Una diversa prospettiva

di Beauty
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Nessuno era più entrato in quella stanza da quando si era imbarcato sulla Destiny, e nulla era cambiato né per tutta la durata del viaggio né adesso che quest’ultimo si era concluso – già, erano trascorsi più di  tre anni, oramai.
Quasi ne aveva perso il conto. Fatto curioso, dato che il professor Rush era sempre stato più bravo con i numeri che con le persone.
Quella stanza ricolma di foglietti e post-it scribacchiati con inchiostro nero e traboccanti di formule e teoremi era vento sul fuoco appiccato da chi lo voleva uno scontroso professore che avrebbe volentieri trascorso l’intera esistenza rinchiuso in quella camera sommersa di numeri e segni matematici.
Invece quel pomeriggio il professor Rush dalla suddetta camera ci era uscito, dopo avervi trascorso il tempo record di due ore – era un record di minor tempo possibile, naturalmente, e a pensarci bene valeva ben poco dato che la mattina era stato impegnato a scribacchiare numeri simili a quelli sulla lavagna di un’aula universitaria. E valeva ancora di meno se si notava che il professor Rush aveva richiuso la porta accompagnando questo gesto con quello di infilarsi nella tasca dei pantaloni uno dei suoi innumerevoli taccuini, segno che aveva tutta l’intenzione di proseguire i suoi calcoli, sebbene in una stanza diversa.
Ma c’era una novità. Una novità a cui Rush non era più stato abituato dopo la morte di Gloria e a cui, peraltro, non aveva dato granché peso nemmeno all’epoca.
E la novità in questione era che, ad averlo indotto a uscire da quella camera sommersa di numeri e ad abbandonare almeno per un attimo quel problema che – accidenti a lui! – pareva irrimediabilmente irrisolvibile, non era stata una qualche emergenza o situazione che non poteva essere rimandata.
Bensì la voce di una donna.
Rush ci rifletté attentamente nel breve lasso di tempo che aveva diviso il suo alzarsi dalla scrivania senza pensarci due volte e il suo gesto quasi liberatorio di chiudersi alle spalle la porta. Non era più capitata una cosa simile dalla morte di Gloria, e pensandoci bene anche all’epoca erano ben rare le volte in cui rispondeva a sua moglie al suo primo Nicholas, puoi venire un attimo, per favore?, e spesso e volentieri si alzava dalla sedia solo quando lei, in preda all’esasperazione, spalancava la porta e lo chiamava per la millesima volta.
La verità era che non ci era più abituato – forse non lo era mai stato, in effetti –, ma adesso invece bastava una semplice sillaba di Amanda per farlo uscire dal suo limbo e abbandonare – fisicamente, ovvio, dal punto di vista mentale era un po’ più dura, anche se ultimamente anche la sua psiche matematica aveva iniziato a cedere – anche il più complesso dei problemi.
Rush non aveva idea se questa nuova abitudine di abbandonare il proprio lavoro così facilmente fosse un bene o un male, ma di certo si rendeva conto di aver ripreso ad abituarsi a tantissime altre cose, in quei tre anni.
Se dalla morte di Gloria era abituato ad aggirarsi da solo in una casa enorme, silenziosa, e così piena di oggetti e ricordi da risultare tremendamente vuota, ora si era abituato a fare i conti con dei passi diversi dai suoi, all’inizio allegri e scattanti, ora un poco più lenti e cauti, che risuonavano sul pavimento della cucina per poi passare alla camera da letto, alla veranda e terminare in quel momento in salotto. Se prima aveva preso l’abitudine di saltare troppo spesso i pasti, oppure accontentarsi di qualche cosa di pronto e il più delle volte freddo e disgustoso, ora non si stupiva troppo di sentire delle imprecazioni condite con qualche risata provenienti dalla cucina che emanava odore di bruciato. L’abitudine di trascinarsi la sera tardi a letto, da solo, era stata sostituita da quella di andarci un poco più presto, e con la certezza che ci fosse qualcuno ad aspettarlo. L’abitudine di ridere e chiacchierare anche di cose che non riguardassero solo la scienza, ma anche ogni tanto la vita di tutti i giorni con le sciocchezze della TV, dei giornali e dei pettegolezzi del vicinato aveva preso il posto di quella di trascorrere intere giornate da solo, conversando solo con i suoi numeri.
E – quella non era abitudine, ma una certezza vera e propria, dolce e confortante come può esserlo solo qualcosa che sai essere vera e tua, e che mai a niente e a nessuno permetterai più di strapparti via – la vista di un fantasma che lo aveva lasciato tanto tempo fa era stata sostituita da quella di una persona reale, una donna seduta sul divano del salotto di fronte alla televisione, che un attimo prima gli dava le spalle ma che ora si era voltata e gli stava sorridendo.
