Attenzione: il
presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di
fantasia. Gli
eventi narrati sono frutto esclusivamente della fantasia
dell’autore, senza
alcuna pretesa di verità o di verosimiglianza e senza alcun
intento di
rappresentazione delle persone ivi nominate. Nessun diritto legalmente
tutelato
s’intende leso e tutti i diritti spettano ai rispettivi
titolari.
A Scioubeez per averla chiesta.
Ad Aleale00 per averla letta. E
perché sì.
Cave Canem
“Sei un figlio di puttana”
Ecco
quello che vorrei dirti.
Ma
mi frenano un mucchio di cose e no, non è solo il senso di
giustizia nei
confronti di tua madre – che è una delle poche
persone oneste che conosco a
questo mondo.
Ma
so che, per quanto mi sforzi, odiarti resta
un’attività troppo complessa per
me. E sappiamo entrambi come la semplicità sia da sempre il
mio “marchio di
fabbrica”. Non approfondire è ciò che
mi ha permesso di galleggiare sulle
relazioni.
Fino
ad oggi e se si fa eccezione per la relazione tra noi due,
s’intende.
Ma
quella, peraltro, non è dipesa di certo da me. Sei tu che
hai sempre avuto
questo vizio di non tenerti i tuoi pensieri. A volte mi chiedo se sei
consapevole di quanto ti esponi quando, cercando di sviare
l’attenzione dal
“concetto”, finisci comunque per dire troppo. Io
sono il tuo opposto…tutti noi
siamo il tuo opposto. Tu parli per i presenti, gli assenti ed i futuri.
…non te
la cavi troppo male nemmeno con i congiuntivi ed i periodi ipotetici!
Parli
talmente tanto che la maggioranza della gente smette di ascoltarti ed
è quello
su cui un po’ conti. Però, l’ho
già detto, è un gioco pericoloso,
perché
sparpagli troppe cose in giro e, la volta che qualcuno si prende la
briga di
unire tutto con un tratto di penna, viene fuori un gran casino, ma in
mezzo al
casino ci sei pure tu.
In
ogni caso, parli così tanto che a noi resta davvero poco
spazio. A me, forse,
meno che agli altri perché ti sto più vicino di
chiunque altro. E’ sempre stato
così tra di noi, da un certo punto in poi, da quel punto in
cui hai preso
abbastanza coraggio da tirare fuori la voce per rispondere ad una
domanda, ma
non a sufficienza da essere onesto nella risposta.
…ora,
non so davvero perché io stia facendo queste riflessioni
quando ero partito da
tutt’altro.
Per
la precisione, mi pesa addosso questo desiderio fastidioso di fare a
botte con
te. Non l’ho mai provato prima di oggi. Non nei tuoi
confronti ma neppure in
generale, non sono il tipo che si misura l’uccello al cesso
con i compagni di
liceo – tu lo saresti stato, ad averne le palle, ma al liceo
ti nascondevi nei
tuoi modi da disadattato per non dover ammettere mancanze, vere o
presunte. Il
punto è che io non ho mai avuto l’esigenza di
nascondermi e non ho mai avuto
quella di fare “a chi piscia più
lontano”. Io non ho mai avuto bisogno di sbracciarmi
per dire che c’ero e non ho mai avuto bisogno di raccontare
stronzate quando
tutti si voltavano e se ne accorgevano e la cosa si faceva
eccessivamente
pesante. Io non ho mai avuto motivo per mettermi in mostra,
perché un ruolo
all’interno del mondo l’ho sempre avuto e non me lo
sono dovuto conquistare. Come
te.
E’
per questo, penso, che le cose tra noi hanno sempre funzionato
così bene. Io
ero quello che ti parava il culo mettendoci la faccia, tu quello che
poteva
avere le trovate geniali, buttare il sasso e tirare indietro la mano
aspettando
che l’acqua si calmasse. Tanto eri al sicuro. Andava bene ad
entrambi ed è
andato bene fino a quando sei rimasto dietro le mie spalle. Poi
è successo che
le cose sono andate diversamente ed è finita che ora sono io
a stare dietro, a
sorridere guardandoti rubare tutta la scena per te, ad ascoltarti
mentre
stupisci gli altri ed a sentirmene un po’ orgoglioso ed un
po’ invidioso.
Come
mi sento oggi.
Lei
ride. Sei tu che la fai ridere, le tue battute senza un filo reale,
quell’arguzia che tiri fuori con la facilità di un
giocoliere ben allenato, la
scioltezza intelligente con cui le propini al prossimo.
Fosse
solo bella, non riderebbe.
Fosse
solo bella, non ti avrebbe degnato di una seconda occhiata.
Il
punto, invece, è che lei ride, perché la tua
ironia la affascina, la diverte e
tu sei diventato interessante
proprio
per questo.
Non
sono i tuoi occhi. Non è la tua voce. Non è
l’abilità con la chitarra. Non è
nessuna delle cose che stregano le nostre fan, nessuno di quei
particolari
scontati che fanno di te il frontman di una band, una rockstar o quanto
di più
simile tu sia riuscito a diventare. Sei tu. E’ quel miscuglio
ben dosato di
fascino, malizia ingenua, sfrontatezza autentica ed insicurezza da
bambino troppo
cresciuto.
Credevo davvero che lei non si
sarebbe accorta di tutto questo?
Ha
il sorriso di una bambola. Enorme ma con una punta sempre presente di
malinconia sul fondo. I suoi occhi brillano, lei è felice,
allegra, eppure è
come se dietro quello sguardo rimanesse attaccato in eterno il sospetto
di qualcosa, la percezione di un
errore che
non viene a galla. Vorrei chiederle cosa sia. Vorrei che fossi tu a
farlo,
perché le sei abbastanza vicino. Vorrei riuscire a dissipare
un’ombra che non è
neppure tale ed a vedere solo i suoi occhi brillare.
Se
penso che aveva scelto me, mi viene da ridere.
Sei
stato tu a dirmelo. Nemmeno due giorni fa. Dopo un paio di birre e
prima di
andare a dormire, eravamo seduti in veranda, in albergo, e fumavamo. Ti
ho
chiesto come andava con lei, mi hai guardato, risposto
“bene” come si
risponderebbe “mah, qui piove”, e poi hai fatto uno
dei tuoi soliti sorrisetti
sghembi che preannunciano una bordata.
-Lo
sai che ci ha provato con te e tu manco te ne sei accorto?
Ho
sentito gli angoli della bocca congelarsi nella smorfia di un sorriso
autentico.
All’improvviso
cambiava ogni prospettiva. All’improvviso mi avevi sbattuto
in faccia una
realtà troppo scomoda per accettarla. E fino a pochi istanti
prima nemmeno lo
sapevo, quanto fosse scomoda, perché fino a pochi istanti
prima lei non esisteva nel mio
mondo.
-Eri
troppo fatto e troppo impegnato con le tette di quella bionda che
Morgan ti ha
rifilato, per accorgertene!
…è
stata la tua risata di quel momento a farmi crescere dentro la voglia
di fare a
botte con te.
E
adesso lei è tabù.
La
Donna del Mio Migliore Amico.
Vorrei
che non fosse così. Vorrei che tu non avessi fatto lo
splendido con lei quella
sera. Che Morgan avesse trovato anche a te una bionda dalle tette
grosse ed il
culo rifatto. Vorrei che anche tu ti fossi distratto, che non avessi
notato il
suo sorriso, che non avessi cercato di vederlo ancora
e ancora, di farlo nascere solo per te.
Vorrei
tantissime cose, ma ho perso la mia occasione e ti odio
perché tu eri lì a coglierla
al mio posto.
-Dom,
sei dei nostri o stai pensando di addormentarti dentro il bicchiere?
Sbatto
le ciglia un paio di volte, ruotando appena la testa per riportare gli
occhi su
di te e fare uscire lei dal mio campo visivo. Sforzo un sorriso che so
già
vuoto e falso, così come so già che sei
perfettamente consapevole che no, non
sono affatto dei vostri. Sono una particella fuori posto che sta
ruotando
attorno a questo tavolo solo perché non ha ancora capito
come fare a fuggire
alla tua orbita.
E
desidero andarmene via quanto prima.
Finisco
il vino nel mio bicchiere in un sorso solo e mi alzo.
