2
gennaio 2013
Uno
scossone mi fa
sobbalzare un attimo.
Scuoto
la testa.
Non
è niente, è
normale che ogni tanto succeda, penso dondolando un po' la testa e
riappoggiandomi allo schienale del mio sedile.
Guardo
alla mia
sinistra, Evelyn sta con gli occhi chiusi e le cuffiette nelle
orecchie.
Forse
anche lei ieri
notte non ha dormito.
Non
so perché, ma
il pensiero mi fa sorridere.
Almeno
non sono
l'unica che si è emozionata per questa cosa, penso
socchiudendo gli
occhi.
Il
treno è così
tranquillo, il vagone è solo nostro e la luce del mattino
non mi dà
fastidio, anzi, mi rilassa.
L'espressione
di
Evelyn si contrae, apre gli occhi piano.
«Che
succede?» le
chiedo osservandola.
«Uhm...
si è
fermata la musica.» mugola tirando l'iPod fuori dalla borsa.
Per
un secondo
ripenso al mio vecchio walkman, quello che ho conservato a casa.
La
tecnologia è
cambiata molto in tutto questo tempo.
Sul
piccolo schermo
di quell'aggeggio appare il logo di American Idiot, sorrido
vedendolo.
«Però,
abbiamo
cambiato musica?» ridacchio.
«È inutile che gioisci, le canzoni sono belle dopotutto. È solo
per quello.»
risponde secca lei, forse un po' imbarazzata perché colta
“in
flagrante”.
Come
se fosse un
reato poi ascoltare le loro canzoni.
Dopo
un po' sospira,
si toglie le cuffiette.
«Che
ore sono?» mi
chiede.
«Le
9:00,
probabilmente siamo quasi arrivate.» le sorrido.
«Di
già?» chiede
perplessa.
Eh
già, manca
davvero poco, eh?
Cavoli,
al solo
pensiero sento un brividino di emozione che mi corre lungo la
schiena.
Non
sto andando a
fare niente di strano, me lo devo solo ricordare.
Ah...
niente da
fare. Il mio cervello non vuole proprio saperne dell'idea di
mantenere la freddezza.
Evelyn
sospira.
«Lisa
non mi ha
fatto chiudere occhio stanotte...» si lamenta.
«Oh,
come mai?» le
chiedo incuriosita.
«Beh,
sai, l'idea
che starò via due settimane non le andava molto
giù.» sorride.
È
felice che sua
figlia sia così legata a lei dopotutto.
«Ha
solo 11 anni, è
normale.» sorrido intenerita.
«Già,
anche se
molti ragazzini sono freddi e distaccati in questa età, lei
non lo
è. Ha molto di te, sai?» mi squadra con lo sguardo
tipico di una
madre.
Annuisco
un po'
malinconicamente.
Evelyn
ha avuto una
vita perfetta finora: è sposata e ha una figlia che
probabilmente è
la cosa più tenera e dolce che il pianeta abbia mai visto.
E
io... beh, io sono
sola.
È
umiliante in
effetti ammetterlo, ma Jake, il mio ex mi ha mollata poco prima del
nostro ipotetico matrimonio.
Già.
Precisamente due giorni prima l'ho scoperto un'altra donna di cui non so neanche il nome: non aveva il coraggio di lasciare una delle due, così gli ho tolto il peso di dover prendere una decisione e l'ho lasciato io.
…
Che
vigliacco,
almeno non mi sono sposata con la persona sbagliata.
Già,
anche se
razionalmente lo so, questa cosa continua a farmi male.
Sì,
è un'idiota,
però... insomma, mi ero innamorata di lui.
Oramai
è passato
molto tempo, ma non sono mai più stata con nessun altro. Dopo
quest'esperienza tutti mi sembrano così superficiali,
interessati a
qualcosa che non sono io.
Non
è stato un bel
momento e sarebbe meglio non pensarci a meno che non voglia
deprimermi proprio ora.
…
E
non è il caso.
Per
niente.
Oramai
ho 41 anni,
in teoria avrei già dovuto avere una famiglia, dei figli...
e invece
no.
Almeno
però ho un
lavoro abbastanza decente: sono una psicologa abbastanza conosciuta e
amo lavorare con gli adolescenti, quelli che credono di non avere
speranza.
Mi
accusano di
essere ingenua certe volte, perché voglio vedere le cose in
positivo, ma gli ingenui sono loro, quelli che si vogliono nascondere
dietro un semplice “tanto è impossibile”
prima di tentare ogni
cosa.
Sospiro.
«Sei
nervosa?» mi
chiede Evelyn.