Strane abitudini, sì. Ma incredibilmente piacevoli.
Abitudini che segnavano lo scorrere del tempo. Abitudini che avevano tracciato un confine, una linea di demarcazione forse non molto ben definita e a volte anche cosparsa di passaggi segreti e valicabili, ma di certo divisoria, fra la sua vita prima e dopo la Destiny.
- Nicholas!- lo chiama per la seconda volta Amanda, facendogli cenno di avvicinarsi.- Puoi venire a sederti qui un attimo?
Rush l’accontenta con un sorriso, nascondendo ancora di più il taccuino nella tasca dei pantaloni. Il problema può aspettare. La raggiunge sul divano, sedendosi cautamente accanto a lei. Da qualche mese a questa parte, teme sempre che i suoi modi a volte un po’ bruschi possano farle male.
- So che sei impegnato e devi tornare al lavoro, ma volevo farti sentire una cosa…- gli spiega velocemente Amanda, chissà, forse ha paura che si lasci andare a una delle sue solite lamentele, anche se lei sa che non sono mai sul serio.
Gli prende una mano fra le sue, e Rush non può non provare un senso di sollievo e anche di muta felicità quando la sente calda, calda e morbida come lo era stata tre anni prima, e non gelida e molle come quando l’aveva sfiorata quel giorno in cui l’aveva trovata riversa a terra, fredda e immobile come una bambola abbandonata nella sua stanza a bordo della Destiny.
L’aver ucciso Simeon gli aveva dato un breve attimo di sollievo, l’aveva illuso di poter placare con la vendetta il ribollire del suo sangue nelle vene, la morsa di ghiaccio intorno al cuore, quel maledetto freddo che aveva avvertito una prima volta quando Gloria era morta, e che era tornato, spietato e implacabile, quando Amanda era stata uccisa, ma quella sensazione era durata ben poco.
Il gelo non si era placato, l’omicidio di Simeon l’aveva solo fatto sentire bene per un breve istante, prima che il suo cervello tornasse a ragionare in modo lucido e lui si rendesse conto che Amanda era morta, che TJ l’aveva verificato e l’aveva comunicato chiaro e tondo, che anche se lui si era preso la vita del suo assassino questo non sarebbe servito a niente, che lei non sarebbe mai più tornata da lui.
Era una sensazione mordente, acuta e penetrante, come tante stalattiti di ghiaccio appuntite che ti perforavano il cuore. Non se n’era andata per molto tempo, e lui non aveva potuto fare altro che sopportarla in silenzio, aiutato solo da una dei pochi amici che aveva a bordo della Destiny.
Poi, quando aveva scoperto che la coscienza di Amanda era salva, conservata in uno dei database della nave, allora quel freddo si era un poco attenuato; aveva rischiato di perderla più volte, nel corso di quel viaggio, ma infine era riuscito a metterla in salvo definitivamente, in attesa che lui e gli altri passeggeri potessero finalmente tornare a casa e fosse così in grado di trasferire la coscienza della donna che amava in un altro corpo.
Era riuscito a fare di meglio. Quando finalmente quel viaggio si era concluso e la Destiny era atterrata nuovamente sulla Terra, traendo in salvo lui e gli altri passeggeri, TJ gli aveva comunicato di essere riuscita a conservare il corpo di Amanda. Benché senza vita, gli aveva spiegato, la salma della dottoressa Perry era stata mantenuta in stasi criogenica per tutta la durata del viaggio, in modo che l’intero corpo non riportasse alcun danno causato dal tempo.
E così, era riuscito a riportare la coscienza di Amanda nel corpo a cui era sempre appartenuta. E, anche se ora doveva sopportare le battute scherzose della donna sull’averla fatta diventare la sposa di Frankenstein, quello che contava era che lei fosse tornata da lui.
Con lei, erano tornate tutte quelle nuove e vecchie abitudini. E nuovi pensieri, nuove idee e nuove prospettive di vita.
Con il ritorno di Amanda, Rush aveva riconsiderato parecchie cose nella sua vita. Ad esempio, che questa non fosse costituita solo e soltanto da numeri, o che lui non fosse sempre costretto a comportarsi da automa privo di sentimenti per proteggersi dal dolore. Aveva iniziato a fare di nuovo dei progetti sche non riguardassero solo calcoli e formule matematiche, fino a compiere delle azioni e delle scelte che mai avrebbe pensato di compiere.
Alla fine, il professor Rush aveva deciso che avrebbe conservato per sempre un posto speciale, ma un po’ più piccolo, nel suo cuore per quella donna bionda che lo aveva accompagnato per quasi dieci anni, ricordandola sempre con affetto, ma lasciando entrare nella sua vita Amanda. Era stata una decisione sofferta, questo sì, ma Rush non ne era pentito.