Lei
mi guarda, ha ancora i resti di quella risata sincera, spontanea,
incollati tra
le labbra e gli occhi. Una fitta potente mi brucia lo stomaco e si
allarga in su,
fino al petto e ritorno.
-Hai
ragione, Matt, penso sia ora che io vada a dormire, in un letto.-
annuncio. La
mia voce stride nel tentativo falso di apparire leggera.
Cogli
la sfumatura con la rapacità di sempre. Assottigli lo
sguardo, affondando con
semplicità tra i miei pensieri.
Ecco,
ti odio anche per questo. Perché ti ho permesso di restarmi
così vicino da non
avere più segreti?
Non
aspetto la tua domanda, né l’inevitabile commento
sarcastico. Mi volto per
andarmene, salutando tutti a voce alta, ed è solo il saluto
di lei quello che
aspetto in risposta.
Kate
si alza e gira attorno al tavolo. Quando mi abbraccia annego nel suo
profumo e
colgo stordito la sensazione tattile delle sue labbra morbide sulla mia
guancia.
-Ciao,
Dommie.- mi dice soltanto.
…vorrei
che mi chiamasse così in eterno. Vorrei che solo lei lo
facesse.
***
Quando
mi sveglio, a Santa Monica c’è il sole.
Ho
lasciato la portafinestra aperta ieri sera. Un fiotto di luce entra
attraverso
la tenda leggerissima, insieme con l’odore del mare ed il
rumore di voci ed
acqua che viene dalla piscina sotto il balcone.
Mi
rigiro sulla schiena. Mi fanno male le spalle. Mi chiedo se siano i
postumi
dell’ultimo concerto o il fatto che non ricordo
più quando sono riuscito a
rilassarmi, rilassarmi davvero. Mi sembra di aver vissuto gli ultimi
due giorni
in una morsa, schiacciato – braccia e gambe contro il petto
– arrotolato in un
nodo e pronto a scattare come una molla.
Allungo
una mano fuori dalle lenzuola, assaporando la sensazione di pulito e
fresco
sulle braccia nude, afferro la cornetta del telefono e chiamo la
reception.
Ordino la colazione e prenoto un massaggio nella Spa
dell’albergo.
Mi
ci vuole un tempo eccessivo per decidere di alzarmi, il carrello del
servizio
in camera mi trova con la camicia sbottonata e solo i jeans addosso.
Matthew
entra mentre il cameriere sta ancora finendo di servire, apparecchiando
il
tavolino sotto la finestra. Come il suo solito, non si annuncia e non
si prende
la briga di bussare: la porta è aperta e, comunque, lui ha
il diritto di
trovarsi lì, no?
Non spreco il mio tempo a fargli
notare che “no”.
-Ehi,
Dommie, ieri sera avevi una faccia che pareva ti avessero preso a calci
in culo
tutto il giorno!- esclama con brio eccessivo.
Adocchia
la colazione anche lui, allungando il collo da sopra la spalla del
cameriere
per lanciare uno sguardo affamato ai piatti ed alle tazze sul tavolino.
-Grazie.-
dico mentre quello finisce il proprio lavoro e si volta. Mi risponde
con un
cenno del capo ed esce in silenzio, lasciando il carrello e chiudendo
la porta.
-Serviti
pure!- sogghigno, intercettando Matt mentre si lancia sul vassoio delle
brioche.
Fa
una smorfia contrariata che significa “negheresti del cibo a me?!” e, poi, addenta il
dolce.
Io
finisco di abbottonare la camicia.
Quando
giro attorno al tavolo per sedermi di fronte ad un bicchiere di
spremuta di
arancia, Matt si è già sistemato
dall’altro lato della colazione e sta facendo
onore alla pancetta arrostita.
-Troppo
cotta.- afferma schioccando la lingua contro il palato, ma poi finisce
comunque
la fetta che ha già infilato sulla forchetta.
-A
me piace ben cotta.- osservo.
-Sì,
ma a me no.- ribatte lui tranquillamente.- E comunque, non mi hai
risposto.
-…su
cosa?
-Cos’avevi
ieri sera? Non sei stato affatto di compagnia, anzi! Ad un certo punto
sono
stato tentato di chiederti di toglierti dalle palle, ché
stavi rovinando la
serata a tutti.
Rido.
In realtà, sono abbastanza a disagio.
Matt
mi irrita.
Sarebbe
una notazione stupida, irritare la gente è una delle cose
che sa fare meglio.
Considerato, però, che io sono uno dei pochi che riesce a
rimanere quasi del
tutto indifferente a…a lui,
ecco.
Beh, considerato questo, il fatto che oggi provi
l’irrefrenabile impulso di
additargli la porta e, se non la infila da solo, di accompagnarcelo con
un bel
dritto al muso risulta alquanto insolito.
-Ero
stanco.- borbotto vago.- Per la verità, non mi sento troppo
bene da giorni.
-Ottimo.-
scocca lui, assottigliando lo sguardo. Colgo, nonostante la presa per
il culo,
la sfumatura di preoccupazione autentica nella sua espressione - Forse
dovresti
farti vedere da un medico, non intendo restare qui a cazzeggiare in
eterno e mi
hanno detto che un batterista nella band ci serve.
-Sul
serio?!- mi fingo sorpreso.
Matt
non ride.
-Sei
un cazzone.- mi informa invece.- Ed anche, “evviva
l’originalità!”.
-Non
tutti siamo cabarettisti nati come te.
-Fottiti,
Dom. Sono quasi serio. Perlomeno nella parte in cui cerco di capire che
diavolo
ti piglia in questo periodo.
…è
anche troppo serio per i miei
gusti.
Storco il naso e mi nascondo nella spremuta d’arancia.
Matt
prova a buttarla in scherzo.
-…ti
sarai mica innamorato?!- insinua con un altro dei suoi sorrisi
sbilenchi.
Incasso
male il colpo.
Innamorato?
forse… No… Potrebbe
anche darsi. Di
sicuro, della persona sbagliata.
Non
dico nessuna di queste cose, chiaramente, darei solo spazio ad
un’infinita
sequela di domande che non sono fisicamente in grado di reggere.
Un
riflusso acido mi brucia la gola, risalendo a tradimento mentre provo a
mandare
giù l’aranciata. Tossisco e poso il bicchiere sul
tavolino.
-Bellamy,
se mai il problema è il contrario. – ribatto
asciutto- Sono stanco perché mi do
troppo “da fare”.
Lui
finge di credermi. E’ chiaro che non sa come gestirmi in
questo momento e
preferisce rimandare l’incontro ad un altro momento.
Ridacchia allusivamente
dandomi di gomito attraverso lo spazio tra le nostre poltrone,
è troppo lontano,
così risulta tutto ridicolo ed io riesco a farmi scappare
una risata autentica.
-Vabbè,
ho capito!- esclama Matthew momentaneamente rasserenato, saltando su in
piedi e
sistemando le pieghe della maglietta per scrollare via le briciole
– Ci vediamo
in piscina?- mi domanda.
Un
cenno con la testa e lui è già quasi alla porta.
-A
dopo, Dommie. Vedi di sorridere ogni tanto, non ti verranno le rughe!
***
Il
sorriso, quando lo raggiungo più tardi, devo forzarlo ed
è falso come una
monetina da Luna park.
Matt
non è in vista, rumore di schizzi e schiamazzi di bambini
attirano la mia
attenzione verso la piscina: quel mucchio di ossa tenute assieme dalla
pelle
che è il mio migliore amico sta dando il meglio di
sé nell’intrattenere e
gestire un gruppo di vivaci ragazzini che rispondono tutti al glorioso
nome di
Wolstenholme. Dei legittimi genitori nessuna traccia.
Kate
solleva gli occhiali da sole, rossi ed enormi, sulla cima di una
vaporosa
cascata di riccioli naturali e mi sorride. E’ senza trucco,
un velo appena di
crema abbronzante, il naso e le guance già scottate dal
sole, rosate come se
avesse corso. Un semplice bikini nero le copre appena il seno, le gambe
sono
snelle e toniche, muscolose.
Per
quanto mi sforzi di apparire più sincero nel sorriderle di
rimando, il mio
desiderio rimane incastrato da qualche parte in fondo alla gola e crea
un
groppo stretto che non riesco a deglutire.
-Ciao,
Dom!- mi saluta.
