo AMO il caffè!» Disse
esultando.
«Oook… » commentò invece Ian,
attonito.
«Allora? Non rispondi alla mia domanda?»
Ian si era nuovamente perso «Quale domanda?»
«Quella della nostra amicizia, no? Mi avresti forse graziato
se non ci tenessi a me almeno un po’?»
«Bé… ehm, sì…
credo.»
«Visto, ecco l’inequivocabile!» Randal
diede un’occhiata a una delle copie del libro di Hawke
riposte su una mensola nella stanza, una delle tante invendute e
sparpagliate per casa e in pile di scatoloni.
«Con il libro immagino che le cose vadano sempre
male?»
Ecco il tasto dolente «Lascia perdere. L’ho appena
avuta al telefono una discussione sul libro.» Andò
a prenderne uno dal ripiano per passarselo tra le mani con il cuore
gonfio di rammarico. La copertina, bianca e con il suo testone che
sorrideva beffardamente, riportava il titolo “La vera storia
di un produttore d’America”. «Credevo di
poterlo usare per far pace con il mondo… e invece sai come
andò a finire? Che adesso persino i piccioni ridono di
me!»
Non era né una metafora né un esagerazione:
proprio in quel momento, sul davanzale della finestra in cucina, due
piccioni dal piumaggio bianco e grigio-celeste si erano appollaiati e
avevano iniziato a emettere dei tubanti glu glu che assomigliavano a
tutti gli effetti delle risate.
Sia Randal che Ian li guardavano mentre si prendevano gioco di lui,
così l’uomo si armò di un mestolo
prendendolo da uno dei cassetti e brandendolo a mo di mazza, lo
usò per scacciali «Via, sciò! luride
bestiacce!» Poi restò immobile sul posto a
osservarli mentre volavano via «visto in che situazione mi
ritrovo?»
«Eh, già. L’ho letto
anch’io.»
Ian si voltò. «L’hai…
letto?»
«Diciamo solo che due escursionisti l’hanno
abbandonato nel bosco, e così ne ho approfittato.»
«Ah… »
Hawke si concedette una breve pausa per riflettere. «Randal,
ehm… c’è un motivo per cui sei passato
sta mattina?»
Il chipmunk non era sicuro di quale risposta dare. Dovette pensarci
attentamente prima di decidere se parlare o no
«Bé… a dire il vero…
sì.»
Uscì in fretta e furia dalla stanza, sparendo
improvvisamente alla vista di Hawke.
«Ehi, ma dove stai andando?»
Ricomparì qualche secondo dopo con in mano una foto, doveva
averla nascosta da qualche parte nel giardino, visto che prima non ce
l’aveva con se.
La passò a Ian, che la guardò: ritraeva due
ragazze, le quali erano visibili dal busto in su. La ragazza a destra
era mora, capelli a boccoli non molto lunghi, portava degli occhiali
con montatura a “semi-giorno” bianca e indossava
una t-shirt celeste con una leggera scollatura. L’altra,
invece, era bionda, capelli lunghi raccolti a coda di cavallo,
leggermente più “in carne” rispetto
all’amica e con un viso tappezzato da una trama di
lentiggini, con indosso un maglioncino nero. Stavano posando nel bel
mezzo del bosco. Sullo sfondo Ian riconobbe un ruscello che ai suoi
occhi parve familiare. Cosa più importante, però,
era ciò che teneva in mano la ragazza mora: un cucciolo
femmina di chipmunk dal manto giallo come quello di Eleanor Seville e i
ciuffi di pelo della testa annodati su se stessi per formare
anch’essi una coda di cavallo. Era curioso quanto la cucciola
di chipmunk assomigliasse alla ragazza lentigginosa.
«E’ stata scattata con una polaroid tre giorni fa.
Prima che le turiste se la dessero a gambe levate abbandonando la foto
a terra. Io mi sono limitato a raccoglierla.»
Spiegò Randal.
Mentre ascoltava, Ian si chiese come fosse possibile che nel 2013
qualcuno volesse ancora usare le polaroid per scattare le foto. Doveva
trattarsi di qualche patito del retrò o qualcosa del genere
«Perché sono scappate?»
«Storia lunga e noiosa, non ti piacerebbe…
» si tenne sul vago.
