Schiavi d’amore
V
Roma,
79 d.C.
Il senatore Tito Sergio Fidena stava morendo.
Non si alzava dal letto ormai da
giorni, perché diceva di essere stanco e di non averne le forze. Sentiva che la
sua ora era ormai arrivata.
Non appena uno schiavo entrò nella sua
stanza e gli annunciò che Lucio era rincasato, Tito gli ordinò di mandarlo a
chiamare, così che gli potesse parlare. Prima di morire, aveva il diritto di
sapere.
Lucio entrò nella stanza del padre poco
dopo, e si sedette accanto al suo letto.
– Come stai, padre? – gli chiese,
preoccupato. Vedeva che ormai ogni respiro gli riusciva difficoltoso e il volto
rugoso era stanco e tirato.
– Sto morendo, Lucio. Le Parche stanno
per recidere il sottile filo che ancora mi lega a questa vita, riesco quasi a
vedere Atropo che si avvicina ad esso (1) – rispose Tito, perdendosi tra le
proprie tetre riflessioni.
– C’è qualcosa che posso fare per
alleviare il tuo dolore? – domandò Lucio, dispiaciuto.
– Puoi ascoltarmi – rispose Tito. Serrò
gli occhi; non sapeva se dopo quella rivelazione il figlio avrebbe ancora
voluto guardarlo in faccia. – Devo dirti una cosa.
– Ti ascolto, padre – lo assecondò
Lucio, confuso.
– Cinque anni fa…
Sophia non è scappata. Sono stato io a liberarla –
rivelò Tito, con voce flebile.
Lucio strinse i pugni.
Per tutto quel tempo aveva creduto alle
menzogne del padre, arrivando perfino a odiare Sophia
per essersene andata così, per essere sparita da un giorno all’altro senza la
benché minima spiegazione, specialmente dopo la soluzione che aveva trovato.
Quando l’aveva cercata per tutta la domus senza alcun risultato, aveva capito davvero cosa
significasse sentire il cuore spezzato e non avere più una ragione di vita. Quello
che aveva provato per la fine della sua relazione clandestina era nulla, al
confronto.
– Perché? – domandò, semplicemente.
– Perché avevo sentito quello che vi
siete detti il giorno del tuo matrimonio. Non potevo permettere che accadesse,
che gettassi fango sulla nostra gens
e che dessi scandalo. Così l’ho allontanata da te.
Lucio era furibondo.
Quella storia che ormai aveva relegato
nei recessi della propria memoria era tornata a galla con una forza dirompente,
scatenando in lui una vasta gamma di emozioni. Aveva impiegato molto tempo a
reagire, a convincersi che Sophia non l’aveva mai
amato, se era fuggita così, ed ecco che ora finalmente scopriva che suo padre
si era intromesso e che la ragazza non doveva avere avuto molta autonomia di
decisione.
– Quindi le hai dato la libertà solo
per tenermela alla larga, eh? Tutto per una stupida questione d’onore! –
esclamò Lucio, battendo un pugno sul materasso. Tito sobbalzò, ma il figlio non
se ne curò. – Posso sapere come l’hai convinta? – chiese dunque, tagliente,
desideroso di scoprire come mai la donna che amava e da cui si era creduto ricambiato
avesse deciso di abbandonarlo. Doveva essere un motivo molto valido, se aveva
dato retta a suo padre.
– Le ho detto che se non avesse
accettato l’avrei venduta al proprietario di un lupanare. Volevo separarvi,
Lucio, ed ero pronto a tutto – rispose Tito, che ormai aveva voltato la testa
dalla parte opposta rispetto al figlio. Non riusciva a guardarlo negli occhi, a
vedere quanta sofferenza gli avesse causato agendo per quello che credeva il
suo bene. – Ora però mi sono reso conto che ho sbagliato. L’incombere della morte
cambia il tuo punto di vista; so che lo dicono tutti, ma non te ne rendi conto
finché non tocca a te – proseguì poi, con tono grave e triste.