Non
è sola. C’è una sua amica con lei, di
cui non ricordo il nome anche se
sicuramente mi è stata presentata, una bella bruna dagli
occhi chiari che mi
inchioda al mio posto con uno sguardo esplicito. Le raggiungo,
ignorando la
voce troppo alta di Matt che chiede ai bambini chi di loro voglia
andare a
prendere un gelato al bar. Un cacofonico coro di
“io” mi informa della partenza
di gran carriera dell’intero gruppo, con il mio cantante in
testa.
Kate
sposta il proprio accappatoio dalla sdraio accanto alla sua e scosta le
ciabattine ornate da un orrendo fiore viola di plastica. Deve
accorgersi che le
sto fissando, perché ride tra le labbra e strappa uno sbuffo
di divertimento
anche a me.
-Vanità
è femmina.- si pavoneggia graziosamente, battendo con la
mano sulla sdraio per
farmi cenno di sedere.
“Perché
no?!”, mi dico, mentre un inaspettato ritorno di buon umore
viene a farmi
visita tutto in una volta.
-Ma
sono il solo rimasto?- le chiedo, spiegando il telo da bagno sulla
sdraio prima
di stendermi.
-Sono
andati tutti a fare altro.- conferma vagamente la bruna, agitando un
braccio.
Non sembra particolarmente colpita dalla cosa. Io mi sforzo a cercare
il suo
nome nella confusione che mi regna in testa.
Kate,
che mi sta osservando, lo capisce. E’ evidente dal sorriso
complice che mi
rivolge prima di voltarsi verso di lei.
-Samantha,
ti spiace prendermi il telefono?- chiede educatamente additando la
borsa di
paglia sul tavolo accanto all’altra donna.
Quando
lei esegue, Kate fa finta di controllare qualcosa e posa il cellulare
di fianco
a sé nel giro di pochi istanti.
Mimo
con le labbra un “grazie” silenzioso a cui risponde
con un cenno della testa.
Samantha si sta alzando dal lettino, sistema il reggiseno del costume
che è
scivolato troppo in basso, ci annuncia che va a prendersi qualcosa al
bar anche
lei perché ha caldo. Ne prendiamo atto, Kate le domanda se
può portarle
qualcosa di fresco e Samantha va via, in un ancheggiare di sedere alto
e sodo e
pareo stampato con fiori tropicali.
Io
ed il sorriso di Kate restiamo soli. Io e le guance arrossate di Kate,
quella
sua aria da bambina dispettosa restiamo drammaticamente
soli. Ed a me sembra di essere un liceale alle prese con una
cotta per la
ragazza più carina della scuola.
-Mi
spiace che ieri tu sia scappato a quel modo.- esordisce Kate per
rompere il
ghiaccio.
Nemmeno
ricordo cosa sia successo ieri… Ah,
già.
La cena.
-E’
un periodo che non sono troppo in forma.- invento.
Mi
stendo sul lettino, giusto per avere la scusa per puntare lo sguardo
dritto davanti
a me verso il sole brillante della California e non dover ricambiare
gli occhi
di lei che, lo sento, mi bruciano la pelle.
Il
tocco delicato delle sue dita sul polso lascia scie impercettibili di
brividi
gelidi. Devo farmi violenza per non scattare come una molla, ruoto
meccanicamente la testa e mi ritrovo a fissarla stupito.
Lei
non sembra particolarmente a disagio nonostante la
familiarità eccessiva del
proprio gesto.
-Stress
da superlavoro?- mi domanda con dolcezza.- Matt deve essere un
tiranno!- esclama
poi, ridendo.- Tom mi ha raccontato delle cose orrende
su di lui!
Sorrido
anche io.
-Sappi
che sono tutte vere.- le assicuro coscienziosamente.- Quindi, sei
ancora in
tempo per pensarci bene. Come prende confidenza, Bellamy può
diventare più
pernicioso e fastidioso di una carie.
Kate
continua a ridere, con leggerezza, ma ho la sensazione che nel suo
distogliere
gli occhi ci sia il passaggio di un’ombra imprecisa, una
sfumatura che non mi
permette di cogliere. Il suo tono resta allegro quando riprende a
parlare.
-Vedremo
se dovrò preoccuparmene.- mi dice soltanto.
Seguo
la linea del suo sguardo. Dal fondo della piscina
dell’albergo Matt e la tribù
dei baby Wolstenholme stanno tornando, un cono gelato per ciascun paio
di mani
e sorrisi soddisfatti sulle facce di tutti. L’andatura
sgraziata del mio
migliore amico si adegua perfettamente a quelle caracollanti dei
marmocchi, in
un’improbabile carovana di creaturine da circo. Sorrido.
-Guardalo,
come si allena a fare il papà!- commento spontaneamente.
Non
so da dove sia venuta quell’idea e ferisce me prima ancora di
arrivare a
pungolare la coscienza di Kate.
Mi
volto ansiosamente temendo di aver detto qualcosa di troppo. Lei
continua a
fissare Matt da lontano in un silenzio che prolunga per qualche minuto.
Poi mi
guarda e sta di nuovo sorridendo.
-Direi
che è un po’ presto, non trovi?!- esclama
vivacemente.
Arrossisco.
-Beh,
sembrate molto affiatati e presi…- mormoro.
Mi
costa una fatica immensa, mi fa sentire terrificantemente fuori luogo e
non
sono stupito dell’occhiata divertita e compassionevole che
lei mi lancia.
-Dom!
Ci frequentiamo da due mesi scarsi, dacci tempo di respirare!- ride,
sminuendo
il tutto con una scrollata di spalle.
Non
so cosa sia che mi spinge a farlo. E’ una stronzata. Ed
è anche scorretto.
E
sebbene la correttezza non appartenga a Matthew più di altre
qualità morali e,
quindi, io non gli debba niente al riguardo…
Santo Iddio! è il mio
miglior amico.
-Matt
mi ha detto che ci hai provato con me la prima sera, quando ti sei
fermata nel
backstage.- sfiato tutto d’un colpo. Non so neppure io da
dove abbia tirato
fuori tanta scortese spavalderia, fino a dieci secondi fa avrei voluto
morire
solo per aver suggerito che le cose tra lei e Matthew potessero approdare al livello successivo.
Kate,
comunque, non sembra particolarmente colpita. Mi soppesa con lo
sguardo,
reclinando la testa di lato e rendendo il suo sguardo così
intenso da darmi il
capogiro.
-Mi
piacevi.- ammette con semplicità.
-Avresti
potuto farmelo capire.- insisto io. Magari ci ha anche provato, che ne
so?! Di
quella sera non ricordo quasi nulla.- Poteva andare diversamente.
Il
sorriso di Kate si allarga nuovamente, ma non è
più così divertito.
-A
quanto sembra, non lo sapremo mai.- mi rintuzza con gentilezza.
Ecco.
Adesso
dovrei alzarmi e ritirarmi in buon ordine e pregare Dio o qualunque
altra Entità
che questa donna non dica nulla a Matthew sul nostro breve scambio di
battute.
Perché, cazzo Dom! hai appena suggerito che ci saresti stato
e lei è la donna
del tuo migliore amico.
…che
schifo.
Matt
arriva. La torma di bambini è intorno alla piscina adesso,
lui esibisce il suo
gelato come si esibirebbe un trofeo e sorride.
-Sei
stato cattivo!- lo rimprovera Kate immediatamente.- Avresti dovuto
dirmi se lo
volevo anche io!
-Ma
se hai detto che sei a dieta…?!- sbuffa lui, riempiendosi
subito dopo la bocca
di crema.- Che, poi,- bofonchia- che accidenti dovrai dimagrire!
-Infatti
sei tu che avresti bisogno di una dieta.- sospira Kate, rassegnata.
Quando si
volta verso di me, sussulto. Lei continua a sorridermi rassicurante.-
Diglielo
anche tu, Dom!- mi incita.
Accetto
implicitamente la sua silenziosa offerta di accordo: non
dirà nulla ed io potrò
fingere che non sia accaduto nulla. Vorrei esprimerle a parole la mia
gratitudine
ma non posso.
-Sono
anni che ci provo.- mi limito a rispondere, stringendomi nelle spalle.
Matt
ci manda entrambi al diavolo e prosegue imperterrito a mangiare il
proprio
gelato.
***
Samantha
è dolce e morbida sotto le mie dita. Infilo la mano oltre
l’orlo della gonna.