«Bé, Randal… lo riconosco: la piccola
chipmunk è carina. E anche le escursioniste sono tutto
sommato un bel vedere, ma non capisco che ci devo fare con
questa?»
«E’ mia figlia…»
«Chi?»
«Come “Chi”? La chipmunk, no?»
Questo si che, come si soleva dire, era un vero colpo di scena!
Inarcò le sopraciglia dallo stupore «Ma
perché, tu hai una figlia? E da quando?»
«Da circa quattordici mesi, in effetti.»
A quel punto Ian appoggiò sul tavolo la foto e si
portò la mano alla bocca, gli stava venendo da ridere e non
voleva darlo troppo a vedere. «Eheh, no… tu non
puoi avere una figlia, non scherzare!»
Randal restò serio. «Ti sembra così
strano che io possa essere un padre?»
«No, affatto: mi sembra strano che una femmina voglia stare
con te, tutto qui!» Lo sbeffeggiò.
«Bé, sì… sai
com’è? La luna, le stelle, la stagione. Lei che mi
si presenta di fronte alla tana… »
Ian lo arrestò «Oh, no! No, no, no! Non voglio
sapere com’è successo! Risparmiamelo!
Io… oh, buon dio!»
«Che c’è?»
«No, niente, è solo che mi ero immaginato te e la
madre della piccola che… » fece un verso di
disgusto, seguito da una smorfia schifata.
Il sarcasmo di Hawke sta volta colpì nel segno:
«Sei molto gentile, Hawke. Lo sai?» Lo
rimproverò il chipmunk, sentitosi offeso.
«No, scusa, è solo che… bé,
lasciamo perdere. Rimangio tutto che ho detto… »
«Nah, non preoccuparti, scuse accettate.» Randal
mutò subito atteggiamento, in fondo non era uno facilmente
suscettibile.
«Comunque, hai proprio una figlia fantastica, ok, ma non ho
ancora capito che vuoi da me?»
Era giunto il momento. Randal cercò le parole per
spiegarglielo.
«Ecco, ehm… vedi… diciamo che abbiamo
avuto una serie di contrattempi, e quindi… » Il
chipmunk si bloccò, Ian, quindi, approfittò di
quella pausa per chiederglielo: «Che genere di
contrattempi?»
«Anche questa è una storia lunga. Ma, in
sostanza… vorrei chiederti… di prenderti cura di
lei… »
Una cupola di silenzio assordante cadde sulle teste dei due
interlocutori. Da una parte Randal, che mentre attendeva una risposta,
esibiva un sorriso a tratti imbarazzato e a tratti inquieto,
dall’altra Hawke, i cui pensieri, invece, restarono per breve
tempo impenetrabili.
«Buffo. Per un attimo mi era parso che mi avessi chiesto di
prendermi cura di qualcuno.»
«Ehm, sì… di mia figlia. Io non ne ho
la possibilità, e così pensavo che…
»
Ancora una volta, una cappa di silenzio, ancora una volta, un volto
impenetrabile per Ian Hawke.
«Allora?» Provò a insistere Randal.
A quel punto Ian eruppe: «SEI COMPLETAMENTE
IMPAZZITO?!?»
Randal poté quasi sentire l’onda d’urto
dell’urlo trapassargli la pelle, neanche fosse stato
investito dall’esplosione di una bomba.
«Lo so, Hawke, ma non te lo chiederei se non ci fosse un buon
motivo…»
«Ah sì? E quale sarebbe il buon motivo, di
grazia?!»
«Ecco… i-io… non posso
dirtelo…»
«Ottimo, allora sei libero di andare!» Ian si
alzò e decise di chiudere lì la questione.
«Quindi… lo farai?» chiese Randal.
Ian lo assassinò con lo sguardo. «NO! Non ho
nessuna intenzione di farlo, e sottolineo: NESSUNA!»
«Hawke, questa è una situazione delicata, giuro!
Non te lo chiederei se non fosse estremamente necessario! Sei
l’unico a cui posso rivolgermi!»
«L’unico a cui puoi rivolgerti?! Allora mentivi
quando dicevi di aver letto il mio libro!»
Randal era perplesso. «Ehm, aspetta… e questo che
centra?»