– È un po’ tardi per pentirsi –
constatò Lucio, con amarezza. Con tutti quegli anni che erano passati, poteva
essere successa qualsiasi cosa. Sophia poteva
trovarsi ovunque, nella vastità dell’Impero, e poteva benissimo essersi
risposata o addirittura essere morta.
– Non è tardi per rimediare, però – lo
contraddisse Tito, voltandosi a guardarlo di nuovo in viso. – Sophia è nella nostra villa
di Pompei. È lei che la amministra.
Il cuore di Lucio ebbe un sobbalzo.
Allora non tutto era perduto! Sophia non si era mai
allontanata del tutto da lui.
– Quindi per tutto questo tempo è
rimasta lì? – chiese, speranzoso. I sentimenti che con gli anni aveva imparato
ad ignorare erano tornati a farsi strada in lui, ritrovando il loro posto.
– Sì, e non è sola – disse Tito. Lucio
pensò che fosse in dolce compagnia e si rabbuiò. – C’è vostra figlia, con lei – concluse infine il senatore, e chiuse gli
occhi. Si sentì finalmente da quel peso che l’aveva oppresso per anni e che
l’aveva portato a pensare di aver agito contro gli interessi del figlio, ma sul
quale ogni volta faceva prevalere il senso del dovere e dell’onore che si
doveva tributare alla famiglia. Stava a Lucio, ora, scegliere se seguire il suo
esempio e mettere al primo posto la famiglia oppure prediligere l’amore.
– Fa’ ciò che credi più giusto, figlio
mio – si sentì in dovere di consigliargli. – A breve non ci sarò più e la
nostra famiglia sarà in mano tua. Perdonami, se puoi – aggiunse dunque, con un
sospiro.
– Dicendomi dove si trova, hai già
rimediato un po’ a ciò che hai fatto – disse Lucio, posando la propria mano su
quella del padre. – Penso che quando hai deciso di dirmi tutto sapessi già cosa
avrei fatto, ma hai voluto rivelarmelo lo stesso. E questo ti fa onore.
- Andrai da lei? – chiese Tito.
Lucio annuì.
Aveva già deciso, e nulla lo avrebbe
fermato.
Pompei, 79 d.C.
Sophia era nei boschi alle pendici del Vesuvio (2) con sua figlia
Cassandra, una bella bambina di quattro anni.
Ogni volta che poteva, infatti, cercava
di stare con la figlia e di portarla a fare delle passeggiate all’aria aperta.
Per quanto ormai fosse di nuovo libera da cinque anni, infatti, non si stancava
mai di riassaporare la propria indipendenza a quel modo, di non dover più
sottostare agli ordini di nessuno e di essere nuovo padrona delle proprie
azioni, per cui se le andava di fare una passeggiata, la faceva.
In virtù di questa sua caratteristica,
inoltre, era molto amata dagli schiavi della villa che amministrava; proprio perché era stata una di loro e
sapeva cosa significasse esserlo, si era mostrata fin da subito buona e gentile
nei loro confronti e aveva fatto sparire di casa la frusta con cui il vecchio
soprintendente prima di lei si era guadagnato timore e rispetto.
Poteva reputarsi felice, o per lo meno
serena; eppure non passava un solo giorno senza che la sua mente non si
rivolgesse a Lucio. Si chiedeva continuamente come stesse, se fosse felice,
cosa stesse facendo, se avesse dei figli.
Non aveva più saputo nulla di lui.
Intratteneva una corrispondenza con il
senatore Tito, ma il contenuto delle missive era puramente formale; lo
informava dell’andamento della villa e non osava chiedergli nulla riguardo a
Lucio, e nemmeno riguardo ad Appio e Camilla. Le mancavano molto anche loro,
infatti. Chissà com’erano cresciuti…
Era grata tuttavia agli dei per averle
concesso il dono di avere una figlia che le riempiva le giornate di gioia e le
aveva dato una nuova ragione di vita.