La consistenza della sua pelle, della sua carne, è il
contraltare perfetto di
un carattere spigoloso, egocentrico, che non riuscirebbe ad
affascinarmi
davvero nemmeno in un milione di anni. Penso che non vorrei mai una
compagna di
vita come lei. Poi ricordo che non sto affatto cercando una compagna di
vita e
mi lascio trascinare dalla pressione della sua bocca sulla mia.
Samantha
affonda i denti nel mio labbro inferiore, una scarica di adrenalina
pulsa verso
il basso, rapida e violenta, le sue ciglia, rese più lunghe
da applicazioni
fasulle, si sollevano a circondare uno sguardo brillante e sensuale che
mi
affronta con malizia spudorata.
-Andiamo
di sopra?- sussurra direttamente contro la mia bocca.
Cerco
di ricordare a casa di chi ci troviamo solo per dedurre quanto
conveniente
possa essere acconsentire ad una simile proposta. Ma la festa
è stata un’idea
di Kate ed è organizzata da un suo amico di cui non ricordo
il nome.
Oltretutto, sono troppo ubriaco per poter davvero valutare la cosa
lucidamente.
Samantha
è una ragazza libera, io sono libero…qualsiasi
“scandalo” non sarà più
inopportuno di due righe in un articolo / resoconto su un giornale alla
moda.
-Prendo
da bere.- mi offro da autentico gentleman.
Mi
alzo dal divanetto lasciandola a rassettarsi il vestito. Un ultimo
sorriso da
predatrice mentre esco dal gazebo in cui siamo discretamente appartati,
poi mi
immergo nel giardino, tentando di ricostruire un passo alla volta la
strada
fino al bar.
Qualcuno
mi urta a metà del percorso. Si scusa. Sta ridendo ed a me
da fastidio, ma non
ho voglia di attaccare briga. Abbozzo una smorfia che vorrebbe stare ad
indicare un “fa niente, amico!” che non sento
affatto. Passo oltre. Una folla
di teste, risate sguaiate, vestiti di seta troppo corti su cosce
tornite da ore
di palestra, seni rifatti, capelli ingellati, giacche scure…gli occhi di Kate.
Li
incrocio a metà del tragitto. Mi ci incastro dentro. Tento
inutilmente di andare
avanti.
Lei
mi riconosce. Distoglie lo sguardo immediatamente, lo abbassa sulla
gonna
stupidamente rosa del vestito che indossa, assume la posa improbabile
di una
“madonna anni ‘50”.
Punto
nella sua direzione.
E’
seduta sul divano in vimini di un salottino in veranda. Un mucchio di
pouf
disordinati e di bicchieri semivuoti è la muta testimonianza
di un altro
momento in cui quello stesso salottino ha visto compagnie
più nutrite. Adesso
lei è sola, con un cocktail alla frutta ed un sorriso
smorzato che si sforza di
ricambiare il mio.
Mentre
penso che è la prima volta che ci troviamo a tu per tu, da
soli, dopo il nostro
rendezvous in piscina di qualche
giorno prima, comprendo la ragione del suo imbarazzo, perché
è il medesimo che
mi ritrovo a provare anche io. Peccato sia tardi per ignorarci.
-Tutta
sola?- indago cortesemente.
Giro
attorno lo sguardo. Forse mi aspetto che Matthew compaia come una
specie di
folletto, di ritorno dal bar con un paio di drink – come dovrei fare io con Samantha.
Kate
interpreta correttamente il mio gesto.
-Matt
ha visto qualcuno che conosceva ed è andato a salutarlo.
Matt ha mentito. Non
c’è nessuno a
quella festa che noi possiamo
conoscere e che lui senta
l’esigenza
di salutare. A lei non lo dico.
-Vuoi
che aspetti con te finché torna?
Spero
dica di no. Spero che mi cacci, così che io possa tornare da
Samantha, finire
di farla ubriacare, ubriacarmi io stesso fino a non ricordare il mio
nome,
scoparmela e dimenticarmi di questo senso pungente di sbagliato
che mi si è infilato tra le costole.
Kate
esita e distoglie lo sguardo. C’è dello
smarrimento autentico nel suo sguardo,
forse persino eccessivo per la situazione concreta. Matt ha tagliato la
corda?
Lei potrebbe alzarsi, andarlo a cercare, fargli una scenata se lo
ritiene
opportuno – no, non è
donna da scenate,
sospetto – o, quantomeno, marcare il territorio.
Che il mio amico sia un
coglione deve esserle chiaro, arrivati a questo punto.
…o
forse no.
“Dovrei dirglielo?”.
Kate
non mi lascia il tempo di stabilirlo. Sto ancora osservando
l’orlo del suo
cocktail alla frutta – che ha la
stessa
tonalità del vestito che porta. Quel vestito è
orribile, Katie, sembri una
Barbie California con quella robaccia addosso –
quando lei torna a
guardarmi.
-Dom…ti…ti
spiacerebbe troppo se ti chiedessi di riportarmi a casa?- mi domanda in
un
sussurro sottilissimo.
Mi
spiazza un po’. Ma sembra che stasera le cose debbano
muoversi in direzioni
casuali.
Richiudo
la bocca, facendo sparire in fretta l’espressione stupita che
so di aver
assunto. Preferisco sorriderle.
-Certo
che ti accompagno a casa.- le assicuro, porgendole una mano per
aiutarla ad
alzarsi.- Non ti senti bene?
-No,
sono solo stanca.- mormora lei.
Quando
afferra le mie dita, lo fa con forza, si appoggia completamente a me,
nel darmi
il braccio, come se camminare le costasse uno sforzo inimmaginabile,
come se affrontare
la piccola folla fuori da quello spazio ristretto fosse impossibile.
Solleva in
faccia alla festa uno sguardo disorientato, che si ricopre in fretta di
un
sorriso patinato da copertina. Kate sorride e saluta tutti quelli che
incontriamo, scambia due chiacchiere con ogni persona che ci ferma,
ride ad
ogni battuta priva di senso che le viene rivolta da gente ubriaca. Lei
ubriaca
non lo è affatto. E’ presente, cosciente, ferita,
terrorizzata e si aggrappa a
me con una disperazione così autentica da mozzarmi il
respiro.
Resto
in silenzio fino all’auto, spiandola mentre si destreggia
aggraziata tra gli
ospiti. Le apro la portiera della Lamborghini che ho noleggiato e la
vedo
rifugiarsi sul sedile, rannicchiandosi su se stessa come una bambina.
La
macchina scivola fuori dalla villa tra i flash dei paparazzi, penso
distrattamente che questo
– Kate
Hudson che arriva ad una festa con un
cavaliere e la lascia con un’altro
–
si guadagnerà più di “due
righe” in un giornale alla moda. Mi sento in colpa
nei confronti di Matthew. Stranamente non mi sento in colpa nei
confronti di
Samantha.
Sospiro.
Kate
si volta verso di me. Percepisco il suo sguardo addosso anche se non mi
parla.
Continuo a guidare nel buio fitto delle strade fuori città,
diretto verso casa
di sua madre.
-Ti
ho messo in difficoltà?- la sento chiedere.
Prima
di rispondere cerco di capire a cosa si stia riferendo. Le ho
confessato –
sebbene “velatamente” – di provare
dell’attrazione verso di lei. E lei
è la donna del mio migliore amico,
quello per cui mi farei tagliare a pezzi ancora vivo. Almeno dieci
fotografi
diversi hanno scatti di noi due che ci allontaniamo da soli sulla mia
auto. Ci
sono milioni di ragioni per cui potrei essere in difficoltà
in questo momento.
-Kate,
non pensarci.- ritorco piano, senza voltarmi.
-…non
sapevo a chi rivolgermi.- confessa debolmente.
La
guardo. Lei è tornata a sedersi composta, lo sguardo fisso
alle strisce bianche
sull’asfalto che scivolano sotto le ruote
dell’auto. Si tira una ciocca di capelli
che, disordinata, è scappata all’acconciatura, si
massaggia la cute e sospira,
poi sfila il cerchietto di strass ed i riccioli ricadono scomposti,
spettinati,
tutto attorno al suo viso, contribuendo a renderla stanca ed indifesa.
-Era
una morettina che avrà avuto vent’anni. Spero li
avesse, insomma!- Accenna una
risatina debole e stridula.