«Te la faccio breve: anche se volessi farlo, e nossignore,
non ne ho alcuna intenzione, mi considerano tutti un mostro seviziatore
di scoiattoli! Hai idea di che cosa mi farebbero se scoprissero che mi
tengo in casa un cucciolo di chipmunk?!»
«Hawke, lascia perdere gli altri e le loro opinioni! Io mi
fido di te, ed è a te che lo chiedo!»
«Ma non c’era una “madre” in
tutta questa faccenda?! Che fine ha fatto? Non può
prendersela lei?!»
«Lei, ecco… ehm…
è… s-scappata.»
«Scappata da te?»
«Ehm… s-sì…»
«Guarda, mi domando il perché!»
«Il fatto è che non posso prendermene cura. A mala
pena riesco a badare a me stesso!»
«E cosa ti fa credere che con me starebbe meglio?»
«Perché tu hai già avuto in casa altri
chipmunk in passato! E ok, certo… l’ultima volta
non è che ti sia andata troppo bene…
però è già qualcosa! E poi, avrai
letto le notizie sui disboscamenti di quest’ultimo
semestre…» Randar si riferiva alle
attività della società forestale che negli ultimi
tempo stava abbattendo senza scrupoli interi ettari di foreste nella
contea «da quando quelli hanno iniziato, si è
scatenata una rivoluzione tra gli animali della foresta! Tutti i
predatori sono fuggiti verso le ultime aree verdi rimaste, e indovina
un po’ qual è una di queste aree verdi?!»
«Quindi mi stai dicendo che avete la tana circondata da
carnivori?»
«Già, direi che possiamo anche dirla
così. Ecco perché sono qui! La madre se
l’è data a zampe levate prima ancora che io avessi
il tempo di rendermi conto che mancava qualcuno nel nido, e mi sono
ritrovato a badare alla piccola circondato da falchi, lupi, orsi e
qualsiasi cosa abbia tanti denti e l’alito da carogna. E
questi solo di giorno! Perché poi di notte tra gufi e
animali notturni, c’è ben poco da stare
allegri!»
Ian si limitò ad annuire con un cenno della testa.
«Allora. Mi aiuterai?» Ritentò il
chipmunk.
Ian ci rimuginò su per un po’, contribuendo ad
alimentare le sue speranze. Alla fine si convinse e decise di rompere
il silenzio: «Scordatelo!»
«Ohh, e che cavolo! Che ti costa?!»
«Ma ti rendi conto che stai cercando di scaricarmi tua figlia
come se fosse un vecchio maglione infeltrito che nessuno
vuole?!»
«Adesso non esageriamo! Come ti dicevo, ho le mie buone
ragioni per volerlo fare… solo che preferisco non parlarne.
Qui avrebbe una casa, un letto dove dormire, del cibo per
mangiare… è soprattutto starebbe al sicuro! Te lo
chiedo per favore, Ian. E’ molto importante per me!
Più di quanto tu immagini!»
«Randal, senti. Io non ho mai avuto figli, e ripensando al
mio passato, forse è meglio così. Quindi non
conosco i sentimenti di un padre alla prospettiva di avere il proprio
figlio in pericolo. Ma ne so abbastanza da sapere che un figlio ha
bisogno della sua famiglia per star bene, anche se essa è
rappresentata da un solo genitore. Quindi, se ritieni che nella foresta
la tua prole è in pericolo, l’unico aiuto che ti
posso dare è un consiglio: portala via da lì e
trovatevi un rifugio più sicuro!»
Un’espressione di addolorata delusione si stampò
nel volto di Randal. «Quindi non mi aiuterai?»
«L’ho già fatto. Segui il mio consiglio
e andrà tutto bene. Affidarla a me non aiuterebbe nessuno,
tantomeno lei.»
Il chipmunk si interrogò a lungo sulle parole di Ian, in
particolare sul fatto che affidargliela sarebbe stato controproducente.
Stava facendo la scelta giusta? Oppure aveva un’alternativa?
Qualunque fosse la risposta, Randal avrebbe potuto dire e fare
qualunque cosa, ma l’uomo restava irremovibile
«Già… forse hai ragione
tu…» disse infine.
Ian accompagnò il chipmunk alla porta, altro non poteva
fare. E di sicuro non era intenzionato a cambiare idee
all’ultimo momento, spinto magari dalla compassione.