Il loro matrimonio era stato semplice e veloce, senza troppi fronzoli o troppe moine, come piaceva a loro. Lui non era mai stato molto incline a queste celebrazioni ricche di tante belle parole e sorrisi più o meno sinceri, mentre Amanda pareva voler rifarsi al più presto di tutto il tempo che aveva trascorso bloccata su una sedia a rotelle, ed era ansiosa di iniziare la sua nuova vita.
Si erano trasferiti nella sua vecchia casa a Washington, dove tutt’oggi vivevano.
Lui aveva ripreso a insegnare all’università e a svolgere incarichi per il Governo, anche se aveva fatto voto di tenersi a debita distanza da qualunque progetto che contenesse in sé le parole nave spaziale e viaggio interstellare. Amanda era stata sua collaboratrice per un po’ di tempo, prima di ottenere a sua volta l’incarico di professoressa. In casa la loro vita era semplice e regolare, in cui anche le litigate erano parte del loro amore e per quanto potessero essere rabbiose si concludevano sempre con un chiarimento e un sorriso, la quotidianità era scandita da orari e impegni che però lasciavano spesso e volentieri spazio a strappi alla regola e a momenti di tenerezza.
Era una routine tranquilla, ma piacevole. E di questo Rush era felice.
- Che cosa?- mormora, mentre Amanda gli solleva la mano e la porta verso di sé.
Prima che sua moglie possa portarla a destinazione, tuttavia, lo sguardo le cade un poco più in basso, all’altezza delle tasche dei pantaloni di Rush; al professore non segue seguire i suoi occhi scuri per indovinare che ha notato il taccuino, oh, eccome se l’ha notato!
- Quello cos’è?- chiede Amanda, aggrottando un poco le sopracciglia.
- Lavoro - Rush si stringe nelle spalle come se dovesse ammettere qualcosa di spiacevole.
Sua moglie sospira, ma la rassegnazione è presto sostituita da un sorriso comprensivo.
- Non stacchi mai, vero?- ammicca.
- E’ che…beh, un problema un po’ ostico?
- Un problema ostico? Il grande professor Rush ha appena definito un problema un po’ ostico?- ironizza, lasciandogli la mano e sporgendosi verso di lui.- Questo sì che è grave…fammi vedere…
Gli sfila il taccuino dai pantaloni e si mette a scorgerlo velocemente. Rush fa un mezzo sorriso; sua moglie è un genio e sarà sempre la sua Piccola Miss Intelligenza, ma dubita che possa veramente risolvere quel problema con una sola occhiata.
- In effetti, è complicato…- mormora infatti Amanda, restituendogli il taccuino dopo poco.- Non saprei come aiutarti…Magari…- azzarda.- Magari sbagli punto di vista…Prova a guardare le cose da un’altra prospettiva…- suggerisce, mordendosi il labbro inferiore.
Prova a guardare le cose da un’altra prospettiva…
Rush abbassa un poco lo sguardo e sorride sornione, stringendo le dita di Amanda con le proprie.
- Avevi detto di volermi far…sentire qualcosa, giusto?
Amanda sgrana gli occhi, come se si fosse ricordata solo in quel momento di qualcosa di molto importante.
- Oh, sì!- esclama, prendendo nuovamente la sua mano fra le proprie; è con un gesto lento e misurato che fa poggiare delicatamente il suo palmo aperto contro il proprio ventre arrotondato di sette mesi.
Dopo pochi secondi, Rush sente che la sua mano è colpita lievemente da quelli che sembrano dei piccoli pugni.
- La senti?- sussurra Amanda.- Scalcia…!
Rush sorride, mentre i calcetti colpiscono piano l’interno del ventre di Amanda e si fermano contro il palmo della sua mano. Alza lo sguardo, incontrando il volto di sua moglie ancora concentrato sul pancione.
Un’altra prospettiva…
Amanda gli aveva suggerito di guardare le cose da un’altra prospettiva, e ora lui lo stava facendo. E questa prospettiva era tutta nuova, dove lui non era più solo in compagnia di un taccuino che ora giaceva abbandonato in un angolo del divano. Ora c’era lui, di fronte a lui al posto dei numeri c’era Amanda, e al posto del problema da risolvere c’era la sua mano poggiata contro il ventre della moglie, al posto delle formule matematiche c’era la loro bambina che presto sarebbe nata e che ora lo stava salutando con quei piccoli calcetti che si muovevano al battito del suo cuore.
Stava guardando le cose da un’altra prospettiva. E gli piaceva molto di più.
 

FINE


 
 
Angolo Autrice: Messaggio per parveth: eccomi qui, dopo lunga e penosa malattia, ma ce l’ho fatta XD.
E’ così che mi piace pensare la vita di Rush sulla terra. Un po’ sdolcinata come OS, lo so, ma mi è venuta così. Me la lasciate una recensione, per favore?
Ciao!
Beauty





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