Io
sento lo stomaco attorcigliarsi in un nodo stretto.
-Ha
detto di essere una vostra fan. Lo ha ricoperto di complimenti. Dovevi
vederlo,
Dommie, credevo che avrebbe cominciato a camminare a tre metri da
terra…
Sì.
Non mi viene difficile immaginare la scena.
Tossisco
per schiarirmi la voce, ho bisogno di capire se posso parlare senza che
mi
tradisca sul più bello.
-Kate…Matt
è…
“Uno
stronzo”? “un figlio di puttana”?! No,
come ho già detto, sua madre è una povera
diavola, una delle tante persone che
ruotano attorno a Matthew ed a cui lui ha reso, rende e
renderà la vita simile
ad un inferno di tribolazioni inaspettate. Benvenuta nel novero, Kate,
se ti
consola, non sei sola.
-Io
sono andata a sedermi perché mi facevano male le gambe.
Gliel’ho detto. Speravo
che mi seguisse perché dovevo parlargli e volevo farlo
stasera. Ma lui è
rimasto lì, mi ha detto “ok, ti raggiungo
dopo”. Dovevi vedere come sorrideva.
-Questo
non vuol dire…
-Sai
cosa dovevo dirgli?- m’interrompe quietamente. Trovarmi
addosso i suoi occhi
all’improvviso mi fa sentire a disagio come se fossi stato io
ad abbandonarla
alla festa per correre dietro ad una ventenne. Per cui sto zitto.- Che
sono
incinta.- conclude nello stesso identico tono.
***
Tom,
a colazione, mi informa – su mia
domanda
esplicita – che Matthew non è rientrato
in albergo stanotte.
Ne
prendo atto e mollo lì il gruppo.
La
villa, il mattino dopo, ha addosso i postumi di una sbronza colossale.
Bicchieri e bottiglie rotte su cui camminare con accortezza, festoni
che si
precipitano a galleggiare pigramente sulla piscina, il risucchio debole
dei
filtri che tenta inutilmente di tirare via dall’acqua pozze
di liquame di cui è
meglio non indagare la natura.
Sono
entrato dal cancello principale senza che nessuno mi fermasse, incrocio
un paio
di cameriere, un giardiniere e due addetti alla pulizia della piscina.
Nessuno
di loro fa domande, tutti si limitano a brevi cenni del capo a
mo’ di saluto. Il
rumore dei miei passi sul vialetto sembra l’unico suono che
riempie l’aria a
parte il frinire delle cicale. Giro attorno al corpo centrale della
villa, sul
retro c’è una dépendance con sotto tre
verande, tutte uguali, tutte munite di
identici salottini di vimini. Riconosco il gazebo dove ho lasciato
Samantha la
sera prima. Per un secondo o due mi rendo conto di non essermi
comportato
meglio di Matthew.
Poi
mi dico che Samantha non è incinta. Neanche me la sono fatta.
C’è
una scala in legno che porta al terrazzo superiore. Su una balconata
unica si
affacciano le porte e le finestre di diverse stanze. Sembra un albergo
ad ore.
Mi fermo sotto la scala e sollevo in su lo sguardo, riparando gli occhi
con la
mano perché, nonostante gli occhiali scuri,
c’è troppa luce stamattina. Non so
come trovarlo. Non sono neppure sicuro che sia ancora qui.
Ma
forse è vero che i nostri pensieri, in qualche modo, si sono
sincronizzati, in
tanti anni.
Matthew
esce da una delle porte con la camicia ancora sbottonata ed una
sigaretta già
tra le labbra. Ha l’aria soddisfatta di chi abbia passato una
bella nottata, ma
si stira sulla faccia di chi, per quella serata, abbia chiesto un
po’ troppo a
se stesso. E’ pallido e con le occhiaie. Il suo sorriso mi fa
tornare la voglia
insalubre di prenderlo a pugni.
Si
appoggia ad una delle colonne di legno dipinto che sorreggono la
tettoia sopra
il ballatoio, prende una boccata ed abbassa la sigaretta. Punta lo
sguardo
prima sulla piscina, il giardino, le cameriere ed il giardiniere. Poi
su di me.
-…Dom?-
mi riconosce. La sua perplessità iniziale si trasforma in
fretta in imbarazzo.
A Matthew viene una faccia rossa come un semaforo quando è
imbarazzato.
Coglione.
-Vengo
su.- lo informo brevemente.
Lo
vedo tentennare subito, voltandosi preoccupato dietro di sé,
alla porta della
camera che ha lasciato aperta. Quando, in poco più di
quattro passi e tre
balzi, sono arrivato sul ballatoio, ritrovo la porta chiusa e lui che
ci
staziona prudentemente davanti.
-Che
ci fai qui?
-Che
ci fai tu. La festa è
finita almeno
quattro o cinque ore fa, sai?- ribatto asciutto.
Lui
ride, nervoso. Si è reso conto che qualcosa non va, non
è da me l’espressione
seria con cui - lo so - lo sto
affrontando in questo momento. Di solito si accompagna ai nostri litigi
più
feroci.
-Ho
perso la cognizione del tempo.
Fa
spalluce.
Stronzo.
-Matt,
levati quel sorriso del cazzo dalla faccia.- ordino più
bruscamente di quanto
vorrei. Funziona. Sgrana gli occhi ma smette all’istante di
sorridere. – Lo sai
chi ho dovuto riportare a casa propria, stanotte?
-…Dom…
-“Dom”
il cazzo, razza di bastardo che non sei altro. Almeno abbi il buon
gusto di
fare attenzione che la donna con cui ti fai vedere in giro non sappia
delle
donne che ti sbatti in giro.
-Non
mi pare che tu sia nella posizione per farmi la predica al riguardo!-
attacca
subito.
Attacca
sempre. E’ una sua caratteristica. Mai che riesca a prendersi
una sana lavata
di capo senza aprire quella fogna che si ritrova al posto della bocca e
dare
fiato ad un cumulo di stronzate di proporzioni bibliche.
Può
funzionare con la musica, ma oggi proprio no.
-Invece
sì che lo sono. A parte che quanto a stile e savoir-faire
non esiste neppure il
paragone, io ho la decenza di non andare in giro a sbandierare
relazioni
stabili.
-Ah,
quindi il fatto che sei più troia di me, ti pone al di sopra
di chiunque
altro.- constata blando Matthew - Buono a sapersi.
-Ti
prendo a calci in culo fino all’albergo se non la finisci di
fare lo stronzo.-
notifico con aplomb invidiabile.
-Piantala!
Non fai ridere e stai cominciando ad urtarmi seriamente!- ringhia lui.
Ma
non è quella che sperava, la reazione che suscita.
-Non
ce la fai proprio a dire “Dom, scusa, hai ragione, sono stato
un imbecille ed
una merda”?!- gli grido contro.
-Non
ti devo nessuna scusa!- protesta Matthew veemente.
La
porta della camera ha la brillante idea di aprirsi in quel momento. Ne
esce una
testolina coperta di capelli ramati, lunghi e mossi, che attorniano un
musetto
assonnato su cui spiccano occhiaie che sono lo specchio di quelle sulla
faccia
del mio cantante.
-…che
succede?- borbotta la ragazza.
La
fisso criticamente. Kate non ha sbagliato: avrà
vent’anni, non di più, e per
quanto possa essere indubbiamente carina…Cristo
Santo!
-Niente
che ti riguardi.- sbotta Matt immediatamente, nel tentativo inutile di
ricacciarla dentro.
-Lascialo
decidere a lei, se la riguarda.- ritorco io secco.- Lo sai, vero, che
questo
qui ha una fidanzata?- le chiedo indicando Matthew.
Lei
apre la bocca per rispondere, ma Matt è decisamente
più veloce.
-Cos’è
che avrei io?!- scatta in una
risata
isterica.- Dom, ti sei bevuto il cervello?!
-E
come la definisci Kate?!- lo aggredisco.
Matt
scuote le mani, strabuzza gli occhi e mi indica, come se questo
bastasse a
rendere evidente tanto la risposta quanto l’implicita
assurdità della mia
affermazione.
-La
tipa con cui vado a letto?- mi suggerisce.
Grandissimo figlio di…!
La
ragazza grida. Finché non sento il dolore sordo alle nocche
della mano non ho
ben chiara la ragione per cui stia gridando.