«Dovrei?»
cerco di
dissimulare.
In
realtà ogni
volta che ci penso sento un'emozione crescente, come una ragazzina
che va al concerto del suo cantante preferito.
«Smettila
di far
finta di niente! Guarda che lo so.» mi riprende lei con
dolcezza.
«Cosa
sai?» le
chiedo continuando a guardare il mio cellulare tentando di distrarmi.
«Che
non è facile
rientrare nella vita di una persona... soprattutto se non la vedi da
venticinque anni.»
Colpita
e affondata.
«Aspetta...
non lo
so, fai qualcosa! Fatti riconoscere!» cerco di dire nel
cellulare
cercando di farmi sentire nonostante il rumore della stazione.
«Oh,
aspetta...
potrei sventolare qualcosa in aria! Guarda, sono quella che agita
quella borsa nera! Mi vedi?» una voce squillante mi risponde.
Mi
sforzo e
finalmente la vedo, una donna in lontananza che saltella sul posto
agitando un oggetto indefinito.
«Sì!
Ti ho vista,
ora ti raggiungiamo!» sorrido trionfante chiudendo la
telefonata.
Prendo
per mano
Evelyn e inizio a farmi spazio tra la gente che corre chissà
dove.
«È
quella tipa
laggiù?» mi chiede mia sorella.
Ed
ecco la prima
persona che incontro dopo venticinque anni precisi.
Diamine,
che
imbarazzo, chissà cosa dovrei dire per rompere il ghiaccio?
Oramai
non faccio
più parte della sua vita, forse non avrei mai neanche dovuto
contattarla...?
No,
no.
C'è
un motivo se ho
preso un treno per arrivare fino ad Oakland, non posso tirarmi
indietro alla prima difficoltà.
Annuisco
e
finalmente la raggiungiamo.
«Aliiiiiiiice!»
corre Viola saltandomi letteralmente al collo.
«E-ehi...!»
mormoro lievemente imbarazzata.
Si
stacca e mi
sorride.
Cavoli...
ha ancora
la stessa energia di quando avevamo 16 anni... è
incredibile, penso
sorridendo.
«Ciao
Evelyn! Sono
felice di rivedervi dopo tutto questo tempo! Che fine avevate fatto
che non mi trovavate?» chiede allegramente.
Sorrido
rilassata.
Con
lei non c'è
bisogno di rompere il ghiaccio.
«Beh,
avevamo preso
l'uscita sbagliata e stavamo andando in direzione opposta a
te.»
sorrido di me stessa e della mia fretta iniziando a camminare verso
la città, verso Oakland, finalmente!
«Oh
bene, già hai
fatto tutto allora!» sorride Evelyn.
«A-aspetta
un
attimo Viola, non mi hai detto niente!» dico perplessa.
«Beh,
mi sembrava
ovvio che dovessi avvertire anche loro, no? E poi scusa, se non
volevi farlo perché saresti venuta fin qui?» mi
chiede la nostra
guida mentre ci riposiamo un attimo al tavolino
di un
bar.
«Ah,
e poi mi dà
fastidio essere chiamata Viola, non puoi chiamarmi semplicemente Vyol
come l'ultima volta che ci siamo viste?» mi sorride con un
velo di
malinconia. «Non credo che adesso chiamerai quei due Michael
e
Frank, no?» mi provoca un po'.
Michael
e Frank?
Decisamente
no,
sarebbe un po' troppo freddo...
Ah,
dovrei farmi un
po' meno problemi, dopotutto loro non danno la minima importanza a
queste cose!
«No,
sarebbe un po'
troppo.» sorrido allo stesso modo.
«Comunque
quando e
dove li incontreremo?» chiede mia sorella guardandomi.
«Tra
mezz'ora... a
casa di Tré.» dice Vyol.
«A
casa?!»
sussulto.
«Che
c'è di
strano? Sai, non è una grande idea incontrarci fuori
considerando
che le fan sono ovunque.» dice lei a bassa voce.
…
Giusto,
certe volte
mi dimentico della loro fama, di quello che sono diventati.
«Ha
ragione, Lyss.»
dice Evelyn prima di portarsi alle labbra il suo caffè.
«Sì,
non ci avevo
pensato, scusate.» sorrido un po' falsamente.
È
così triste
certe volte pensare a come le cose siano cambiate.
Non
rivedrò mai più
Christie Road.
Non
rivedrò mai più
quei tre pazzi che non facevano altro che suonare e fumare canne
tutto il giorno.
Non
vedrò mai più
l'ira e l'amore.
Non
c'è più
niente, ora c'è la maturità di tre uomini adulti.