Cassandra somigliava molto a Lucio, nei
lineamenti; aveva infatti i capelli castani come quelli di lui, e anche gli
occhi marroni erano permeati dalla stessa vivacità e voglia di vivere che
l’avevano fatta suo malgrado innamorare di lui. Caratterialmente, invece, la
bambina stava iniziando a somigliare molto a Sophia e
mostrarsi interessata a ogni cosa che la madre faceva. Voleva assisterla in
ogni momento e operazione della sua giornata, e ogni sera prima di andare a
letto pretendeva che la madre le raccontasse delle storie, le stesse che a Sophia erano state narrate dal padre in un tempo che ormai
le sembrava lontanissimo.
Anche quando facevano quelle
passeggiate nei boschi, ogni volta che si fermavano a cercare un po’ di
ristoro, Cassandra implorava la madre affinché le raccontasse delle storie e le
insegnasse il greco.
Anche quel giorno, dunque, la bambina
sedeva di fronte a Sophia, all’ombra di un albero, ad
ascoltarla rapita mentre le narrava le dodici fatiche di Ercole.
Lucio arrivò in silenzio, seguendo le
indicazioni che uno schiavo della villa
gli aveva dato. Era arrivato a Pompei circa un’ora prima e, nonostante fosse
esausto per il viaggio, aveva deciso di raggiungere Sophia.
Non poteva più aspettare oltre, cinque
anni senza di lei erano stati anche troppi, e aggiungere anche solo un instante
a quell’ammontare di tempo era per lui impensabile. Aveva dunque abbandonato il
cavallo alla villa e si era diretto a
piedi laddove gli era stato indicato.
Non appena scorse le due figure sedute
all’ombra di quell’albero si bloccò e si sentì invadere da una grande gioia.
Quella era la sua famiglia, quella
vera.
Quella era la famiglia per la quale
avrebbe sacrificato tutto: la famiglia che sperava avrebbe creato con Sophia, e non quella illustre a cui apparteneva.
Dopo la morte del padre e la lettura
del suo testamento, aveva infatti divorziato dalla moglie ed era partito alla
volta di Pompei, non prima di aver trovato un valido tutore in un caro amico
del padre che in sua assenza si sarebbe occupato di Appio e Camilla, ormai non
più bambini ma nemmeno ancora in grado di essere definiti propriamente adulti.
Lucio inspirò profondamente e si decide
infine ad avanzare verso Sophia e la bambina, che
udendo dei rumori volsero la testa verso di lui quasi nello stesso momento.
La sorpresa della donna fu tale che
emise un gridolino e si alzò immediatamente, mentre la bambina la osservava confusa
senza capire cosa stesse succedendo.
Lucio percorse la poca distanza che lo
separava dall’amata e l’abbracciò, senza dire una parola. Desiderava solo
stringerla a sé e non lasciarla più andare via, ora che l’aveva ritrovata. Sophia ricambiò immediatamente l’abbraccio e non seppe
trattenere le lacrime di gioia e sollievo che iniziarono a scorrere sul proprio
viso.
Lucio era tornato da lei.
Dopo quelli che parvero attimi
interminabili si separarono e si guardarono negli occhi a lungo, stringendosi
le mani come per non lasciarsi più andare.
– Sei qui – sussurrò Sophia, ancora frastornata.
– Sono arrivato appena ho potuto.
– Come facevi a sapere dov’ero? –
chiese la donna, tornando a ragionare con lucidità ora che la sorpresa iniziale
iniziava a scemare.
– Me l’ha detto mio padre poco prima di
esalare l’ultimo respiro – rispose Lucio, con amarezza. - È morto quasi un mese
fa.
– Mi dispiace! – esclamò Sophia, sorpresa. – Io… Non ne
sapevo nulla. Altrimenti ti avrei scritto una lettera o…
– Sono stato io a volere che non
sapessi nulla, Sophia – la interruppe l’uomo. –
Volevo, anzi dovevo venire qui di
persona. E come uno stupido temevo che se ti avessi avvisato del mio arrivo tu
saresti scappata.