Poi,
in un secondo, metto a fuoco il viso di Matthew, il punto esatto sullo
zigomo
contro cui il pugno si è schiantato e la sua espressione
sorpresa, furente e tradita.
E’
l’ultima cosa razionale prima che debbano intervenire i due
inservienti della
piscina ed un ragazzo che non conosco a separarci.
***
Tom
ha portato via Matthew che ancora vomitava insulti al mio indirizzo.
Chris ha
fissato lui, poi me, poi di nuovo lui mentre l’auto del
nostro media manager
lasciava il vialetto della villa. Qualcuno mi ha offerto un bicchiere
d’acqua. Sembra
che, alla fine, Matt abbia fatto una figura peggiore della mia, sebbene
sia
stato io a dare inizio al nostro pietoso teatrino.
La
ragazza ha ventuno anni. Me lo dice mentre scende la scala e ci
raggiunge in giardino.
Mi fissa con silenziosa condiscendenza e se ne va. Chris sospira e mi
siede
accanto.
-Dom,
che succede?- mi chiede subito.
-Che
Matt è uno stronzo.
-Cazzate.
Vi conosco. Non vi picchiate, non sul serio. Che
cos’è cambiato?
-Che
lui è uno stronzo.
-…no,
questo è rimasto sempre uguale.
Sospiro
anche io. Mi volto a guardarlo.
E’ cambiato che ho una cotta
stratosferica per la donna, incinta, con cui quello stronzo se la fa
più o meno
stabilmente. La stessa donna, incinta, che ieri notte ho riportato a
casa,
sconvolta per aver visto il padre del suo futuro figlio piantarla in
asso e
correre dietro alla gonna di una mocciosa appena maggiorenne.
-Chris,
segui il mio consiglio e stanne fuori.
Mi
alzo. Restituisco il bicchiere vuoto ad una delle cameriere
ringraziando. Chris
mi segue fino alla macchina. Per la strada di rientro in albergo
restiamo in
silenzio.
Non
scendo a pranzo. Neanche a cena.
Mando
un messaggio a Matthew alle 04.09 del pomeriggio. Osservo, steso sul
letto e
con ancora addosso i vestiti sporchi di terra ed erba, il display del
cellulare
illuminarsi e tornare scuro.
“Allora,
se per te non vale niente, sappi che la considero libero territorio di
caccia”.
Faccio
schifo quasi quanto lui. “Territorio
di
caccia”. Sono serio?!
Sto
sfidando Matt? sto giustificando me stesso? sto cercando una qualche
scappatoia
da questa situazione che rischia di soffocarmi?
Kate mi ha detto che è incinta!
O.k.
Non mi ha specificatamente detto che il padre è Matthew, ma
direi che nel
contesto era sufficientemente chiaro.
Cosa fai, Dom, te la prendi con
tutto il pacchetto in arrivo?!
Non
fa ridere. Non fa ridere per un cazzo.
Matt
nemmeno mi risponde. Deve essere davvero incazzato.
Sospiro.
Stiro le braccia sopra la testa – hanno ricominciato a fare
dannatamente male –
e mi aggrappo alla testata del letto con entrambe le mani. No, fanno
proprio
male, constato con una smorfia, rilasciando di colpo la presa. Chiudo
gli
occhi.
Non
abbiamo un concerto…domani? Come cazzo saliremo su un palco
se io e Matt non ci
chiariamo?
-Come
cazzo possiamo chiarirci se io gli mando un messaggio del genere?!
***
Detesto
essere io il primo a cedere.
Busso
contro la porta e scopro che le nocche della sinistra sono decisamente
escoriate. Sto ancora agitando la mano nell’aria quando il
battente si apre.
-Dom!
Strabuzzo
gli occhi e spalanco la bocca.
Il
mio primo impulso è quello di afferrare Kate per il polso e
trascinarla fuori
dalla stanza.
Non
riesco a metterlo in pratica. Sia perché non ho sufficiente
prontezza di
spirito per riprendermi abbastanza in fretta dallo shock di vederla
lì dentro,
sia perché Matt è più veloce di me. Il
suo sorriso appare sulla soglia della
camera, alle spalle della ragazza, con una rapidità
sorprendente, tanto da
farmi sospettare che fosse lì apposta per godersi
quell’unico istante.
-Ciao,
Dommie.- mi saluta anche lui,
mellifluo ed accondiscendente.
Chiudo
la bocca.
-Sai,
avevi ragione.- sta ammettendo il mio cantante con posata diligenza.-
Sono
stato veramente uno stronzo.
…lo
ha fatto apposta.
Lo hai fatto apposta!
Sto
quasi per dirlo ad alta voce. Mi frena incocciare nel sorriso luminoso
di Kate,
poco più in basso. Mi ferma il suo sguardo supplichevole, la
consapevolezza che
tutti e tre, qui, sappiamo la reale ragione per cui tu
te la sei ripresa.
Ma
tutti e tre, sebbene per motivi diversi,
continueremo a tenere in piedi questo incantesimo di ipocrisie.
Deglutisco
a vuoto. Continuo a fissare Kate e lei continua a fissare me.
-Katie
ed io ci siamo chiariti.- stai dicendo, dolcemente. Le scosti i capelli
dalle
spalle in un gesto colmo di tenerezza- Lei sa che è la sola
di cui mi importi.
E devo ringraziare te per avermelo fatto capire.
-…ne
sono felice.- mento. Bene, posso constatare che almeno la mia voce
è in grado
di restare impassibile.
Kate
si sta scusando al posto tuo. Lo fa nel modo in cui stringe le spalle
ed
arrossisce. Lo fa nel movimento abbozzato della mano, che sembra
volersi posare
sul mio braccio in una carezza ma si ferma a metà del
tragitto, portandoti più
rispetto di quanto davvero ne meriteresti.
E’
perché non ne meriteresti affatto.
-Buonanotte.-
saluto atono.
Ruoto
su me stesso. Sento la voce di Kate che borbotta qualcosa mentre la
porta si
chiude. Non posso sentire se le rispondi, perché il battente
si serra dietro di
me prima che tu lo faccia.
***
Arrivo
alla location del concerto con un’ora di ritardo.
Le
urla di Matt si sentono ancora prima che io metta piede nella zona del
palco.
Chris sta seduto in un angolo, le braccia serrate al petto ed uno
sguardo
eloquente.
La
vittima del nostro frontman è uno dei tecnici della
chitarra, chiaramente.
Prima che il concerto sia finito, dovrà trovarsi un nuovo
lavoro. Ed al momento
ne siamo consapevoli un po’ tutti, qui intorno. Tecnico
compreso.
Il
reale obiettivo di Matt sono io.
-Dom…-
mi saluta Chris, svogliato.- Dov’eri finito?- non ci mette
vera partecipazione
nel pormi la domanda e questo mi dà l’esatta
misura del fatto che lui sappia
almeno quanto me e Matthew che il discorso iniziato il giorno prima tra
noi due
non è ancora chiuso.
-In
albergo.- ritorco asciutto.
Non
mi spreco neppure a fingermi impensierito dalla scenetta che Matt sta
recitando
qualche metro più in là. Salgo sul palco. Siedo
alla batteria. Impugno le
bacchette e mi annuncio con un feroce rullare di tamburi che smorza
l’invettiva
di Matthew sul più bello.
Si
volta verso di me con la stessa rapidità che ci metterebbe
dopo un morso di
serpente.
Sorrido.
-Ciao.-
scandisco secco.
-…“ciao”
il cazzo, Dom!- ringhia lui
immediatamente. Tre balzi esatti ed è in cima al palco. Una
breve marcetta e me
lo ritrovo a meno di mezzo metro di distanza.- Dovevi essere qui
un’ora fa, porca
puttana!
-Davvero?
Non me ne ricordavo.- ribatto serenamente, facendo vibrare nuovamente
le
bacchette contro la pelle.- Scusa.- Ma entrambi sappiamo che no, non mi
sto
scusando affatto.
Matt
sembra realmente sull’orlo di una crisi di nervi. Ingoia la
risposta velenosa
che stava per rifilarmi, si tira dritto, occhi chiusi e respiro
affannoso, si
passa una mano tra i capelli, in totale disordine, tirando le ciocche
sulla nuca.
