Ringrazio anche solo chi legge.
Richiesta da DenbiSara.
Cap.1 Il patto tra Itachi e Sakura
Itachi si legò i lunghi capelli neri, si abbassò
e aprì il rubinetto dell’acqua. Si
riempì le mani e si gettò l'acqua in viso,
rinfrescandosi, le gocce gli rigarono il viso scendendogli lungo le
rughe di espressione.
Itachi sospirò, voltandosi e si sporse in avanti, afferrando
un asciugamano violetta. Si rizzò con la schiena dirigendosi
verso il water, fletté le gambe e recuperò la
camicia piegata appoggiata sulla tavolozza candida. Indossò
la camicia, la indossò, si allacciò i
polsini e si chiuse la cerniera dei pantaloni. Udì bussare
alla porta del bagno, si voltò e le sue iridi
nere brillarono di riflessi color rubino.
“Chi è?” domandò con tono
atono.
L'uscio si aprì, ne entrò il maggiordomo
che si richiuse la porta alle spalle. Appoggiò delle scarpe
nere lucide sul pavimento e gli porse la giacca del frak.
“Signorino, i suoi abiti. Le ricordo di mettere la cravatta.
Le ho stirato il kimono per le sue preghiere serali. Suo padre era
molto attento a questi dettagli” disse. L’occhio
finto gli brillò d’azzurro e si grattò
la barba posticcia.
Il padrone di casa socchiuse un occhio, ispessendo i segni sul suo viso.
"Non fai altro che paragonarmi a lui, è morto da tre mesi,
potresti anche smettere di ricordarlo" disse secco. Si sfilò
le ciabatte, rimanendo con i piedi coperti da dei calzini candidi, e
avanzò di un paio di passi, avvicinandosi all'altro uomo.
S'infilò le scarpe di vernice e si lasciò aiutare
dal maggiordomo a infilare la giacca.
"Signorino, le voglio solo ricordare che i suoi genitori tenevano al
suo aspetto" spiegò l'uomo.
Itachi strinse le labbra e lo superò con passo cadenzato.
Uscì dal bagno e proseguì lungo il corridoio,
avviandosi nella direzione delle scale.
< Mio padre era un falso a capo di una ditta di ipocriti e sia
lui che mia madre non sono riusciti a occuparsi dell'unica cosa che
ritengo realmente importante: il mio fratellino Sasuke >
rifletté.
I passi del giovane risuonavano nell'androne, leggermente attutiti dal
tappeto rosso orientale che copriva il pavimento.
La luce solare che filtrava dalle grandi finestre, riflessa dai
lampadari di cristallo, lo abbagliò. Itachi batté
un paio di volte le palpebre e proseguì, passando oltre una
statua d'oro.
La sua segretaria gli corse incontro, gli occhiali le scivolavano in
avanti, le sue gote erano accaldate e i capelli color fiamma le
vorticavano intorno al viso. Strinse al petto prosperoso una
cartelletta, raddrizzandosi con l'altra mano la penna che teneva dietro
l'orecchio.
"Buongiorno, signor Uchiha" salutò.
< Quanto è figo! > pensò.
Itachi la guardò, incrociando le braccia al petto.
"Non sarà mai un buongiorno finché lei non
riuscirà a trovare le carte che mi consentiranno di
riportare a casa il mio fratellino. Si rende conto che si trova ancora
in quell'orfanotrofio pidocchioso?" domandò gelido.
La giovane donna chinò il capo, le iridi color smeraldo le
divennero più chiare.
"Mi dispiace, signore. Si tratta di un neonato e per le leggi del nostro
stato, solo coloro che sono sposati possono tenerli. Già
è una fortuna che lei sia riuscito ad ereditare la ditta di
famiglia così giovan..." ribatté.
Itachi dimenò lentamente la mano davanti a sé.
"Neonato o no, mio fratello deve tornare a casa" le ordinò.
La segretaria deglutì, incassando il capo tra le spalle.
“Signor Uchiha, oggi deve incontrarsi con il sindaco di
Konoha per la nuova strada. Sa, il progetto è molto
dispendioso, la sua presenza è d’obbligo per
rimarcare il suo ruolo come capo della ditta e per accelerare i lavori.
Successivamente
…” enumerò.
Il ragazzo la superò accelerando il passo.
Camminò sempre più rapidamente e
svoltò a sinistra, allontanandosi dalla limousine
parcheggiata nel viale della villa.
“La prego signorino, non di nuovo!” udì
gridare l’autista.