E
io...?
Anche
io sono
maturata, no? Non dovrei lamentarmi.
…
Cosa
darei per
tornare indietro, per cambiare il mio presente dal passato.
Avrei
potuto avere
una vita fantastica e l'ho gettata via in nome della
normalità.
Perché
sono stata
così stupida venticinque anni fa?
Tutto
è partito da
quella stupida scelta che ha portato al fallimento della mia vita sentimentale.
E
invece mi devo
limitare ad accettare il passato senza neanche chiedermi il senso
delle cose, come un dogma.
O
peggio, mi devo
limitare a non pensarci, a far finta che non sia mai esistito...
forse sarebbe meglio.
… No, no. Non
posso.
Fingere
che non sia
mai esistito è un errore, è lo stesso errore per
cui ho deciso di
fare questo viaggio.
Scuoto
la testa.
Io
sto bene.
Il
tempo continuerà
a scorrere anche se non sono io a deciderlo, le cose succederanno e
io ci sarò.
E
non serve che
cerchi di prevederle in anticipo.
Tanto
non potrei
riuscirci, in ogni caso.
Sono
ad Oakland, sto
per rivedere delle persone che vorrei rincontrare da una vita, cosa
può esserci di sbagliato in questo?
Io
ho un compito!
«Lyss,
stai bene?
Ti vedo pensierosa...» mi richiama all'attenzione Vyol.
Sorrido.
«Mai
stata meglio!»
dico e stavolta sono sincera.
Non
puoi cercare di
aiutare qualcuno se ti trovi nel suo stesso problema, non puoi far
capire a una persona la bellezza della vita se tu stesso vuoi la
morte.
Vyol,
sbuffando, mi
passa davanti e preme quel pulsante dorato accanto alla porta
d'ingresso della casa.
Poco
prima io ed
Evelyn avevamo posato i nostri bagagli in albergo, ora siamo davanti
casa di Tré, dove Vyol ha fissato l'incontro.
Cuore,
ti prego,
fermati.
Davvero,
non puoi
battere a duemila km/h solo per questo stupido campanello.
Faccio
un passo
indietro, non voglio essere la prima persona a essere vista appena
verrà aperta la porta dopotutto!
Sento
dei passi,
piuttosto frettolosi all'interno.
La
porta si apre,
d'istinto mi sposto ancora più indietro, lasciando che sia
Vyol a
essere lì davanti al posto mio.
«Ciao
Vyol!»
saluta cordialmente Mike, solo dopo qualche secondo nota me ed
Evelyn. «Alice, Evelyn! Bentornate!» sorride
luminoso.
Abbraccia
Evelyn,
che lo saluta cordialmente.
Sono
emozionata,
sono così felice di rivederlo per davvero!
Abbraccia
anche me e
a quel tocco mi sciolgo un po'.
Oh,
al diavolo
tutto!
«Mike!
Sono felice
di rivederti!» sorrido anche io.
Non
ho paura.
«Tutto
qui?» ride
lui dopo avermi lasciata. «Sparisci per venticinque anni e
non
aggiungi altro?»
Rido
anch'io, ora
sono totalmente rilassata.
Tutti
i torti non ne
ha!
«Vuoi
che ti
racconti la storia della mia vita qui fuori?» gli rispondo
ridacchiando.
«No,
no. Anche
perché c'è Tré che vi sta aspettando
dentro.» ci ricorda.
Eh
già, dopotutto
questa è casa sua, penso sorridendo.
«A
proposito,
perché quell'idiota non si è ancora fatto
vedere?!» lo rimprovera
a distanza Vyol. «Questa è casa sua o sbaglio?
Dovrebbe almeno
accogliere le nostre ospiti prima che pensino che siamo troppo
maleducati e scappino via!»
«Sì,
ma è troppo
occupato a fare l'idiota per darsi un minimo di contegno.»
commenta
Mike lanciando uno strano sguardo a Vyol, a metà tra il
serio e il
divertito.
Decido
di lasciar
perdere.
Mi
limito solo a
guardare timidamente Evelyn, la quale mi stringe per un attimo la
mano.
«Stai
tranquilla,
quello che vuoi fare è un bel gesto, non è per
niente una cosa
stupida.» mi sussurra all'orecchio.
Già,
non è una
cosa stupida, è solo che mi sento fuori luogo, come se
facessi parte
di un altro mondo in questo momento, anche se cerco di comportarmi
normalmente.
«Allora,
volete
entrare?» chiede Mike riportandomi alla realtà.
«Tu!»
mi indica
Tré non appena mi vede causandomi un piccolo infarto.