-Ok.-
sfiata dopo qualche istante.- Ok. Si può sapere qual
è il tuo cazzo di
problema?- mi domanda, tentando inutilmente di suonare conciliante.
Il
tecnico delle chitarre si è dileguato.
Butto
un’occhiata trasversale in direzione di Chris, lui recepisce,
si rimette in
piedi ed esce di scena.
-Io
non ho nessun problema.- affermo apatico.
Matthew
scoppia in una risata isterica.
-Sentimi
bene, coglione! Io e te possiamo anche prenderci a pugni fuori da qui e
farci i
dispettucci come all’asilo, - mi redarguisce aspramente,
accompagnando la
tirata con il suo solito gesticolare eccessivo - ma questo è
lavoro, Howard!
Quindi, o sputi il rospo o te la fai passare!
-Non
so di che rospo parli.- insisto sfacciatamente. Altro rullo di tamburi.
Matt
scatta in avanti e riesce a strapparmi una delle bacchette, che finisce
giù dal
palco.
-Ora
possiamo parlare?- mi chiede suadente.
E’
il mio turno d’ingoiare a vuoto.
-Matt,
- inizio sforzando un tono piano e tranquillo che non corrisponde per
niente a
quello che provo - non so di cosa tu voglia parlare…
-Del
messaggio che mi hai mandato ieri pomeriggio?!- m’interrompe.
…diretto.
E
all’improvviso sono io in torto e lo so.
Tiro
un respiro profondo senza osare ricambiare il suo sguardo. Non so come
uscire
da questa situazione, non so come faremo entrambi
ad uscire da questa situazione, non so…
-Te
la sei ripresa solo per dimostrarmi che tanto vinci sempre tu!- sibilo
furibondo, senza neanche rendermi conto fino in fondo di quello che sto
dicendo.
-Non
farmi più stronzo di te! La verità è
che tu
la vuoi solo perché è la
mia donna!-
ritorce Matthew stringato.
-Sei
un figlio di puttana!- gli urlo contro.
Sono
giorni che lo penso – povera Marilyn
– ma dirlo a voce alta ha tutto un altro sapore. E per un
paio di istanti ne
sono soddisfatto.
In
quei due istanti gli occhi di Matthew diventano enormi, fagocitando
nella
propria sorpresa tutto il mondo intorno. E poi tornano a restringersi,
assottigliandosi su una rabbia serpeggiante, velenosa e cattiva che non
avrei
mai sospettato potesse rivolgere a me.
E’
tutto sbagliato.
-Dom…-
inizia a mezza voce, in tono basso e controllato, furente.- non so
quando cazzo
tu abbia sviluppato questa gelosia da moccioso nei miei
confronti…
Strillo
una risata sarcastica. Un suono isterico e gutturale che si alza troppo
di tono
e che raggela l’incipit del discorso di Matt molto prima che
prenda l’avvio.
-Non
sono geloso di te. – rintuzzo - Non ci tengo ad essere uno
stronzo, bastardo,
egoista e megalomane, grazie.
No. Tutto quello a cui tengo è
poter avere la tua donna.
…quindi…magari…un po’
stronzo lo sono pure io. Che
dici?
Questa
volta è lui a gettarmisi contro.
Rotoliamo
giù dallo sgabello della batteria in un fracasso di piatti
che rovinano a
terra. Il pugno di Matthew mi scalfisce solo di striscio la faccia,
perché lui
non ha abbastanza forza e agilità per rimettersi dritto, a
cavalcioni sul mio
bacino, e picchiarmi come si deve.
Fai
schifo anche in questo, Bellamy.
Per
quando si raddrizza, in equilibrio precario sul mio sterno, gli ho
già bloccato
i polsi e me ne sbatto se gli sto facendo male, continuando a stringere
nonostante la sua smorfia di dolore.
Matt
prova inutilmente a divincolarsi, rifilandomi un paio di ginocchiate
nei reni
che non sono affatto divertenti. Mi piacerebbe spaccargli la faccia e,
se mi
fermo per tempo, è solo perché stasera abbiamo un
fottutissimo concerto.
Sempre
ammesso che stasera i Muse esistano ancora.
-Sei
uno stronzo!- mi ruggisce contro, arrabbiato, quando si rende conto che
non
riuscirà a liberarsi. Non smette comunque di provarci.- Io
davvero non capisco
che cazzo ti prende, Dom! PORCA PUTTANA! è da quando
c’è Kate che ti comporti
da idiota con me! Che cazzo di problema hai, me lo spieghi?!
-Ho
il problema che vorrei che…quantomeno, tu
la trattassi con un minimo di rispetto!- sfiato allo stesso
modo,
strattonandolo per le braccia per costringerlo a darsi una calmata ed
ascoltare
- Quando cazzo crescerai, Bellamy?! Eh?! Quando cazzo la metterai
quella
fottuta testa a posto?! Perfino Gaia ti ha dato un calcio in culo
nonostante
fosse pazza di te!
-Non
tirare in mezzo Gaia, Howard!- è la replica rabbiosa di
Matthew – Cosa diavolo
vi aspettate che faccia?! Che mi sposi la prima che capita solo
perché Gaia mi
ha mollato dandomi dell’infantile incapace di prendersi delle
responsabilità?!
Che cazzo di discorso è?!
-Il
discorso di qualcuno che spererebbe di vederti prendere delle
responsabilità,
Matt.- ritorco asciutto, abbassando bruscamente il tono della voce.-
Specie con
un fotuttissimo bambino in arrivo!- gli ringhio contro.
Capisco
che non lo sapeva nell’istante esatto in cui lo vedo
sbiancare.
E’
perfettamente immobile tra le mie mani adesso. Seduto intontito sulla
mia
pancia, le braccia abbandonate inerti davanti a sé, le mie
dita ancora serrate
attorno ai polsi. Allento progressivamente la stretta, mentre un
brivido gelido
mi scende lungo la schiena.
-…Matt?-
provo a chiamarlo.
Quando
faccio per sollevarmi, lui si riscuote. Non lo fa realmente,
perché non è realmente
presente a sé stesso in questo
momento. Tutto quello che ottengo è che si lasci cadere
seduto sul pavimento
del palco - il segno rosso dei miei
polpastrelli sotto il polsino della camicia - liberandomi dal
peso del suo
corpo e dandomi la possibilità di tirarmi dritto a mia
volta, inginocchiato al
suo fianco.
Matt
non mi vede. Striscia all’indietro quando provo a toccarlo,
sottraendosi al mio
tocco per puro istinto. I suoi occhi sgranati sono assolutamente
inespressivi,
immoti. Impatta con la schiena contro un amplificatore, ci si
rannicchia
contro, portandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso tra le
braccia
in un groviglio di arti che non ha alcun senso.
Cristo Santo…cosa cazzo ho
fatto?!
-…non
te lo ha detto.- realizzo a voce alta.
Terrorizzato.
Lui
si volta verso di me. Di scatto.
-Dimmi
che stavi scherzando.- mi implora.
Sono
eoni che non vedevo Matt in queste
condizioni.
Deglutisco
a vuoto, mi prendo qualche minuto per decidere cosa fare. Lui mi guarda
con
un’espressione disperata sul volto bianchissimo. Io ho appena
distrutto la sua
vita, consapevolmente, e ora non so più come riattaccare i
pezzi assieme.
Ma magari non devo. In fondo, il
bambino esiste comunque, se non glielo avessi detto io, lo avrebbe
fatto Kate.
….Kate.
Pensare a lei con il viso di Matthew davanti è impossibile.
E’ come se qualcuno
mi stesse piantando un coltello nello stomaco e
girasse…girasse…e quel buco
finirà per risucchiarmi, ma la cosa peggiore è il
dolore che cresce e che non
posso fermare.
-Matt.-
ripeto piano.
Accomodante,
morbido, protettivo. Perché è Matt.
E’ sempre stato Matt, anche se ho potuto dimenticarmene per
un paio di
ore…qualche giorno. E’ il
mio Matt.
La persona più importante con cui ho condiviso un pezzo di
vita. Il ragazzino
spaventato che al liceo ne diceva una di troppo e, poi, correva a
nascondersi
dietro le mie spalle. Lo stesso ragazzino che, terrorizzato, mi si
stringeva
addosso la notte, durante i primi tour, quando la paura di sbagliare,
di dire
qualcosa di troppo, di essere disprezzati dal pubblico era troppa,
quando
mettersi in gioco era ancora un problema insormontabile.