– Non l’avrei mai fatto – lo
contraddisse con dolcezza, prima di rabbuiarsi improvvisamente. – Ti chiedo
scusa per averlo fatto cinque anni fa. Come saprai non è stata una mia scelta.
In più mi ero da poco accorta di essere incinta e temevo per la sorte del
bambino, così ho accettato la proposta di tuo padre senza battere ciglio. Mi
dispiace, Lucio – si scusò dunque. Erano anni che si teneva tutto dentro, e
dire quelle parole ad alta voce fu liberatorio.
– Non avevi altra scelta, amore mio –
ribatté Lucio, rassicurandola. – Non potevi fare altro. E ormai non importa più
nulla. Quel che conta è che ora ci siamo ritrovati.
– Ancora stento a crederci.
– Anche io, ma per fortuna è la realtà
dei fatti. E la proposta che ti ho fatto il giorno del mio matrimonio è ancora
valida – annunciò Lucio, con un sorriso. – Possiamo essere felici insieme, se
lo vuoi, ora che se una donna libera e anche io non ho più legami.
Un sorriso illuminò il viso di Sophia e la donna fece per abbracciarlo, quando si sentì
strattonare per la tunica. Si voltò e vide Cassandra che la fissava
visibilmente infastidita, con un braccino posato su un fianco.
Nella gioia e nella confusione, si era dimenticata
di lei.
– Chi è quest’uomo, madre? – domandò la
bambina, con il broncio.
– È tuo padre, piccola mia. Si chiama
Lucio – le rispose Sophia con gioia, prendendola in
braccio così che potesse guardare in faccia il genitore ritrovato. – Ti avevo
detto che viveva lontano, ricordi? Ora è tornato da noi.
Il broncio sparì immediatamente dal
viso della bambina, che spalancò la bocca per lo stupore.
– Ciao, piccolina – la salutò Lucio,
prima di accarezzarle i capelli. Aveva gli occhi lucidi per l’emozione. – Come
ti chiami?
– Cassandra – rispose prontamente la
bambina, con un sorriso, prima di sporgersi verso di lui e allacciargli le
piccole braccia al collo. Non reputando di aver fatto abbastanza, gli schioccò
anche un bacio sulla guancia.
Lucio si sentì felice, e completo.
Se anche solo per un istante gli
fossero venuti dei dubbi su ciò che aveva deciso di fare, ora erano
completamente scomparsi.
Lì in quel bosco, con la sua bambina e Sophia, non poteva desiderare di trovarsi altrove.
Tutto ciò che gli bastava per vivere
una vita felice e senza rimpianti era lì.
Il ventiquattro agosto, il cielo si
oscurò.
Una nube nera si originò dalla cima del
Vesuvio e si espanse sempre più, fino a ricoprire tutta la città e a
costringere gli abitanti ad usare le lucerne in pieno giorno. Nessuno si
preoccupò più di tanto e ognuno si dedicò alle proprie attività quotidiane.
Così com’era arrivata, quella nube se ne sarebbe andata, si erano detti.
Solo quando l’aria diventò
irrespirabile, la gente iniziò a farsi prendere dal panico e a fuggire,
radunando con sé poche cose. Giusto un po’ di denaro, per far fronte a ogni
evenienza. (3)
Urla acute e pianti disperati riempirono
le strade di Pompei, e fu il caos più totale.
Quando dal cielo iniziarono a piovere
cenere e lapilli, l’impressione comune fu di essere precipitati nei più
profondi abissi dell’Ade, dai quali non c’era via di uscita.
Molti ebbero la brillante idea di
andare al porto e attendere i soccorsi, nella speranza che qualcuno udisse il
grido di aiuto di Pompei, che però non era l’unica città ad essere in pericolo.