Si salutarono, ma prima di andarsene Randal aggiunse un dettaglio:
«Nel caso cambiassi idea, la nostra tana si trova dentro il
tronco cavo di un nocciolo, in una radura attraversata dal ruscello di
quella foto. Vicino al “sasso a forma di
sasso”.»
Ian badò ben poco alle indicazioni di Randal, non aveva
nessuna intenzione di accontentarlo, quindi si limitò a
rispondergli con un vago «Vedrò» che in
realtà voleva dire, per l’ennesima volta
“Né ora, né mai!”.
Dopo di che, ognuno se ne andò per la propria strada.
Verso pomeriggio si stava avvicinando un brutto temporale. Da lontano i
tuoni ruggivano le loro minacce incombenti, mentre la brezza estiva che
fino ad allora aveva cullato dolcemente le fronde degli alberi, ora si
stava tramutando in una violenta bora, che scuoteva le piante e faceva
vibrare i tetti dei fienili delle aziende della contea.
Mentre fuori le foglie degli alberi veniva strappate dai loro rami, in
casa Ian, non curante del vento di tempesta in arrivo, stava facendo
quello che ultimamente avevo preso l’abitudine di fare
sempre: spaparanzarsi sul divano e passare tutto il tempo dinanzi alla
TV a non fare niente.
Il canale 31, sul quale era sintonizzato, stava trasmettendo una
partita di football americano, che a lui importava ben poco, ma che gli
teneva compagnia mentre la sua mente vagava nei ricordi di quel che era
successo durante la mattina. Era quello il pensiero che aveva
calamitato la sua attenzione.
Per quanto cercasse di auto-convincesi del contrario, la
verità è che gli dispiacque immensamente di aver
liquidato il chipmunk in quel modo, e ora cercava solo di levarsi di
torno il senso di colpa che gli opprimeva il petto.
«Al diavolo, Hawke. Non è colpa tua! Se Randal non
è capace di tenere a freno i suoi istinti animali sono solo
affari suoi! Non sentirtene in colpa!» Disse ad alta voce ad
un certo punto. Come si rimproverarsi potesse servire a qualcosa.
Cominciò anche a sentirsi calare le forze dal troppo ozio, e
decise di far riposare gli occhi per una manciata di minuti.
«Tutte scuse!»
Ian si alzò bruscamente dal suo giaciglio sul divano,
convinto di aver sentito una voce. «Chi ha
parlato?» Chiese per poi stare in silenzio e attendere una
risposta.
«Perché non vieni a scoprirlo?» Rispose
la voce.
Ian deglutì nervosamente e cercò di capire da
dove provenisse.
«Vieni qui.» Continuò.
Sembrava venire da una delle stanze adiacenti, forse dal bagno,
così Ian si diresse lì, con il cuore in gola e
muovendosi con circospezione. Non c’era luce, tutto era buio
e silenzioso, soltanto i deboli raggi che filtrava dalle finestre
illuminava l’ambiente di un’atmosfera surreale.
Sembrava quasi di trovarsi da un'altra parte, in qualche tetra galleria
scarsamente illuminata, qualche viuzza umidiccia e puzzolente, non
certo la casa che lui era abituato a conoscere.
Raggiunse lo stanzino che era abituato a chiamare
“bagno”, ma quando lo perlustrò, non vi
trovò niente.
«Psss, girati.» Bisbigliò ancora la
voce, che gli suonò sinistramente familiare.
Ian si voltò verso lo specchietto del lavandino e
apparentemente non vide nulla di strano. Poi osservo con maggior zelo
il suo riflesso, e lì si rese conto: non si muoveva al suo
pari seguendo i suoi movimenti, ma se ne stava fermo, immobile,
fissandolo con uno sguardo severo.
Hawke lo osservò da vicino, fece anche scorrere alcune volte
la mano davanti ad esso e mimò qualche smorfia, per
verificare il suo comportamento. Il riflesso però non
mutò atteggiamento. Continuò a fissarlo con aria
grave.
«Ma che ca… »
«Sì, ho parlato io.» Glielo
confermò.
Ian gridò e balzò
all’indietro.
«Non è possibile… tu sei solo uno
riflesso!»
