Il ritorno a casa
fu tranquillo. Una tranquillità che aveva del miracoloso. Non
incontrai nessuno. Non posso giurare che nessuno mi avesse visto, ma
quanto a quello non potevo farci niente. Non intendevo minimamente
costituirmi, ma ero disposta ad andare in carcere. L'importante era
che Leto fosse morto. A mia figlia, se fosse stato necessario, avrei
spiegato quello che avevo fatto, e perché. Lei sapeva che era nata
da uno stupro. Non era stato semplice dirglielo, ma lo trovavo
necessario. Doveva sapere perché era senza un padre. Ero stata
fortunata, ad ogni modo. L'aveva presa bene, e aveva accettato di
farsi seguire da Loredana, per un po'. Ma, a meno che non fosse stato
necessario (leggasi: a meno che non mi avessero scoperta e
arrestata), non le avrei mai detto che il bastardo che le aveva fatto
del male era il suo stesso padre. Certo, in caso mi avessero
arrestata, avrei sempre potuto stare zitta e non infliggerle altro
dolore, ma la stampa avrebbe scoperto della paternità di Greta. E
scoprirlo così l'avrebbe distrutta. No, ero io che dovevo dirglielo.
Ma solo se mi avessero scoperto!
“Oh, ragazza, su!
Non hanno ancora scoperto il cadavere di Leto e già ti fai questi
viaggi mentali?” la sacca che avevo mollato nell'ingresso mi fece
sussultare. Le sorrisi.
“Meglio essere
pronti a qualsiasi evenienza!” risposi.
Ripulii tutto e
misi la roba al suo posto. Misi i vestiti in ammollo nell'acqua
fredda per togliere il sangue di Leto. Una parte di me era tentata di
buttare via tutto, ma sarebbe stata un'ammissione di colpa troppo
evidente.
Mi lavai. Poi mi
concessi un paio di drink belli forti, prima di tornare in ospedale,
anche se mancava ancora un bel po' allo scadere del mio turno di
riposo. Erano le 3 del mattino, dopotutto. Ma avevo trascurato mia
figlia già troppo. Fu a quel punto che il mio telefono squillò.
Corsi a rispondere.
“Mamma?”
“Giorgia, tesoro,
si è svegliata! Si è appena risvegliata!”
Interruppi la
chiamata, mi vestii con i primi indumenti che trovai nell'armadio e
corsi all'ospedale.
Due mesi dopo
Greta sembra stare meglio, fisicamente. Psicologicamente, dubito che
si riprenderà mai del tutto. Ma Loredana è ottimista, dice sempre
che, con una mamma come la sua, Greta supererà tutto splendidamente.
Mi piacerebbe poter dire lo stesso, ma da una cosa così non ci si
riprende mai del tutto. Con quello che ho fatto, ne sono diventata la
prova vivente.
Hanno scoperto il cadavere di Leto una settimana dopo il risveglio. A
dire la verità, ero una dei sospettati principali. Avevo il movente
e non avevo l'alibi. Mi hanno interrogata per ore e ore. Non avevano
comunque prove certe, i vestiti che avevo utilizzato, scarpe
comprese, le avevo donate in beneficenza insieme a parecchia altra
roba che davo via periodicamente, quindi non potevano arrestarmi. Ma
Brandi sosteneva di sapere che ero stata io, e l'avrei pagata cara.
Ho passato giorni piuttosto difficili, comunque, combattuta tra
l'esigenza di assumermi le mie responsabilità e il bisogno di mia
figlia di avere la mamma accanto. Propendevo più per il restare
accanto a mia figlia, che ormai aveva il terrore di uscire di casa da
sola. Anzi, addirittura, tante notti le passava dormendo con me, e se
doveva andare al bagno o prendere un bicchiere d'acqua, mi svegliava
perché la accompagnassi. Come potevo farmi arrestare in un momento
simile? D'altra parte, avevo ucciso un uomo. Non ero pentita del mio
gesto, anzi, tornando indietro l'avrei rifatto, magari aggiungendo
una buona dose di crudeltà alle torture che avevo inflitto a Leto,
ma davanti alla legge ero colpevole, e ho sempre ritenuto giusto che
la legge venisse applicata.
Era un bel problema. Sennonché, Dio, il Destino, la Provvidenza,
chiamatelo come volete, mi venne in aiuto in due modi diversi. Mi
fecero una perizia psichiatrica, in cui venne fuori che difficilmente
sarei risultata colpevole. Risultavo troppo furiosa con Leto per
torturarlo in quel modo, troppo premeditato. In preda alla furia
della vendetta avrei sicuramente lasciato qualche impronta, qualche
traccia del mio passaggio. Trovai la cosa ridicola, visto che
comunque ero stata io. Subito dopo la perizia, una vicina venne a
testimoniare che era impossibile che fossi colpevole, visto che
giurava e spergiurava di avermi visto in un bar a bere, giusto
all'ora in cui, in teoria, io sarei dovuta essere in casa. La ragazza
che avevano visto doveva assomigliarmi parecchio, visto che anche il
barista confermò la versione della vicina. Quanto a me, mi inventai
qualche storiella strappalacrime sul fatto che mi vergognavo
profondamente di aver ceduto ad un impulso così autodistruttivo, per
questo avevo mentito sul luogo dove mi trovavo. L'esame del capello
confermò che effettivamente avevo bevuto, grossomodo in quel
periodo. Dio benedica quei due drink forti! Mi fecero una ramanzina
sul rischio di ritrovarmi in carcere solo per non passare per
ubriacona, poi mi lasciarono andare. Non trovarono mai il colpevole,
e la misteriosa ragazza non si fece mai viva per confutare la storia
del barista e della vicina. Suppongo che in realtà non sia mai
esistita, visto la faccia strana che hanno fatto il barista e la mia
vicina quando sono andata a ringraziarli. Comunque sia, l'ho fatta
franca.
Gli oggetti non mi hanno più parlato. È un bel sollievo.
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