Itachi entrò
nel garage da una porta laterale socchiusa, raggiunse una motocicletta
con le chiavi attaccate e vi salì. Si piegò,
l’accese e le fece dare gas. Girò il veicolo
dirigendosi verso la porta, la investì, spalancandola e
accelerò.
Scese lungo il prato erboso schivando un paio di
guardie e si piegò, strisciò a terra su una
fiancata della moto strappandosi la manica della giacca passando sotto
la barra di blocco. Riuscì a raddrizzare la moto, diede di
nuovo gas e si allontanò lungo la strada.
Proseguì lungo la strada di campagna facendo una serie di
tornanti ed entrò in città.
Si fermò
davanti a un bar con l’insegna rossa, parcheggiò
accanto ad altre motociclette e si sfilò la giacca,
abbandonandola sul
sellino. Recuperò le chiave, infilandole nella tasca dei
pantaloni. Aprì la porta a vetri del locale, facendo
tintinnare delle campanelle ed entrò.
All'interno del bar intravide una serie di ombre nere sfocate,
socchiuse gli occhi e i suoi occhi si abituarono al buio.
Le sue iridi divennero totalmente rosse. Vide un bancone illuminato da
una soffusissima luce verde, emanata da un'insegna semi-fulminata
sistemata sopra uno speccio a parete.
Itachi inspirò, l'odore di nicotina gli punse le narici. Si
accomodò su un sedile rosso e osservò il
proprietario avvicinarsi.
“Ti servo il solito ragazzo?” domandò
quest'ultimo con voce seducente, sporgendosi verso di lui.
“Wiskye con tre cubetti di ghiaccio e una spruzzata di
limone” rispose Itachi.
“Che schifo” si lamentò la cameriera.
“La mia birra!” gridò una voce maschile,
proveniente da un tavolo in un angolo del locale.
“Com’è finita con tuo
fratello?” domandò il barista. Fece un sorriso
mellifluo, piegando le
labbra sottili, mostrando i denti candidi. Trasse una bottiglia di
wiskye da un minifrigo, la lanciò verso Itachi, che la prese
al volo.
Il barista si voltò e piegò di lato il capo, una
cascata di capelli neri gl'incorniciavano il viso pallido.
"Deidara, ci serve il ghiaccio" sibilò.
"Un'artista è schiavo solo della sua arte, il ghiaccio
arriverà a tempo debito" rispose una voce maschile.
La lingua aguzza del barista saettò tra i suoi denti.
"Noto che continua a volermi dimostrare quanto in realtà sia
un'artista" rifletté Itachi.
Il barista batté un paio di volte le palpebre.
"Quando lavoravi qui insieme a lui, prima di ricordarti la tua
ricchezza, le giornate erano più interessanti" ammise.
"Orochimaru, mi serve il tuo aiuto. Ho bisogno di una moglie entro la
fine della settimana" spiegò Itachi. I denti candidi di
Orochimaru brillarono nell'oscurità, insieme alle sue iridi
color dell'oro.
"Mio piccolo ciliegio, vieni qui, ho un lavoretto per te"
sussurrò. Schioccò le dita e il suono di tacchi
risuonò nel locale.
Itachi si volse e vide una giovane dalla maglietta rossa a balconcino,
che lasciava intravedere il suo seno minuto, avanzare ancheggiando
verso di lui. I corti capelli rosa di lei frusciavano a ogni suo
movimento.
"Io sarei anche disposto a sposarla per i suoi
soldi, mi servono" disse Sakura. Si tolse la sigaretta che teneva tra
le labbra rosso fuoco, la lasciò cadere a terra e la
schiacciò sotto un tacco nero.
< Ino ho finalmente trovato la grana che mi serve per
dimostrarti che nell'ambiente non sono peggio di te >
pensò.
Itachi sorseggiò il suo drink.
"Nel contratto di matrimonio sarebbe inserita una clausola di divorzio,
in caso" disse con tono freddo.
La ragazza sorrise e gli porse la mano.
"Affare fatto, mr. quattrini" sancì.
Itachi strinse la mano di Haruno nella sua.
"Lei non sta scherzando, vero?" domandò.
"Sono una bambinaia senza lavoro e so che per i ricchi i matrimoni
durano comunque poco" rispose.
Itachi si alzò in piedi e le lasciò andare la
mano. Fece un mezzo sorriso.
"La ringrazio, allora" disse.
La cameriera schioccò la lingua sul palato, mentre il
barista raggiungeva Deidara che si era affacciato dalla cucina con un
secchiello del ghiaccio.
"Io quella pupa me la terrei, anche se è piatta come una
tavola!" gridò il giovane uomo in fondo al bar, mostrando i
denti aguzzi.
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