«Infatti ti sei addormentato sul divano e ora stai facendo un
sogno, imbecille!»
«Ah… ora ha più senso…
»
«Ma non ti vergogni di quello che hai fatto?!»
Ian si guardò alle spalle «Ma…ce
l’hai con me?»
«No, con la tua ombra. Certo che ce l’ho con te!
Perché hai trattato Randal in quel modo?!»
Dunque era questo il punto.
«Io?! Io avrei trattato Randal… no, scusa, ora mi
spieghi: è colpa mia se lui non è capace di
tenere a freno ghiande e noccioline con le femmine?!»
«La stessa cosa che ti sei detto poco fa, e la risposta
è la stessa, sì: è colpa tua! Colpa
tua perché lui è venuto col cuore pieno di
fiducia da te, ed è stato ricambiato con un bidone pieno
d’immondizia, che è il modo in cui lo hai
trattato!»
«Oh, andiamo, non puoi dire sul serio! Che ti aspettavi, che
mi portassi in casa sua figlia, perché lui non è
capace di adempiere ai suoi doveri di genitore?! Che avrei dovuto fare
con lei una volta qui? Come l’avrei allevata? Con cosa
l’avrei nutrita?»
«Avresti almeno potuto provarci! Mostrare un minimo
interesse! Hai almeno ascoltato le indicazioni per raggiungere il loro
nido?»
«Ma certo che le ho ascoltate! Era vicino al ruscello, di
fianco alla… ehm… »
Si sforzò di ricordare le parole del chipmunk, almeno per
risparmiarsi la figuraccia dinanzi al critico riflesso.
«Come volevasi dimostrare, non te le ricordi! Ti lamenti
sempre degli errori del tuo passato, ma non fai mai niente per
correggerli nel presente!»
«Grazie per la predica, adesso mi sembra di sentir parlare
Dave!»
Fu proprio allora che il riflesso trasmutò in una massa
informe che subito dopo acquistò la voce e il corpo di Dave
«Esatto!» Disse quindi, in risposta a Hawke.
«Oh, grandioso!» Commentò questi,
seccato.
«E’ chiaro che non sei cambiato affatto, Hawke!
Rimani sempre lo stesso uomo di allora. Solo più povero di
prima!»
«Se la pensi così allora dimmelo, che devo fare?
Spiegamelo una volta per tutte così almeno sono certo di non
risentirti mai più!»
«Devi solo aprire gli occhi, Hawke. Aprili, in tutti i
sensi!»
Un bagliore lo accecò, mentre in lontananza un violento
rimbombo fece esplodere lo specchio insieme alla figura di Dave al suo
interno.
Si risvegliò dall’incubo che stava vivendo,
grondando di sudore. Fuori, ormai, le nuvole del fronte temporalesco
avevano avvolto la contea e a breve sarebbe iniziato a piovere.
Ian andò in bagno, dove prima di tutto costatò
che non ci fosse altra gente critica ad attenderlo dentro lo
specchietto, e poi si diede una rinfrescata lavandosi il volto.
Fissò il suo riflesso allo specchio, mentre le goccioline
dell’acqua gli colavano dal mento e dal collo.
«“Apri gli occhi, Hawke”… se
almeno avessero avuto la decenza di spiegarmi che significa!»
Uscì dal bagno e quando tornò in soggiorno decise
di provare ad aprirli: guardò fuori dalla finestra e per la
prima volta da giorni sentiva il desiderio di voler uscire. E
così fece, malgrado il maltempo incombente.
I cumulonembi del fronte temporalesco erano sempre più
minacciosi, sembrava si stessero preparando a scatenare
l’inferno sulla terra.
Guardando verso la strada, Ian notò un tizio affrettarsi nel
compito in cui era indaffarato, ma non capì quale potesse
essere questo compito.
Doveva trattarsi di qualche suo vicino di casa, ma non poté
dirlo con certezza. Di lui sapeva solo quello che vedeva in quel
momento: un uomo apparentemente sulla trentina e con
l’aspetto del classico americano medio di provincia. Capelli
spettinati neri con qualche ciuffo bianco di qua e di là e
una leggera calvizie sulla fronte. Indossava jeans vecchi –
probabilmente da lavoro – scoloriti e strappati in alcuni
punti, e una camicia ocra con motivi a scacchi e doppie righe bianche e
nere.