Io?
«Sì...?»
chiedo
piuttosto incerta.
Non
risponde, mi si
avvicina passo dopo passo, ha uno sguardo piuttosto innervosito se
non arrabbiato.
C-che
ho fatto di
male?
Mike
e Vyol
ridacchiano, Evelyn si allontana un po' come se volesse mettersi a
distanza di sicurezza.
Ora
sì che mi sento
idiota.
Tré
è davanti a
me, mi guarda con quello sguardo che mi fa sentire sempre
più
piccola.
Per
un attimo mi
manca il respiro.
Improvvisamente
mi
sento in colpa.
Hai
ragione, Tré,
non avrei dovuto fare quello che ho fatto venticinque anni fa, ma ora
è tardi per...
…
Mi
abbraccia.
All'improvviso.
Non
sento più il
mio cuore battere.
«Lyss,
che fine
avevi fatto? Sei sparita di punto in bianco!» si lamenta un
po'
dopo.
Ah...
ehm...
È...
normale, è
normale che sia così cordiale, eppure qualcosa mi blocca.
Ok,
credo di aver
semplicemente perso la facoltà di parlare.
Forse il problema
è solo che
non voglio rispondere a questa domanda?
Ma
lo so che anche
se evitassi continuerebbe a chiederselo, non lo dimenticherebbe
così
facilmente.
«Certo
che tu non
sei proprio capace di salutarla normalmente, eh?» lo
rimprovera
Vyol.
«Ringrazia
solo che
non abbia ricominciato con quella storia...» dice Mike.
«Ah,
quella del
cane? Tempo due giorni e vedrai che ricomincerà. Quanto
scommettiamo?» sorride lei allegramente.
«Ah,
sì, certe
cose non cambiano e poi perderebbe la sua comicità se non lo
facesse.» commenta il bassista divertito.
Ma
che diamine...?!
Tré
scoppia a
ridere e io faccio lo stesso.
Ok,
per una volta
essere un cane mi ha salvata da una spiegazione che preferire non
dare.
Mi
dispiace, non
voglio risponderti e se proprio lo devo fare non qui almeno...
Lui
mi sorride.
«Allora,
di cosa
dovevamo parlare?» si avvicina a un divano nel soggiorno e si
siede
davanti a un tavolino.
Tutti
i presenti
fanno lo stesso, così io ed Evelyn ci mettiamo di fronte a
quei tre.
Devo
parlare, prendo
un respiro.
Tutti
stanno in
silenzio e mi guardano, incuriositi.
Dopotutto
avevo già
detto a Vyol che avrei dovuto parlare a tutti loro di una cosa.
«Ecco,
il motivo
per cui sono venuta ad Oakland e per cui ho dovuto vedervi è
questo.» dico mostrando il frutto del mio lavoro.
«Ho bisogno del
vostro aiuto.»
«Ok,
a me va bene.»
Mike è il primo a parlare dopo la mia spiegazione.
«Davvero?»
sorrido.
Per
un attimo ho
temuto di sembrare ridicola, ho temuto che la mia idea potesse sembrare
infantile.
«In
effetti hai
ragione, la situazione è esattamente come pensi. D'accordo,
anche io
lo farò... anche se sarà un po'
imbarazzante.» si unisce a noi
Tré. «Però... non potevi scegliere un
momento migliore?!» mi
rimprovera con quello sguardo da bimbo che solo lui sa fare.
Rido.
Non
è cambiato così
tanto in fondo.
«Mi
dispiace, mi
sembrava il momento più adatto per te.» mi
giustifico. «E comunque
il piano non si cambia, quindi o accetti di farlo così o
niente.»
sorrido sentendomi importante.
«Io
la mia parte
già l'ho fatta.» sorride Evelyn. «Anche
se non sono stata brava
come Lyss.»
«Ok,
a questo punto
lo farò anche io, ma sappi che ti odierò per
sempre per la parte
che hai scelto per me.» ride Vyol.
Sì,
è andata!
Ce
l'ho fatta, hanno
accettato davvero!
«Grazie
davvero,
non pensavo che avreste deciso di farlo fin da subito.»
sorrido
con dolcezza.
«Ma
di che,
figurati! In questo momento siamo come una squadra, no?» ride
Tré.
Sì,
esatto, siamo
una squadra, è questo lo spirito migliore!
«Allora,
avete due
settimane di tempo, quindi dovete dividervelo in questo tempo.
Potreste tenerlo per cinque giorni ognuno, ce la dovreste
fare.»
dico col tono di chi sta proclamando qualcosa di importante.