Anche i limitrofi agglomerati urbani come Ercolano, Oplontis
e Stabia stavano affrontando lo stesso destino, e
anche i loro abitanti si erano lasciati prendere dal panico.
Lucio mantenne la calma, per lo meno in
apparenza.
Era spaventatissimo, ma non voleva
darlo a vedere. Doveva essere la roccia al quale Sophia
e Cassandra si sarebbero aggrappate, non appena le avesse ritrovate. Quella
mattina, infatti, si era allontanato presto da Pompei per sbrigare degli
affari. Stava tornando in città, quando da lontano aveva udito una moltitudine
di urla e qualcosa in lui era scattato.
Aveva iniziato a correre con tutta la
forza e il fiato che aveva in corpo.
Sophia era rimasta da sola, nella villa.
Non appena aveva capito che la
situazione si stava facendo critica, aveva ordinato agli schiavi di dirigersi
al porto per mettersi in salvo e aveva affidato Cassandra alla schiava che si
occupava abitualmente della bambina quando lei era troppo impegnata per darle
retta. Lei li avrebbe raggiunti non appena Lucio sarebbe tornato a casa.
L’avrebbe aspettato perché era certa che sarebbe tornato a casa a controllare
se lei e la figlia fossero ancora lì.
Cercava di stare calma, ma era in pena
per Lucio e non riusciva a rimanere ferma; continuava a camminare avanti e
indietro davanti all’ingresso, tossendo di tanto in tanto.
Finalmente vide una figura correre
verso di lei, attraversando la strada in terra battuta che portava all’ingresso
della villa. Gli andò incontro e lo
abbracciò, felice di vederlo vivo.
– Dove… Dove
sono tutti? – chiese Lucio, col fiato corto. Dando una rapida occhiata aveva
infatti notato che la villa era
deserta.
– Al porto. Stanno andando tutti lì –
rispose Sophia.
– Cassandra?
– È con loro.
– Bene, raggiungiamoli – decretò quindi
Lucio, prima di passare il braccio sinistro sulle spalle di Sophia,
che gli cinse la vita con il destro.
A quel modo, insieme, si addentrarono
nelle strade di Pompei, un po’ correndo e un po’ camminando.
La coltre di cenere si fece più fitta,
e quel punto dovettero procedere più lentamente. Vedere divenne difficoltoso;
gli occhi di entrambi iniziarono a lacrimare e le ciglia a riempirsi di
polvere. Più volte rischiarono di inciampare nei corpi senza vita rannicchiati
a terra.
Avanzarono finché la tosse non lo
impedì loro.
– Non… Non ce
la faccio più. Va’! – ordinò Sophia a Lucio, gridando
per farsi sentire al di sopra del frastuono che ancora permeava la città. Si
staccò da lui e iniziò a tossire violentemente, finché non dovette
inginocchiarsi a terra.
– No, non ti lascio qui! – si rifiutò
Lucio. – Nemmeno io ce la faccio, ma se devo morire voglio essere accanto a te
– decretò quindi, prima di afferrare Sophia per un
braccio e riprendere a camminare.
Avanzarono di pochi metri, prima di
accasciarsi entrambi a terra, nei pressi del foro. La tosse era diventata così
frequente e violenta da rendere loro difficoltoso riprendere aria, e la vista
iniziò ad annebbiarsi.
Con le ultime forze che avevano in
corpo si strinsero l’uno all’altra, per rimanere uniti anche nella morte da
quell’amore impossibile che li aveva legati indissolubilmente.
Si erano ritrovati da poco, e di nuovo
il Fato si era accanito su di loro, ineluttabile e inesorabile. Quando
finalmente avrebbero potuto vivere il loro amore senza più vincoli, ecco che
una catastrofe naturale si abbatteva su di loro, uccidendoli e annoverandoli
fra le tante vittime del definitivo tramonto di Pompei.
Sarebbero stati sepolti da strati di
cenere e lapilli, che solidificandosi avrebbero celato al mondo quella
rigogliosa città alle pendici del Vesuvio, che sarebbe stata riscoperta solo
secoli dopo.