Improvvisamente, l’uomo si rivolse a Hawke
«Assomiglia a quel film, vero?»
Ian capì solo qualche secondo dopo che stava palando proprio
con lui «Come, scusi?»
«La guerra dei mondi, sa? Il remake, quello con Tom Cruise:
quando le astronavi aliene arrivano con il temporale. Ce l’ha
presente?»
«Ehm, no… »
«Ah… bé. E’ un gran bel film,
glielo consiglio!»
Adesso Ian si sentiva disorientato e perplesso «Ma noi ci
conosciamo per caso?»
«Bé, lei è Ian Hawke, giusto?
L’ex-manager dei Chipmunks. Chi non la conosce? E poi ho
anche letto il suo libro.»
Ian non seppe esattamente come rispondere, ma vide il suo interlocutore
intento ad arrotolare un tubo dell’acqua, e poiché
l’asfalto non era bagnato, ne dedusse che avesse deciso di
evitarne l’uso in vista della tempesta in arrivo.
«Le serve una mano?» Si offrì
d’aiuto Ian.
«Oh, no. Non c’è problema.
Un’auto ha semplicemente preso sotto un animale. Stavo giusto
dando una ripulita al casino.»
A quella notizia, Hawke drizzò le antenne e, indifferente
alle minaccia del temporale, uscì dal portico per
avvicinarsi all’uomo «Un animale? Di che
genere?»
«Non lo so. Non è che si capisse molto. Credo un
roditore, un topo, uno scoiattolo. Un animaletto del genere.
Poveraccio.»
A Ian gli si gelò il sangue nelle vene. «Non
può essere più preciso?»
«Gliel’ho detto. Non si capiva niente. Era una
frittella. Ma perché le interessa così tanto? Era
forse un suo amico?»
Ian ignorò la domanda. «E
dov’è adesso?»
«Ehm, l’ho scaricato in quel tombino. Se le
può essere d’aiuto aveva la pelliccia
marrone… credo… »
Non più sangue gelato nelle vene, ma sudore freddo sulla
fronte «Marrone pastello?»
«Se mi dice com’è il marrone pastello
forse glielo posso confermare.»
Ian guardò il tombino, valutando quanto sarebbe potuta
essere folle l’idea di scendere nella fognatura per
controllare, ma poi la sua attenzione fu richiamata da qualcosa visto
al di là della carreggiata, nascosto tra i ciuffi
d’erba incolta.
Andò a investigare, e quello che trovò gli fece
evaporare tutto il sangue che ancora non gli si era già
congelato: era la foto della figlia di Randal, la stessa vista quella
mattina, stropicciata e sporca di terriccio.
«Fiuuu!» Fischiò l’Americano
Medio, che gli era venuto incontro per curiosare sulla foto
«mica male le ragazze! Chi sono?»
La strinse nel pugno e tornò immediatamente in casa,
incurante dell’uomo che era lì con lui.
«Hey, ma…» fu tutto quello che
riuscì a dirgli, prima di vedere Hawke sparire dentro la sua
abitazione.
Rientrato, Ian tornò a osservare con più
attenzione la foto, godendo ora della tranquillità
necessaria per poter riflettere. Camminò per casa
nervosamente, sbattendosi di tanto in tanto la testa con le mani.
«Che idiota, Randal! Che grandissimo idiota! Te
l’avevo detto di rinunciare! E invece no! Sei voluto tornare
per forza!» Un dubbio gli emerse dalle profondità
della mente. «No, aspetta! Forse stava tornando alla tana
quando… no! Impossibile! Era venuta sta mattina, ora
è pomeriggio! Si sarebbero accorti da tempo di lui
se… oppure no!»
Un altro tuono lo fece sobbalzare. Riguardò per
l’ennesima volta la foto e solo ora se ne rese conto
«Oh-ho… la piccola!»
Si morse il labbro, doveva prendere una decisione.
«Al diavolo, Randal! Persino da morto riesci a incasinarmi
l’esistenza! No, un momento… non è
detto che debba farlo per forza! Posso sempre fregarmene…
uffa, non posso farlo! Oppure sì?»
In testa, la voce del suo sogno gli tuonò il monito:
“Apri gli occhi, Hawke!”
|