«Perfetto,
allora
lo prendo prima io.» annuncia Mike. «Dato che voi
due vi lamentate,
almeno così avrete più tempo per
pensarci.»
Perfetto!
8
gennaio 2013
Io
ed Evelyn abbiamo
incontrato Mike, Vyol e Tré quasi tutti i giorni successivi.
Certo,
di solito non
stavamo molto fuori, ma in ogni caso dopo i primi tre giorni
già mi
sentivo molto più tranquilla.
All'inizio
temevo che avrei finito per fare la parte dell'emarginata perché dopo tutto questo tempo potevo
essere vista
come appartenente a un altro mondo. Sono rimasta sorpresa, invece,
del fatto che non è stato per niente così, del
fatto che quasi
immediatamente mi hanno accettata come se non fosse passato neanche
un giorno.
E
così la prima
settimana è volata, Mike ha concluso la sua parte e ha
passato il
testimone a Vyol che ci sta lavorando in questi giorni.
Oggi
ci siamo
incontrati di nuovo, ma Evelyn è rimasta in albergo
perché non si
sente troppo bene, si è un po' raffreddata.
Mike
e Vyol sono
andati via e Tré mi sta riaccompagnando a casa. Ha insistito
per
farlo, anche se gli ho detto che non importava.
Tutto
ciò mi
ricorda terribilmente momenti passati.
Già,
ma è
diverso.
Mi
sento stranamente
tesa.
Avevo
intuito il
perché di quell'insistenza, così nonostante lui non abbia ancora parlato, non riesco a sentirmi a mio agio.
«Ho
capito che non
ne vuoi parlare...» inizia Tré guardando un punto
lontano.
Ecco.
Ecco
perché.
«Infatti.»
mormoro ribadendo la mia posizione.
Rimane
un attimo in
silenzio.
«Vorrei
solo sapere
perché, è solo una curiosità.
Dopotutto è passato tanto di quel
tempo che non dovresti esserne così spaventata,
no?» sorride
cercando di sdrammatizzare.
In
effetti ha
ragione, però è così imbarazzante...
«Sai,
avevo paura
che ti fosse successo qualcosa. Improvvisamente hai deciso di
sparire, eppure stavamo insieme, no?» si muove sul filo dei
suoi
ricordi.
«Non
è successo
niente di importante, te lo assicuro.» sospiro.
Mi
sto comportando
come una ragazzina, che fine hanno fatto i miei 41 anni?
…
Forse
è solo che
quando sono con loro ritorno un po' con la testa al passato?
Chissà,
forse è
anche positiva come cosa.
«Come
vuoi.» si
arrende lui scrollando le spalle.
… Odio rivangare
quel ricordo, ma forse dovrei dargli almeno una spiegazione, lo merita, anche se
dirgli le cause del fallimento della mia vita sentimentale
sarebbe piuttosto umiliante.
Sospiro
e mi faccio
coraggio.
«Mi
sono solo presa
una cotta per quell'idiota che avrebbe dovuto essere mio
marito.»
dico con un filo di voce.
Ripensare
a lui fa
male.
Anche
ora.
Ecco
perché non lo
volevo dire.
Tré
mi fissa per un
attimo perplesso.
«Sai,
tu non c'eri
mai, oramai avevate addirittura un contratto discografico, facevate
dei tour a cui ovviamente non potevo accedere, anche perché
la
strada che avevo scelto era quello dell'impegno scolastico e dello
studio. Lui mi aveva promesso amore eterno in un momento in cui ero molto depressa e forse è stato questo a farmi innamorare.» mi prendo un attimo di pausa, Tré non
mi interrompe e
ascolta attentamente. «Mi ha mollata due giorni prima del
matrimonio, si è innamorato di un'altra. E la mia vita
sentimentale da allora
è stata un disastro. Evelyn si è sposata ed
è felice, io sono totalmente sola e abbastanza inutile per la società. Ecco
quanto.»
dico un po' nervosamente alla fine.
Silenzio.
Ok,
forse dovrei
cercare di sembrare meno patetica, ma alla fine è così che
mi
sento.
Posso
solo dire che
il lavoro mi va bene, nient'altro.
Non
ho una famiglia,
fondamentalmente, solo qualche amica qua e là.
E
oramai non posso
neanche dire di avere chissà quale futuro davanti, non sono
più una
ragazzina.
Diamine, non dovrei pensarci, mi sento una morsa allo stomaco.
Oramai sono adulta e ho quasi voglia di piangere.
«Ehi,
non sei
inutile. Guarda solo quello che stai facendo.» mi sorride
Tré
dandomi un colpetto sulla mano per richiamare la mia attenzione.