E
Kate no.
Kate
non sarà mai mia.
Kate
è La Donna del Mio Migliore Amico. Di mio fratello. La Madre
di Suo Figlio.
Arranco
verso di lui. Quando lo abbraccio, non fa niente per divincolarsi. Mi
accorgo
che sta tremando, mi abbraccia anche lui, stringendo e nascondendo la
faccia
contro la mia maglietta.
Siamo
ridicoli. Se qualcuno ci vedesse in questo momento, la presa per il
culo
sarebbe assicurata fino alla fine dei giorni.
-Scusami.-
sussurro piano, direttamente al suo orecchio. Lo sento annuire.-
Credevo te lo
avesse detto. Ma sono stato stupido, dovevo capire che non
l’aveva fatto.
Ripenso
alla sera prima, al viso di Kate, alle sue scuse silenziose, al sorriso
idiota,
arrogante, sulla faccia di Matthew. No, era ovvio
che lei non glielo avesse detto. Ed io lo sapevo.
…l’ho fatto apposta.
-Matt,
scusami.- singhiozzo nuovamente, con più forza.- Non volevo
che lo sapessi a
questo modo e non volevo…non…
Non volevo innamorarmi della tua
ragazza. Non volevo scoprire che aspetta un figlio da te. Non volevo
sentirmi
dire che di lei non t’importa abbastanza…
-Che
cosa devo fare, Dom?- mi sussurri in una preghiera spaventata.
E’
assurdo. Meno di due minuti fa volevi spaccarmi la faccia ed io volevo
spaccare
la tua. Ti ho odiato davvero e sono certo lo abbia fatto anche tu.
Sessanta
secondi…settanta forse.
Poi
ho detto una cazzata, ti ho tirato un colpo molto più forte
di quello che puoi
reggere e adesso è tutto passato, adesso è solo
il rimorso ed il bisogno
spasmodico di proteggerti perfino da me stesso.
E
tu mi stai ammazzando, Matt, perché non credevo di poter
provare per qualcuna
quello che provo per Kate, ma devo dimenticarlo subito…ieri,
ancora prima! Deve sparire e non
tornare.
Deve rimanere un messaggio fuori luogo che ti ho mandato in un momento
di
rabbia, il desiderio inespresso di una battuta di troppo che ho
formulato alla
tua donna. Deve sparire. Perché non potrei mai, non sarei
mai in grado, non
riuscirei nemmeno in un milione di anni a farti questo.
-Matt.
Andrà tutto a posto.- sussurro cullandoti.- Parlane con
Kate. Decidete assieme.
Prenditi tutto il tempo che ti serve. Hai diritto ad avere il tempo che
ti
serve.- aggiungo, realizzando che è così.
E’ vero.
Lei
non è Gaia. Tu forse hai anche cercato di sostituirla ma, in
fondo, da quanto
vi frequentate? Ed immagino che non sia facile prendersi una
responsabilità
come questa. Immagino che possa sembrare spaventoso,
dopo averla rifuggita per anni con una persona che amavi tanto quanto
l’aria
che respiri.
Spingo
forte le labbra contro i suoi capelli in un bacio che ha il sapore di
miliardi
di scuse che non riesco a formulare a voce alta.
Lui
non si muove. Non respira quasi.
Sento
dei passi dal fondo del backstage. Non mi volto, so già che
è Chris e so che
non dirà niente.
Deve
averci visto, perché torna indietro nello stesso silenzioso
modo e ci lascia
soli.
***
Kate
mi viene incontro lungo il corridoio dell’albergo. Sembra
arrabbiata. Mi fermo
con la chiave magnetica in una mano ed un saluto a fior di labbra.
Non
arrivo a rivolgerglielo.
Mi
tira uno schiaffo. Sonoro, pesante. Mi brucia la guancia ed ancora di
più
l’anima, perché so bene la ragione della sua
rabbia.
-Non
te l’ho detto perché tu glielo spifferassi alla
prima occasione!- mi sibila
contro.
Abbasso
gli occhi. Sulla moquette rossa che fa da passatoia i suoi sandali
gioiello
sembrano ricami preziosi.
-Mi
dispiace.- mi scuso senza nessuna intonazione.
Lei
freme, furiosa. Alzo lo sguardo nei suoi occhi solo per rendermi conto
davvero
di quello che sta succedendo. Ha paura. Non sa quale sarà la
reazione di
Matthew – non lo so neppure io
–
forse non sa neanche cosa fare, se tenere o meno questo bambino. Ed ora
io ho
messo tutti davanti ad una decisione da prendere alla svelta, senza
basi solide
su cui costruirla.
…ho paura anche io. Che possa
decidere di non
tenerlo.
-Kate…-
inizio frettolosamente, sulla spinta di quell’ultimo pensiero
istintivo.
-No.-
mi interrompe lei brusca, tirandosi indietro e puntandomi contro la
mano.- Non
dire niente. Non voglio sentire niente. Portatelo via. Andate via
entrambi. Non
voglio più vedervi.- scandisce atona.
-…Kate…tu…devi
parlare con Matt di questa cosa, devi…
-Io
non devo fare proprio nulla,
Dominic.- ritorce asciutta.- Non devo fare niente se non quello che
ritengo
corretto per me stessa. Non c’è nulla tra me e
Matthew.- Sorride. L’amarezza in
quel sorriso è tanto palpabile da svuotare di qualsiasi
valenza il tono duro,
tagliente e pacato con cui mi si sta rivolgendo. Le ferite sulla sua
pelle sono
così esposte che potrei affondarci un dito dentro senza
alcuno sforzo. – Nulla
su cui valga la pena di fare affidamento.
-Non
lo conosci.- mi sento in dovere di ribattere.
-Ho
visto abbastanza l’altra notte.
Distolgo
di nuovo lo sguardo. Non me la sento di negare. Ma conosco Matthew
meglio di
lei, le cose buone e quelle cattive, e sono quasi certo che
affronterà questa
cosa. Che ci proverà, almeno.
-Dagli
una possibilità.
Mi
costa uno sforzo enorme sussurrarglielo. Sempre senza guardarla.
Kate
sorride ancora, di sbieco, sottilmente.
-Deve
chiedermela lui, non pensi? Sarebbe già un buon inizio.
Si
volta. Va via. I sandali sulla moquette non fanno nessun rumore.
Vorrei
fermarla.
Vorrei
dire qualcosa di stupido, qualcosa che suonerebbe come “se
non sarà lui, potrei
essere io”.
Mi
fermo appena in tempo. Le porte dell’ascensore si aprono,
l’abito di Kate è un
fluttuare leggero di seta colorata oltre l’angolo del
corridoio.
Matthew
esce dall’ascensore, mi vede, mi sorride stanco, pallido.
Ricambio il suo
sorriso.
Faccio
scattare la serratura della stanza ed apro la porta.
-Vieni
a berti una birra?- lo invito.
Non
resto ad ascoltare la sua risposta. Lo precedo in camera, mi dirigo al
bar e
stappo un paio di bottiglie.
“Cave Canem”
MEM 2013
Nota di fine capitolo della Nai:
Dunque…questa storia è
stata
scritta per un mucchio di motivi diversi.
Anzitutto, amo il classico topico
dei due migliori amici, praticamente fratelli, che si litigano la
medesima
donna. Avevo…annusato l’idea di Matt e Dom che
litigano per causa di Kate
scrivendo uno dei capitoli di Tempo Perso e deciso già
allora di voler
approfondire il discorso.
Poi c’è il fatto che Dom
/ Kate è
una coppia che m’intriga un casino. Ragion per cui non
escludo a priori di
scrivere ancora di loro.
Infine, c’è il fatto che
avevo
promesso a Scioubeez di scrivere una DomxKate, appunto, ed anche se
questa si è
poi rivelata una cosa un po’ diversa, ho deciso che come
“approccio iniziale”
alla coppia poteva starci.
Mi sento in dovere di ringraziare
Aleale00 per l’aiuto, il sostegno e la sua presenza costante.
Tutti
preziosissimi! <33333
Spero vi siate divertiti!
See you, space cowboys!
MEM
P.s. “fare a chi piscia
più
lontano” è una delle espressioni preferite di
Erisachan. Ed io me ne sono
golosamente appropriata <3
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