E la loro travagliata storia d’amore
sarebbe rimasta sepolta con loro, sconosciuta a tutti.
Gli archeologi che secoli dopo
avrebbero eseguito il calco (4) della cavità che i loro corpi avrebbero
lasciato decomponendosi si sarebbero commossi, nel vedere come quelle due
persone si erano amate in vita, tanto da morire l’uno tra le braccia
dell’altra.
Sarebbero diventati l’emblema
dell’amore che vince la morte.
Lucio e Sophia,
però, non avrebbero saputo nulla di tutto ciò.
Così come non avrebbero saputo che
Cassandra si sarebbe salvata, che il frutto del loro amore avrebbe potuto
maturare con serenità, nel ricordo del grande amore che aveva legato i
genitori.
La loro vicenda sarebbe rimasta celata
tra le pagine dimenticate e mai scritte della Storia.
I loro resti avrebbero suggerito il
grande amore intercorso tra loro, ma non tutta la vicenda travagliata che stava
dietro.
Nessuno avrebbe saputo che il loro amore
aveva sfidato ogni convenzione sociale.
Note
(1) Secondo la
mitologia romana, le Parche (corrispondenti alle Moire greche, da cui prendono
i nomi) erano delle divinità che si occupavano della vita degli uomini, per
ognuno dei quali tessevano un filo. Erano in tre: Cloto
(significato: ‘io filo’), che tesseva il filo al
momento della nascita di un individuo, Lachesi
(significato: ‘destino’), che lo avvolgeva nel corso della vita, e infine
Atropo (significato: inevitabile), che lo recideva al momento della morte.
Fonte: Wikipedia.
(2) All’epoca si
ignorava che fosse un vulcano; era semplicemente considerato un monte sacro a
Giove. Molte case e molte piantagioni erano costruite alle pendici del vulcano.
(3) Questo è
quanto trovato in giro per il web riguardo l’eruzione. Ho cercato di restare
molto sul vago, senza scendere nei dettagli, perché non era quello il punto su
cui volevo focalizzarmi. Più che rendere in modo scientifico l’eruzione, ho
preferito concentrarmi sui sentimenti e sul panico generali.
(4) Personalmente
non sono mai stata a Pompei (vorrei farlo prima che crolli a pezzi del tutto,
ma questa è un’altra storia), per cui è probabilissimo
che tra i tanti calchi delle vittime dell’eruzione ci siano anche due persone
abbracciate. Insomma, io ho voluto immaginare Lucio e Sophia
così, uniti fino alla fine, ma non è detto che il loro amore sia stato l’unico
in grado di farlo.
Ed
eccoci alla fine.
Fine
triste, me ne rendo conto. Eppure non ho potuto immaginarla altrimenti; ho
voluto legare il destino di Lucio e Sophia alla fine
di Pompei, per dare un mio omaggio alle vittime di quel triste evento. A dire
la verità, il mio è un omaggio a tutte quelle persone comuni che vivono grandi
storie che però nei libri restano celate. È un omaggio che da archeologa ho
voluto fare a tutte quelle persone che loro malgrado diventano reperti e
contribuiscono a darci informazioni su com’era la vita al loro tempo. Come mi
ha detto il mio responsabile di tirocinio, non bisogna dimenticare mai che l’archeologia
studia innanzitutto le persone comuni, e questo è uno dei tanti motivi per cui
ho voluto cimentarmi in una storia di questo tipo.
Come
accennavo nello scorso capitolo, ho in mente un epilogo per rendere meno amara
la fine di questa storia. Che ne pensate? Vi aggraderebbe, come idea?
Sono
la prima ad odiare le storie tristi senza un lieto fine, per cui vorrei
rimediare xD
Ringrazio
ancora chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha recensito e chi mi ha inserita
tra le seguite/preferite/ricordate.
A
presto, spero di scrivere altro in questa sezione^^
Sara