Alzo
lo sguardo.
Come?
La sua voce è così rassicurante!
«Non
sei inutile:
anche adesso che hai deciso di ricomparire, non lo hai fatto per un
tuo capriccio, ma per aiutare un'altra persona. Finché vuoi
far del
bene agli altri non sei inutile.» mi sorride.
Rimango un attimo senza fiato, mi manca il respiro, ma dura solo un secondo.
«Grazie.»
gli
sorrido a mia volta. «Non mi è mai stata detta una
cosa del
genere.» confesso imbarazzandomi un po'.
15
gennaio 2013
Spingo
la porta
bianca ed entro nella stanza molto lentamente.
Cavoli,
ho aspettato
questo momento per due settimane, sono pronta!
… Beh, più o
meno.
Quando
sono dentro
mi blocco un attimo.
Osservo in silenzio quello che mi trovo davanti.
Una stanza di riabilitazione, una stanza bianca con solo un letto, qualche sedia, una sottospecie di armadietto e un comodino.
C'è un'atmosfera terrificante.
«Ciao.» saluto un po' imbarazzata dopo secondi che sembrano ore.
Mio cugino, steso sul letto, apre gli occhi, mi guarda, rimane quasi pietrificato.
«...
Alice?» non
sa se crederci o no, forse.
«Sì,
sono io.»
annuisco.
Ci
guardiamo un
attimo, guardo come è cambiato dall'ultima volta che l'ho
visto.
In
effetti non è
così diverso, solo il suo sguardo non riesco a riconoscerlo.
Mi
sono abituata a
vederlo in TV e nei concerti, ma averlo davanti è diverso.
«Che
ci fai qui?»
mi chiede poi.
Ecco,
lo immaginavo:
lui non è il tipo che ti chiede “perché
sei sparita”, ma ti
chiede “perché sei tornata”.
«Sono
venuta qui
per te.» confesso facendo qualche passo in avanti in questa
stanzetta che somiglia tanto a quella di un ospedale. «Sai,
ho visto
alla TV il concerto di Las Vegas e quando ho saputo di tutto questo
casino... beh, volevo fare qualcosa, non potevo rimanere lì
a
guardare.» sorrido malinconicamente inclinando un po' la
testa di
lato, squadrandolo.
Noto
con dispiacere
che ha un aspetto quasi trasandato, si è lasciato andare.
Come
immaginavo, del
resto.
Prima di quel concerto, Billie aveva abusato di alcune sostanze come tranquillanti e psicofarmaci. A quanto pare, ne ha la dipendenza e per questo è finito in questo posto, quasi costretto dalla sua famiglia e dai suoi amici.
Le usava oramai da molto tempo, anche io negli ultimi concerti avevo sempre visto un uomo energico, ma la sua era un'energia malata.
No, non era energico, era un uomo che stava male e chiedeva disperatamente aiuto.
Sul palco cantava male, camminava sbandando e aveva concluso l'esibizione di quello stupido festival prendendosela con gli organizzatori perché improvvisamente avevano accorciato il tempo concesso ai Green Day per il loro concerto e Billie aveva gentilmente sfasciato la chitarra elettrica che stava usando sul palco.
«Non
ce n'era
bisogno.» mormora lui. «Più di questo
non si può fare niente.»
dice guardandosi intorno. «Grazie comunque per la
visita.»
«Aspetta,
io credo
di riuscire a immaginare come ti stai sentendo.» dico alzando
un po'
la voce.
«Davvero?»
mi
guarda lui con aria di sfida. «Sai che mi sento un coglione,
un
fallito? Lo sai, anche mio figlio prima che fossi portato qui, mi ha
detto che forse fa ancora in tempo a non diventare come me, sai che
significa?» dice con una punta di rabbia.
Ecco,
si sta
alterando.
Dannazione...
No,
Billie, non devi
ragionare così.
«Non
si può capire
quello in cui sono caduto. O almeno, non puoi capire tu che non hai
mai avuto di questi problemi.» bofonchia stancamente.
«È finita, non c'è nessun bisogno di combattere. L'unica cosa che mi resta e rimanere ad aspettare, non so neanche cosa.»
commenta alla fine lasciandosi cadere sul letto, anche quello bianco.
«No,
non è vero.»
mi avvicino di qualche passo. «Non è finita
finché non sei
sottoterra, non ricordi?» gli chiedo.
«Quelle
sono solo
le parole di una canzone.» borbotta sedendosi.
«No,
non è vero.
Sono parole importanti invece. Stai passando un momento difficile, ti
sembra che la tua vita sia finita, però, Billie, non
può essere
così. Tu non sei un fallito.» lo provoco un po'.
«Come
fai a dirlo?
Il semplice fatto che sia famoso non significa niente.»
commenta
lapidario.
«No,
ma il fatto
che tu abbia salvato delle persone significa molto invece! Non
avresti potuto farlo se tu fossi solo un fallito, renditene
conto.»
gli dico alzando il tono di voce.
Mi
guarda un attimo
spaesato.
«Che
puoi capire
tu?» chiede con la voce di un ragazzino testardo, quel
sedicenne che
conoscevo che ancora vive dentro di lui. «Non ti sei mai sentita come me.»
«Anche
io mi sono
sentita un fallimento per molto tempo, devo ricordartelo?»
chiedo
innervosita.
Ora
sì che ho
qualcosa da dire.
«E
sai una cosa?
Non era vero niente. Ne sono uscita, ho combattuto. Se non lo avessi
fatto cosa sarei ora? Forse non ci sarei neanche, sai? E indovina un
po'? Tu mi hai salvato la vita. Se non ci fossi stato tu ora sarei
ancora la schiavetta personale di Evelyn.» lo guardo con aria
di
sfida mettendosi a sedere.
«E
come dovrei
combattere secondo te, scusa? Non posso fare niente.» mi guarda
innervosito
anche lui.
«Combatti,
anche
solo nella tua testa, devi avere voglia di vivere, dannazione. Devi
credere in quello che stai facendo! Ricordati di quello che hai fatto in
passato, di quello che hai sofferto e di come hai
superato tutte le difficoltà!» mi
appello al suo buonsenso.
Silenzio.
L'atmosfera
si è
scaldata, ma lui non risponde.
«Sono
solo belle
frasi, bugie fondamentalmente.» dice apaticamente.
«Anche
le tue
canzoni sono bugie allora? Letterbomb è una bugia? Good
Riddance è
una bugia? Le hai scritte giusto per guadagnare soldi? Anche io la
pensavo così, ma quando ancora credevo di essere debole!
Anche a me
sembrava impossibile uscirne fuori, ma poi ho scoperto che volevo
vivere, Billie. Vivere, perché anche se il mondo cerca di
rovinarti
ci sono ancora quei sentimenti come la gioia a tirarti fuori! Se hai
scritto quelle parole significa che anche per un solo secondo tu sei
stato felice, hai pensato che ne valesse la pena! Cerca di
ricordarlo!»
Lui
mi fissa, lo
sguardo duro, ma probabilmente non sa che rispondermi.
Sbuffo,
apro la mia
borsa, tiro fuori quell'oggetto che avevo iniziato a preparare fin
dal 25 di settembre.
Glielo
porgo.
«Che
cos'è?»
chiede spaesato.
«È...
è difficile
da spiegare. È solo un quaderno, ma ci ho scritto tutto
quello che
mi è successo da quando ti ho incontrato, c'è il
racconto di come
hai cambiato la mia vita e di come io stessa sono cambiata.»
«Perché
me lo stai
dando?» mi chiede freddamente.
«Voglio
che tu lo
legga, ok? Voglio che tu ti renda conto del fatto che anche quando ti
senti il re dei falliti le cose possono cambiare e lo faranno solo
nel momento in cui inizierai a combattere. Ti sto offrendo i miei
ricordi, i miei pensieri, i miei sentimenti e non solo quelli. Ti sto
offrendo anche quelli di Evelyn, di Vyol, di Mike e di
Tré.» spiego
cercando di addolcire il mio tono di voce con scarsi risultati.
«Che
c'entrano
loro?» chiede Billie smarrito, leggermente confuso.
Sì, nella fretta mi sono spiegata decisamente male, che idiota.
«Li
ho incontrati e
ho chiesto loro di scrivere delle pagine che avevo lasciato in
bianco, dal loro punto di vista. Ne ho lasciate alcune anche per
te.»
spiego il perché del mio incontro con loro.
Billie
non stacca
gli occhi dal quadernetto, lo apre un attimo, poi lo richiude.
«Hai
combattuto
molto nella tua vita e probabilmente neanche te ne rendi conto. Molte
persone non sarebbero capaci di fare quello che hai fatto tu.
Può
sembrarti una cosa stupida, ma voglio che tu ricordi tutto quello che
hai vissuto in quel periodo, perché in quel momento eri
forte, hai
combattuto per te e anche per gli altri.» dico arrivando
quasi
all'esasperazione.
Ti
prego, Billie, ti
prego! Ho fatto tutto questo sforzo solo per te!
Avrei
potuto
fregarmene, avrei potuto dire che oramai eri solo un ricordo, invece
ho deciso di andare contro la distanza, di tornare nel
passato, di riaffrontare tutte le mie paure, provandole nuovamente,
sentendo tutti quei sentimenti che avevo voluto dimenticare, solo per non dovermi chiedere se quello che
stavo facendo fosse giusto o no.
Lo
capisci questo?
L'ho
fatto per te e
se non è servito a niente... beh, non potrò far
altro che sparire
davvero per sempre e non voglio farlo.
Voglio
stare qui,
voglio tornare qui.
Non
voglio
dimenticare mai più.
Cavoli,
credo di
starmi emozionando troppo, il mio cuore va troppo veloce.
«Grazie.»
dice
infine, dopo un'attesa che sembra durata ore. Il suo sguardo si è rilassato.
Eh?
«Forse
dovremmo
riparlarne dopo che l'avrò letto, litigare adesso non
serve.» dice
con uno sguardo stanco indicando il quadernetto.
Piano
piano il mio
battito cardiaco rallenta.
Ci
proverà, il mio
sforzo è servito a qualcosa, ha deciso di dare una
possibilità alla
vita.
«Forse...»
concordo con lui, cercando di non far trasparire quel fiume in piena
di emozioni che ha invasa.
«Da
quanto tempo
sei qui?» mi chiede all'improvviso rilassato.
«Da
due
settimane...» rispondo un po' stralunata.
«Sei
stata con loro
tutto il tempo?» mi chiede sempre con lo stesso tono
rilassato.
«Sì...»
gli
rispondo sorridendo luminosa. «Ho visto un po' la
città e ho anche
conosciuto la tua famiglia... mi hanno accolta decisamente meglio di
quello che mi aspettavo.» aggiungo un po' imbarazzata.
«Anche
se sei
sparita non sei diventata un'estranea. Di sicuro sono stati tutti
molto felici del tuo ritorno.» mi sorride anche lui.
«È
sempre
difficile cercare di rientrare nella vita di qualcuno dopo molto
tempo.» commento arrossendo un po' per l'imbarazzo.
«Oh,
tu sei venuta
solo a fare una visita, per rientrare davvero devi farti vedere
più
spesso.» mi fissa con aria di sfida.
Farmi
rivedere?
Beh...
perché no?
Io voglio rientrare nella loro vita.
Io
devo
rientrare nella loro vita.
Pensavo
che sarebbe
stato tutto diverso, che per queste due settimane avrei respirato
un'atmosfera di tensione, invece sembra quasi che il tempo non sia
passato.
Per
questo non
voglio sparire di nuovo, sono stata bene e il fatto di avere un treno
prenotato per domani mi rattrista.
«Lo
farò.»
affermo convinta. «Ho troppe cose qui che non voglio
perdere.»
Billie
accoglie le
mie parole con un sorriso, inclina la testa di lato.
«Allora
mi aspetto
di rivederti ad Oakland, ogni tanto.»
Fine
(o forse
è solo l'inizio?)
_______________________________________Authoress'
words
Mio
Dio, non avete idea di quello che sto provando in questo momento.
Ve
lo giuro, sto per piangere.
Questa
storia è stata la prima in cui ho inventato dei personaggi e
la prima in cui la trama è stata inventata totalmente da me
e quasi non mi sento pronta a lasciarla andare, ma purtroppo devo. Sono
un po' come una mamma quando il figlio decide di andarsene di casa.
Ho
il batticuore, non so se reggerò all'idea di vedere la
scritta "completa" al posto della solita "in corso", però
anche io penso di essere maturata con lei, con Alice mentre scrivevo.
Devo
ringrazziarvi tutti per essere arrivati fin qui, per aver voluto
condividere le mie emozioni. Solo grazie a voi Alice ha preso vita,
solo grazie a voi è maturata e ha trovato la sua via.
Ringrazio
davvero di cuore una ragazza che mi ha fatto da musa ispiratrice per il
personaggi di Alice, la mia Lyss e ringrazio anche la persona a cui
avevo dedicato questa storia per aver sopportato i miei scleri e per
avermi incitata a non mollare mai, anche nei momenti più
difficili.
Ringrazio
voi e le vostre recensioni per avermi fatta ridere ed emozionare,
riflettere e migliorare.
Lo
so, mi sto comportando come se avessi vinto un premio Oscar, ma
è il minimo che possa dire per farvi arrivare un po' dei
miei sentimenti.
Grazie,
grazie davvero. ♥
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